A – S.S. il Dalai Lama: Terzo Discorso per l’80°

Sua Santità il Dalai Lama: Quei bambini sembravano incapaci di sorridere! 

Sua Santità il Dalai Lama: Quei bambini sembravano incapaci di sorridere!

Discorso tenuto da S. S. il XIV Dalai Lama del Tibet, Tenzin Gyatso, durante il secondo giorno di celebrazioni per il suo 80° genetliaco, al tempio di Dharamsala, il 22 giugno 2015. Prima parte.

Le celebrazioni offerte ed organizzate dall’Amdo Gyatoen, l’associazione della regione dell’Amdo secondo la tradizione di questa provincia del Tibet che ha dato i natali a S.S.D.L.

Sua Santità il Dalai Lama

Tutti voi che avete eseguito le diverse danze e canzoni, indossate molti diversi tipi di abbigliamento, anche a me, quindi, è venuta voglia di portarne uno (il pubblico ride e applaude!). (Si tratta dello scialle a disegni geometrici rossi, neri e bianchi offertogli da Ed John, il rappresentante della ‘Prima nazione” o ‘Prime nazioni’, ovvero la prima tribù che popolava il Canada.) No, a parte gli scherzi, c’è un motivo per questo! La persona che me lo ha dato è un canadese della ‘Prima nazione’ (formata dalle popolazioni aborigene canadesi). Il suo nome è molto altisonante: la “Prima nazione”.

La ragione per la quale lo sto indossando è che, come ha spiegato il signor John, ci sono circa 300 milioni di appartenenti a questi gruppi etnici aborigeni (in tutto il mondo). Nel passato, sia in America che in molte altre parti del mondo, vivevano gli abitanti originali/aborigeni. Negli Stati Uniti, per esempio, diverse tribù popolavano le diverse regioni di quel paese. Anche nel Sud America, ci sono molte tribù di aborigeni. Non solo, in Europa ho incontrato i rappresentanti di questi gruppi etnici. Per esempio nell’Europa settentrionale, in regioni come la Scandinavia, si trovano diversi gruppi di abitanti aborigeni come i ‘Lapponi’, il popolo Sami e così via. In Nuova Zelanda ci sono i Maori, come pure nelle Hawaii vivono delle tribù aborigene, e ne esistono anche a Taiwan.

Recentemente, mentre mi trovavo in Australia, ho visitato un luogo considerato molto sacro dagli aborigeni locali. Si tratta di una zona pianeggiante desertica verso l’interno di quella grande isola (l’Australia), e al centro si erge una roccia, di tipo sabbioso. Nel passato avevo avuto voglia di visitarla e nella mia ultima visita in Australia gli organizzatori lo hanno reso possibile e così ho incontrato un gruppo di abitanti autoctoni. In generale, la condizione degli aborigeni che vivono in diverse parti del mondo è molto infelice. Nella storia hanno sofferto di molte difficoltà quando sono arrivati i nuovi colonizzatori. Nel continente americano, per esempio, quando sono arrivati gli occidentali bianchi, si dice che siano stati uccisi uno o due milioni di aborigeni.

Alcuni occidentali di razza bianca mi hanno detto apertamente che considerano molti dei loro antenati come dei veri criminali. Questo tipo di ingiustizie si è verificato in molte parti del mondo come anche in Sud America e così via. Recentemente in Australia qualcuno mi ha mostrato una lista, tipo il diario di qualcuno che diceva: “oggi ho sparato e ucciso un centinaio di aborigeni”.

Mentre S.S. pronuncia le ultime parole, si sente il rumore come dun piccolo cortocircuito e S.S. ride commentando: “Avete visto che c’è stato uno sparo!?” Questo dimostra che in quel periodo, gli aborigeni non erano neanche considerati come esseri umani! Veramente molto triste! Alcuni di questi gruppi etnici come la ‘First nation’ canadese, i ‘Sami’ della Scandinavia, i ‘Maori’ e così via, riescono ad andare a testa alta nella società in cui vivono grazie allo sforzo che hanno posto nell’istruzione moderna. Ci sono, invece, dei gruppi di aborigeni che fanno uso solo della loro cultura e tradizioni di vita e non riescono ad andare alla pari con gli altri nella società dove vivono, e così rimangono isolati tra di loro.

