6 S. S. Dalai Lama Los Angeles, CA 2000 Insegnamenti su “Linee di esperienza” di Je Tzongkhapa e “La Lampada” di Atisha

Sua Santità il Dalai Lama: I sentimenti e le emozioni con cui siamo più familiari sono quelli che ci arrivano più facilmente. Se siamo più familiari con i pensieri e le emozioni negative, quelle sorgeranno in noi in modo più naturale, ma, se siamo più abituati ai pensieri e alle emozioni positive, saranno quelle che nasceranno spontaneamente.

6 Insegnamenti di Sua Santità il Dalai Lama a Los Angeles, CA 2000 su “La Lampada sul Sentiero per l’Illuminazione” di Atisha Dipamkara e “Linee di esperienza” di Lama Tsongkhapa. Traduzione non revisionata del Dott. Luciano Villa, nell’ambito del Progetto “Free Dalai Lama’s Teachings” per il beneficio di tutti gli esseri senzienti. Ci scusiamo per qualsiasi errore od omissione.

Sua Santità il Dalai Lama: Sviluppare la fede nel karma

Secondo la tradizione buddista, i più sottili meccanismi del karma sono evidenti solo alle menti onniscienti dei Buddha; gli esseri ordinari non hanno modo di comprendere il karma ai suoi livelli più profondi. Pertanto, per essere profondamente convinto della verità della legge del karma, è necessario avere una profonda convinzione nella validità e nell’efficacia dei Tre Gioielli del Rifugio.

La base della pratica spirituale deve essere una forte fede nel Buddha, Dharma e Sangha. Questa fede non si sviluppa dalle sole parole del Buddha ma, come abbiamo visto, sulla base della analisi critica. Se osservate gli insegnamenti del Buddha, potete discernere due obiettivi di base: l’obiettivo secondario e temporaneo è aiutare gli esseri senzienti ad ottenere rinascite superiori, ma l’obiettivo principale ed ultimo è portarli alla completa liberazione dal samsara. Quando esaminate gli insegnamenti del Buddha sulla complessa questione delle emozioni negative e su come contrastarle, potete vedere che questi elementi sono evidenti a tutti. Conosciamo tutti le emozioni, così, quando mettiamo in relazione gli insegnamenti del Buddha rispetto alle emozioni negative con la nostra esperienza personale, possiamo gradualmente riconoscere la verità delle parole del Buddha. Allo stesso modo, tutti i suoi insegnamenti che riguardano il fine ultimo della liberazione – impermanenza, le Quattro Nobili Verità, la vacuità e così via, possono essere compresi anche attraverso l’analisi critica. Tale analisi può quindi essere estesa alle Scritture che si occupano del sottile funzionamento del karma. Possiamo quindi concludere che, se il Buddha non ci ha delusi nella prospettiva più importante, il conseguimento della liberazione, perché dovrebbe farlo nei suoi insegnamenti sulla causa ed effetto? In questo modo possiamo iniziare a sviluppare la convinzione nella legge del karma. Possiamo anche considerare che il Buddha non aveva motivo di fare affermazioni false sul karma e su come non ci fossero contraddizioni nelle scritture. Per riassumere, una volta che sviluppiamo una profonda convinzione nella validità degli insegnamenti del Buddha, maturiamo ammirazione e fede nello stesso Buddha. Sulla base di queste considerazioni, possiamo riconoscere la validità degli insegnamenti del Buddha sul karma. È su questa base che ci impegniamo allora nella pratica della disciplina etica, astenendosi dalle dieci azioni non virtuose.

I tre livelli di rifugio

Se c’è una minaccia, dovremmo cercare rifugio da essa. Allo stesso modo, nel contesto della pratica spirituale, per proteggerci dalla minaccia di una rinascita sfavorevole, dovremmo cercare rifugio nei Tre Gioielli: Buddha, Dharma e Sangha. Il buddismo insegna tre diversi livelli di rifugio.

