2 – Sua Santità il XIV Dalai Lama: Il Buddhismo, il sentiero della logica.
Discorso di Sua Santità il XIV Dalai Lama alla cerimonia conclusiva della dodicesima conferenza Rimè a Dharamsala il 20 giugno 2015. Seconda parte.
Sua Santità il XIV Dalai Lama
Nel dialogo con gli scienziati mi sono reso conto che apprezzano molto discutere con noi soprattutto sulla metodologia dell’analisi critica e sulla psicologia buddhista. In generale, considero essenziale, per cominciare, fare una differenza tra la filosofia buddhista e la religione buddhista. L’aspetto religioso, infatti, è molto connesso al fattore della fede, alla spiegazione delle vite passate e future (la reincarnazione). Per quanto riguarda la filosofia buddhista, poi, faccio un’ulteriore divisione. [Una parte consiste in una classe di soggetti come] per esempio le spiegazioni sulle ‘due verità‘ e sulla legge di cause ed effetto (la legge di causalità). Questi soggetti non richiedono necessariamente un approccio religioso e possono essere trattati anche senza toccare l’argomento religioso, cosa che vale pure per la ‘scienza della mente‘. Il dialogo con il mondo scientifico che porto avanti da più di 30 anni sulla base di questo tipo di distinzione iniziale ha portato come risultato che molti illustri scienziati si sono resi conto che il Buddhismo tibetano, fondato sulla tradizione del Nalanda, contiene veramente delle spiegazioni molto sofisticate.
Da un pò di anni, inoltre, abbiamo avviato un progetto che consiste nel classificare tutti gli insegnamenti contenuti nel Kangyur e nel Tengyur in tre categorie diverse:
(1) la scienza buddhista che include anche, limitatamente, le spiegazioni contenute nei testi di Abhidharma. Dico limitatamente perché in questo campo (cosmologia, fisiologia etc.) la scienza è molto più precisa e si è sviluppata molto più ampiamente, soprattutto grazie alle invenzioni tecnologiche che hanno permesso di fare passi da gigante nella ricerca del mondo fisico.
In questa prima categoria includiamo la ‘scienza della mente‘ le cui comprensioni, contenute nella letteratura classica buddhista, non hanno eguali nel mondo. Al giorno d’oggi il mondo scientifico è molto interessato a tutto questo e, anche a livello di salute fisica, ora ci si rende conto che una mente confusa influenza negativamente il benessere del corpo; ed anche che molte malattie possono essere più facilmente curate con il supporto di un modo di pensare positivo, con una mente calma. Ultimamente si sta molto sviluppando questo tipo di comprensione e, di conseguenza, anche il mondo medico si sta interessando al modo di operare della mente. Ora che è divenuto chiaro come una mente turbata da modi di pensare errati (negativi, distruttivi, non salutari) crei gravi problemi a tutti i livelli, aumenta considerevolmente l’interesse nei confronti del fenomeno ‘mente’. A questo riguardo, le spiegazioni che si trovano nella letteratura classica buddhista, soprattutto quella proveniente dal Nalanda, si stanno dimostrando veramente uniche e molto utili.
Poi classifichiamo (2) una categoria che include gran parte della filosofia buddhista e una terza (3) che comprende la religione buddhista propriamente detta. Ora gli insegnamenti contenuti nelle prime due categorie (della scienza e di gran parte della filosofia buddhista) possono essere trattati senza toccare la terza categoria e, di conseguenza, possono essere di beneficio e servire tutta l’umanità. Se, invece, la saggezza contenuta nelle prime due categorie viene trattata in un contesto ‘buddhista’, allora solo i buddisti l’accetteranno, e non potrà recare beneficio a tutte le persone che si professano atee o credenti di altre religioni. Sono certo che facendo questo tipo di ‘distinguo’, sono presenti le condizioni per portare immenso beneficio a tutto il mondo al di là dell’appartenenza religiosa o meno, a quale religione e così via. Essendo presenti le condizioni adatte, noi dobbiamo cercare di usarle al meglio.
