I dodici anelli dell’origine dipendente

the_twelve_links_of_dependent_originationI dodici anelli dell’origine dipendente

Alexander Berzin, Morelia, Messico, 2-4 giugno 2000. Traduzione italiana a cura di Francesca Paoletti.

Primo giorno: inconsapevolezza

Introduzione

I dodici anelli dell’origine dipendente (rten-‘brel yan-lag bcu-gnyis) descrivono il meccanismo della rinascita. La rinascita riguarda la continuità della mente.Quando nel Buddhismo parliamo della mente, non stiamo parlando di una specie di “cosa” dentro la nostra testa. Piuttosto, parliamo di un’attività che avviene tutto il tempo. Non stiamo facendo una divisione, come facciamo nel pensiero occidentale, tra mente e cuore oppure l’aspetto razionale-intellettuale da un lato e l’aspetto emozionale-intuitivo dall’altro. Piuttosto, stiamo parlando di un tipo di attività che include sia il lato razionale che quello emozionale, sia il pensiero che le sensazioni. Stiamo anche parlando di percezione: vedere, udire, sentire gli odori, gustare e provare sensazioni fisiche. Dunque, quello di cui in realtà stiamo parlando è l’attività mentale dell’esperienza. E questa è sempre l’attività mentale dell’esperienza di qualcosa: l’attività mentale ha sempre dei contenuti. Inoltre, è un’esperienza individuale, soggettiva di qualcosa, e questa esperienza individuale e soggettiva continua in ogni momento senza alcuna interruzione. Abbiamo l’esperienza d’essere svegli, d’essere addormentati, di sognare e persino di morire. Inoltre, non ha né inizio né fine.

La nostra esperienza individuale e soggettiva delle cose al momento presente è mischiata o contaminata dalla confusione. Anche la confusione ha sempre accompagnato la nostra esperienza delle cose da tempo senza inizio. Ma la confusione non è una parte intrinseca della nostra esperienza. Può essere rimossa o separata dalla nostra esperienza delle cose. E non solo può essere rimossa nel senso di una rimozione temporanea, ma anzi può essere rimossa in modo tale che non capiti mai più. Questo perché la confusione può essere sostituita dalla comprensione e la comprensione può sconfiggere la confusione in maniera tale che la confusione non sorga mai più. E questo perché più esaminiamo la comprensione, più essa viene riconosciuta come valida, mentre più esaminiamo la confusione, più essa cade a pezzi.

Poiché non ha inizio e non ha fine, la continuità dell’esperienza individuale e soggettiva delle cose prosegue da una vita all’altra. La rinascita può avvenire in due modi. Nel primo, la confusione è parte dell’esperienza da una vita all’altra. Quando la nostra esperienza è intrisa di confusione, ci sono vari tipi di problemi che fanno parte della nostra esperienza. In effetti, il Buddhismo insegna che se osserviamo con attenzione, ogni momento della nostra vita è pieno di problemi di un tipo o di un altro, nel momento in cui la nostra esperienza delle cose è intrisa di confusione. Questo viene chiamato “samsara.” Il modo in cui mi piace tradurre samsara è “incontrollabile ricorrenza delle rinascite.” In altre parole, si ripete di nuovo e di nuovo, è pieno di problemi e non abbiamo alcun controllo su di esso. In un certo senso, esso è auto-perpetuante.

Potrebbe sembrare irragionevole dire che tutto è sofferenza, ma se diciamo che qualsiasi cosa proviamo o facciamo nella nostra vita presenta dei problemi, diventa un po’ più facile da capire. Quindi, preferisco “problemi” piuttosto che “sofferenza.” Anche se stiamo provando uno stato di felicità, c’è un problema. Non soltanto non dura, ma inoltre non sappiamo mai cosa succederà dopo. Il nostro umore cambierà, non sappiamo mai quando e non sappiamo mai come sarà il nostro prossimo umore. Questo è un problema.

Poiché la confusione è qualcosa che può venire separata e rimossa dalla nostra esperienza delle cose, la rinascita può proseguire senza confusione. Tecnicamente, questa situazione non è una vera e propria rinascita, ma è sempre la continuità della nostra esperienza individuale e soggettiva delle cose. Viene chiamata uno stato di “liberazione” o “nirvana,” in cui ci siamo liberati dal samsara.

Il processo di diventare liberi dal samsara e raggiungere non soltanto la liberazione ma anche, alla fine, l’illuminazione di un Buddha è complicato e implica attraversare vari stadi. La continuità dell’esperienza individuale e soggettiva delle cose prosegue attraverso l’intero processo di purificazione: dall’essere completamente intrisi di confusione fino ad essere liberi dalla confusione e in uno stato di piena realizzazione di tutto il nostro potenziale.

Per poterci liberare dalla ricorrenza incontrollabile dell’esperienza della rinascita con tutta la sua confusione e i suoi problemi, è importante comprendere come essa avviene e come evolve. Questo viene descritto dai cosiddetti “dodici anelli dell’origine dipendente.” In maniera tipicamente buddhista, è una descrizione che non è né semplice né lineare. Quello che cercheremo di vedere questo fine settimana è una descrizione di come questi dodici anelli funzionano. In altre parole, il modo in cui continuiamo a provare l’incontrollabile ricorrenza della rinascita con i suoi problemi e la sua confusione. Andremo anche ad esplorare il modo in cui una corretta comprensione della vacuità o della realtà è in grado d’interrompere il ricorrere incontrollabile di questa sequenza in maniera tale che alla fine potremo provare la liberazione e l’illuminazione.

Possiamo discutere il meccanismo del samsara in termini di questi dodici anelli secondo vari livelli di complessità. Questo fine settimana propongo di spiegarlo ad un livello di complessità che non sia né troppo semplice né troppo complicato. Se lo trovate troppo semplice per voi, per favore siate pazienti. Se lo trovate troppo complicato, anche in questo caso per favore siate pazienti. Inoltre, certe presentazioni dei dodici anelli descrivono come tutti e dodici accadono ad ogni momento oppure accadono tutti in una sola vita. Qui, li discuteremo soltanto in termini del processo di rinascita. Questa è la presentazione più comune.

“Anelli” asimmetrici

La parola anello viene usata in questo contesto perché il processo è descritto come una catena. Siete già stati avvertiti del fatto che questa non è una catena lineare; non è che i dodici anelli si susseguono l’un l’altro in una sequenza lineare.

Nel pensiero greco antico, ciò che è vero era uguale a ciò che è buono e questo a sua volta era uguale a ciò che è bello. Quindi secondo il modo di vedere le cose degli antichi greci, la bellezza è simmetrica: la sezione aurea. Qualsiasi cosa funziona in maniera uniforme, piacevole e ordinata. La verità dovrebbe essere in questo modo. E allora è buona. A livello inconscio, abbiamo questo retaggio culturale degli antichi greci. Se tutto funziona in maniera bella, limpida e simmetrica, ci sentiamo a nostro agio e siamo soddisfatti. Se non lo fa, non ci sentiamo a nostro agio, vero?

Come mi fece notare uno dei miei maestri tibetani, non c’è alcuna ragione per cui l’universo debba essere simmetrico o per cui le cose debbano funzionare in maniera uniforme. Pensateci da un punto di vista scientifico: se l’universo fosse simmetrico, allora quando ha avuto inizio con un big bang, tutte le stelle si sarebbero dovute sistemare simmetricamente. Ma non sono simmetriche, giusto? Questo ci mostra che non esiste una simmetria innata nell’universo. Come un altro dei miei maestri ha detto in modo molto bello: “la simmetria è stupida.” Non aggrappiamoci al fatto che i dodici anelli debbano essere necessariamente simmetrici, belli e ordinati, perché non è così. Cerchiamo di espandere il nostro concetto di ciò che è bello oltre la simmetria.

Il primo anello: inconsapevolezza

Il primo dei dodici anelli si chiama “inconsapevolezza” (ma-rig-pa). Nonostante venga abitualmente tradotto come “ignoranza,” non trovo che sia una traduzione soddisfacente perché implica che siamo stupidi. Letteralmente si tratta di una mancanza di consapevolezza – in altre parole, inconsapevolezza. Quando ho parlato del fatto che la nostra esperienza delle cose è intrisa di confusione, mi riferivo all’inconsapevolezza. Andiamo a vederne la definizione.

I maestri indiani Vasubandhu e Asanga hanno descritto l’inconsapevolezza come l’oscurità o la pesantezza del non sapere. Secondo altre descrizioni, come quella di Dharmakirti, questo include l’oscurità o la pesantezza dell’apprendere le cose in maniera sbagliata o alla rovescia. Quindi non sappiamo qualcosa o la comprendiamo in maniera sbagliata.

Ci sono molte cose che possiamo non sapere o sapere in modo sbagliato. Per esempio, non conosco i nomi di tutte le persone in questa stanza. Ma qui non stiamo parlando di inconsapevolezza di queste cose, bensì solamente riguardo a due argomenti specifici. Il primo sono la causa ed effetto comportamentali. Questi non sono la causa ed effetto fisici, come per esempio il sapere quanto andrà lontano un pallone se gli diamo un calcio con una certa forza. Stiamo parlando di causa ed effetto in termini di comportamento. In altre parole, la causa è il nostro comportamento – come agiamo, parliamo e pensiamo – e l’effetto è ciò che sperimentiamo. La causa e l’effetto comportamentali riguardano la connessione tra il nostro comportamento e quello che proveremo come suo risultato.

Se non siamo consapevoli della causa e dell’effetto del nostro comportamento, agiamo in maniera distruttiva perché non ci rendiamo conto di quale sarà il risultato. Di conseguenza, sperimenteremo stati di rinascita peggiori. Agiamo in maniera distruttiva e, di conseguenza, rinasciamo in stati che non contribuiscono affatto al progresso spirituale.

Il secondo argomento di cui siamo inconsapevoli è la natura della realtà, in altre parole il modo in cui tutte le cose esistono. L’inconsapevolezza riguardo alla realtà è la causa delle nostre rinascite samsariche in generale, sia in situazioni che contribuiscono alla pratica spirituale oppure no. Tutti noi abbiamo entrambi i tipi d’inconsapevolezza.

Qual è la funzione dell’inconsapevolezza? Cosa fa a noi? Asanga ha detto che, in primo luogo, ci rende storditi o confusi. Disorientati è un altro termine. Non sappiamo cosa fare. Non sappiamo cosa sta succedendo. Poiché veramente non capiamo, siamo confusi. In secondo luogo, ci rende indecisi: siamo incerti di noi stessi. Non sappiamo come comportarci o come relazionarci con le persone, anche se abbiamo ogni sorta di idea. Normalmente adottiamo un atteggiamento sbagliato e dunque, in terzo luogo, l’inconsapevolezza ci rende testardi e insistiamo su qualche maniera stramba di comprendere le cose.

Se dovessimo osservare lo stato mentale o emozionale che viene descritto qui, l’essere confusi, storditi, indecisi e ostinati nell’insistere su qualche cosa di cui di fondo siamo incerti, quale parola lo descrive al meglio? La riconoscete? È “insicurezza.” Tutti la conosciamo. Anche se non c’è nessuna parola per “insicurezza” nelle lingue originali del Buddhismo, penso che possiamo comprendere ciò di cui stiamo parlando qui. L’inconsapevolezza ha la funzione di renderci insicuri.