Il primo è dove cercare protezione dalla minaccia immediata della sofferenza della rinascita in un regno inferiore d’esistenza. Ispirato dal grande timore che questa possibilità evoca, per evitarlo cerchiamo rifugio nei Tre Gioielli. Questo livello di rifugio è rilevante per i praticanti del campo di applicazione iniziale, il cui obiettivo è raggiungere una rinascita superiore. Quando pensiamo ai regni inferiori d’esistenza, non dovremmo pensare a qualche luogo remoto nel lontano futuro. Tutto ciò che in realtà si trova tra il momento presente e la prossima vita è semplicemente la continuità del nostro respiro. Nel momento in cui smettiamo di respirare, quando espiriamo e non inspiriamo più, la prossima vita è proprio lì davanti a noi. Non è questione di tempo lontano nel futuro; è immediato.

Per essere consapevoli dell’urgenza impellente, a riguardo, è quindi necessario riflettere sull’impermanenza, in particolare sull’inevitabilità della morte, sull’incertezza del tempo della morte e su ciò che ci porterà beneficio quando arriverà la morte.

Il secondo livello di rifugio è dove cerchiamo protezione dalla sofferenza del condizionamento pervasivo: la sofferenza di essere catturati nell’esistenza ciclica e il potere distruttivo dei pensieri e delle emozioni negative. Per superare queste sofferenze, ci rifugiamo in Buddha, Dharma e Sangha, che incarnano la totale trascendenza dalla sofferenza e dall’esistenza ciclica, in particolare la sofferenza del condizionamento pervasivo. Questo livello di rifugio è rilevante per i praticanti di ambito medio, il cui obiettivo è raggiungere il nirvana.

Il terzo e più alto livello di rifugio è quello del praticante Mahayana. Qui, cerchiamo rifugio, da una parte dagli estremi dell’esistenza samsarica e, dall’altra, dalla liberazione individuale. Per essere protetti da questi due estremi, cerchiamo il conseguimento della Buddhità, Dharmakaya e Rupakaya, a beneficio di tutti gli esseri senzienti. Quando consideriamo il rifugio in questo modo, possiamo comprendere il significato dell’affermazione di Maitreya che il vero e ultimo rifugio è solo il Buddha, perché solo un essere illuminato incarna tutta questa perfezione. Maitreya continua dicendo che la mente illuminata del Buddha racchiude l’ultimo gioiello del Dharma e rappresenta anche la perfezione ultima o il gioiello del Sangha.

Il valore e la natura transitoria dell’esistenza umana.

Linee dell’esperienza: verso 10

L’esistenza umana con le sue (otto) libertà è superiore persino a un gioiello che esaudisce tutti i desideri. Lo abbiamo trovato solo questa volta, è difficile da ottenere e si perde facilmente, come una folgore nel cielo. Considerando come (facilmente questo può accadere in qualsiasi momento) e rendendosi conto che tutte le attività mondane sono (immateriali) come la pula del grano, devi cercare di estrarne l’essenza in ogni momento, giorno e notte.  Io stesso, uno yoghin, ho praticato in questo modo. Anche voi che cercate la liberazione fate altrettanto.

(Le otto libertà per lo studio e la pratica del Dharma vengono definite libertà dagli otto stati privi di agio. Quattro di questi sono riferiti a stati non-umani: nascita in uno degli inferni, come spiriti famelici, animali o deva di lunga vita. Quattro sono gli stadi di non libertà nei regni umani: – nascita in una regione selvaggia, incivile o in mezzo ai barbari; – nascita dove o quando non sono presenti le parole del Buddha; – nascita con menomazioni, ad esempio come sordomuti; – essere sostenitori di opinioni distorte.)

Questa strofa presenta le contemplazioni che devono essere fatte per apprezzare appieno il significato delle opportunità offerte dalla nostra esistenza umana.

Per prima cosa dobbiamo riconoscere la natura di questa esistenza.

Secondariamente dobbiamo riflettere sulla sua rarità; e terzo, dobbiamo considerare la sua fragilità; il fatto che possa essere persa in qualsiasi momento.

La morte

Sulla base di tali contemplazioni, dovremmo quindi riflettere su questi tre importanti dati di fatto:

1. La morte è inevitabile.

2. Il momento della morte è imprevedibile.

3. Al momento della morte, solo la pratica spirituale sarà di beneficio.

La maggior parte di noi pensa d’essere ancora vivi domani. Lo pensiamo che solo perché non ci sono condizioni mediche o fisiche che minacciano le nostre vite, possiamo giustamente concludere che c’è una probabilità del novantanove per cento che vivremo oltre oggi. Tuttavia, che dire di quell’uno per cento? Non possiamo dire con certezza al cento per cento che non saremo morti domani. Quando la morte colpisce, la nostra ricchezza, non importa quanto grande, non avrà alcun significato, né la nostra famiglia o gli amici. Anche il nostro caro corpo sarà inutile. Al momento della morte, nessun altro può aiutarci: dobbiamo percorrere questa strada da soli.