Sulla base della mia esperienza posso dire che l’interesse sta crescendo molto e non solo da parte di singoli individui, ma anche attraverso la costituzione di associazioni che poi lavorano nel mondo scolastico mettendo, per esempio, alla prova e raccogliendo dati sulle spiegazioni contenute nella letteratura buddhista delle due categorie sopra citate. Sottolineo, infatti, sempre che il dialogo avviene tra la ‘scienza buddhista’ e la ‘scienza moderna ufficiale’, dove nel termine scienza possono venire incluse anche le spiegazione sulla “non concordanza di apparire ed essere”. (Concetto della filosofia buddhista, comprovato dalla fisica moderna, che dimostra come ciò che percepiamo non corrisponda necessariamente a ciò che esiste.) Questo concetto trova molti punti di contatto con la fisica quantistica e aiuta a dimostrare con precisione come la premessa filosofica madhyamika, ossia che i fenomeni non esistono in modo oggettivo, corrisponda a realtà. Amo ripetere a molti interlocutori che prima dovrebbero studiare la fisica quantistica e poi potrebbero venire a discutere della visione Madhyamika! Non stiamo parlando delle vite future o dello stato dell’onniscienza (la Buddhità) ma di qualcosa che può venir dimostrato praticamente.
Per ritornare al progetto di cui ho accennato qui sopra, abbiamo diviso tutto il materiale (gli insegnamenti) contenuti nel Kangyur e Tengyur in tre categorie: 1 la scienza,
2 la filosofia, escludendo però insegnamenti come quelli delle ‘Quattro Nobili Verità’ che sono intimamente connessi con il vero e proprio cammino spirituale buddhista e includendo invece soggetti come le ‘Due Verità’, la ‘Vacuità’,l’ ‘Impermanenza Sottile’, che vanno perfettamente a braccetto con la scienza – e infine, come terza categoria,
3 la religione buddhista con tutte le sue pratiche spirituali, che sono pertinenti solo ai buddisti. Questo progetto, cominciato qualche anno fa, ha già prodotto un volume più esteso e uno più abbreviato in tibetano e ora è quasi conclusa anche la traduzione in inglese, in cinese ed in hindi.
Come ho sentito accennare anche nella lettura della risoluzione finale di questa conferenza, credo che nei centri/templi buddisti, per esempio in Ladakh ed in altri paesi, non si dovrebbe parlare solo di Buddhismo in senso stretto. A coloro che sono interessati alle pratiche buddiste dovremmo dare spiegazioni in modo concorde ai loro desideri e organizzare delle sessioni di meditazione e così via. Allo stesso tempo, in generale, in tutti i centri dovremmo offrire, in un contesto separato dalla religione buddhista, le spiegazioni sulla scienza della mente e su certi altri soggetti filosofici che sono state custodite dai tibetani.
In questo modo, i centri/istituzioni buddiste non dovrebbero essere identificate solo come luoghi di ritrovo per coloro che sono interessati al Buddhismo tibetano, ma invece dovrebbero far pensare immediatamente a dei ‘centri di studio’, specializzati in temi che sono, in generale, completamente assenti o comunque rari nel mondo. Oggi sono presenti qui i capi delle diverse scuole e quindi voglio chiedervi di tenere a mente quest’idea, che considero importante, di trasformare i centri buddisti in centri/istituzioni di studio. Se faremo così sono certo che riusciremo a portare beneficio a molte persone che non sono inclini alla spiritualità o a persone che hanno diversi tipi di problemi mentali.
