1 – Sua Santità il XIV Dalai Lama: Il Buddhismo, il sentiero della logica.
Discorso di Sua Santità il XIV Dalai Lama alla cerimonia conclusiva della dodicesima conferenza Rimè a Dharamsala il 20 giugno 2015. Prima parte.
Alla conferenza partecipano ‘tutte’ le scuole del Buddhismo tibetano e la religione Bön. Il termine Rimè significa letteralmente ‘senza distinzione’, ovvero ‘tutte/i’. Il movimento ed i Lama Rimè praticano tutti gli insegnamenti delle diverse scuole ‘senza distinzione’. A volte viene tradotto anche con ‘non settario’ o ‘imparziale’.
Sua Santità il XIV Dalai Lama.
Oggi voglio ringraziare tutti i presenti, i Lama e i capi responsabili di tutte le scuole del Buddhismo del Paese delle Nevi, così pure i molti abati di molti monasteri, sia quelli in carica che quelli che li hanno preceduti. Tutti voi vi siete presi a cuore lo svolgimento di questa conferenza e, senza risparmiarvi, avete contribuito alla discussione e al confronto; infine oggi essa si è conclusa con successo con la lettura della risoluzione (appena terminata). Non ho altro da aggiungere a quella risoluzione.
Ciò che, invece, vorrei dire qui è che ormai sono passati più di cinquant’anni da quando siamo venuti in esilio. Osserviamo che tipi di cambiamenti sono avvenuti durante tutti questi anni circa, sia dal mio punto di vista personale, che in generale nel mondo. Negli ultimi sessanta anni ho incontrato moltissime svariate persone.
Mao-tse-tung e ricordando la Cina.
Quand’ero ancora in Tibet nel 1954, mi recai in Cina e incontrai la maggior parte dei leader del partito comunista cinese a cominciare da Mao-tse-tung e discutemmo di quello che avevo visto e delle mie esperienze (durante la mia visita di quel paese). La nostra era una buona relazione, quasi come quella tra padre e figlio. Ho l’impressione che anche lui si fidasse di me e anch’io lo consideravo il condottiero che guidava quel grande movimento rivoluzionario. A quel tempo pensavo che la tesi fondamentale comunista dell’internazionalismo proletario, di realizzare l’interesse del popolo, dei lavoratori e dei contadini di tutto il mondo fosse grandiosa! È un ideale che apprezzo molto!
Noi buddisti non parliamo forse di ‘tutti gli esseri senzienti’?! Parlando di ‘tutti gli esseri’ non differenziamo certamente tra ‘gli esseri dalla nostra parte’ e ‘gli esseri dall’altra parte’! Non solo includiamo naturalmente tutta l’umanità senza distinzione, ma anche tutti gli animali e persino gli insetti! Preghiamo che ‘tutti gli esseri’ siano privi della sofferenza e delle sue cause e siano dotati della felicita’ e delle sue cause. Ogni giorno meditiamo sui ‘quattro pensieri illimitati’ (Equanimità, amore, compassione e gioia illimitati.) e, quindi, l’idea di tradurre in pratica queste preghiere per tutti gli esseri di questo mondo, senza discriminazioni di ceto sociale, mi sembra eccellente.
Osserviamo come in questo mondo si creino tra gli uomini svariati problemi a causa della discriminazione fra i diversi ceti sociali. Per esempio, la discriminazione nei confronti dei ceti sociali inferiori, dei lavoratori che vengono quasi considerati ad uso e consumo della classe dei capitalisti; oppure i contadini considerati solo come manodopera da sfruttare per i latifondisti. Io sono affascinato da questa idea di prendersi la responsabilità di risolvere questo tipo di ingiustizie!
In ogni modo, ho studiato un po’ di marxismo e quindi a quel tempo, sia Mao-tse-tung che anche tutti gli altri sinceri comunisti che incontrai, mi sembrarono quasi privi di qualsiasi interesse personale. Ebbi quasi l’impressione che, tra il nostro recitare “tutti gli esseri” e la loro azione pratica per tutti gli esseri, la loro fosse più efficace! Noi, mentre recitiamo in continuazione ‘tutti gli esseri’, ‘tutti gli esseri’… (S.S. ride e prende dolcemente la mano di S.E. Sakya Trinzin, che gli sta seduto vicino, e sorride dicendo). Mi lasciate dire qualcosa … quasi quasi provocante? Alla fin fine noi ci interessiamo forse più del nostro Labrang o della nostra scuola religiosa che di tutto il resto… Naturalmente il Dalai Lama non è esente e fa anche lui lo stesso! Il Gaden Potrang e tutto quello che gli appartiene diventa la cosa che più gli interessa… (Il Gaden Potrang è il nome del Labrang, la residenza di grandi Meastri o Lama, dei Dalai Lama nel monastero di Drepung. Quella residenza era stata inizialmente offerta al secondo Dalai Lama, Gedun Gyatso (1475-1542). Quando poi il “Grande Quinto” assunse il potere spirituale e politico dell’intero paese, il governo da lui capeggiato si chiamò con lo stesso nome. Nel 2011, S.S. il XIV Dalai Lama, rinunciò al potere temporale e, di conseguenza, questo termine ora si riferisce solo alla Sua residenza e ha perso il significato di ‘governo’ o ‘istituzione’.)
