La compassione come fonte di felicità

 

L’Arcivescovo Desmond Tutu e Sua Santità il Dalai Lama durante una delle loro conversazioni sulla gioia avvenute presso la residenza di Sua Santità a Dharamsala (India) nell’aprile del 2015. (Foto di Tenzin Choejor/OHHDL)

Lo scopo della vita è ottenere la felicità

Siamo qui, siamo vivi e abbiamo il diritto di esistere. Persino gli esseri non senzienti come i fiori hanno diritto di esistere e se vengono aggrediti da un agente esterno, a livello chimico sono in grado di proteggersi pur di sopravvivere. Poi ci sono tutti gli esseri senzienti: noi esseri umani, gli insetti, persino le amebe o creature ancora più piccole: tutti siamo dotati di meccanismi che ci aiutano a sopravvivere.

In base alle discussioni che ho avuto con numerosi scienziati, consideriamo “esseri senzienti” tutti gli esseri che sono mossi dal desiderio o dalla forza di volontà. “Senziente” infatti non necessariamente significa essere consapevoli o essere umani a livello conscio anche perché davvero difficile definire con precisione che cosa sia la coscienza o la consapevolezza.

Consideriamo coscienza, o consapevolezza, l’aspetto più chiaro della mente, ma questo allora significa che non abbiamo una coscienza quando siamo in uno stato di incoscienza o semicoscienza? Gli insetti hanno una coscienza? Forse, allora, è meglio parlare di facoltà cognitive, piuttosto che di coscienza.

Quando parliamo di facoltà cognitive ci riferiamo alla capacità di provare sensazioni: dolore, piacere o sensazioni neutre. Dolore e piacere, felicità e infelicità sono aspetti che dobbiamo analizzare più in profondità.

Ogni essere senziente, ad esempio, ha il diritto di sopravvivere e l’istinto di sopravvivenza sorge dal desiderio di felicità e benessere. Per questo ogni essere senziente cerca di sopravvivere.

L’istinto di sopravvivenza si basa sulla nostra speranza di ottenere qualche cosa di buono: la felicità. In base a questo ragionamento, la conclusione a cui sono arrivato è che lo scopo della vita è la felicità. Speranza e felicità ci fanno sentire bene anche a livello fisico, sono fattori importanti per la nostra salute. La salute dipende da uno stato mentale felice.

La rabbia, invece, si basa su un senso di insicurezza e di paura. Quando ci capita qualcosa di bello ci sentiamo al sicuro, ma se ci sentiamo minacciati, sorge in noi la paura e poi la rabbia. La rabbia è parte della mente che difende se stessa da ciò che mette a repentaglio  la sopravvivenza. Ma la rabbia in sé ci fa stare male e, in definitiva, è dannosa per la nostra salute.

Anche l’attaccamento è un elemento utile alla nostra sopravvivenza. Persino le piante, che sono prive di coscienza, sono in grado di sviluppare reazioni chimiche che le proteggono e contribuiscono alla loro crescita. A livello fisico, il nostro corpo si comporta alla stessa maniera, ma come esseri umani abbiamo un elemento in più, a livello emotivo, che ci porta a provare attaccamento nei confronti degli altri e della nostra stessa felicità.

La rabbia, invece, con la sua capacità di fare del male, ci allontana da tutto, compresa la felicità. A livello fisico, il piacere che ci dà la felicità è un bene per il nostro corpo, mentre rabbia e infelicità ci fanno solo soffrire.

Fin qui ho parlato del livello più elementare di esistenza umana; non ho parlato di religione, che è un livello secondario. Da un punto di vista religioso vi sono infatti differenti spiegazioni in merito allo scopo della vita e l’argomento diventa decisamente più complicato. E dunque mi atterrò al livello più elementare e condiviso dell’esperienza umana.