Il primo anello dell’origine dipendente è l’inconsapevolezza riguardo alla realtà, non l’inconsapevolezza riguardo alla causa ed effetto comportamentali. Questo è ciò di cui stiamo parlando in generale. Ora dobbiamo comprendere questa cosa più precisamente.

Inconsapevolezza della realtà

Come parte della nostra esperienza individuale e soggettiva delle cose, esse ci appaiono come se esistessero con una sorta di identità solida. Ci appaiono come se esistessero solidamente o concretamente. La terminologia è molto difficile qui. Abbiamo bisogno d’usare termini generali per avere una comprensione generale che potremo discutere in dettaglio in seguito. “Solidamente” è la parola più semplice che mi viene in mente da usare qui.

Per esempio, ci può sembrare che abbiamo dei veri problemi nella nostra vita, solidi, concreti. Forse il nostro partner ci ha abbandonato. In quel momento, tutto quello che accade veramente è che stiamo guardando fuori dalla finestra e ci sentiamo tristi. Ma ci sembra come se avessimo un problema mostruoso – concreto, solido, pesante. Questo tipo di cose ci accade tutto il tempo. Apprendiamo o percepiamo le cose in questo modo.

Anche se in effetti dovessimo avere un problema, un problema “mostruoso” non corrisponde alla realtà. Non c’è alcuna cosa grande e pesante seduta in questa stanza. Una maniera realistica di guardare a questa cosa sarebbe di pensare che l’altra persona se n’è andata, non è facile e siamo tristi, ma così è la vita. Cosa ci aspettiamo dal samsara? Affrontiamo la cosa e cerchiamo di trovare qualche soluzione. Il modo in cui questa situazione pare esistere, come un problema mostruoso, non corrisponde alla realtà. Sfortunatamente, non solo pare che il problema esista in questo modo, ci sentiamo anche come se avessimo un grande, orribile problema.

Quando percepiamo qualcosa come un problema mostruoso, siamo inconsapevoli che questo non sia la realtà oppure lo sappiamo in maniera sbagliata e pensiamo che questo corrisponda alla realtà. Queste sono le due definizioni dell’inconsapevolezza. In entrambi i casi, significa sofferenza.

I due livelli d’inconsapevolezza di come le persone esistono

Ci sono due livelli di inconsapevolezza riguardo al modo in cui le persone esistono: l’inconsapevolezza avente una base dottrinale (kun-brtags) e l’inconsapevolezza che sorge spontanea (lhan-skyes). La prima viene a volte tradotta come inconsapevolezza “avente una base intellettuale.” In passato, la traducevo come “inconsapevolezza avente una base ideologica” oppure “inconsapevolezza basata sulla propaganda,” ma ora preferisco “avente una base dottrinale.”

L’inconsapevolezza avente una base dottrinale è l’inconsapevolezza che deriva da concetti che abbiamo acquisito attraverso le affermazioni di uno dei sistemi di principi indiani non-buddhisti riguardanti il “sé” (bdag, sct. atman) e che accettiamo come vere. Secondo i punti di vista di questi sistemi, il sé di una persona o “l’io” esiste come una monade statica e priva di parti (un monolito permanente), indipendentemente dai fattori aggregati di corpo e mente.

La maggior parte degli occidentali non ha mai studiato i sistemi di principi indiani non-buddhisti e dunque non avrebbe in teoria un’autentica inconsapevolezza avente una base dottrinale derivante dallo studio e dal credere nella loro visione condivisa che noi esistiamo come un “io” avente tutte e tre queste caratteristiche definenti. Tuttavia, penso che possiamo formulare una forma analoga d’inconsapevolezza avente una base dottrinale derivante da concetti che acquisiamo da altre fonti che affermano soltanto una o due di queste caratteristiche. Tecnicamente, questa inconsapevolezza sorgerebbe da una considerazione scorretta (tshul-min-gyi yid-byed), come il considerare qualcosa che è non statico come statico. Potrebbe sorgere da concetti riguardo al modo in cui esistiamo che potremmo aver acquisito attraverso l’influenza delle nostre famiglie, della società, della televisione, della religione, della politica, della pubblicità e così via. Potremmo non aver accettato questi concetti in maniera consapevole e deliberatamente, tuttavia spesso li assimiliamo in modo inconscio.

Poi c’è l’inconsapevolezza che sorge spontaneamente, che è posseduta anche dagli animali. Ma non dobbiamo pensare che gli animali non abbiano anche loro una forma analoga dell’inconsapevolezza avente una base dottrinale. Gli animali hanno dei concetti, anche se essi non sono verbali. Proprio come gli umani, un cane, per esempio, potrebbe diventare molto nevrotico riguardo a se stesso sulla base del fatto di essere picchiato e sentirsi continuamente dire che è cattivo.

L’inconsapevolezza che sorge spontanea non è qualcosa che abbiamo bisogno di apprendere. Già dalla nascita siamo confusi riguardo al modo in cui esistiamo. Anche se non sentiamo e crediamo automaticamente che noi, come persone, abbiamo tutte e tre le caratteristiche del sé che sono affermate dai sistemi indiani non-buddhisti, potremmo automaticamente sentire che abbiamo una o l’altra di queste caratteristiche.

Quando parliamo di questo primo anello come la consapevolezza del modo di esistere delle persone, stiamo parlando di entrambi i tipi d’inconsapevolezza, sia quella avente una base dottrinale che quella che sorge spontanea. Andiamo ad esplorare questi due tipi di confusione. Penso sia importante riconoscerle dentro di noi, quindi concentriamo la nostra discussione sull’inconsapevolezza del modo in cui noi stessi esistiamo.

Questa inconsapevolezza riguarda il nostro “io” convenzionale e il modo in cui esiste. Sembra come se “io” esistessi come un’entità concreta, non influenzata da nulla, sempre una e la stessa, un’entità separata dalla mia esperienza. A un livello più profondo, sembra come se “l’io” fosse un capo che controlla tutto, seduto dentro la nostra testa a ricevere informazioni da uno schermo e da altoparlanti e a premere pulsanti di comando, usando il corpo e la mente come una macchina. Andiamo a vedere degli esempi di ognuna di queste caratteristiche così da poter identificare di cosa stiamo parlando.

(1) Prima di tutto, andiamole a vedere in termini di una forma analoga dell’inconsapevolezza avente una base dottrinale riguardo al modo in cui esistiamo. Le nostre famiglie, la società e la pubblicità ci dicono che dobbiamo essere un uomo oppure una donna. “Indipendentemente da quello che succede, non lasciarti influenzare. Sii un uomo o una donna. Mantieni il tuo posto. Non importa cosa succede, sii disinvolto.” Riflettiamoci su per un momento e cerchiamo di riconoscere questo aspetto in noi stessi. Provate a vedere se vi sembra che ci sia un “io” concreto che è sempre disinvolto e non influenzato da quello che facciamo o da quello che accade. Non ce ne liberiamo semplicemente pensando che è stupido pensare in questo modo.

(2) Un altro aspetto è che ci sembra di essere sempre gli stessi – siamo unici. “Sii qualcuno in questo mondo. Trova te stesso. Sii te stesso. Sii sempre fedele a te stesso.” La nostra società e la nostra famiglia ci dicono queste cose. È radicato nella nostra cultura. Cosa c’è dietro? Il senso che siamo sempre lo stesso “io,” che è il vero, unico “io.” Se non abbiamo trovato “noi stessi,” dobbiamo trovarli e rimanere sempre fedeli a loro. È strano. Pensateci. È basato dottrinalmente e radicato psicologicamente ad un livello profondo. Inoltre, per favore tenete a mente che tutti questi pensieri in genere avvengono ad un livello inconscio.

(3) La terza caratteristica è che questo “io” apparentemente solido sembra essere separato dalla nostra esperienza. “Resta sempre giovane e bello.” Questo implica che potrebbe esserci un “io” che è separato dallo stare male o dall’invecchiare e che potrebbe essere sempre giovane e stare bene. Quando ci svegliamo la mattina e siamo mezzi addormentati e i nostri capelli sono arruffati e ci guardiamo allo specchio, pensiamo: “Questo non sono io.” Questo implica che ci sia un “io” separato da questo che ha un aspetto differente. Sulla base di questa convinzione, facciamo apparire questa palla di carne con i capelli che ne spuntano fuori come il vero “io.” Allora pensiamo: “Ecco, questo sono io! Prima non ero me stesso,” siamo condizionati dalla nostra famiglia, società eccetera a comportarci in questo modo. Diciamo: “Oggi non sono me stesso.” Beh, e allora chi siamo? Diciamo anche: “Non riconoscevo me stesso.” Ci sembra che sia veramente così. È un peccato che siamo inconsapevoli del fatto che non esistiamo realmente in quel modo. Pensiamo che questo sia davvero come siamo.

(4) Ci viene anche detto sempre di avere tutto sotto controllo. Freud c’insegna che c’è un super-io. È una strana idea. C’è un “io” dentro di me che controlla un altro “io” che deve essere controllato. Quindi ci sono due “io.” È come se dicessimo: “Non ho dato il permesso a me stesso di divertirmi ultimamente, ma ora posso lasciar andare.” Se ci pensiamo su, è davvero strano. Un “io” dà il permesso ad un altro “io” di divertirsi. Psicologicamente questo diventa profondamente radicato e crea molti problemi. Questi sono diversi aspetti dell’inconsapevolezza avente una base dottrinale riguardo al modo in cui esistiamo.

Poi c’è l’inconsapevolezza che sorge spontanea riguardo al modo in cui esistiamo. Questa sorge perché automaticamente ci sembra d’esistere in modi impossibili. È parte integrante della nostra esperienza individuale e soggettiva delle cose. Andiamo a vedere le caratteristiche dell’io concreto che è l’oggetto di questa inconsapevolezza che sorge spontanea. Possiamo comprenderlo da alcuni esempi.

(1) Sembra come se ci fosse un “io” che non è influenzato da nulla, è statico. “Mi sono fatto male, ma eccomi qui, sono intatto.” Ci sembra proprio così. Siccome non ingrassiamo immediatamente, inconsciamente pensiamo: “Posso mangiare questo biscotto senza avere conseguenze.”

(2) Sempre esattamente lo stesso. Non ci sembra che “l’io” che è andato a dormire ieri notte sia lo stesso “io” che si è svegliato stamattina? “Sono andato a dormire e ora mi sono svegliato. Eccomi di nuovo qui.” Lo stesso “io.” Appare semplicemente in questo modo, automaticamente.

(3) Sembra che ci sia un “io” separato dalla mia esperienza o dai miei aggregati. “Mi sono fatto male alla mano.” Pensateci. Non vi sembra come se ci fosse un “io” separato dalla nostra mano? L’io che si è fatto male alla mano sembra esistere solidamente separato dalla mano allo stesso modo in cui “l’io” che ha mangiato la torta sembra esistere solidamente separato dalla torta. Appare automaticamente in questo modo. “Mi sento terribilmente male.” Sembra che ci sia un “io” che è separato dall’esperienza del male. Automaticamente sembra come se ci fosse un qualche “io” separato.

