Sua Santità il Dalai Lama: Felicità, karma e mente

Sua Santità il Dalai Lama: Tutti i fenomeni composti sono soggetti alla disintegrazione.

Sua Santità il Dalai Lama: Felicità, karma e mente

Tra l’origine di questo mondo e la prima comparsa degli esseri viventi sulla Terra trascorsero miliardi di anni. Da allora ci volle un tempo immenso perché le creature viventi maturassero nel pensiero, nello sviluppo e nella perfezione delle loro facoltà intellettuali. Dal momento in cui gli umani conquistarono la maturità, fino ai nostri giorni, trascorsero ancora migliaia di anni. Per tutto questo esteso periodo di tempo, il mondo è passato attraverso cambiamenti incessanti,

per questo motivo si trova in uno stato di continuo mutamento. Anche ai nostri giorni molti eventi relativamente recenti, che sembravano statici, si sono rivelati esposti al cambiamento, momento per momento. Ci si può stupire che qualcosa resti immutabile quando ogni genere di fenomeno mentale e materiale appare invariabilmente soggetto al processo di cambiamento, al mutamento. Tutto sorge, si sviluppa e scompare incessantemente. Nel vortice di tutti questi mutamenti solo la Verità resta costante e inalterabile, in altre parole la verità della rettitudine (il Dharma) e dei suoi risultati benefici che l’accompagnano, e la verità delle azioni errate e dei suoi risultati dannosi che l’accompagnano. Una buona causa produce un buon risultato, una causa malvagia produce un risultato negativo. Buono o cattivo, benefico o dannoso, ogni effetto ha necessariamente una causa. Soltanto questo principio è eterno, immutabile e costante. È stato così prima che gli umani apparissero sulla terra, agli inizi della loro esistenza, nella nostra era, e sarà così in tutte le ere future.

Tutti noi desideriamo la felicità e vogliamo evitare la sofferenza e ogni cosa spiacevole. Il piacere e il dolore sorgono da cause, come sappiamo. Se le conseguenze sono dovute a una singola causa o a un gruppo di cause, ciò dipende dalla loro natura. In certi casi, gli effetti possono manifestarsi anche se i fattori causali non sono né potenti né numerosi. Qualunque sia la qualità dei fattori risultanti, buoni o cattivi, la loro ampiezza e intensità corrispondono alla quantità e alla forza dei fattori causali. Perciò, se vogliamo aver successo nell’evitare le sofferenze indesiderate e nell’ottenere i piaceri desiderati, cosa di non poca importanza, dobbiamo raccogliere un gran numero di fattori causali collegati.

Se analizziamo la natura e lo stato della felicità, appare evidente che hanno due aspetti. Uno di questi è la gioia immediata (temporanea), l’altro è la gioia futura (ultima). I piaceri temporanei comprendono le comodità e le soddisfazioni che le persone desiderano, come un’abitazione confortevole, arredamenti piacevoli, cibi gustosi, buona compagnia, conversazioni piacevoli e così via. In altre parole, i piaceri temporanei sono ciò di cui gode l’uomo in questa vita. La questione da esaminare alla luce di una logica chiara è se l’appagamento di questi piaceri e soddisfazioni, derivi esclusivamente da fattori esterni. Se i fattori esterni fossero gli unici responsabili del sorgere di tali piaceri, una persona sarebbe felice quando questi fattori sono presenti e al contrario sarebbe infelice in loro assenza. Ma non è così. Una persona può essere felice e in pace anche in assenza di condizioni esterne che portino al piacere. Ciò dimostra che i fattori esterni non sono i soli responsabili della felicità umana. Se fosse vero che sono i soli responsabili, o che condizionano il sorgere del piacere e della felicità, allora una persona che li possieda in abbondanza dovrebbe godere di una gioia illimitata, cosa che non è affatto così. È vero che i fattori esterni contribuiscono in parte alla creazione del piacere nella vita dell’uomo, ma è illogico e ottuso affermare che siano tutto ciò di cui ha bisogno, che siano le cause esclusive della felicità nella vita di una persona. Senza dubbio la presenza di tali fattori produrrà soddisfazione ma fatti reali come l’esperienza di beatitudine e felicità interiore nonostante l’assenza di fattori causali esterni e, dall’altro lato, la frequente assenza di gioia, nonostante la loro presenza, dimostrano chiaramente che la causa della felicità dipende da un altro insieme di fattori condizionanti.