La continuità della coscienza scompare dopo la morte?

Ora sorge la grande domanda: la continuità della coscienza scompare dopo la morte?

Questa è una domanda importante e non nuova per questa generazione: è stato avanzata per migliaia di anni. Tuttavia, quando effettivamente affronteremo la morte, solo le qualità spirituali che abbiamo sviluppato attraverso la nostra pratica del Dharma ci aiuteranno. Nient’altro che il Dharma può avvantaggiarci al momento della morte.

Meditazione: coltivare la disciplina mentale.

Il modo in cui sviluppiamo le qualità positive della mente è attraverso la costante pratica e la meditazione. La meditazione è una disciplina per la quale coltiviamo familiarità con un oggetto scelto. Il nostro problema è che nella normale vita di tutti i giorni, ci permettiamo di essere dominati da emozioni affliggenti e pensieri illusori, sopraffacendo totalmente la nostra mente con stati negativi che poi perpetuano un intero ciclo di problemi, confusione e sofferenza. Ciò che cerchiamo nella pratica spirituale, quindi, è un modo per invertire questo ciclo in modo di poter finalmente prendere in carico la nostra mente e impedirgli di cadere sotto l’influenza di tali impulsi negativi. Lo facciamo impegnandoci in una costante disciplina di coltivare la familiarità con un oggetto scelto, che, ovviamente, deve essere positivo. Nel fare ciò, otteniamo una certa stabilità mentale che ci consente di porre la nostra mente su questo oggetto. Questo è il vero significato e lo scopo della meditazione buddista.

I sentimenti e le emozioni con cui siamo più familiari sono quelli che ci arrivano più facilmente. Se siamo più familiari con i pensieri e le emozioni negative, quelle sorgeranno in noi in modo più naturale, ma, se siamo più abituati ai pensieri e alle emozioni positive, saranno quelle che nasceranno spontaneamente. Possiamo osservare questo nella nostra esperienza personale, in particolare quando si studia una nuova materia. All’inizio, lo troviamo difficile e fatichiamo a capire qualsiasi cosa, ma, quanto più vi perseveriamo, tanto più diventa chiaro. Alla fine raggiungiamo il punto in cui la comprensione sorge semplicemente dirigendo la nostra mente verso il soggetto. Questo non significa che il soggetto sia diventato improvvisamente facile. Tutto ciò che abbiamo fatto è migliorare la nostra comprensione attraverso un impegno costante. Il cambiamento è un processo graduale. Pertanto, quando cerchiamo di dissipare la confusione rispetto alla realtà, l’illuminazione matura per gradi. Ancora una volta, possiamo osservare questo nella nostra esperienza personale. All’inizio, potremmo avere una percezione limitata della realtà che è completamente opposta al modo in cui le cose esistono realmente, ma, mentre studiamo la natura della realtà con la nostra mente analitica, alla fine raggiungiamo il punto in cui i nostri pregiudizi sono indeboliti ed entriamo in uno stato di incertezza. Tendiamo ancora più verso l’idea sbagliata, ma il nostro modo di afferrarla è stato allentato. Mentre continuiamo ad approfondire la nostra comprensione attraverso la nostra analisi, la nostra indecisione progredisce gradualmente in uno stato di equilibrio, dove iniziamo ad inclinarci più verso la corretta comprensione della realtà. Come approfondiamo ulteriormente la nostra comprensione attraverso l’investigazione e il pensiero critico, raggiungiamo il punto in cui abbiamo una chiara comprensione intellettuale della realtà, ci siamo convinti che questo è il modo in cui effettivamente esistono le cose; che questa è la vera natura della la realtà. Se approfondiamo ulteriormente la nostra analisi, otteniamo una convinzione ancora più forte: una certezza derivata dal nostro pensiero critico.