(4) Inoltre automaticamente pare esserci un “io” che è il capo. Perché? Perché c’è una voce dentro la nostra testa che dice: “Cosa devo fare adesso?”

Questo è il primo anello del sorgere dipendente. È il catalizzatore principale per tutto questo processo del samsara, questa inconsapevolezza riguardo al modo in cui esistiamo – sia quella avente una base dottrinale che quella che sorge spontanea. Ce l’abbiamo tutti. Non dobbiamo pensare che soltanto quegli stupidi laggiù ce l’abbiano; noi l’abbiamo! Avere questa confusione non significa comunque che siamo stupidi. È naturale averla. Fa parte dell’esperienza. Sembra proprio così! Tuttavia, non corrisponde alla realtà. Quando non comprendiamo questa cosa, ci caschiamo e ci crediamo.

Per questa sera ci fermiamo qui e domani esploreremo come questa inconsapevolezza riguardo al modo in cui noi stessi e gli altri esistono perpetui il samsara. Il punto importante per questa sera è che questo primo anello non tratta qualcosa di teorico e di astratto. È fondamentale per tutti noi. Ce l’abbiamo tutti. È l’esperienza più comune che facciamo ogni giorno. Accompagna il nostro modo di provare le cose, sia che ne siamo consapevoli oppure no.

Domande riguardo al modo in cui “l’io” esiste

Domanda: Potresti dire qualcosa di più riguardo alle caratteristiche dell’inconsapevolezza di come “l’io” esiste?

Risposta: Quando diciamo: “Mi sono fatto male alla mano,” è come se ci fosse un “io” che è separato da qualcosa di diverso da se stesso che possiede, e che ora gli ha fatto male. Diciamo “Ora vado al supermercato,” come se prendessimo un “io” che è separato da tutto questo e lo gettassimo nell’esperienza di andare al supermercato.

È davvero importante lavorare con tutte queste cose. Queste caratteristiche del non essere influenzato, dell’essere uno e unico e dell’essere separato parlano della stessa cosa, un “io” apparentemente concreto. Un altro esempio è qualcuno che è stato maltrattato e picchiato, che pensa: “Puoi ferire il mio corpo, ma non puoi ferire me.” Allo stesso modo, una prostituta potrebbe pensare: “Puoi avere il mio corpo, ma non puoi avere me.” Una persona di bell’aspetto potrebbe pensare: “Voglio qualcuno che mi ami per come io sono e non soltanto per il mio corpo.” Quello che è veramente ingannevole è che sentiamo sia proprio così; ci sembra di esistere come un’entità solida.

Domanda: Come potremmo dire di essere stati picchiati in un modo che non implichi una separazione?

Risposta: C’è semplicemente l’esperienza di venire picchiati. Per esempio, qualche minuto fa, c’era l’esperienza di guardare la televisione. Ora c’è l’esperienza di vedere mio padre che entra nella stanza, l’esperienza di sentirlo gridare, l’esperienza di lui che mi picchia e mi dice di smettere di guardare la televisione e di cercarmi un lavoro. Poi c’è l’esperienza del vedere mio padre uscire dalla stanza e l’esperienza del vedere la televisione mentre si prova dolore. Questo è tutto quello che è successo.

Se avessimo voluto mettere insieme tutte queste esperienze e riferirci all’intera esperienza, diremmo che si riferisce a “me.” È un’esperienza individuale e soggettiva di una sequenza di eventi connessi. Cosa sta succedendo mentre pensiamo: “Sta picchiando il mio corpo, ma non può veramente toccarmi. Non lascerò che io senta il dolore e la rabbia. Sarò un vero uomo”? Tutto quello che sta accadendo è il pensare questi pensieri.

Solo perché pensiamo qualcosa, questo non significa che ciò corrisponda alla realtà. Possiamo anche provare cose che non necessariamente corrispondono alla realtà. Tutto quello che sta accadendo è il sentire, il pensare e l’esperienza. Il punto è di non farne una gran questione. È accaduto per via di cause e circostanze da parte mia e anche da parte di mio padre. Qualsiasi cosa siamo in grado di cambiare, la cambiamo. Aggiungiamo altri ingredienti al minestrone karmico che sta influenzando quello che succede. Quando ci sentiamo come una vittima solida, beh, possiamo sentirci in questo modo, ma questo non è veramente il modo in cui stanno le cose.

Domanda: Se ho mal di testa, è la somma totale di tutti i miei momenti precedenti? Eppure allo stesso tempo, ogni momento è nuovo. Come possiamo mettere d’accordo queste due cose?

Risposta: L’intero processo di come il karma matura è estremamente complicato. Lo discuteremo in parte domani. Fondamentalmente, tutte le varie azioni che abbiamo fatto con qualche livello di motivazione, sia positiva che negativa, risultano in un potenziale per provare questo o quello o per provare felicità o infelicità. C’è un numero infinito di potenziali. La questione è quali verranno attivati ad ogni particolare istante per dar luogo a questa o a quella esperienza, questo o quell’umore. Quello che facciamo ora può fornire le circostanze per attivare il potenziale per provare qualcosa di spiacevole o qualcosa di piacevole. Se iniziamo a pensare che siamo la povera vittima, certamente questo attiverà il potenziale di essere infelici, vero? Se pensiamo alla situazione dell’essere picchiati come al risultato di molti fattori differenti, potrebbe non attivare un potenziale del sentirsi contentissimi, ma la nostra esperienza dell’essere picchiati cambia. Comprendere la situazione e avere pazienza accumula un potenziale per essere in grado di ripetere questa comprensione e questa pazienza in maniera più forte in futuro.

Domanda: C’è questa idea New Age del dover trovare “noi stessi.” Questo non potrebbe contribuire alla confusione?

Risposta: Una volta, un amico mi ha mandato una cartolina sui cui c’era un immagine di un giovanotto che va in montagna con gli scarponi e tutta l’attrezzatura. Sul sentiero, incontra qualcuno che aveva esattamente lo stesso aspetto, ma vestito con un abito a tre pezzi e una borsa porta documenti. La didascalia era stata modificata dal mio amico e diceva: “Mentre faceva trekking sull’Himalaya, Alex ha trovato se stesso.”

L’idea che dobbiamo trovare noi stessi non è caratteristica solo del movimento New Age. Un grandissimo psicologo occidentale, Erik Erikson, ha parlato della crisi d’identità alla fine dell’adolescenza. In effetti, è stato lui a coniare il termine crisi d’identità. Le persone hanno bisogno di definire un’identità separata da quella dei loro genitori e della loro famiglia e questo può essere molto stressante. È molto importante per la nostra salute psicologica risolvere questa crisi.

In ogni caso, dobbiamo differenziare quello che nel Buddhismo chiamiamo “l’io” convenzionale dal falso “io.” L’io convenzionale esiste. È necessario avere un senso dell’io convenzionale che è in grado di funzionare in questo mondo. È importante essere introspettivi e riuscire a conoscere noi stessi, comprendere i nostri talenti, i nostri punti forti, i nostri punti deboli, i nostri bisogni, le nostre limitazioni e così via, per poter funzionare in maniera salutare. Questo non è lo stesso di trovare noi stessi, un “io” solido che non cambierà mai, che è unico e così via. Quando si attraversa una crisi d’identità, è importante fare questa distinzione. Non è necessariamente alla fine dell’adolescenza. Può accadere in qualsiasi momento della nostra vita.

Inoltre c’è una differenza tra la coscienza di sé e la consapevolezza di se stesso. “Preoccupato di se stesso” è quello che gli adolescenti provano quando hanno la faccia piena di brufoli e pare loro che tutti li stiano a guardare. In effetti, probabilmente nessuno li sta a guardare, perché a nessuno interessa veramente. Questa è una pillola amara da inghiottire. Tutti gli altri sono preoccupati per i loro problemi personali, non sono interessati ai nostri. La coscienza di sé ruota intorno a questo falso “io” apparentemente solido.

La “consapevolezza di se stesso” è l’essere consapevoli delle nostre motivazioni, di quello che proviamo, è l’essere coscientemente consapevoli di quello che succede dentro di noi ad ogni istante. È focalizzata intorno all’io convenzionale e su quello che sta realmente accadendo. Se trovare noi stessi o imparare a conoscere noi stessi significa diventare consapevoli di noi stessi in maniera tale che siamo consapevoli delle nostre motivazioni e siamo consapevoli quando abbiamo emozioni disturbanti, allora questo è molto salutare. Ma dobbiamo fare attenzione che questo non si riversi nella preoccupazione verso se stessi e nel narcisismo e diventi l’unica cosa su cui ci concentriamo fino al punto che non ci interessa nessun altro. D’altro canto, se trovare noi stessi significa cercare di scoprire l’oggetto della coscienza di sé come se quello fosse il nostro vero “io,” allora questo non è affatto salutare.

Potremmo non sapere veramente quale sia la nostra motivazione, oppure pensare che sia una mentre invece è un’altra. Questo tipo d’inconsapevolezza non è quello di cui stiamo parlando nel primo anello dell’origine dipendente. Piuttosto, stiamo parlando dell’inconsapevolezza di come esistiamo – come se esistessimo separatamente, sempre esattamente gli stessi, unici, per nulla influenzati da alcunché, e come se fossimo il capo.

Quando la nostra esperienza delle cose è intrisa di questa confusione, incontriamo problemi ogni volta che facciamo l’esperienza di qualcosa. Per esempio, anche solamente incontrandoti e vedendoti, incontrerei un problema. Perché faccio questa esperienza di un problema? Perché sembra come se ci fosse un “io” solido dentro di me e penso che questo “io” solido dovrebbe ricevere attenzione e venire amato da tutti. Quindi, quando ti incontro, sono veramente preoccupato e assorto in pensieri del tipo: “Mi presterà veramente attenzione? Le piaccio veramente?” Tutta l’interazione diventa piena di problemi e inconsapevolezza. E tutto questo ruota intorno al credere in questo “io” solido. Sentiamo che sia così. Per questo ci crediamo. Tutto quello che sta davvero accadendo è che ti sto vedendo, sto parlando e interagendo con te. Tutto qui. Comprendere questo primo anello è veramente essenziale. È la chiave per riuscire a fermare tutto il processo samsarico attraverso cui creiamo problemi a noi stessi.

Secondo giorno: i primi sette anelli

Riepilogo

Iniziamo riaffermando la nostra motivazione, lo scopo per cui siamo qui. Siamo qui per imparare di più riguardo al modo in cui perpetuiamo i nostri problemi e le nostre difficoltà nel samsara da una vita all’altra; e facciamo questo in modo da comprendere quello che accade nella nostra esperienza e pian piano eliminare l’inconsapevolezza dalla nostra esperienza delle cose. Come risultato, possiamo eliminare i problemi e le difficoltà dalla nostra esperienza della vita, non soltanto per avere noi stessi felicità duratura, ma anche per essere in una posizione migliore per portare felicità duratura agli altri.