Se qualcuno fosse deviato dall’argomentazione che i fattori condizionanti citati, come premessa ad ogni altra causa condizionante, costituiscono l’unica causa della felicità, dovrebbe ammettere che la felicità risultante è inseparabilmente legata ai fattori condizionanti esterni e che la sua presenza o assenza è esclusivamente determinata da questi. Il fatto evidente che non sia così è la prova sufficiente che i fattori causali esterni non sono necessariamente o completamente responsabili del fenomeno risultante della felicità.

Ora, qual è l’altro insieme di cause interne? Come le spieghiamo? In quanto buddisti, crediamo nella legge del karma, la legge naturale di causa ed effetto. Ogni condizione causale esterna che incontriamo nelle vite successive è il risultato dell’accumulazione delle azioni individuali nelle vite precedenti. Quando la forza karmica delle azioni passate giunge a maturazione, allora una persona sperimenta stati mentali piacevoli o spiacevoli, che sono conseguenze naturali delle sue azioni precedenti. La cosa più importante da comprendere è che, quando sono presenti le condizioni adatte (karmiche) risultanti dalle azioni precedenti, i fattori esterni si presentano favorevoli. Il venire in contatto tra le condizioni dovute alle azioni (karmiche) e i fattori causali esterni produce uno stato mentale piacevole. Se mancano le condizioni causali necessarie per sperimentare la gioia interiore, non vi saranno le condizioni per il manifestarsi di fattori esterni favorevoli; ma anche se questi fattori esterni condizionanti sono presenti, non sarà comunque possibile per la persona sperimentare la gioia che altrimenti proverebbe. Ciò dimostra che le condizioni causali interiori sono essenziali nel determinare la felicità (e il suo contrario). Per ottenere i risultati desiderati, quindi, dobbiamo necessariamente radunare sia le cause che creano i fattori esterni, sia le cause che creano i fattori condizionanti (karmici) interni.

In termini semplici, per accrescere i fattori condizionanti interni positivi (karmici) abbiamo bisogno di alcune qualità, come avere pochi desideri, accontentarsi, l’umiltà, la semplicità e altre nobili qualità. La pratica di queste condizioni causali interiori faciliterà anche il mutamento dei fattori condizionanti esterni citati, che si convertiranno in caratteristiche positive per il sorgere della felicità. L’assenza di cause interiori adatte, come l’accontentarsi, l’avere pochi desideri, la pazienza, il perdono e così via, ci impedirà l’esperienza piacevole, anche se sono presenti tutti i corretti fattori condizionanti esterni. Insieme a queste qualità, una persona deve avere un credito della forza dei meriti e delle virtù accumulato nel passato. Altrimenti, il seme della felicità non maturerà in frutti.

L’argomento può essere affrontato in un altro modo. Il piacere e la frustrazione, la felicità e la sofferenza sperimentati dal singolo individuo sono l’inevitabile frutto delle azioni benefiche e dannose compiute, accumulate nel proprio deposito. Se in un particolare momento della vita attuale maturano buoni frutti, una persona saggia riconosce che è il risultato di azioni meritorie compiute in passato. Ciò le darà soddisfazione e la incoraggerà a sviluppare meriti maggiori. In modo analogo, se a una persona capita di vivere esperienze dolorose o insoddisfacenti, sarà in grado di affrontarle con calma se manterrà un’incrollabile convinzione che, benchè lo voglia o no, deve patire le conseguenze delle proprie azioni (passate), nonostante l’intensità e l’ampiezza della sua frustrazione siano dure da sopportare. Inoltre, la comprensione che non si tratta d’altro che dei frutti di azioni maldestre compiute nel passato la renderà abbastanza saggia da desistere dal commettere ulteriori azioni negative. Allo stesso modo, il pensiero consolante che, con la maturazione del karma (negativo) passato, una certa parte del risultato negativo accumulato con le azioni maldestre è stata consumata, sarà fonte di immenso sollievo.