Questo è chiamato “cognizione valida“: una vera constatazione di un certo stato di cose. Se perseguiamo questo processo di impegnare costantemente la nostra mente con l’oggetto – in questo caso, la natura della realtà – raggiungiamo il punto in cui non abbiamo solo la conoscenza intellettuale e inferenziale dell’oggetto, ma anche una sorta di conoscenza esperienziale. In questa fase iniziale, l’esperienza dipende ancora in larga misura dai processi di pensiero razionale ed è quindi chiamata la fase della “conoscenza esperienziale simulata“. Se continuiamo ad approfondire la nostra analisi, raggiungiamo il punto in cui la nostra conoscenza esperienziale diventa spontanea e possiamo richiama l’esperienza della profonda comprensione semplicemente focalizzando la nostra attenzione sull’oggetto dell’indagine. A questo punto, la nostra comprensione ha raggiunto il livello di “conoscenza esperienziale spontanea e non simulata”. Quindi, anche con una singola caratteristica dei fenomeni, i nostri processi mentali passano attraverso livelli più profondi di comprensione ed esperienza.

Da un altro punto di vista, posso dire che attraversiamo tre stadi di comprensione.

Primo, c’è la comprensione derivante dall’apprendimento e dallo studio: dall’ascolto agli insegnamenti, per esempio.

Secondo, c’è lo stadio della comprensione derivato non tanto dall’apprendimento e dallo studio, ma dalla riflessione personale e dalla contemplazione.

Terzo, c’è il livello di comprensione che deriva dall’esperienza personale: dalla meditazione. Ci sono due principali approcci al processo attuale della meditazione. Uno è chiamato “posizionamento” o “meditazione assorbente”; a volte questo è anche chiamato “calmo dimorare“. L’altro è “analitico” o “meditazione profonda”. Prendiamo l’esempio di meditare sulla coltivazione della fede nel tuo maestro spirituale o in un altro oggetto elevato, come il Buddha. Inizialmente, puoi coltivare per esempio, una fede ferma, profondamente radicata e genuina nel tuo insegnante, riflettendo costantemente sulle sue grandi qualità da vari punti di vista. Più risorse puoi attingere in questa meditazione analitica, più forte sarà la tua sensazione di connessione con il tuo insegnante. Una volta arrivato al punto in cui dal profondo del tuo cuore provi riverenza, ammirazione e vicinanza, lascia che la tua mente si dimostri in questo stato. Questa è la meditazione di collocamento. Mentre rimani in modo univoco in questa sensazione di ammirazione per il tuo insegnante, l’intensità e la vitalità di questo stato possono lentamente cominciare a diminuire. Quando osservi accadere questo, rafforza la tua consapevolezza riapplicando la tua meditazione analitica sulle qualità positive del tuo insegnante. Quando ti impegni in meditazione sull’impermanenza o sulla natura del non-sé, prendi l’impermanenza o il non-sé come oggetto della tua attenzione e concentrati su di esso , cercando di approfondire la tua comprensione. Di nuovo impegnati nella meditazione analitica, riflettendo costantemente sulle varie ragioni che hanno portato alla conclusione che tutti i fenomeni sono impermanenti o non autoesistenti. Quando arriverete alla conclusione che tutto è definitivamente impermanente o sicuramente privo di auto-esistenza, ponete la vostra mente in modo univoco su quella conclusione. Rimanere il più a lungo possibile in quello stato di meditazione assorbente.

Questi esempi mostrano come le meditazioni analitiche e di assorbimento si combinano per fare una sessione di meditazione di successo. Se pensate alle vostre esperienze quotidiane, vedrete che siete per tutto il tempo impegnati nella meditazione analitica e assorbitiva.

Ad esempio, i tuoi pensieri sono costantemente influenzati da forti emozioni, come l’attaccamento per qualcuno che ti piace o dalla rabbia verso qualcuno che non ti piace. Quando sei attaccato a qualcuno, stai sempre pensando a quanto sia desiderabile quella persona ed esamini le qualità positive e attraenti di quella persona, costantemente giustificando, rafforzando e dimorando nei tuoi sentimenti di attaccamento. Allo stesso modo, quando provi una forte avversione nei confronti di qualcuno, rafforzi costantemente il tuo odio pensando ad una ragione dopo l’altra per giustificare i tuoi sentimenti – “ha fatto questo”, “non l’ha fatto” e così via – e rimuginate questi sentimenti .