A quel tempo ero veramente entusiasta di questi ideali! Incontrai Mao-tse-tung molte volte durante il mio soggiorno in Cina. Proprio il giorno prima di partire, inaspettatamente, mentre partecipavo ad un congresso nazionale del partito comunista come avevo fatto altre volte, ricevetti il messaggio che Mao mi voleva parlare. Così informai il segretario del partito ed andai ad incontrare Mao, che mi comunicò la sua visione per il futuro del Tibet, su come migliorare veramente la situazione, e mi dette degli ottimi consigli sulla base della sua esperienza di leader popolare che conosce le aspirazioni del popolo; veramente suggerimenti molto utili! Poi, proprio alla fine, al momento del commiato, Mao mi venne vicino e mi disse: “Tu hai un modo di pensare scientifico! Stai attento che la religione è veleno!”…mi allarmai un po’ e mi venne da pensare “allora era vero che è un nemico del Dharma (del Buddhismo)”. Pensai comunque che non fosse cortese mostrare i miei sentimenti, perciò feci finta di niente ed abbassai un po’ la testa. In quel momento stavo, tra l’altro, prendendo appunti delle cose più importanti e così, facendo finta di scrivere, nascosi il mio volto arrossito. Così il vero boss della Cina mi disse che ‘la religione è veleno’! Poi sulla strada del ritorno, un terremoto colpì la regione di Cheng-du (La capitale del Sichuan, la provincia sud-occidentale cinese che include gran parte della tradizionale regione tibetana del Kham.) e fummo costretti a fermarci perché la strada era fortemente danneggiata a Kyie-gu-do (Si tratta del paese chiamato anche Yul-sciul che si trova nella tradizionale regione storica del Kham. Ora amministrativamente rientra nella provincia del Cin-hai, ovvero la tradizionale regione storica dell’Amdo. È stato teatro di un terribile terremoto nell’aprile 2012. ). Rimanemmo a Cheng-du per qualche giorno, forse una settimana. Quella volta due importanti leader cinesi stavano tornando da una riunione in un luogo vicino e, passando per Cheng-du, diedero un discorso pubblico a cui partecipai. Poi ci incontrammo anche privatamente. Pure loro mi fecero molti complimenti e poi, parlando di religione, espressero il loro apprezzamento per il Buddhismo! Quella volta mi ritrovai a pensare che, dopo che il vero padrone di casa ha detto che la religione è veleno… quello che dicono i subalterni non conta molto.
Per continuare la storia, nel 1959 fummo costretti a scappare e a diventare rifugiati. Prima ancora che fosse avviata la vera e propria rivoluzione culturale, cominciò la distruzione pianificata delle grandi comunità monastiche in tutte le aree abitate da tibetani. A dire la verità, le distruzioni cominciarono già dal 1956 e poi continuarono sulla stessa riga. Quando poi la rivoluzione culturale cominciò (1966), ecco che partì il movimento di “distruggere i quattro vecchi” (Vecchie idee, vecchie tradizioni, vecchia cultura, vecchie abitudini.), slogan coniato da Mao stesso.
Dico sempre, in tutti i paesi che visito, che Mao era veramente intelligente, se fosse ancora qui, probabilmente direbbe che “In generale tutte le religioni sono veleno, ovvero sono semplicemente fede cieca, ma il Buddhismo è un po’ diverso!”
Dopo la venuta in esilio, la prima volta che visitai la Malaysia e poi Singapore (1982), incontrai un anziano monaco cinese, trascorremmo del tempo insieme e visitammo un tempio dove il monaco recito’ “Il sutra del cuore” https://www.sangye.it/altro/?p=6098 in cinese. Mi ricordo di essermi rattristato molto pensando che nel passato, in Cina, esso veniva recitato da decine e centinaia di milioni di cinesi. Pensai: “Guarda com’è deteriorata la situazione ora… ”
Quando poi la rivoluzione culturale finì (1976), le tradizioni religiose e culturali impresse nell’animo dei cinesi per migliaia di anni, di generazione in generazione, gradualmente ritornarono alla superficie. Ciò dimostra che è praticamente impossibile bloccare quel tipo di tradizioni ed ottenere delle trasformazioni mentali con la forza! In Cina gradualmente l’interesse nei confronti delle diverse religioni, incluso il cristianesimo e così via, e in particolare verso il Buddhismo cominciò ad incrementare.