Io dico sempre loro: voi abitate questa zona da millenni, avete le vostre abitudini e costumi che sono perfettamente adatti a questa zona dove abitate. I loro usi e costumi si sono sviluppati, infatti, proprio secondo le condizioni climatiche, il tipo di raccolto e così via. Noi tibetani, per esempio, nelle regioni dell’Amdo dove il clima è prevalentemente molto freddo, usiamo la pelliccia; ora qui, anche se fa caldo, qualcuno degli artisti indossa pezzi di abbigliamento in pelliccia, ah! ah! E’ chiaro che gli usi e costumi di ogni parte del mondo si sono sviluppati conformemente alle condizioni presenti in quei paesi. Di conseguenza, è corretto e molto importante preservarli poiché sono i più adatti ed, inoltre, in qualche modo sono dei simboli che rappresentano i diversi gruppi di abitanti originali. Credo però che il modo di custodirli non sia quello di isolarsi dalla società dove si vive. Invece, come ho menzionato prima, la ‘First Nation’ canadese, i ‘Sami’ e i ‘Maori’, si sono sforzati di ricevere un’educazione moderna. Tra i Maori nella Nuova Zelanda, per esempio, si incontrano avvocati, politici, scienziati e così via. In altre parole, oltre a preservare le loro danze etc., hanno raggiunto la parità con gli abitanti bianchi venuti successivamente. Penso che questo sia un modo migliore di preservare i propri usi e costumi.

In generale mi esprimo in questi termini e, anche recentemente, in Australia l’ho fatto. La loro condizione è veramente infelice! Ho detto loro che, per prima cosa, bisogna avere istruzione. Di seguito, sulla base dell’istruzione moderna acquisita, si può aggiungere la cultura, gli usi e i costumi che ci rappresentano. Cercare di preservare la nostra cultura in modo isolato dal resto della società è un errore.

Nel passato in Nuova Zelanda ho detto loro che, dato che hanno della terra, anche se non sono al corrente delle condizioni climatiche nelle quattro stagioni, e dato che sembra ci sia sufficiente acqua, dovrebbero cercare di sviluppare l’agricoltura (ovvero andare di pari passo con il resto della società in cui vivono). Per quanto riguarda poi la preservazione della loro identità, le persone che hanno ricevuto un’istruzione moderna per esempio, oltre al linguaggio imparato a scuola, dovrebbero usare i termini tradizionali, il linguaggio specifico del loro popolo.

Gli aborigeni che ho incontrato in Australia vivono proprio in condizioni arretrate. Mi hanno dato il benvenuto con i loro canti e danze, ma la loro situazione è veramente infelice! Molto spesso quando incontro questi gruppi etnici dico loro che per preservare la cultura è importante la scrittura, ma molti di questi non ne hanno una propria. Così consiglio loro che, anche se non hanno una lingua scritta proveniente dal loro passato, ne possono inventare una con un sistema di ‘romanizzazione’ come si fa al giorno d’oggi per traslitterare certi alfabeti. Ciò sarebbe molto utile ed appropriato.