Un’appropriata considerazione di tale saggezza contribuirà a puntare all’essenziale per conquistare la pace della mente e del corpo. Per esempio, immaginiamo una persona che sia improvvisamente afflitta da una profonda sofferenza fisica dovuta a fattori esterni: se acquisterà la forza di cambiare rotta (con la convinzione di essere egli stesso il responsabile delle proprie attuali miserie e sofferenze), potrà neutralizzare l’intensità della sua sofferenza e la sua mente sarà molto più serena e pacifica.

Adesso permettetemi di spiegare la cosa ad un livello superiore: riguarda l’impegno e gli sforzi che possono essere fatti per distruggere sistematicamente l’insoddisfazione e le sue cause.

Come già detto, il piacere e il dolore, la felicità e l’insoddisfazione sono il risultato delle nostre azioni, buone o cattive, positive o negative. Le azioni (karmiche) positive o negative non sono fenomeni esterni, esse appartengono essenzialmente al regno della mente. Il sentiero per creare la felicità ed evitare ogni dolore e sofferenza consiste nell’impegnarsi intensamente nella costruzione di un karma positivo e nell’abbandonare ogni traccia di karma negativo. È inevitabile che un risultato felice nasca da un’azione positiva e che la sofferenza sia la conseguenza dell’aver posto delle cause negative.

È quindi fondamentale che noi adottiamo tutti i possibili mezzi per incrementare la qualità e la quantità delle azioni positive, e che ci impegniamo con uguale intensità nell’eliminare le nostre azioni negative.

In che modo possiamo farlo? Le cause meritorie e non meritorie che danno il risultato di piacere e dolore non assomigliano agli oggetti esterni. Per esempio, nel sistema fisico umano le sue diverse parti, come i polmoni, il cuore e altri organi, possono essere sostituiti da nuove parti. Ciò non è possibile per le azioni karmiche, che sono soltanto mente. L’ottenimento di nuovi meriti e lo sradicamento delle cause negative sono un puro processo mentale. In nessun modo possono essere acquisite con un intervento esterno. L’unico modo per conseguirle è controllando e disciplinando la mente fin da adesso. Per questo motivo dobbiamo avere una piena conoscenza dell’elemento che chiamiamo mente.

Tramite le porte dei cinque organi sensoriali un essere può vedere, udire, odorare, gustare ed entrare in contatto con una grande varietà di forme esterne, oggetti e impressioni. Immaginate che la forma, il suono, l’odore, il sapore, il tatto e gli eventi mentali che sono in relazione con i sei sensi siano messi da parte, nel momento in cui ciò accadrà, il ricordo degli eventi passati in cui la mente tende a dimorare sarà completamente discontinuo e il flusso della memoria si interromperà. In modo simile, i progetti per il futuro e l’esame delle azioni da fare non potranno sorgere. Se un individuo sta svuotando la mente da tutti questi processi del pensiero, dovrà creare uno spazio al loro posto. Liberata da tutti questi eventi, rimarrà solo una mente pura, chiara, distinta e calma. Adesso esaminiamo quali caratteristiche avrà la mente quando avrà ottenuto questo stadio. Noi possediamo sicuramente qualcosa che chiamiamo mente, ma come possiamo riconoscerne l’esistenza? La mente vera e propria è quella che scopriamo quando il carico totale delle ostruzioni grossolane e delle aberrazioni (ossia le impressioni sensoriali, i ricordi ecc.) è stato tolto di mezzo. Nell’esaminare questo aspetto della vera mente scopriremo che, diversamente dagli oggetti esterni, la sua natura reale è priva di forma e colore e che non possiamo trovare nessuna base per la falsa e ingannevole nozione che la mente provenga da questo o da quello, che si muova da questo a quello o che si trovi in questo o in quell’altro luogo. Quando non entra in contatto con nessun oggetto, la mente è come un ampio vuoto senza limiti o come un illimitato oceano tranquillo. Quando incontra un oggetto, invece, dapprima lo conosce, come uno specchio che riflette immediatamente una persona che gli si pone di fronte. La vera natura della mente consiste non solo nell’assumere una chiara conoscenza dell’oggetto, ma anche nel comunicare un’esperienza concreta di tale oggetto a chi lo sperimenta *. Normalmente, le nostre forme di conoscenza sensoriale, come la coscienza visiva, uditiva ecc., svolgono la loro funzione con i fenomeni esterni in modo del tutto distorto. La conoscenza che deriva dalla cognizione sensoriale, basata sui fenomeni esterni, è anch’essa di natura grossolana. Quando questi tipi di stimoli grossolani vengono esclusi e sorgono un’esperienza reale e una conoscenza chiara, la mente assume la caratteristica di un vuoto infinito simile alla vastità dello spazio. Ma non dobbiamo pensare che questo vuoto sia la vera natura della mente. Siamo talmente abituati alla consapevolezza delle forme e dei colori degli oggetti grossolani che, quando ci concentriamo intensamente sulla natura della mente, la scopriamo, come ho già detto, come un vasto vuoto senza limiti, libero da ogni oscuramento grossolano o da altre ostruzioni. Tuttavia ciò non significa che abbiamo individuato la vera, sottile natura della mente. Ciò che abbiamo descritto fino ad ora riguarda lo stato della mente in relazione a un’esperienza reale e a una conoscenza chiara tramite la mente che svolge la sua funzione, ma descrive solo la natura relativa della mente.