Ho saputo che circa quattro anni fa quando un’università di Pechino fece una indagine per capire quante persone professino una religione e quale, venne riscontrato che circa trecento milioni di cinesi si professano buddisti. Da notare che in quell’indagine era scritto che tra coloro che si professano buddisti c’è un livello di istruzione molto elevato. Il fatto che il numero dei buddisti continui ad aumentare non ci meraviglia, dato che il Buddhismo fa parte della storia cinese da millenni, la Cina è da millenni un paese buddhista! È solo naturale che la religione presente da migliaia di anni non si possa cancellare. Ora si parla di circa quattrocento milioni di buddisti in Cina! Tra questi, un numero crescente si avvicina al Buddhismo tibetano.
Io stesso, sulla base della mia esperienza personale, posso confermare questo crescente interesse. Di anno in anno vedo aumentare il numero di cinesi che vengono a trovarmi dalla Cina. Nonostante le grandi difficoltà create dalle autorità all’inizio, molti cinesi comunque arrivavano sia apertamente che di nascosto. Tra di loro moltissimi si mettono a piangere apertamente e manifestano una sincera fede.
Per quanto riguarda i paesi occidentali, all’inizio l’interesse verso il Buddhismo era connesso ai paesi asiatici che avevano un passato di colonizzazione come Burma (Myanmar), o il Vietnam che era stato governato dai francesi e così via. Per esempio, il “Dhammapada” https://www.sangye.it/altro/?cat=12 era già stato tradotto in inglese. (Questa antologia di insegnamenti in versi è attribuita a Buddha stesso. La prima traduzione completa in inglese, dal Pali a opera di Max Muller fu pubblicata a Londra nel 1870. Negli anni precedenti erano apparse una traduzione in latino e una in tedesco.) Però non c’era l’interesse nei confronti del Buddhismo che testimoniamo ora, soprattutto da parte di persone con vasta erudizione, per esempio nel mondo scientifico. Da quando i tibetani sono venuti in esilio, siamo entrati in contatto con gli occidentali ed è cominciato anche l’avvicinamento di molti al Buddhismo tibetano.
La scienza.
Personalmente, fin da piccolo, sono stato attratto dalla scienza e considero gli scienziati dei ricercatori della realtà. Onestamente parlando, molti di noi persone religiose agiscono spesso sulla base della pura fede, una fede cieca. Al contrario, gli scienziati si basano solo sulle ragioni e formulano le loro ipotesi su una base razionale e mai solo per fede cieca. Per esempio, se qualcosa non è dimostrabile, gli scienziati non saltano subito alla conclusione che non esiste. Questo è proprio in sintonia con il detto buddhista che: “Il semplice fatto di non vedere qualcosa non dimostra che questo è inesistente. Non tutto ciò che non si vede è necessariamente inesistente”. Dall’altro canto, quando qualcosa viene confermata scientificamente, deve essere considerata esistente. (In tibetano: qualcosa che si vede con gli occhi e si tocca con le mani, ovvero esiste realmente.)
Nella tassonomia buddhista degli oggetti della conoscenza, si classificano tre categorie: gli oggetti ‘estremamente nascosti’, gli oggetti ‘leggermente nascosti’ e gli oggetti ‘manifesti’. (I fenomeni vengono così classificati a seconda del tipo di mente che li comprende, ovvero se essa debba dipendere da una ragione o meno. Un esempio degli oggetti manifesti, gli oggetti sperimentati direttamente, è una forma vista da una coscienza visiva. Gli oggetti leggermente nascosti, anche se non sono effettivamente sperimentati, sono realizzati da un’ “inferenza derivata dalla forza dei fatti”, come nel caso della realizzazione della presenza del fuoco dietro una montagna in ragione di vederne il fumo. Gli oggetti estremamente nascosti, sebbene non possano essere accertati da una esperienza diretta, o da un’ “inferenza derivata dalla forza dei fatti”, possono essere accertati da un’ “inferenza attraverso credenza” che deriva dal credere alle parole affidabili di una persona. Venire a conoscere la propria data di nascita in dipendenza dalle parole dei nostri genitori o conoscere eventi passati in dipendenza dalla storia possono essere visti come esempi del terzo tipo di oggetti. Nei testi vengono descritti criteri per definire delle parole come ‘affidabili’.)
La prima categoria di fenomeni per il momento è al di là della portata degli scienziati, o, per lo meno, ci vorrà ancora del tempo prima che riescano ad applicarcisi. Si interessano invece già dei fenomeni ‘leggermente nascosti’. La base di tutti questi fenomeni è comunque costituita dalla categoria dei fenomeni ‘manifesti’.