Ieri sera abbiamo parlato di come nel Buddhismo la mente si riferisca ad un’attività che va avanti senza sosta, senza inizio e senza fine. È l’attività mentale dell’esperienza delle cose ed è un’esperienza individuale e soggettiva delle cose. Qui non stiamo parlando di esperienza nel senso di eventi che si accumulano uno dopo l’altro. Né stiamo parlando di esperienza nel senso di eventi emotivi, del tipo: “Ieri ho avuto una grande esperienza.” E l’esperienza non deve neanche essere necessariamente conscia. Quando dormiamo, generalmente non siamo consci di essere addormentati, eppure facciamo l’esperienza d’essere addormentati. Qualcosa sta succedendo. È di questo che stiamo parlando. Vedere, udire, odorare, gustare, provare e pensare sono tutti modi di avere esperienza delle cose. Dormire, sognare, nascere e morire sono tutti esempi dell’esperienza di qualcosa. Anche se siamo in coma, continuiamo ad avere esperienza di qualche cosa: dello stato di coma.

Questa esperienza delle cose è individuale e soggettiva. La mia esperienza nel vedere lo stesso film che state vedendo anche voi è diversa dalla vostra esperienza nel vederlo. La nostra esperienza ha una continuità ininterrotta, che non nasce semplicemente dal nulla al momento del concepimento e non finisce senza un successivo momento di continuità al momento della morte. Non ha assolutamente alcun senso affermare che dal niente possa derivare l’esperienza di qualche cosa e che l’esperienza di qualche cosa possa divenire un niente. Quindi siamo portati alla conclusione che questa esperienza individuale e soggettiva delle cose non ha né inizio né fine. Questo significa che c’è una continuità di vite, la rinascita.

La nostra esperienza delle cose può essere intrisa di confusione oppure può essere libera dalla confusione. Quando è intrisa di confusione abbiamo il samsara, l’incontrollabile ricorrenza delle rinascite. La nostra esperienza delle cose è piena di problemi di vario genere. Quando la nostra esperienza delle cose è priva d’inconsapevolezza, siamo liberi dal samsara. Una volta che siamo liberi dall’inconsapevolezza in maniera tale che non si ripeta mai più, la continuità della nostra esperienza delle cose continua ad andare da una vita all’altra, ma non è più sotto il controllo dell’inconsapevolezza. Se stiamo lavorando alla volta dell’illuminazione o se siamo già illuminati, questa continuità è guidata dalla compassione. La forza motrice per la continuità dell’esperienza delle cose nel samsara è la spinta a cercare di rendere esistente un “io” apparentemente solido e a metterlo al sicuro. Vogliamo continuare a vivere. Quando siamo liberi dalla confusione, la forza motrice per continuare a vivere è il desiderio d’aiutare gli altri.

L’inconsapevolezza, ovvero il primo anello dell’origine dipendente, è l’inconsapevolezza del modo in cui noi e gli altri esistono – in primo luogo il modo in cui noi esistiamo. Ci sembra come se esistessimo come una sorta di “io” concreto, solido. Ma non sappiamo che in realtà questo è soltanto un’apparenza o una sensazione che non corrisponde alla realtà. Oppure pensiamo che corrisponda alla realtà. Questa inconsapevolezza ci rende storditi. La nostra mente non è chiara riguardo al modo in cui esistiamo e così siamo insicuri di noi stessi e indecisi. Essendo insicuri di noi stessi, ci afferriamo ostinatamente a qualsiasi cosa abbiamo deciso per poter acquistare un po’ di sicurezza. Siccome siamo insicuri di come esistiamo e sentiamo d’essere un “io” concreto, vogliamo mettere al sicuro questo solido “io” immaginario. In effetti, la nostra intera vita è spinta dall’impulso a cercare di mettere al sicuro questo solido “io.” Quest’impulso raggiunge il massimo al momento della nostra morte. Vogliamo disperatamente che questo solido “io” continui ad esistere, a qualsiasi costo. Questa è la forza motrice che ci porta ad un’altra rinascita con la continua inconsapevolezza del modo in cui esistiamo.

Abbiamo visto ieri che questa confusione riguardo al modo in cui esistiamo ha due livelli. C’è l’inconsapevolezza avente una base dottrinale e l’inconsapevolezza che sorge spontanea. L’inconsapevolezza avente una base dottrinale è qualcosa che impariamo. La sua forma autentica viene acquisita mediante concetti che abbiamo appreso ed accettato da uno dei sistemi di principi non-buddhisti indiani. Una forma analoga può nascere dal condizionamento della nostra famiglia, società, televisione, varie ideologie, propaganda, pubblicità e così via. Questo condizionamento porta a delle nevrosi profondamente radicate in noi. L’inconsapevolezza che sorge spontanea non è qualcosa che ci deve venire insegnata da qualcuno o che acquisiamo sotto l’influenza di qualcuno. Tutti ce l’hanno, tutto il tempo, semplicemente a causa della maniera limitata in cui la nostra attività mentale fa apparire le cose. Le fa apparire come se noi esistessimo come un solido “io,” il cosiddetto falso “io,” e abbiamo la sensazione che sia proprio così.

Abbiamo visto che se volessimo descrivere questa sensazione di un solido “io,” la descriveremmo come avente tre caratteristiche: la sensazione superficiale del modo in cui esistiamo è che ci sia un solido “io” che non è influenzato da quanto accade, è sempre uno e lo stesso, ed è un’entità separata dalla nostra esperienza. Sulla base di queste tre caratteristiche, ce n’è una più sottile. Anche se in realtà la spiegazione di questa sottile forma d’inconsapevolezza è molto più profonda e complicata, spesso viene spiegata in una maniera semplificata. Abbiamo la sensazione che questo tipo di “io” sia il capo che controlli quanto sta avvenendo. È l’osservatore, colui che prende le decisioni, il controllore che deve avere tutto sotto controllo o che altrimenti è fuori controllo.

Abbiamo visto alcuni esempi di questa confusione riguardo al modo in cui esistiamo. In termini d’inconsapevolezza avente una base dottrinale, ci viene detto, per esempio, e pensiamo: “Sii solo te stesso. Sii fedele a te stesso.” Questo è del tutto logico per noi. Essere noi stessi significa non essere influenzati ed essere separati da qualsiasi situazione. Allo stesso modo, ci viene detto di essere unici e di trovare noi stessi – un sé che sarà sempre lo stesso, qualsiasi cosa succeda.

Questi tre aspetti si sovrappongono. Noi proviamo queste cose: “Sono separato dalla mia esperienza, ma quando faccio un’esperienza, devo essere me stesso, unico, sempre lo stesso.” Questo tipo di “io” solido ha bisogno d’avere tutto sotto controllo. Ci viene detto: “Controllati.” “Non lasciare che nessuno ti calpesti.” “Tieni tutto sotto controllo.” Queste cose sono profondamente radicate. Ci diciamo: “Devo proteggermi per non venire ferito,” come se ci fosse una piccola entità qui dentro di noi e un’altra entità separata, anch’essa dentro di noi, ma dall’altra parte, che deve proteggere la prima affinché non venga ferita. Se andiamo a vedere questa cosa, possiamo vedere come è questa la fonte della nostra preoccupazione verso noi stessi, ansia, nervosismo e così via. Tutte queste cose si moltiplicano a partire da questa inconsapevolezza. “Devo fare una bella figura, perché se non lo faccio, gli altri vedranno il mio vero io.” Tutto ciò si basa sull’idea che ci sia un “io” reale. Oppure diciamo: “Dici che mi ami, ma non conosci il mio vero io. Se lo conoscessi, non mi ameresti.” Di conseguenza, non possiamo accettare che qualcuno ci ami. Oppure torniamo dal lavoro, ci togliamo le scarpe e pensiamo: “Ah, ora sì che posso essere me stesso.” È strano, non trovate?

L’opposto di questo è l’esperienza delle cose da un momento all’altro con la consapevolezza della nostra motivazione e di ciò che accade alle altre persone e, con compassione, l’astenersi dal comportarsi in maniera nociva. Semplicemente agiamo, comunichiamo, ci relazioniamo, proviamo emozioni e facciamo esperienza delle cose da un momento all’altro, senza coscienza di sé e senza elaborare nulla oltre alla pura e semplice esperienza.

Il problema è che sentiamo come se ci fosse un “io” solido nella nostra esperienza. Questa è l’inconsapevolezza che sorge spontanea. Ci sembra automaticamente che ci sia un “io” solido che non è influenzato da nulla. Mangiamo un pezzo enorme di torta al cioccolato e siccome non ci troviamo subito ingrassati nel momento successivo, ci diciamo: “Non ne risentirò. Non c’è nulla che può ripercuotersi su di me.” Andiamo a dormire e, quando ci svegliamo la mattina, abbiamo questo senso di: “Eccomi di nuovo qui!” Lo stesso “io,” sempre lo stesso.

Sembra come se fossimo separati da quello che ci accade perché possiamo dissociarci dalle nostre esperienze. Mi ricordo una volta in cui sono caduto su un sentiero cementato e mi sono rotto alcune costole. C’era un’esperienza molto forte di un “io,” separato da quell’esperienza, che non voleva avere nulla a che fare con essa. Quando il nostro partner inizia a gridare o a piangere, spesso ci dissociamo completamente. Ci sembra davvero come se ci fosse un “io” separato che non vuole fare l’esperienza di quello che sta succedendo. La mattina dopo una sbronza, diciamo a noi stessi: “Ieri notte non ero me stesso.” Oppure a volte diciamo automaticamente, “Non sto bene; non mi sento molto me stesso oggi.” E c’è questa vocina nella nostra testa che ce lo ripete tutto il tempo. Sembra davvero come se quella voce fosse la voce di questo “io” solido, il controllore, che ovviamente è separato da quello che sta succedendo perché sta continuamente commentando. Questa voce nella nostra testa rende il fenomeno del preoccuparsi ancora più concreto. Rinforza la nostra confusione. È automaticamente lì. Non abbiamo bisogno d’imparare a farlo.

È questo che è così terribile del samsara: questa inconsapevolezza del modo in cui esistiamo si auto-perpetua a causa del meccanismo che sorge automaticamente e che la rafforza. Più comprendiamo quello che sta succedendo e più proviamo disgusto. È come pensare che la nostra situazione in ufficio vada bene e poi scopriamo che il nostro capo è disonesto. Quando scopriamo la frode, ne siamo disgustati. Sviluppiamo la determinazione ad esserne liberi. Questo viene normalmente chiamato “rinuncia.” È la determinazione ad essere liberi dal samsara e la completa disponibilità ad abbandonarlo.

Nel “Dharma light,” il nostro atteggiamento è quello di pensare “Voglio essere libero,” ma non pensiamo di dover abbandonare nulla. Dharma light è come la Coca Cola light: è deliziosa ma non è “quella vera.” Non c’è nulla di male con il Dharma light, può essere utile, ma dobbiamo andare oltre. Per liberarci dai nostri problemi, dobbiamo abbandonarli. Dobbiamo abbandonare l’inconsapevolezza che li causa e le abitudini e gli schemi di comportamento che rafforzano la nostra inconsapevolezza.

[Vedi: Dharma “light” vs. “il vero” Dharma.]