Che cos’è la felicità?
Dal momento che il nostro scopo e obiettivo nella vita è essere felici, che cos’è la felicità? A volte, persino una sofferenza fisica può portare a un profondo senso di soddisfazione, per esempio quella che prova un atleta dopo un intenso allenamento. Possiamo quindi definire la felicità come un profondo senso di soddisfazione, appagamento e, di conseguenza, lo scopo della nostra vita il raggiungimento di questa soddisfazione.

Felicità, tristezza, sofferenza esistono su due livelli: quello fisico e quello mentale. Il livello fisico è comune a tutto il regno animale, dai mammiferi fino ai più piccoli insetti. In una giornata gelida, al primo raggio di sole persino una mosca appare felice e vola contenta, mentre al freddo si posa e sembra triste. Più sofisticato diventa il cervello, più intensa diventa la sensazione di piacere. E noi esseri umani, oltre ad avere un cervello sofisticato, siamo anche dotati di intelligenza.

Prendiamo il caso di persone che non subiscono alcuna minaccia a livello fisico, con una vita felice e confortevole, buoni amici, un buon reddito e un’ottima reputazione. Un miliardario, per esempio, con un ruolo prestigioso nella società. Spesso queste persone sono profondamente infelici. Ne ho incontrate alcune e mi sono apparse afflitte da un senso di solitudine, di ansia e preoccupazione costanti. Pur avendo tutto ciò che comunemente si potrebbe desiderare, livello mentale soffrono.

Abbiamo una intelligenza meravigliosa e pertanto il livello mentale della nostra esperienza è decisamente più importante di quello fisico. La mente è persino in grado di minimizzare e domare il dolore fisico. Come piccolo esempio, un po’ di tempo fa mi sono seriamente ammalato. Provavo un forte dolore all’intestino. A quel tempo mi trovavo in Bihar, lo stato più povero dell’India, e sono passato da Bodh gaya e Nalanda. Laggiù ho visto bambini poverissimi, raccoglievano sterco di vacca. Non ricevevano alcuna istruzione. Mi sono sentito profondamente triste. Poi, vicino a Patna, la capitale di questo stato, mi sono sentito nuovamente male e le mie condizioni di salute sono peggiorate. Mi sono accorto di un uomo, molto anziano e molto malato, con addosso una tunica bianca sporca. Nessuno si stava occupando di lui. Era davvero una cosa triste. Quella notte, nella mia stanza d’albergo, il dolore divenne ancora più acuto, ma la mia mente non faceva altro che pensare a quei bambini e a quel vecchio. La mia preoccupazione per loro alleviò tantissimo il mio dolore fisico.

Facciamo l’esempio degli atleti che si preparano per le Olimpiadi. Si sottopongono ad allenamenti estenuanti e, indipendentemente dallo sforzo e dalla fatica che provano, a livello mentale sono felici. Lo stato mentale, quindi, è molto più importante di quanto proviamo a livello fisico. E ciò che conta davvero nella vita è la felicità e un senso di appagamento.

Le cause della felicità
Ora, quali sono le cause della felicità? Penso che avere una mente calma sia davvero importante, perché con una mente calma anche il corpo sta bene. La condizione fisica conta relativamente, ciò che è importante è la calma mentale. Ma come si può portare la calma nella nostra mente?

Liberarsi di tutti i problemi sarebbe impossibile, così come diventare ottusi e dimenticarci delle difficoltà che incontriamo. Dobbiamo invece osservare chiaramente i nostri problemi e gestirli mantenendo però quella calma mentale che ci permette di avere una visione realistica della situazione e di trovare le soluzioni appropriate.