Quindi, hai già familiarità con simili pratiche di meditazione analitica e d’assorbimento univoco. Come praticanti spirituali, ciò che dovremmo fare è applicare le esperienze con le quali siamo familiari ad un ambito che ci è nuovo: quello della pratica spirituale. Attraverso l’applicazione della meditazione analitica e d’assorbimento univoco possiamo davvero giungere alla trasformazione spirituale che cerchiamo.

C’è, tuttavia, una terza condizione che potremmo dover prendere in considerazione. Prendiamo, per esempio, due praticanti sotto la guida dello stesso maestro, che hanno studiato e praticato la meditazione per un uguale periodo di tempo. Per l’uno è facile capire gli insegnamenti e ha molto successo nel conseguire realizzazioni, ma l’altro lo trova difficile, nonostante abbia dedicato pari quantità di tempo, attenzione e sforzo. Il buddismo lo spiega in termini di meriti o demeriti in base al karma della persona e al suo livello di oscuramento karmico. (Per esempio, coloro che si sostengono attraverso mezzi di sussistenza sbagliati, che includono: uccidere od abusare di esseri senzienti per sostentarsi, vivere del ricavato della vendita di oggetti sacri come testi, statue e thangka e così via.)

Ad esempio, coloro che si sostengono attraverso mezzi di sussistenza sbagliati avranno livelli di oscuramento karmico molto più pesanti di quelli che non lo fanno. Alcune persone che hanno dedicato tutta la loro vita alla meditazione solitaria mi hanno detto che quando utilizzano le offerte di certe persone, questo ostacola temporaneamente i loro progressi. Ciò suggerisce che, a causa della purezza del loro stile di vita, hanno sviluppato una sensibilità estremamente elevata ai fattori ambientali e possono immediatamente riconoscere l’effetto delle cose sulla loro pratica. In sintesi, tre fattori contribuiscono ad una pratica meditativa di successo:

1 . Impegno con successo nella meditazione analitica e d’assorbimento univoco.

2. Accumulo di meriti e purificazione delle negatività e delle oscurazioni karmiche.

3. Impegno in specifiche pratiche di meditazione per scopi particolari.

Dei tre, l’impegno in specifiche pratiche di meditazione è il più importante e viene fatto durante la sessione di meditazione, mentre altre attività virtuose, come fare prostrazioni, circumdeambulare e così via, vengono fatte quando è terminata la sessione.

Durante la sessione effettiva, la facoltà di introspezione garantisce di mantenere costantemente la consapevolezza e di non essere distratti da fattori esterni. E mentre l’introspezione e la consapevolezza sono fondamentali durante la sessione, sono anche molto importanti durante i periodi post-meditativi, quando ti garantiscono di sostenere la vitalità e la costanza delle tue esperienze di meditazione. Devi anche assicurarti, una volta terminata la meditazione, di svolgere, in modo appropriato, cioè con consapevolezza ed introspezione, le normali attività, come mangiare, dormire e così via. Se lo fai, le pratiche che hai fatto durante la sessione rinforzeranno e miglioreranno quelle dei periodi post-meditativi e le pratiche che farai durante i periodi post-meditativi rinforzeranno e miglioreranno quelle della sessione.

Se puoi mantenere efficacemente le tue pratiche spirituali in questo modo, la loro influenza può estendersi al periodo del sonno, e la consapevolezza e l’introspezione funzioneranno anche nei tuoi sogni. Ad esempio, nei tuoi sogni potresti sperimentare potenti ondate di ammirazione per il Buddha o per il tuo maestro spirituale ed essere in grado di sentire gli effetti persistenti di tali esperienze anche dopo che ti sei risvegliato.

Infine, per garantire la qualità della tua pratica di meditazione, è più efficace fare sessioni molte brevi piuttosto che alcune lunghe.

La morte e la rinascita.