Non solo, i nostri centri dovrebbero anche interessarsi a promuovere il dialogo e l’armonia inter-religiosa. Se implementeremo queste proposte potremo essere veramente e praticamente di servizio alle comunità in cui operiamo. Altrimenti, se i centri rimangono isolati dalle comunità… Per esempio, qualche tempo fa visitai un piccolo tempio buddhista nel nord-est indiano, vicino a Guhawati (La più grande città dell’ Assam, uno degli stati dell’India nord-orientale.), la città è Shilong (La capitale del Meghalaya, uno dei più piccoli stati dell’India, creato nel 1972). Quel piccolo centro è gestito alternativamente dalle ‘tre sedi’ (i tre grandi monasteri di Sera, Drepung, e Ganden) e in quell’occasione c’erano dei monaci del Drepung Loseling. Ho espresso la mia idea che non ha molto senso semplicemente custodire il tempio. Dovremmo invece fornirlo di una buona biblioteca e inoltre i monaci incaricati dovrebbero organizzare dei corsi. Anche se all’inizio questo probabilmente coinvolgerà solo poche persone, poi gradualmente l’interesse aumenterà ed arriveranno più persone. Così la percezione di quel tempio cambierà ed, invece di essere considerato solo come un semplice piccolo centro/tempio buddhista, comincerà ad essere ritenuto un’istituzione culturale dove si tengono dei corsi interessanti. È vostro compito, ho detto loro, operare questa trasformazione! Non dovreste limitarvi ad avere un custode incaricato del tempio e basta! Un custode che magari sta lì seduto sperando che arrivi qualcuno a far fare delle puja ed a offrire dei soldi! (S.S. ride!)
Credo che abbiamo la potenzialità di contribuire all’educazione delle comunità nelle quali ci troviamo e anche che le condizioni per fare questo siano presenti. È un peccato non utilizzare al meglio questa situazione! Se riusciamo a contribuire al benessere della comunità in questo modo, ciò significherà che avremo implementato il principio espresso nelle preghiere che recitiamo tutti i giorni, come: “Possano tutti gli esseri avere la felicità e le sue cause“.
Ricordiamoci che, per un certo periodo, anche se non più nei tempi recenti, il partito comunista cinese diffondeva l’idea che la cultura tibetana (ovvero principalmente il Buddhismo tibetano) fosse “molto inferiore, molto violenta, molto barbara e molto retrograda”! Ma analizziamo se il Buddhismo tibetano e’ veramente inferiore… credo che se non è superiore a quello diffuso in Cina, sicuramente non ne è inferiore! In Cina si è diffusa solo la visione Cittamatra e niente di più! Questa visione filosofica è stata propagata dal monaco cinese Thang – seng (Thang Zan Lama, del settimo secolo) che si recò in India e che si dice sia vissuto per più di cento anni e che fosse discepolo di Ne-ten (Sthavira) Cioe-kyong. (Dharmapala, ovvero Birwapa, che è considerato la fonte dei lignaggi tantrici nella scuola Sakya.)
Nel Tengyur troviamo, per esempio un commentario al “Sutra che rivela l’intento” (mdo sde dgongs ‘grel) composto da Wen-zek e, se lo leggete, troverete molte citazioni dei lavori di Ne-ten Cioe-kyong. (Questo commentario fu tradotto in tibetano e nel Tengyur l’autore appare con il nome di “Wen-zek, il Maestro e abate cinese”. Egli compose quest’opera in cinese, seguendo la tradizione cinese, e perciò fu creduto cinese. S.S. ha detto però, in diverse occasioni, che è stato dimostrato che si trattava invece di un grande studioso coreano.) Come tutti sappiamo, quel sutra spiega la visione Cittamatra, che era la visione filosofica propagata da Ne-ten Cioe-kyong. È chiaro che in Cina non si sono diffuse molte argomentazioni per differenziare questa visione filosofica dalla Madhyamaka. Alcuni esperti cinesi mi hanno riferito che, mentre noi tibetani differenziamo in modo molto chiaro le diverse asserzioni delle quattro scuole filosofiche, in Cina non ci sono esperti così eruditi! (Le quattro scuole filosofiche: Vaibhashika o Scuola della Grande Esposizione, Sautrantika o Scuola dei Sutra, Cittamatra o Scuola della Solo-mente e Madhyamaka o Scuola della Via di mezzo.) Sembra quasi che l’assunto cinese secondo cui la cultura tibetana è inferiore debba essere capovolto!! Non sto cercando di essere malizioso! Considero solo le cose in modo oggettivo e onesto! Al di là di ogni insinuazione politica, credo che le cose stiano proprio così!
Tradotto dal tibetano a Dharamsala da Mariateresa Bianca. Rivisto dalla monaca italiana, Gestul-ma Tenzin Oejung. Editing del Dr. Luciano Villa nell’ambito del Progetto “Free Dharma Teachings” per il beneficio di tutti gli esseri senzienti. Ci scusiamo per i possibili errori ed omissioni.