Un’analisi più approfondita dell’anello dell’inconsapevolezza

Se andiamo a vedere più in dettaglio questo primo anello, ci stiamo concentrando sull’io convenzionale e lo stiamo apprendendo in maniera erronea, come se esistesse come un falso “io” – separato, non influenzato da nulla, sempre identico, il capo. È come un bambino che si concentra sul rumore del gatto sotto il letto e lo apprende come il rumore di un mostro là sotto. Il bambino sente veramente che c’è un mostro sotto il letto e si spaventa. Non è del tutto immaginario. C’è una base. C’è davvero un gatto sotto il letto. Allo stesso modo, c’è un “io” convenzionale, ma il modo in cui lo percepiamo e il modo in cui ci appare non corrispondono al modo in cui in realtà esiste.

Volendo usare un termine semplice, questo “io” convenzionale è un’astrazione. Tutto quello che sta succedendo è la nostra esperienza individuale e soggettiva d’ogni istante: svegliarci, lavarci i denti, fare colazione e così via. Se vogliamo radunare insieme tutti questi momenti e dare loro un nome, potremmo chiamarli “io.” Ma questo “io” convenzionale non è qualcosa di solido, è solo un’astrazione per radunare insieme tutti i momenti della nostra esperienza delle cose. In termini tecnici, è un’imputazione mentalmente designata sulla continuità ininterrotta dei momenti della nostra attività mentale individuale e soggettiva.

Per esempio, cos’è una linea sul monitor di un computer? Una linea è qualcosa che ci sembra solida, ma se andiamo a guardare bene, è soltanto una serie di punti o pixel messi insieme. Una linea è soltanto un’astrazione per indicare una serie di punti. Non esiste veramente come una linea solida. La stessa cosa vale per la nostra esperienza. Ogni momento è come un punto, che poi viene radunato con altri e chiamato “me” e “mia vita.” Come la linea sul monitor di un computer, sembra solida ma non lo è. La linea esiste, ma non esiste come qualcosa di solido e indipendente da una serie di punti. Allo stesso modo, noi esistiamo; ma non esistiamo come qualcosa di solido e separato da una serie di momenti della nostra esperienza. Ci vuole molto tempo per digerire questa cosa. È molto importante iniziare a lavorarci su.

In ogni momento della nostra vita, stiamo percependo l’io convenzionale, che non è solido, e lo apprendiamo come se fosse solido. Questo è il primo passo che crea i nostri problemi: ci fissiamo sull’ io che esiste, che è una mera astrazione, eppure ci sembra che non esista come tale. L’inconsapevolezza e la confusione che accompagnano ogni istante della nostra attività mentale fanno sì che appaia come qualcosa di solido. Lo percepiamo in questo modo e ci convinciamo che, davvero, esista come qualcosa di solido. Questo ci rende ancora più confusi e ci sentiamo insicuri a questo proposito.

Una prospettiva ingannevole su una rete transitoria

Dunque sorge un atteggiamento disturbante del tutto fondamentale che accompagna la nostra esperienza delle cose. In gergo tecnico, viene chiamato “una prospettiva ingannevole su una rete transitoria (‘ jig-lta). Questo atteggiamento mira alla nostra esperienza. Più precisamente, mira ad una particolare configurazione dei cinque aggregati che compongono ogni istante della nostra esperienza, prendendola o considerandola come “l’io” solido, falso. In parole povere, è l’atteggiamento fuorviante con cui ci identifichiamo solidamente con un particolare momento della nostra esperienza, che sia un umore, un evento o qualsiasi altra cosa. A differenza dell’inconsapevolezza di come una persona esiste, che può essere la confusione riguardo al modo in cui noi esistiamo oppure riguardo al modo in cui gli altri esistono, una prospettiva ingannevole verso una rete transitoria riguarda soltanto il modo in cui noi esistiamo.

“Transitoria” vuol dire che il contenuto della nostra esperienza cambia tutto il tempo: la nostra esperienza è fatta di molte parti mutevoli. La prospettiva ingannevole prende la configurazione delle parti che costituiscono una certa esperienza, e la considera come parte costituente di una solida identità per un “io” solido. Non soltanto facciamo questa cosa per qualsiasi configurazione degli elementi che costituisce la nostra esperienza, ma inoltre scambiamo un’identità di noi stessi con un’altra durante il corso di una giornata. A volte ci identifichiamo con qualcosa che dura solo pochi istanti, come l’udire il suono delle parole d’un insulto. Ci sentiamo insultati e, identificandoci con questa esperienza, abbiamo la sensazione: “Mi hai appena insultato.” Possiamo anche identificarci con qualcosa di cui facciamo esperienza per un lungo periodo di tempo, come l’essere giovane, vecchi, un uomo, una donna, sposato, single e così via.

La prospettiva ingannevole su una rete transitoria ha due aspetti, che vengono spesso tradotti come riguardanti la nostra esperienza in termini di “io” e “mio.” Sulla base del sentire e del credere che esistiamo come un “io” solido, non soltanto a volte ci identifichiamo con quello che sperimentiamo come “io,” ma inoltre a volte identifichiamo ciò che sperimentiamo come essere la proprietà di quell’io solido. È “mio.” Per esempio, possiamo credere che non soltanto esistiamo solidamente come una persona sexy, ma possiamo anche credere che il nostro corpo sia la proprietà di quel sexy “io.” È un’ulteriore solidificazione del nostro cosiddetto falso “io,” poiché ora ci sono degli oggetti che esso possiede, controlla e può usare a suo piacimento. Nel caso del corpo, c’è un luogo in cui questo “io” solido abita. Oppure, facciamo l’esperienza del mettere al mondo dei bambini e dunque basiamo la nostra identità sul fatto d’essere un genitore. Allora sentiamo veramente che “i miei bambini mi appartengono,” come se fossero di nostra proprietà e spettasse a noi controllarli.

Secondo l’interpretazione Ghelug Prasanghika, la prospettiva ingannevole verso una rete transitoria si concentra sull’io convenzionale, piuttosto che sugli aggregati. Come gli aggregati, l’io convenzionale è anch’esso transitorio ed è anche una rete di molti momenti e aspetti. Questa prospettiva ingannevole riguarda “l’io” che esiste convenzionalmente come un “io” solido avente la solida identità degli aggregati, oppure come un possessore solido che possiede gli aggregati come “ miei.”

Altre emozioni ed atteggiamenti disturbanti

Una volta che iniziamo a pensare all’ io come se avesse una solida identità e come se fosse un solido possessore delle cose e quindi iniziamo a considerare questi due come se fossero solidamente “miei,” sviluppiamo molte altre emozioni ed atteggiamenti disturbanti. Queste ci motivano ad affermare la nostra identità, a dimostrare questa identità, perché l’inconsapevolezza che l’accompagna continua a renderci insicuri. Spesso il processo è del tutto inconscio. Per esempio, potremo pensare inconsciamente: “Sono una madre. Possiedo questi figli come ‘miei’. Devo ricevere la loro attenzione e la loro obbedienza. Devono essere come io li voglio, perché sono ‘miei’. Soltanto allora sarò una buona madre. Devo difendere la mia identità come genitore dicendo loro quello che devono fare; altrimenti, non comando veramente come madre o padre. Questa è tutta la mia identità.”

L’attaccamento o l’avidità è accumulare qualcosa che speriamo dia un fondamento alla nostra solida identità come genitori, per esempio l’obbedienza. Ci arrabbiamo e vogliamo liberarci da qualsiasi cosa che pensiamo possa minacciare la nostra solida identità come genitori, per esempio la disobbedienza. Se siamo davvero arrabbiati, potremmo addirittura picchiare i nostri figli, tanto è grande la minaccia che deriva dalla loro disobbedienza.

Tutto questo avviene insieme all’emozione disturbante che mi piace tradurre come “ingenuità” (gti-mug, sct. moha). L’ingenuità è una sottocategoria dell’inconsapevolezza. L’inconsapevolezza può accompagnare qualsiasi momento della nostra esperienza, mentre l’ingenuità è l’inconsapevolezza che accompagna soltanto i momenti di comportamento distruttivo – pensiero, parole o azioni distruttive. Ingenuità non è forse la traduzione migliore per questo termine, ma ancora non mi è venuto in mente nulla di meglio. In passato, lo traducevo come “ristrettezza mentale,” ma la ristrettezza mentale enfatizza soltanto l’aspetto ostinato dell’inconsapevolezza. “Ingenuità” è un termine più vasto. Implica anche in modo opportuno innocenza, perché il concetto dell’essere cattivi o colpevoli quando agiamo in maniera distruttiva è del tutto alieno al Buddhismo.

Come con l’inconsapevolezza, l’ingenuità può riguardare la causa ed effetto comportamentali e il modo in cui noi, gli altri e qualsiasi cosa esiste. Nel nostro esempio, c’è l’ingenuità riguardo all’essere un genitore che ha bisogno d’essere obbedito. Ci sembra come se il nostro stesso valore derivasse dall’essere un genitore. C’è ingenuità nei confronti del bambino e ingenuità riguardo agli effetti del nostro comportamento, per esempio se pensiamo che picchiare il bambino farà sì che ci obbedisca. Sottostante all’intero scenario c’è l’ingenuità che un “io” solido possa valere qualcosa soltanto in base al modo in cui si comporta il bambino che esso possiede.

Ecco un altro esempio: facciamo l’esperienza del vedere nostro figlio seduto davanti alla televisione. Sorge un’emozione disturbante: “Devo essere un genitore che ha un figlio molto bravo. Questo bambino è la mia proprietà, lo possiedo come ‘mio’ e la mia identità dipende dall’essere un buon genitore. Devo riuscire a far sì che il bambino smetta di disobbedirmi e che mi obbedisca per potermi sentire sicuro di me stesso.” Questi pensieri possono essere consci o inconsci. Generalmente sono inconsci.

Così sorge l’impulso di dire qualcosa al bambino. Attaccati al desiderio che ci obbedisca, dobbiamo dirgli di fare qualcosa, anche se non c’è nulla da fare. “Smetti di guardare la televisione e ascoltami!” Qui ci potrebbe anche essere della rabbia. “Cosa stai facendo, pigrone! Trovati un lavoro! Metti su famiglia (per farmi sentire sicuro, perché i miei amici mi chiedono perché mio figlio non si sia ancora sposato)!” Quando sorge la sensazione e l’impulso di dire o fare qualcosa, allora agiamo di conseguenza. Diciamo qualcosa di brusco oppure picchiamo il bambino perché viviamo quello che sta facendo come una minaccia nei nostri confronti. Inoltre, siamo ingenui riguardo al modo in cui il bambino reagirà.

Sintesi

Il primo anello è l’inconsapevolezza del modo in cui noi e gli altri esistono. Pensiamo di esistere come un “io” solido e pensiamo che gli altri esistano come un solido “tu.” Questa inconsapevolezza è sia quella avente una base dottrinale sia quella che sorge automaticamente. Sorge automaticamente perché abbiamo la sensazione che ci sia un “io” solido qui dentro e un “tu” solido là fuori.