Come paradigma di specifiche pratiche di meditazione da intraprendere, prendete come esempio l’argomento dell’impermanenza. Il significato di meditare sull’impermanenza e sulla morte non è solo quello di terrorizzarti: non ha alcun senso spaventarsi dalla morte. Lo scopo di meditare sull’impermanenza e sulla morte è ricordarsi la preziosità delle opportunità che esistono per ciascuno di noi nella vita di un essere umano. Ricordando a te stesso che la morte è inevitabile, il suo momento imprevedibile e che solo la pratica spirituale è di beneficio, ti dà un senso di urgenza e ti consente di apprezzare veramente il valore della tua esistenza umana ed il tuo potenziale per soddisfare le più alte aspirazioni spirituali. Se puoi sviluppare questo profondo apprezzamento, tratterai ogni singolo giorno come estremamente prezioso. Come praticanti spirituali, è molto importante per noi conoscere costantemente i nostri pensieri ed emozioni con l’idea della morte, in modo che non arrivi come qualcosa di completamente inaspettato.

La continuità della coscienza

Dobbiamo accettare la morte come parte della nostra vita. Questo tipo di atteggiamento è molto più sano del semplice tentativo di non pensare o parlare della morte.

Quando esaminiamo gli insegnamenti del Buddha stesso, scopriamo che durante il suo primo insegnamento pubblico enumera sedici caratteristiche delle Quattro Nobili Verità https://www.sangye.it/altro/?p=3785 di cui quattro sono le caratteristiche della sofferenza. Delle quattro caratteristiche della sofferenza, la prima è l’impermanenza. Poi, quando il Buddha morì, sulla soglia del suo nirvana, l’ultimo insegnamento che diede fu sull’importanza di contemplare l’impermanenza. In altre parole, il primo e l’ultimo insegnamento del Buddha erano sull’impermanenza.

Una discussione sulla morte fa naturalmente sorgere la domanda su cosa accadrà dopo, sollevando la questione della rinascita. Dal punto di vista buddista, la rinascita è intesa in termini di una continuità di coscienza. Una delle premesse degli insegnamenti del Buddha sulla rinascita, quindi, è la continuità della coscienza. Nel suo Pramanavarttika, Dharmakirti afferma che qualcosa che non è della natura della coscienza non può essere trasformato in coscienza. Egli sostiene che, riguardo l’esistenza della coscienza e la sua natura, abbiamo due scelte. O riteniamo che il continuum della coscienza non abbia inizio o che l’abbia. Se poniamo un inizio al continuum della coscienza, sorge la domanda: quando è nato quel primo inizio di coscienza e da dove è arrivato?

Quindi sta a noi scegliere o che il primo momento di coscienza venne dal nulla, da nessuna causa, o che fu creato da una causa che è permanente ed eterna. Dal punto di vista buddhista, entrambe le risposte danno luogo a molte incoerenze. Se qualcosa viene da nessuna causa, dovrebbe esistere per tutto il tempo o per nessun tempo. Entrambe le opzioni sono insostenibili. Se, d’altra parte, qualcosa proviene da una causa che è essa stessa permanente, eterna, immutabile ed unitaria, ciò nega la visione buddista fondamentale della causalità universale.

Pertanto, dal punto di vista buddista, l’idea della creazione divina è completamente inaccettabile.

Se uno accetta che qualche forza divina ha creato l’intero universo, allora la natura di questa forza divina deve essere indipendente, unitaria, non causata ed originale, il tutto è insostenibile all’interno di una prospettiva filosofica in cui la causalità universale è il principio fondamentale. È per questi motivi che i buddisti non pongono un inizio al continuum della coscienza e ne spiegano la natura e l’esistenza unicamente in termini di principio di cause e condizioni.

Dal punto di vista buddhista, anche l’esistenza delle galassie e dell’universo stesso deve essere spiegata dal punto di vista delle cause e delle condizioni. Nel caso dell’universo, deve esserci una relazione tra gli esseri senzienti che abitano il piano fisico e l’esistenza e l’evoluzione del mondo fisico. I buddisti lo spiegano nel modo seguente.

Come ho detto prima, al livello più sottile del mondo fisico, c’è un continuo fisico di particelle spaziali. Quando questo sottile continuum fisico interagisce con il karma degli esseri senzienti, il karma agisce come una condizione che dà origine a varie permutazioni della realtà fisica. Alla fine arriva ad essere un mondo macroscopico che può effettivamente avere un effetto diretto sull’esperienza di dolore, piacere, sofferenza e felicità degli esseri senzienti.