Rispetto a chi fa uso di tranquillanti dovrei informarmi perché davvero non so se l’assunzione di questo tipo di farmaci renda la mente meno lucida e l’intelligenza debole.
Nel 1959, mentre mi trovavo in Missouri, mia madre (o forse si trattava di qualcun altro) non stava bene ed era perennemente in uno stato di ansia. Il medico ci spiegò che si potevano prendere delle medicine per alleviare il disturbo, ma che avevano la controindicazione di  offuscare un po’ la mente. All’epoca pensai che non fosse una buona cosa. Da un lato, infatti, si riconquista un minimo di calma, ma dall’altro l’apatia mentale non è una buona cosa. Personalmente preferisco avere una mente perfettamente funzionante, attenta e vigile. Il massimo è una calma mentale indisturbata.

Ed è proprio per queste ragioni che una sincera compassione è importantissima: più la nostra mente diventa compassionevole, meglio il nostro cervello funziona. Se la nostra mente sviluppa paura e ansia che succede? Succede che il nostro cervello funziona male. Mi è capitato di incontrare uno scienziato, di circa ottant’anni. Mi ha regalato un suo libro che, se non ricordo male, si intitola “Prigionieri della rabbia”. Mentre discutevamo della sua esperienza, mi disse che ogni volta che prova rabbia per un oggetto, questo gli appariva in modo negativo, ma che si era reso conto che il 99% di questa negatività stava nelle sue proiezioni mentali.

Il buddhismo sostiene la stessa cosa. Quando sorge un’emozione negativa, non siamo in grado di vedere bene la realtà. Se dobbiamo prendere una decisione importante ma la nostra mente è offuscata dalla rabbia, il più delle volte prendiamo una decisione sbagliata. Nessuno vuole prendere decisioni sbagliate, ma in quei momenti parte della nostra intelligenza e del nostro cervello – quelle che ci permettono di distinguere tra ciò che è giusto e ciò che è sbagliato, scegliendo di agire nel migliore dei modi – sono “fuori uso”. Anche i grandi leader fanno esperienza di questo tipo di situazione.

Compassione e affetto aiutano il cervello a lavorare in modo più tranquillo. La compassione, poi, ci dà una forza interiore e una fiducia in noi stessi che ci permettono di ridurre le nostre paure e restare calmi. La compassione ha quindi due funzioni: fa funzionare bene il cervello, dandoci in più forza interiore, ed è la causa della felicità.

Naturalmente ci sono anche altri fattori che concorrono alla nostra felicità: a tutti piacciono i soldi, per esempio. Se io avessi dei soldi, potrei concedermi dei lussi, quelle cose che abitualmente consideriamo come più desiderabili e importanti. Ma secondo me non è così. I beni materiali si possono acquisire attraverso uno sforzo fisico, ma il benessere della mente può arrivare soltanto dalla mente. Se c’è dell’affetto ci sentiamo al sicuro, diversamente proviamo ansia e insicurezza. Separati dalla nostra mamma, piangiamo; se siamo tra le sue braccia, tenuti stretti con amore, ci sentiamo felici e tranquilli. Da bambini questo rappresenta un fattore biologico importante. Un biologo mio maestro, che è coinvolto nel movimento anti nucleare, una volta mi ha detto che dopo la nascita, il contatto fisico con la madre per alcune settimane è fondamentale per lo sviluppo e la crescita cerebrale del neonato. E’ un contatto che offre senso di sicurezza e conforto e che conduce a un adeguato sviluppo fisico, compreso quello del cervello.

Per concludere, i semi della compassione e dell’affetto non provengono da una religione, ma dalla nostra biologia. Tutti noi arriviamo dal grembo di nostra madre e tutti noi siamo sopravvissuti grazie alle sue cure e alla sua dedizione. Nella tradizione indiana si pensa che si nasca da un fiore di loto in una terra pura. E’ una bella immagine, ma forse porta la gente a sviluppare più affetto per i fiori di loto che per gli esseri umani. Essere nati dal grembo materno è un’idea migliore. I semi della compassione sono dentro di noi e con essi le cause della felicità.

His Holiness the 14th Dalai Lama

Per gentile concessione di studybuddhism.com

http://it.dalailama.com/messages/compassion-and-human-values/compassion-as-the-source-of-happiness