Inoltre, esistono vari altri aspetti e stati della mente. In altre parole, se consideriamo la mente quale base fondamentale, essa possiede molti attributi. Come una cipolla è fatta di strati che possono essere sfogliati, ogni oggetto ha un certo numero di strati e questo non è meno vero per la natura della mente di cui sto parlando qui: ha strati dopo strati, stati dopo stati.

Tutti i fenomeni composti sono soggetti alla disintegrazione. Dal momento che l’esperienza e la conoscenza sono impermanenti e soggetti alla disintegrazione, la mente, di cui sono funzioni (natura), non è qualcosa che rimane costante ed eterna. Di istante in istante cambia e si disintegra. Questa transitorietà della mente è un aspetto della sua natura. Tuttavia, come abbiamo osservato, la sua natura possiede molti aspetti, inclusa la coscienza dell’esperienza concreta e la conoscenza degli oggetti. Adesso indaghiamo ulteriormente in modo da cogliere il significato di essenza sottile della mente. La mente entra nell’esistenza per propria causa. Non è corretto negare che l’origine della mente dipenda da una causa, e neanche affermare che sia una designazione utile a riconoscere la natura degli aggregati mentali. A un’analisi superficiale, la mente, che ha una reale esperienza e una chiara cognizione come sua natura, appare come un’entità potente, indipendente, soggettiva, completamente dominante. Un’analisi più approfondita, tuttavia, mostrerà che una tale mente, che possiede la funzione di esperienza e conoscenza, non è un’entità autocreata, ma dipende da altri fattori per esistere. Dipende cioè da qualcosa di diverso da se stessa. Questa qualità non indipendente della mente è la sua vera natura, che a sua volta è la realtà ultima del sé.

Di questi due aspetti, la vera natura ultima della mente e la conoscenza di questa sua ultima, vera natura, il primo è la base e il secondo un attributo. La mente (sé) è la base e tutti i suoi vari stati sono attributi. Tuttavia la base e i suoi attributi fanno parte della stessa singola essenza. Il non-autocreato (che dipende da una causa altra da se stresso), l’entità della mente (base), e la sua essenza, sunyata, sono esistiti da sempre come unità, la stessa inseparabile essenza da un inizio senza inizio. La natura di sunyata pervade tutti gli elementi, e siccome non possiamo cogliere o comprendere l’indistruttibile, naturale, realtà ultima (sunyata) della nostra mente, continuiamo a fare errori e le nostre afflizioni mentali persistono.

Considerando la mente come soggetto e la realtà ultima della mente come suo oggetto, arriveremo a una corretta comprensione della reale essenza della mente, ovvero la sua realtà ultima. E poi, dopo una prolungata e paziente meditazione, arriveremo a percepire e cogliere la realtà ultima della mente, priva di caratteristiche dualistiche. Allora riusciremo gradualmente a eliminare le afflizioni mentali e i difetti delle menti principali e secondarie, come la collera, l’amore per l’esibizione, la gelosia, l’invidia e così via.