Questo funziona per gradi successivi. Per prima cosa, c’è una sensazione di un “io” solido e di un “tu” solido. Poi c’è la prospettiva ingannevole su una rete transitoria in cui diamo un’identità solida a questo “io” solido, sulla base di ciò di cui facciamo esperienza. Sulla base di questo atteggiamento disturbante, questo modo distorto di vedere le cose, la nostra confusione diventa sempre più profonda. Questo fa sorgere emozioni ed atteggiamenti disturbanti. A causa di ciò, sorge l’impulso a pensare, parlare o agire in certi modi, seguito dalla spinta a comportarsi in questo modo. Quindi mettiamo in atto questa spinta con un impulso energetico in cui effettivamente diciamo o facciamo qualcosa. Questo manda avanti l’intero processo del samsara e ci porta al secondo anello dell’origine dipendente.

Dobbiamo riconoscere che l’intero processo ha luogo in termini dei nostri atteggiamenti disturbanti, principalmente verso noi stessi. Dobbiamo anche riconoscere che gli altri hanno la stessa inconsapevolezza che abbiamo noi. Non siamo unici. Inoltre, tutto questo processo generalmente avviene a livello inconscio. Non sappiamo neppure di avere questi atteggiamenti disturbanti profondamente radicati. Né le altre persone sanno di averli.

Il primo passo per uscire da questa situazione è essere coscienti di quello che sta succedendo. Ieri, abbiamo parlato dell’acquisire consapevolezza di se stessi. Questo è un aspetto molto importante nel prendere una direzione sicura o rifugio nel Dharma. Dobbiamo guardare dentro di noi e vedere cosa sta succedendo per trovare le cause dei nostri problemi e non dare la colpa dei nostri problemi agli altri. Abbiamo la tendenza ad incolpare gli altri per i nostri problemi, ma come recita il detto: “Il tango si balla in due.”

Se qualcuno ci fa un regalo e noi non lo accettiamo, a chi appartiene? Allo stesso modo, se noi facciamo un regalo ad un’altra persona e questa non lo accetta, a chi appartiene? Se qualcuno ci tira addosso ogni sorta di spazzatura in termini delle sue emozioni ed atteggiamenti disturbanti e noi ce la accolliamo tutta come se avessimo un bel guantone da baseball, non stiamo forse partecipando anche noi? Abbiamo accettato la spazzatura: “Sì, sono un cattivo genitore.” In qualsiasi relazione con gli altri che sia problematica, è importante notare che entrambe le parti stiano partecipando. È molto difficile far sì che l’altra persona smetta di tirarci addosso della spazzatura. Ma se non l’accettiamo e se sappiamo che proviene da un’inconsapevolezza profondamente radicata nell’altra persona, possiamo gestirla in una maniera emotivamente matura.

Questa è una procedura molto delicata. Stiamo qui seduti tranquilli a guardare la televisione e nostro padre entra e ci guarda male come se stesse dicendo: “Alzati e vai a fare qualcosa di buono!” Forse iniziamo a sentirci in colpa. Con un po’ di comprensione, potremmo realizzare che non c’è motivo per sentirsi in colpa. Anche se ci sentiamo in colpa, non saremmo convinti di essere veramente una cattiva persona. Ci vuole molto tempo per evitare che il senso di colpa sorga spontaneo. Psicologicamente, è profondamente radicato e sorge spontaneamente. Poi dobbiamo fare attenzione a non essere ingenui, negando la realtà di quello che nostro padre stia provando o il fatto che abbia qualcosa a che fare con noi. Potremmo entrare in una dimensione diversa della confusione identificandoci con l’idea che vada tutto bene e quindi arrabbiandoci perché nostro padre sta rovinando tutto.

Dobbiamo essere abbastanza sensibili da capire cosa nostro padre stia provando. Oltre a non accettare di sentirci in colpa e di essere cattivi, potremmo rispondere in un modo che sia d’aiuto per nostro padre. Dobbiamo osservarci in profondità. “Cosa sto facendo qui seduto davanti alla televisione? In effetti, sto solo qui a oziare?” Se stiamo soltanto oziando e sprecando il nostro tempo, dobbiamo essere sufficientemente maturi da riconoscerlo e ammetterlo davanti a nostro padre. Oppure, possiamo essere abbastanza maturi da spiegare che abbiamo studiato o lavorato duro tutto il giorno e stiamo facendo una pausa. Dobbiamo prendere sul serio l’altra persona e i suoi sentimenti e rispondere in maniera matura, una maniera che tenga in considerazione sia l’altra persona che noi stessi. Questo viene chiamato agire con “mezzi abili.”

Inoltre, dobbiamo rispondere con qualche coinvolgimento emotivo. Mi ricordo di quando tornai negli Stati Uniti per visitare la mia famiglia dopo i miei primi due anni passati in India. Mia sorella mi disse: “Sei così calmo che mi viene da vomitare!” Non stavo mostrando alcuna risposta emotiva forte a quello che stava succedendo. Andando nella direzione del Buddhismo, specialmente in termini dell’ottenere uno stato di calma, dobbiamo fare attenzione a non essere così calmi da rispondere agli altri in maniera impersonale.

La nostra introspezione non è soltanto in termini delle nostre motivazioni ed emozioni. Dobbiamo andare sempre più in profondità per portare alla luce la nostra fondamentale inconsapevolezza di fondo riguardo al modo in cui esistiamo. Questa è la base da cui sorge tutta la restante confusione. Se possiamo eliminare questa inconsapevolezza che sorge spontanea, tutta l’altra confusione smetterà di venire al seguito. Come disse il grande maestro indiano Shantideva: “Se non vedi con chiarezza l’obiettivo, non potrai colpire l’occhio del toro.” Anche se portare alla luce la nostra inconsapevolezza può essere piuttosto scioccante, è un primo passo necessario per iniziare a liberarcene. Non dobbiamo aspettarci che la nostra inconsapevolezza scompaia istantaneamente. Quello che possiamo sperare di ottenere sono suggerimenti e indicazioni di cosa andare a cercare quando ci impegniamo nel processo di introspezione.

Prendiamoci qualche minuto di tempo per riflettere su quello di cui abbiamo parlato. Non pensate a tutto questo solo come ad un impianto teorico. Cercate di metterlo in relazione alla vostra esperienza personale. Penso che tutti noi siamo capaci di riconoscere questa inconsapevolezza e questi nostri schemi comportamentali. Non abbiamo bisogno d’essere depressi per queste cose. Stiamo soltanto osservando l’obiettivo. Man mano che acquisiamo familiarità con esso, possiamo iniziare a vedere come funziona tutto il tempo in noi stessi e in altri.

Il secondo anello: gli impulsi incidenti

Questo ci porta al secondo anello dell’origine dipendente, che io chiamo “gli impulsi incidenti” (‘du-byed, sct. samskara). A volte viene tradotto con “formazioni karmiche.” Si riferisce ad un impulso karmico – in particolare ad un karma proiettante (‘phen-byed-kyi las) – che influenzerà le nostre vite future.

Nei sistemi di principi buddhisti indiani ci sono tre spiegazioni del karma e ognuna di esse spiega questo secondo anello in maniera leggermente diversa. Una spiegazione proviene dai due sistemi Hinayana Vaibhashika e Sautrantika, come viene comunemente spiegato in tutte e quattro le tradizioni tibetane. Accantoniamo questa spiegazione per quest’occasione. I sistemi Mahayana del Cittamatra e del Madhyamaka danno una spiegazione diversa. Sebbene le quattro tradizioni tibetane concordino su questo punto, la scuola Ghelug afferma che nel contesto del Madhyamaka, soltanto Svatantrika accetta questa spiegazione. Il sistema Prasanghika ha un suo modo distinto di presentare questo argomento, ma questo è accettato soltanto dalla scuola Ghelug.

Spiegazione Mahayana condivisa

Secondo l’affermazione Mahayana condivisa, il karma è esclusivamente un fattore mentale. È l’impulso mentale (sems-pa) che ci attira nella direzione di un certo oggetto. Poiché è sempre accompagnato da un’intenzione (‘dun-pa) di fare qualcosa con quell’oggetto oppure nei confronti di esso, il karma è ciò che ci attira nella direzione di un’azione. Più precisamente, è un impulso mentale che ci spinge verso un’azione nel momento precedente l’esecuzione effettiva di quell’azione, e che ci porta a dare inizio e a continuare quell’azione. L’impulso può essere karma mentale, verbale o fisico, a seconda del tipo di azione. Il karma, tuttavia, non è mai l’azione stessa. Possiamo chiamare il karma un “impulso karmico.”

Se una forte emozione o atteggiamento disturbante, oppure una forte emozione positiva, accompagna l’impulso karmico prima e durante un’azione, quell’impulso diventerà un karma proiettante. In parole povere, esso ha la forza di gettare o proiettare il nostro continuum mentale in una rinascita futura in uno specifico stato di rinascita. Altrimenti, è un karma completante (rdzogs-byed-kyi las), che ha soltanto la forza di completare le condizioni e i dettagli di quella rinascita. Il secondo anello dell’origine dipendente, gli impulsi incidenti, si riferisce agli impulsi karmici proiettanti.

La spiegazione Ghelug Prasanghika

Secondo il sistema Ghelug Prasanghika, la spiegazione del karma appena illustrata è valida soltanto per il karma mentale. Il karma che ci attira verso qualsiasi azione fisica, verbale o mentale, è sempre karma mentale – un impulso mentale. Il karma fisico e verbale si riferisce solo a impulsi di energia fisica durante e dopo azioni fisiche e verbali. La distinzione tra karma proiettante e karma completante è la stessa del sistema precedente, che è meno complesso. La distinzione viene fatta in funzione della forza dell’emozione o atteggiamento disturbante che accompagna l’impulso karmico.

Due tipi di impulsi energetici costituiscono il karma fisico e verbale in questo caso. In termini tecnici, essi vengono chiamati “forme rivelanti” (rnam-par rig-byed-kyi gzugs) e “forme non rivelanti” (rnam-par rig-byed ma-yin-pa’i gzugs). Per semplicità, li chiameremo “energia karmica grossolana e sottile.”

L’impulso karmico grossolano è l’energia karmica grossolana di un’azione fisica o verbale, equivalente all’azione stessa, che sia il movimento del corpo o il proferire distinto di sillabe attraverso la voce. Un esempio potrebbe essere l’impulso grossolano di energia che si ha quando un genitore autoritario picchia suo figlio o urla contro di lui. L’impulso karmico grossolano di energia è finito quando l’azione termina.

C’è anche un impulso sottile di energia karmica che accompagna l’azione, che non s’interrompe quando l’azione finisce. Continua successivamente come parte del nostro continuum mentale in forma di strascico fisico dell’esperienza. È un po’ come una vibrazione. Continua fintanto che abbiamo l’intenzione, consapevole o inconsapevole, di ripetere l’azione e non intendiamo abbandonarla.