È su questa linea che i buddisti spiegano l’intera evoluzione e dissoluzione dell’universo. Ciò è reso molto chiaro dagli insegnamenti buddisti tradizionali sui Dodici Anelli dell’Origine Dipendente.

I Dodici Anelli di Origine Dipendente

La catena in successione dei Dodici Anelli https://www.sangye.it/altro/?p=6603 dimostra l’intero processo di evoluzione e spiega l’esistenza dell’individuo nel samsara. Non vi è alcun concetto che sostenga l’esistenza d’una specie di creatore centrale ed unificante attorno al quale tutto s’evolve. Mentre stiamo sperimentando le conseguenze di un insieme di Dodici Anelli, i collegamenti di ignoranza ed azione karmica di un altro ciclo sono già stati messi in moto. Quindi, ci sono sempre catene rotanti ed interdipendenti di Dodici Anelli di Origine Dipendente https://www.sangye.it/altro/?p=3430 che ci tengono costantemente legati alla ruota della vita, che è il modo in cui viene spiegata la nostra evoluzione attraverso l’esistenza ciclica. Il Buddha in realtà insegnò i Dodici Anelli in due modi. In uno classifica la nostra evoluzione attraverso l’esistenza ciclica dall’ignoranza, agli atti karmici di volizione, alla coscienza e così via lungo la catena, mentre nell’altro presenta lo stesso processo al contrario, spiegando come sfuggire dal samsara e raggiungere l’illuminazione. Ponendo fine all’ignoranza, si prevengono gli atti di volizione; prevenendo gli atti di volizione, la coscienza è salvaguardata, e così via.

Commentando questi insegnamenti, il maestro indiano Asanga ha identificato tre caratteristiche principali:

1. Tutto ha le sue cause. Negli insegnamenti buddisti sull’origine dipendente, la nozione di creazione divina viene respinta, perché tutto nasce come risultato di cause e condizioni.

2. Queste cause sono impermanenti. Anche le cause che determinano l’intero ciclo in movimento sono esse stesse soggette a cause e condizioni e, pertanto, sono impermanenti.

3. Solo le cause compatibili e corrispondenti danno origine agli effetti. La causalità non è un processo casuale. Non tutto può produrre tutto. Le cause e gli effetti devono essere compatibili: solo le cause commensurate portano a risultati corrispondenti.

Asanga identificò questi fattori commentando un passaggio dei sutra, dove il Buddha affermò: “Poiché questo esiste, quello esiste; poiché questo ha avuto origine, quello ne conseguirà; e poiché esiste un’ignoranza fondamentale, ne seguiranno atti di volizione.” (Sutra delle sementi di riso, Shalistambhasutra: “A causa dell’esistenza di questo, quello sorge; a causa della produzione di questo, quello è generato. È così: a causa dell’ignoranza, c’è l’azione volitiva; a causa dell’azione, c’è la coscienza”.)

Rifugio, Karma e Precetti.

Prendere rifugio

Linee di esperienza: strofa 11

Dopo la morte, non vi è alcuna certezza che non rinascerete in uno dei tre stati sfortunati di esistenza e tuttavia i Tre Gioielli hanno sicuramente il potere di proteggervi da simili tormenti. Per questo motivo la presa di Rifugio deve essere estremamente stabile e si deve fare in modo che i precetti non degenerino. Inoltre, ciò dipende dall’aver correttamente riflettuto sui risultati delle azioni bianche (positive) e delle azioni nere (negative) e dall’aver correttamente messo in pratica ciò che deve essere adottato e ciò che deve essere abbandonato. Io stesso, uno yoghin, ho praticato in questo modo. Anche voi che cercate la liberazione fate altrettanto.

(I tre stadi sfortunati di rinascita sono come creatura infernale, spirito famelico o animale.) (I tre Gioielli del Rifugio sono: i Buddha, i loro insegnamenti, il Dharma, e l’assemblea del Sangha, coloro che li hanno realizzati.)