Quando incontro queste situazioni cresce molto in me l’apprezzamento per la nostra situazione (tibetana). Noi abbiamo una lingua scritta inventata più di mille anni fa. Non so se già esisteva prima del ‘Re del Dharma’ Song-tsen Gampo (nel settimo secolo); comunque, come ho accennato nei giorni scorsi, noi tibetani abbiamo la nostra lingua scritta già da più di un millennio. La nostra è veramente una lingua molto ricca, adeguata a tradurre correttamente la lingua sanscrita. Non era così sin dall’inizio, ma, tramite il processo di traduzione dai classici in sanscrito, aggiungendo gradualmente nuovi vocaboli e così via, ha raggiunto il livello di precisione e ricchezza che le ha permesso di esprimere esaurientemente i contenuti espressi in sanscrito. Vi rendete conto? Questa è la nostra lingua! Ecco che riflettendoci, mi sorge un’indescrivibile senso di rispetto per i nostri antenati. La loro capacità intellettuale è stata veramente notevole, ciò mi rende molto orgoglioso!

In ogni caso, queste popolazioni aborigene hanno molto sofferto nel passato e continuano ad essere molto arretrate nel presente. In quell’occasione (durante la recente visita di S.S. in Australia nel giugno 2015) mi hanno anche fatto visitare una scuola fondata e gestita con l’aiuto di persone esterne; ne ho incontrato il direttore, che è tedesco, ed anche sua moglie thailandese. Da molti anni stanno aiutando le popolazioni autoctone nel campo dell’educazione e della salute. Ho menzionato che prendersi cura della salute è molto importante, basilare. Ho notato che i bambini sembravano non sapere come pulirsi il naso. Mi è molto dispiaciuto, stavo quasi estraendo il mio fazzoletto dalla tasca, ma mi sono reso conto che non sarebbe bastato essendoci circa quindici bambini radunati lì intorno! Non sarebbe stato appropriato aiutare solo due o tre bambini e lasciare gli altri con il naso sporco. Veramente triste!

Quei bambini sembravano incapaci di sorridere! Cosa sarà loro mai successo?! C’erano anche i loro anziani genitori che mi hanno preso la mano portandosela alla fronte. Ho provato un forte senso di empatia poiché siamo tutti ugualmente esseri umani. Ho provato un forte amore, ma non potevo far niente per migliorare la loro condizione. Mentre mi davano il benvenuto toccandosi la fronte con la mia mano ho potuto osservarli da vicino. Molti di loro avevano gli occhi infiammati, giallastri. Avete presente alcuni malati, soprattutto affetti da disordini della bile? Hanno gli occhi gialli che spurgano liquido. Molti sembravano proprio malati. La cosa particolare che mi è successa lì è che, come nel nostro caso qui oggi, quando ci si riunisce, vengono offerti, secondo la tradizione tibetana riso al burro con ‘dro-ma’ (patatine dolci) e così via. In quel caso, per dare il benvenuto, ciò che hanno offerto erano degli insetti in un contenitore di legno! Sembra che quello sia il loro cibo preferito! Quegli insetti sembravano tipo dei bruchi che strisciano, sapete, quelli che poi diventano farfalle. Ce n’erano due nella tazza che mi hanno dato. Ditemi voi, come avrei dovuto mangiarli?! Impossibile! Con rispetto ho ridato il contenitore alla signora che me lo aveva offerto e lei ne ha preso uno e se l’è mangiato! Ho provato una forte emozione per tutti loro. Provo molto affetto e vorrei proprio far qualcosa per tutte le popolazioni indigene e perciò oggi vesto con orgoglio lo scialle donatomi che il rappresentante della ‘First nation’ canadese.

Noi tibetani (esuli in India) non abbiamo una particolare connessione diretta con loro, ma i tibetani che risiedono nei paesi occidentali, per esempio i tibetani che risiedono in Australia, vorrei che cogliessero tutte le occasioni per aiutarli, e, visto che comunque non c’è nessun guadagno da aspettarsi in cambio, vorrei che lo facessero davvero con sincerità! Questo è proprio il vero aiuto, quello per cui non ci sono aspettative di essere ricambiati! In molti altri casi, si aiuta il prossimo calcolando cosa ne otterremo in cambio, questo è quasi un business, non vera generosità! Molte di queste popolazioni indigene si trovano senza rifugio e senza protettori.