La mancanza di identificazione della vera natura della mente sarà superata dall’acquisizione del potere di comprenderne la natura ultima. A sua volta, una tale comprensione sradicherà la brama, l’odio e tutte le afflizioni secondarie che provengono da quelle principali. Di conseguenza, non vi sarà occasione di accumulare un karma non meritorio. In tal modo saranno eliminate le occasioni di creare un karma (negativo) che affligga le vite successive, si diventerà capaci di incrementare la qualità e la quantità delle condizioni causali meritorie e di sradicare la creazione di condizioni causali dannose che affliggerebbero le vite future, eccetto però il karma negativo già accumulato in precedenza. Nella pratica di conquistare una perfetta conoscenza della vera natura della mente è necessario effettuare uno sforzo mentale, intenso e concentrato, per comprendere l’oggetto. Nelle nostre condizioni attuali, quando la nostra mente entra in contatto con qualcosa ne siamo immediatamente coinvolti. Ciò rende impossibile la comprensione. Per acquisire un grande potere mentale dinamico, il primo imperativo è la massima applicazione. Per esempio, un grande fiume che scorra in un letto ampio e poco profondo avrà una forza molto scarsa, ma quando scorre in una gola stretta tutta l’acqua sarà concentrata in uno spazio angusto e allora fluirà con una grande potenza. Per lo stesso motivo bisogna escludere tutte le distrazioni che distolgono dall’oggetto di contemplazione e la mente deve restare concentrata su di esso. Se non si agisce così, la pratica di conquistare un’esatta comprensione della vera natura della mente sarà fallimentare.

Per rendere la mente docile è necessario disciplinarla e controllarla bene. Il parlare e le attività fisiche che accompagnano il processo mentale non devono scorrere in modo sconsiderato, sregolato e casuale. Come un domatore disciplina e calma un cavallo selvaggio addomesticandolo con un addestramento abile e prolungato, così bisogna domare le attività selvagge, frenetiche e sregolate del corpo e della parola, per renderle docili, corrette ed efficaci. A questo scopo, l’insegnamento del Nobile Buddha presenta tre categorie di pratica per disciplinare la mente: sila (l’addestramento nella condotta superiore), samadhi (l’addestramento nella meditazione superiore) e prajna (l’addestramento nella saggezza superiore).

Studiando, meditando e mettendo in pratica le tre categorie del trisiksa si otterranno delle progressive realizzazioni. Una persona addestrata con questi criteri otterrà la meravigliosa qualità di sopportare pazientemente le avversità e le sofferenze che sono il frutto del suo karma passato; guarderà le sue sventure come una benedizione, perché la illumineranno con il loro significato di nemesi (karma) e la convinceranno della necessità di concentrarsi solo sul compimento di atti meritori. Se il karma (negativo) del passato non sarà ancora maturato, avrà la possibilità di annullare questo karma potenziale utilizzando la forza dei quattro poteri opponenti: la determinazione a ottenere la buddhità, la determinazione ad evitare le azioni demeritorie, anche a costo della propria vita, il compimento di azioni meritorie e il pentimento.

Questo è il metodo per ottenere l’immediata felicità, per lastricare la strada verso la futura liberazione ed evitare l’accumulazione di ulteriori azioni negative.

*Questi due aspetti ‘assumere una chiara ‘conoscenza’ e ‘comunicare un’esperienza’ si riferiscono al conoscere che cosa è l’oggetto, come appare, che sapore e che odore ha ecc.

Colophon: questo testo è stato pubblicato per il programma di studi ‘Alla scoperta del buddhismo’ con il permesso di Lama Yeshe Wisdom Archive.

Per gentile concessione di Sua Santità il Dalai Lama, Dharamsala. Dalla Second Dharma Celebration, 5-8 novembre 1982, New Delhi, India. Traduzione di Alexander Berzin, chiarita da Lama Zopa Rinpoce, edita da Nicholas Ribush. pubblicata la prima volta dal Tushita Mahayana Meditation Centre, New Delhi, 1982.