Una volta che un fenomeno ‘manifesto’ viene dimostrato scientificamente, non c’è altra opzione se non considerarlo come ‘realtà”, come davvero esistente. (Qui S.S. sta parlando in generale e questi termini non hanno la stessa esatta valenza filosofica accordata loro nelle scritture buddiste.) Fin da piccolo ebbi un forte desiderio di stabilire un contatto col mondo scientifico. In seguito, quando ne parlai con una persona occidentale questa mi avvertì di essere cauto perché ‘la scienza uccide la religione’. Quella volta riflettei sulle parole pronunciate da Buddha stesso:
Oh voi bhikshu e dotti, come l’oro viene bruciato, spezzato e strofinato
per controllarne la qualità, allo stesso modo [si dovrebbe fare con] le mie parole [che] non dovrebbero essere adottate solo per rispetto.
Persino nei confronti delle parole pronunciate da Buddha stesso dobbiamo applicare l’analisi critica e non accettarle solo per pura fede cieca. Buddha stesso ci dice che dovremmo accettare e credere alle sue parole solo quando le possiamo confermare avendole messe alla prova e avendo accertato che non sono contraddette dalla logica.
Osserviamo come procedevano gli studiosi della gloriosa università monastica del Nalanda nella loro ricerca della verità. Quei grandi ricercatori distinguevano le stesse parole di Buddha in due categorie:
1 – quelle adatte ad essere accettate letteralmente e
2 – quelle che non lo sono.
Per esempio, “Il sutra che elucida l’intento” (Samdhinirmocana-sutra, mdo-sde dgongs-‘grel), che viene ritenuto di fondamentale importanza nel mondo del Buddhismo cinese e che anche noi, naturalmente, consideriamo molto importante, in alcuni testi Madhyamika viene definito non adatto ad essere accettato letteralmente e, perciò, quell’insegnamento non viene ritenuto attendibile in via definitiva. Benché si tratti di parole di Buddha, se esse vengono contraddette dalla logica, non si accettano.
Nel Buddhismo si procede solo sulla base della logica.
Questo dimostra come nel Buddhismo si proceda solo sulla base della logica, si accetta ciò che si può provare logicamente e altrimenti, come leggiamo nel “Tantra radice di Chakrasamvara” (bde mchok rtsa rgyud), si dovrebbe mantenere un atteggiamento neutrale, non giudicante, nei confronti di ciò che per il momento non si può provare. Ciò conferma che non c’è assolutamente alcuna contraddizione nel dialogare con il mondo scientifico. Sono più di trent’anni da quando ho intavolato questo tipo di incontri. Alcuni degli scienziati sono buddisti, ma la maggior parte dei più famosi non lo è.
Una branca del sapere che sembra aver dimostrato di essere molto utile anche agli scienziati è la ‘scienza buddhista della mente‘ (psicologia buddhista). Lo studio della mente nella cultura occidentale è molto poco sviluppato mentre, invece, nella cultura indiana aveva raggiunto dei livelli molto alti, benché purtroppo sia ora in netto declino. Il fatto che quella comprensione non sia andata completamente perduta è dovuto, con grande probabilità, alla preservazione fatta proprio nell’ambito del Buddhismo tibetano!
Nel Buddhismo cinese non troviamo le raffinate spiegazioni sulla mente che esistono invece in Tibet. Non solo, lì coloro che si dedicano a questo tipo di studi per molti anni sono rari. Un altro fattore decisivo è che, benché la Cina segua la tradizione buddhista tramandata dal Nalanda, e quindi avrebbe dovuto applicarsi anch’essa alla la scienza della logica, l’interesse per questa materia è stato molto limitato nel passato e lo è ancora al giorno d’oggi. Al contrario, solo in Tibet l’epistemologia indiana è stata custodita e persino arricchita. Sembra che la metodologia di studio che consiste nel combinare la logica con la filosofia Madhyamika detta “L’intreccio dei due leoni della logica e della Madhyamaka” sia presente solo in Tibet. (L’immagine rappresenta due leoni, quello della logica e quello della Madhyamaka, rivolti a proteggere gli eventuali attacchi da due direzioni opposte, proprio con la logica e la filosofia Madhyamika.)
Tradotto dal tibetano a Dharamsala da Mariateresa Bianca. Rivisto dalla monaca italiana, Gestul-ma Tenzin Oejung. Editing del Dr. Luciano Villa nell’ambito del Progetto “Free Dharma Teachings” per il beneficio di tutti gli esseri senzienti. Ci scusiamo per i possibili errori ed omissioni.