Ora mi ricordo un episodio avvenuto durante la prima volta che ho visitato l’Australia (1982). C’era un museo ed ho visto una capanna di foglie, sapete quelle dove vivono certe popolazioni aborigene; poi mi sono accorto che lì dentro c’era una persona in carne e ossa, accovacciata lì dentro! Ho provato una stretta al cuore! Una persona viva, in mostra in un museo! Come se fosse un animale! Poi gliene ho dette quattro! Ho detto loro che avevo visto una persona viva in esposizione e mi era sembrato terribilmente sbagliato! Non ho potuto evitare di dire loro quanto fossi contrariato ad aver visto una persona viva in esposizione nel museo! Quindi voi tibetani che vivete all’estero, dovreste usare ogni opportunità che vi si presenta per aiutare le popolazioni aborigene. Non solo, oggi sono qui presenti molti occidentali, per esempio quel gruppo di studenti americani dell’Università di Santiago. Voi siete persone molto progredite e perciò vi chiedo di fare del vostro meglio per aiutare le popolazioni aborigene, soprattutto nel campo dell’educazione. Generalmente quelle persone, in cuor loro, si sentono molto inferiori, non hanno fiducia in sè stesse e pensano sempre che non ce la faranno a raggiungere il livello dei bianchi. Molto spesso soffrono proprio d’un senso di inferiorità. Questo e ciò che dobbiamo eliminare, dobbiamo infondere la comprensione che siamo tutti uguali, tutti ugualmente esseri umani!

Una volta mi trovavo in Africa e ho visitato la casa di una famiglia locale. C’era una coppia di genitori e, mi sembra di ricordare, i loro due o tre figli. C’era anche una personalità locale, un uomo che si è presentato dicendo di essere un insegnante. Abbiamo bevuto un tè e chiacchierato insieme. Così ho detto loro che nel loro paese, in Sud-Africa, era stata conquistata la democrazia e l’uguaglianza. Ho detto loro che, però, non bastava che questi concetti fossero scritti sulla carta, ma che dovevano essere applicati generando uno sforzo nel campo dell’educazione e del lavoro. Questo deriva, a sua volta, dalla convinzione che siamo tutti uguali e che quindi tutti ce la possiamo fare! Allora, quel loro conoscente che faceva l’insegnante mi ha detto che, “noi africani.. il nostro cervello è più debole”! Non solo, “noi non riusciamo a sforzarci per un obiettivo come fanno i bianchi! Non riusciamo a studiare molto”! Le sue parole mi hanno molto rattristato! Gli ho risposto che non era assolutamente vero! Gli ho detto di consultare gli scienziati, i medici esperti del cervello. Gli ho detto di andare a chiedere loro se ci sia una differenza tra il cervello dei bianchi e dei neri. Io lo so bene, gli ho detto, non c’è alcuna differenza.

Noi tibetani, per esempio, siamo a volte in Tibet oggetto di derisione da parte di alcuni cinesi di strette vedute che sostengono che i tibetani sono sottosviluppati e che non ce la faranno mai a progredire. Io dico che dipende semplicemente dall’avere l’occasione o meno. È dimostrato che quando ne abbiamo l’occasione, noi tibetani possiamo arrivare esattamente allo stesso livello dei nostri amici cinesi. Gli ho spiegato tutti questi concetti concludendo che, solo per questioni politiche e/o di supremazia razziale, si fanno queste distinzioni, si diffondono queste false idee di disprezzo per una certa razza a favore di un’altra. Queste idee naturalmente non corrispondono a realtà e vengono invece usate a fini politici e così via.

Tradotto dal tibetano a Dharamsala da Mariateresa Bianca con l’aiuto di Sherab Dhargye. Rivisto dalla monaca italiana, Gestul-ma Tenzin Oejung. Editing del Dr. Luciano Villa nell’ambito del Progetto “Free Dharma Teachings” per il beneficio di tutti gli esseri senzienti. Ci scusiamo per i possibili errori ed omissioni.