Normalmente, pensiamo che le vibrazioni siano “là fuori.” “Posso sentire le tue vibrazioni.” Ma in questo caso stiamo parlando di una vibrazione come di qualcosa che dà forma alla nostra energia sottile, che accompagna il nostro flusso continuo di esperienza soggettiva ed individuale delle cose. Normalmente, ne siamo completamente inconsci. Se siamo molto tranquilli, può essere possibile avere un indizio di ciò di cui stiamo parlando. Se ci sedessimo in tranquillità subito dopo aver fatto una scenata e aver gridato, potremmo sentire che la nostra energia è inquieta. Il cuore batte velocemente, il sangue viene pompato con più forza nelle nostre arterie. Man mano che diventiamo più sensibili, possiamo sentirlo. L’energia sottile del corpo viene forgiata da ciò che abbiamo fatto. Anche se non sentiamo più i sintomi fisici grossolani di quell’energia, c’è ancora qualcosa che continua a forgiare la nostra energia e che accompagna la nostra esperienza soggettiva e individuale delle cose.

Il karma fisico e verbale è sia l’impulso grossolano di energia che accompagna un’azione, sia l’energia sottile che accompagna entrambi e continua anche successivamente come parte del nostro continuum mentale. Comunque, il secondo anello dell’origine dipendente, le variabili incidenti, include soltanto l’impulso karmico grossolano e soltanto la prima fase dell’impulso karmico sottile, la fase durante l’azione stessa. Non include alcuno strascico karmico del karma proiettante che rimane successivamente nel nostro continuum mentale.

Karma proiettante e “io” convenzionale

Indipendentemente da quale sistema di spiegazione seguiamo, il karma proiettante è il karma che forma i nostri futuri stati di rinascita. Per esempio, può dare origine ad una rinascita di un cane. Il karma completante è il karma che determina se rinasceremo come un cane randagio oppure come un barboncino di una persona molto gentile che ci nutrirà per bene, ci metterà un collare di strass rosa attorno al collo e dipingerà di rosa le nostre unghie.

Potremmo pensare che in questa rinascita come un cane, saremmo un essere umano rinato come un barboncino con lo smalto rosa sulle unghie, ma questo è sbagliato. Per esempio potrei pensare, con inconsapevolezza, che io sia veramente e solidamente “Alex, l’umano.” Questa è la “mia” vera identità. Poi, con grande orrore, potrei pensare: “Non voglio essere Alex l’umano che è rinato come il barboncino Fifi,” come se il solido “io, Alex l’umano” fosse nel barboncino. “Le persone non riconoscerebbero ‘chi sono veramente.’ Mi chiamerebbero Fifi e mi metterebbero lo smalto rosa sulle unghie. Che schifo.”

Queste sono considerazioni totalmente confuse sul funzionamento della rinascita. Non c’è un “io” solido con un’identità solida che si reincarna da una vita all’altra. Nonostante “io,” come il convenzionale Alex l’umano, sperimenti le cose come “io,” allo stesso modo lo fa la continuità di quell’io convenzionale nella forma del convenzionale barboncino Fifi. Fifi sperimenta le cose come “io” e “me stesso, il possessore” – il possessore del territorio di una certa casa come “mio” e il possessore di un certo padrone come “mio.” È lo stesso trip samsarico. È solo una continuità del precedente e confuso modo di fare esperienza delle cose. In questo episodio di questo particolare continuum mentale individuale, mi identifico solidamente con Alex l’umano. Nel prossimo episodio, mi identificherò solidamente con un’altra configurazione di esperienza, Fifi il cane. Non c’è un “io” solido che ha sempre la stessa e unica solida identità, o che ha una differente identità solida in ogni vita. Non c’è nemmeno un “io” convenzionalmente esistente che ha sempre un’unica e la stessa identità.

Dobbiamo osservare questa cosa molto in profondità. C’è soltanto una continuità dell’esperienza individuale e soggettiva delle cose. L’astrazione “io” si riferisce a tutto questo. L’io convenzionale esiste, ma noi lo rendiamo qualcosa di sostanziale e poi ci incolliamo sopra una solida identità, basata sulla nostra esperienza di quanto sta accadendo.

Il karma proiettante è il più forte tra i tipi di impulso karmico. Per esempio, se pensiamo in termini di un “io” solido e ci identifichiamo con l’esperienza di venire disapprovati dai nostri genitori, crediamo di avere un’identità basata su quell’esperienza. “Non sono abbastanza bravo. C’è qualcosa che non va con me.” Come risultato, possiamo avere un desiderio bramoso ricorrente di trovare qualcuno che ami ed apprezzi il “vero io,” che quindi ci farebbe stare bene. Ma siccome ci identifichiamo con il fatto di non essere nulla di buono, inconsciamente compromettiamo qualsiasi relazione intrapresa, e così ci assicuriamo che l’altra persona ci rifiuterà, confermando che non siamo nulla di buono. Avere frequenti relazioni occasionali o andare irrefrenabilmente alla ricerca di un partner potrebbe essere motivato da questa insicurezza e dal desiderio di essere amati. Gli impulsi karmici associati a questo tipo di comportamento avrebbero la forza di un karma proiettante.

Se pensiamo soltanto in termini della forma dell’energia karmica coinvolta in questo tipo di comportamento, forse potremmo avere un’idea migliore del karma proiettante. Se abbiamo l’impulso di andare in giro a cercare un partner e andiamo in perlustrazione di bar o feste cercando di agganciare qualcuno, come ci stiamo comportando? Ci stiamo comportando come un cane randagio che va in giro ad annusare il didietro di altri cani, s’impegna in azioni fisiche con altri cani e poi prosegue per la sua strada. Specialmente se questo si ripete continuamente, questa forma diventa sempre più forte. Molto chiaramente diviene il karma proiettante di rinascere come un cane randagio.

Distinguere un’azione dall’emozione motivante

Inoltre, abbiamo bisogno di distinguere un’azione dall’emozione che motiva l’azione. Possiamo compiere un’azione distruttiva con una motivazione negativa. Per esempio, possiamo uccidere una zanzara perché ci sta dando fastidio mentre cerchiamo di addormentarci. Pensiamo che ci sia un solido “io” e un solido “tu, la zanzara.” Ci arrabbiamo con la zanzara e poi ci impegniamo in una caccia grossa per “acchiapparla.” Quando alla fine riusciamo ad ucciderla, siamo davvero contenti. Gli impulsi karmici coinvolti diventano il karma proiettante per rinascere come qualcosa tipo un animale da preda o qualcosa che viene cacciato da tale animale.

Potremmo anche commettere un’azione distruttiva con un’emozione motivante positiva. Potremmo uccidere quella zanzara perché amiamo i nostri figli e ci preoccupiamo per loro e non vogliamo che vengano punti e prendano la malaria. Siccome la motivazione e l’azione sono, in un certo senso, eticamente contraddittorie, la forza karmica dell’impulso distruttivo di uccidere è troppo debole affinché possa fungere da karma proiettante. Diventerebbe quindi un karma completante.

Allo stesso modo, possiamo compiere azioni costruttive con emozioni motivanti negative. Possiamo fare un buon pasto per i nostri figli adulti con la motivazione disturbante di voler essere apprezzati, amati e di sentirsi indispensabili. Oppure, potremmo preparare un pasto con una motivazione positiva, per amore e per renderli felici. Soltanto l’impulso costruttivo di quest’ultimo caso sarebbe un karma proiettante. Ma notate bene che per ogni possibilità, c’è sempre ancora l’inconsapevolezza sottostante riguardo al modo in cui esistiamo: pensiamo e sentiamo che ci sia un “io” solido, unico, che non viene influenzato e così via.

Quando gli impulsi karmici delle nostre azioni e le emozioni motivanti che le accompagnano sono forti, non in contraddizione etica e accompagnati da questa inconsapevolezza riguardo al modo in cui esistiamo, allora gli impulsi karmici fungono da karma proiettante. È sempre samsara, sia che sia un impulso karmico distruttivo che dà luogo ad uno degli stati di rinascita peggiori, oppure un impulso karmico costruttivo che dà luogo ad uno degli stati di rinascita migliori.

Questo è il secondo anello dell’origine dipendente, questi milioni e milioni di karma proiettanti, gli impulsi karmici fortemente motivati che possono influenzare e formare le nostre future rinascite. Ogni volta che agiamo con una forte motivazione non contraddittoria, l’impulso karmico coinvolto avrà la forza di fungere da karma proiettante. Non ci comportiamo come cani randagi tutti il tempo. Agiamo in molte maniere differenti. Ci sono molte possibilità che sono rafforzate dalla nostra inconsapevolezza e dal nostro comportamento. Non è che abbiamo appena iniziato ad accumulare karma proiettante: lo abbiamo fatto da sempre, senza inizio.

Il terzo anello: la coscienza carica

Il terzo anello dell’origine dipendente non lo chiamo semplicemente “coscienza,” ma “coscienza carica” (rnam-shes), per renderlo più chiaro. Questo anello è diviso in due parti. La prima parte è, letteralmente, la coscienza carica al momento della causa (rgyu-dus-kyi rnam-shes). Si riferisce al nostro continuum mentale – la nostra esperienza soggettiva ed individuale delle cose che avviene di momento in momento – che è carico dello strascico karmico del karma proiettante che può fungere da causa per una futura rinascita. È lo strascico karmico del karma proiettante, non il karma proiettante stesso, che ci proietta nella nostra prossima rinascita. Tecnicamente, lo strascico karmico del karma proiettante “matura” (smin-pa) dando luogo ai cinque aggregati della nostra prossima rinascita e alle nostre esperienze in tale stato.

Strascico karmico

Allora, qual è lo strascico karmico del karma proiettante di cui la nostra coscienza è carica in questo stato, nel periodo dopo che l’azione associata a quel karma proiettante è terminata e prima che si attivi e maturi in una rinascita futura? Prima di tutto, dobbiamo sapere che secondo i principi Mahayana, ci sono in generale due tipi di strascico karmico: quello che matura in maniera intermittente e quello che matura continuamente. Il primo produce risultati soltanto in certi momenti: quando si esaurisce e non dà altri risultati, smette naturalmente di esistere come qualcosa che è presente nel nostro continuum mentale. Il secondo produce effetti ad ogni istante della nostra esistenza, fino all’illuminazione. Non andrà mai via a meno che non ne otteniamo un vero arresto (‘gog-bden, vera cessazione). Quest’ultimo insieme di strascichi karmici si riferisce alle abitudini karmiche costanti (bag-chags).

Poiché i sistemi di principi Hinayana non accettano abitudini costanti, non asseriscono questo tipo di strascico karmico. Poiché i dodici anelli dell’origine dipendente sono una spiegazione che è accettata in maniera condivisa sia dall’Hinayana che dal Mahayana, lo strascico karmico di cui il terzo anello, la coscienza carica, è carico include soltanto lo strascico karmico che matura in maniera intermittente.

Ci sono due tipi di strascico karmico che maturano in maniera intermittente: le reti di forza karmica e le tendenze karmiche (sa-bon, seme). Andiamo prima a vedere la spiegazione condivisa che viene data nelle scuole Cittamatra e Madhyamaka, in altre parole in tutte le scuole Mahayana eccetto Ghelug Prasanghika.