Qui, il testo indica che la risposta alla domanda di dove tu andrai dopo che la morte è determinata dalle tue stesse azioni karmiche, non solo di questa vita ma anche delle tue vite precedenti. Su questo punto, Vasubandhu ha scritto che, poiché tutti noi abbiamo enormi raccolte di karma accumulate in molte vite passate, abbiamo tutti i potenziali karmici di rinascere nei regni inferiori dell’esistenza, come pure nei regni più fortunati. Quali fattori determinano quale raccolta karmica maturerà prima? Vasubandhu ha detto che la collezione karmica più forte o dominante sarà la prima a maturare. Se il tuo karma positivo e negativo sono di uguale forza, allora le azioni karmiche a cui sei maggiormente abituato matureranno prima. Se anche il livello di familiarità delle tue azioni karmiche è uguale, allora il karma che maturerà successivamente è quello che hai accumulato per primo. Questo è il modo in cui il karma determina le tue future rinascite e se, ad esempio, allo stesso modo rinascerai in uno dei tre regni inferiori, cioè il reame infernale od in quello degli spiriti famelici [Skt: preta] o nel regno animale. Sebbene le spiegazioni di questi reami di esistenze sfortunate possano essere trovate in testi di Abidharma come il Tesoro della Conoscenza Manifesta di Vasubandhu (Abhidharmakosha), dovresti investigare le descrizioni della posizione e della natura di questi regni per vedere quanto siano letterali e precisi.

La frase della strofa 11 recita: “Tuttavia, i Tre Gioielli hanno sicuramente il potere di proteggervi da simili tormenti”. Questo ovviamente si riferisce alla pratica di rifugio nei Tre Gioielli: Buddha, Dharma e Sangha. Per rifugiarsi, devono essere presenti due condizioni: la paura della rinascita nei tre reami inferiori e la fede nel potere degli oggetti di rifugio per proteggerti da questa minaccia. Pertanto, perché il rifugio abbia successo, devi avere una certa comprensione di ciò che rappresentano questi oggetti di rifugio. Come praticanti buddisti, dobbiamo prima capire la possibilità che ci sia qualcosa come un Buddha, e anche la possibilità dell’illuminazione. Il fattore chiave qui è la comprensione della natura del Dharma, perché il Dharma è il vero rifugio. Una volta compresa la natura del Dharma, puoi anche comprendere la possibilità del Sangha e del suo stato perfetto, il Buddha. In generale, non vogliamo sperimentare paura, apprensione o ansia.

La paura è comunque un’emozione complessa che coinvolge molti fattori. C’è una categoria di paura od ansia che è totalmente infondata e nasce da un’immaginazione troppo attiva o da qualche tipo di paranoia o mente eccessivamente sospettosa. Questo tipo di paura è completamente inutile e deve essere eliminata. Poi c’è un altro tipo di paura, che nasce dall’incontro con una minaccia reale. Se non c’è la possibilità di superare questo pericolo e devi affrontarlo indipendentemente da cosa sia, la paura non è una risposta appropriata ed è, in effetti, del tutto inutile; tutto ciò non fa che paralizzarti. Tuttavia, la paura che sorge perché sei attento a un particolare pericolo può anche motivarti ad agire, ad esempio, per cercare protezione o scappare. Questo tipo di paura non solo è giustificata, ma può essere positiva e benefica. Questo è il tipo di paura di cui hai bisogno per prendere adeguatamente rifugio. Coltiviamo deliberatamente un senso di paura della rinascita nei tre reami inferiori, e questo ci ispira a cercare rifugio da questo pericolo. Il testo parla di maturare un rifugio “solido” nei Tre Gioielli. Questo significa un rifugio stabile e fermo. La cosa fondamentale nello sviluppo di una pratica stabile e salda di rifugio è una buona comprensione dell’origine dipendente ed, in una certa misura, della vacuità. Contemplando gli insegnamenti sull’origine dipendente e la vacuità, vedrai chiaramente la possibilità di conseguire la Buddhità. In questo modo, acquisirai una profonda comprensione della natura del Dharma ed un riconoscimento del Sangha e del Buddha.

Una volta che avrai sviluppato piena fiducia nel potere del Buddha, Dharma e Sangha di proteggerti dalla sofferenza dei tre reami inferiori e li hai integrati nella tua pratica spirituale, il tuo rifugio è solido e sarai veramente diventato un praticante buddista. Se, tuttavia, la tua fiducia nei Tre Gioielli si dovesse indebolire e sorgessero dei dubbi sulla loro capacità di proteggerti, non puoi più affermare di essere un vero praticante del Buddhadharma.