Spiegazione Mahayana condivisa

Nonostante le azioni non siano impulsi karmici – non sono karma – sono forme di energia karmica. L’energia karmica dell’azione mentale di pensare a qualcosa è un tipo di azione mentale, mentre l’energia karmica del dire o fare qualcosa è un tipo di energia fisica. Quando un’azione termina, le continuità di queste energie karmiche attraversano un cambiamento di fase, molto simile al ghiaccio che si scioglie diventando acqua. Le loro continuità assumono la natura essenziale di una tendenza karmica (sa-bon, seme); diventano un’astrazione non-statica (ldan-min ‘du-byed, variabile incidente incongruente) imputabile sul continuum mentale. Chiamiamole “potenziali karmici.” Le astrazioni non-statiche non sono né forme di fenomeni fisici né modi d’essere consapevoli di qualcosa. Sorgono da cause, cambiano da un momento all’altro e producono effetti.

Come termine generale per l’intero continuum con le sue fasi di energia karmica e potenziale karmico, usiamo l’espressione forza karmica. Vi prego di tenere a mente che questi sono termini coniati da me; non ci sono termini equivalenti a energia karmica, potenziale karmico o forza karmica né in tibetano né in sanscrito.

La forza karmica, sia come energia karmica che come potenziale karmico, è sempre costruttiva (dge-ba, virtuosa) o distruttiva (mi-dge-ba, non-virtuosa). Quelle connesse ad un comportamento costruttivo sono forze karmiche positive (bsod-nams, sct. punya, merito), mentre quelle connesse ad azioni distruttive sono forze karmiche negative (sdig-pa, sct. papa, peccato). È in questo senso che i potenziali karmici – fenomeni che hanno la stessa natura essenziale delle tendenze karmiche – si distinguono dalle tendenze karmiche vere e proprie. I potenziali karmici sono costruttivi o distruttivi. Le tendenze karmiche effettive sono eticamente neutre, imprecisate (lung ma-bstan): Buddha non ha specificato se fossero costruttive o distruttive.

Preferisco le seguenti traduzioni: “costruttivo,” “distruttivo,” “forza karmica positiva” e “ forza karmica negativa,” rispetto ai termini usati più frequentemente: “virtuoso,” “non-virtuoso,” “ merito,” “peccato.” Quest’ultimo gruppo di termini porta spesso a dei malintesi perché introduce l’idea di un giudizio morale e di ricompensa o punizione. Questi concetti sono irrilevanti nel Buddhismo, e quindi penso sia meglio scegliere dei termini che possano minimizzare il malinteso derivante dall’attribuire inavvertitamente al Buddhismo concetti inopportuni provenienti da altri sistemi.

Una rete (tshogs, raccolta) di forza karmica è imputabile sui momenti di una continuità di energia karmica e potenziale karmico. Come il potenziale karmico, è anch’essa un’astrazione non-statica, ovvero né una forma di fenomeno fisico né un modo d’essere consapevoli di qualcosa. Il termine tecnico rete di forza positiva (bsod-nams-kyi tshogs, raccolta di merito) normalmente si limita ad indicare reti di forza positiva che costruiscono l’illuminazione: forza positiva accumulata tramite bodhicitta e dedicata all’ottenimento della nostra illuminazione e all’essere d’aiuto per tutti altri. Tuttavia, penso che possiamo coniare i termini analoghi rete di forza karmica positiva che costruisce il samsara e rete di forza karmica negativa che costruisce il samsara, associandoli alle azioni karmiche che non sono accumulate con rinuncia o bodhicitta e non sono neppure dedicate alla nostra liberazione oppure alla nostra illuminazione. Per facilitare la discussione, uso i termini reti di forza positiva che costruiscono l’illuminazione e reti di forza karmica.

In aggiunta alle reti di forza karmica, il secondo tipo di strascico karmico che matura in maniera intermittente e di cui la nostra coscienza è “carica” sono le tendenze karmiche. Quando l’energia karmica positiva o negativa di un’azione costruttiva o distruttiva – equivalente all’azione karmica stessa – attraversa una fase di transizione per diventare un potenziale karmico quando l’azione cessa, quell’energia karmica dà origine anche ad una tendenza karmica (seme karmico). Come il potenziale karmico, anche la tendenza karmica è un’astrazione non-statica imputabile sul continuum mentale. Ma a differenza del potenziale karmico o dell’energia karmica, una tendenza karmica è imprecisata. È eticamente neutra. Dunque, dei due tipi di strascico karmico che maturano in maniera intermittente, uno – le reti di forza karmica – è costruttivo oppure distruttivo, mentre l’altro – le tendenze karmiche – è imprecisato. Tuttavia, sono entrambe astrazioni non-statiche. La coscienza è carica di esse non tanto in senso fisico, come dei semi piantati nel terreno, anche se questa è l’analogia che tradizionalmente viene usata per spiegare questo anello in maniera semplicistica. La coscienza è carica di tendenze karmiche solamente nel senso che la coscienza serve come base per designarle (gdags-gzhi).

Riassumendo, secondo il sistema di spiegazione condiviso da tutte le scuole Mahayana eccetto la scuola Ghelug Prasanghika, il karma proiettante è esclusivamente l’impulso mentale che dà origine e sostiene un’azione fisica, verbale o mentale avente una forte motivazione. Dura solamente finché l’azione dura, ma non è l’azione stessa. È costruttivo o distruttivo, a seconda dello stato etico dell’azione associata. Lo strascico del karma proiettante ha due aspetti che matureranno in maniera intermittente, entrambi i quali sono astrazioni non-statiche imputate sul continuum mentale – fondamentalmente, sul continuum della coscienza mentale carica. In quanto astrazioni non-statiche, esse non sono né forme di fenomeni fisici né modi d’essere consapevoli di qualcosa. Il potenziale karmico e la rete di forza karmica ad esso associata è costruttiva o distruttiva, mentre la tendenza karmica è eticamente neutra.

Spesso incontriamo una spiegazione semplice di ciò di cui è carica la coscienza carica. È carica di semi karmici (sa-bon), come dei semi piantati nel terreno. “Semi karmici,” come vi ricorderete è il termine che ho tradotto con “tendenze karmiche.” In questa spiegazione, “semi karmici” è usato come un’espressione generale che include sia i potenziali karmici che le tendenze karmiche. Soltanto le tendenze karmiche sono effettivamente semi karmici, perché, per loro natura, i semi karmici sono fenomeni eticamente neutri. Il potenziale karmico è meramente forza karmica nella natura di un seme karmico, ma non è effettivamente un seme karmico. Questo perché, in quanto forza karmica – il cosiddetto “merito” o il cosiddetto “peccato” – è costruttivo o distruttivo. Il termine seme è usato in modo figurato: una pianta produce un seme che a sua volta produce un’altra pianta. Allo stesso modo, gli impulsi karmici producono semi karmici, i quali a loro volta producono risultati karmici che portano al sorgere di nuovi impulsi karmici.

Tuttavia, a differenza dei semi reali, questi semi karmici non sono forme di fenomeni fisici. Sono potenziali e tendenze, ovvero astrazioni non-statiche. Anche i potenziali e le tendenze vengono da qualcosa e danno origine alla ricomparsa dello stesso tipo di cosa; sono solo fenomeni astratti, i quali descrivono il processo karmico in maniera più accurata.

Spiegazione Ghelug Prasanghika

La spiegazione Ghelug Prasanghika dello strascico karmico del karma proiettante è un po’ più complessa. Nel caso del karma mentale, lo strascico è lo stesso di quello visto in precedenza: un potenziale karmico distruttivo o costruttivo con la sua rete di forza karmica associata ad esso, e una tendenza karmica imprecisata.

Nel caso del karma fisico e verbale, le energie grossolane e sottili dell’azione stessa sono il karma proiettante. La tendenza karmica e il potenziale karmico derivanti dall’energia karmica grossolana iniziano non appena l’azione cessa. Tuttavia, l’energia karmica sottile continua dopo che l’azione è cessata e prosegue fino a quando continuiamo ad avere, consciamente o inconsciamente, l’intenzione di continuare ad agire allo stesso modo dell’azione che l’ha creata, e non abbiamo alcuna intenzione di fermarci. Quest’energia karmica sottile che continua dopo il termine dell’azione è ancora karma proiettante. Nel momento in cui perdiamo l’intenzione di continuare ad agire nello stesso modo, l’energia karmica sottile si trasforma in un potenziale karmico. A meno che non abbiamo fatto voto di portare avanti questo comportamento nelle nostre vite future – come facciamo, per esempio, quando prendiamo i voti del bodhisattva con l’intenzione di portare avanti il comportamento di un bodhisattva fino all’ottenimento dell’illuminazione – le nostre energie karmiche sottili si trasformano naturalmente in potenziale karmico al momento della nostra morte.

Dunque, la coscienza carica è carica di (1) potenziale karmico costruttivo o distruttivo ed energia karmica sottile, nonché la rete di forza karmica ad essa associata e di (2) tendenze karmiche imprecisate. Il potenziale karmico, la rete di forza karmica e le tendenze karmiche sono fenomeni non-statici e non sono karma proiettante. L’energia karmica sottile è una forma sottile di fenomeno fisico, non fatto di atomi, ed è ancora karma proiettante. Non è un cosiddetto “seme karmico.”

Durante l’azione fisica o verbale::

Energia karmica grossolana

  • karma proiettante

  • forza karmica

  • fenomeno fisico

Energia karmica grossolana sottile

  • karma proiettante

  • forza karmica

  • fenomeno fisico

Strascico karmico:


Potenziale karmico

  • forza karmica

  • astrazione


Rete di forza karmica

  • forza karmica

  • astrazione


Tendenza karmica

  • astrazione

Potenziale karmico

  • forza karmica

  • astrazione

Gli anelli risultanti di ciò che è stato proiettato

Il primo, il secondo e la prima metà del terzo anello sono, rispettivamente, inconsapevolezza, karma proiettanti positivi o negativi e il nostro continuum mentale carico dello strascico karmico di questi karma proiettanti. Questi due anelli e mezzo vengono chiamati “gli anelli causali che proiettano” (‘phen-byed-kyi yan-lag): ci proiettano nella prossima rinascita. Poi ci sono “gli anelli risultanti di ciò che è stato proiettato” (‘phangs-pa’i ‘bras-bu’i yan-lag). Essi descrivono lo sviluppo dello stato di rinascita che è stato proiettato dal karma proiettante. È il modo in cui l’intero meccanismo si sviluppa in un feto o in un uovo per perpetuare il samsara. Ora parleremo solo del feto in un utero.

La seconda parte del terzo anello è la coscienza carica al momento del risultato (‘bras-dus-kyi rnam-shes). È l’esperienza da un momento all’altro, individuale e soggettiva delle cose che è stata proiettata in una nuova rinascita come risultato dello strascico maturato del karma proiettante. È la base per provare tutti i risultati karmici che sorgeranno in quella vita.

Molti risultati karmici matureranno in maniera intermittente durante una futura rinascita. Il Buddhismo presenta un’analisi complessa di causa ed effetto, con sei tipi di cause e cinque tipi di risultato. Sia la rete di forze karmiche che le tendenze karmiche fungono da cause per ognuno di essi, anche se in forma di diversi tipi di cause per ogni risultato. Allo stesso modo, ciò che matura da esse è un diverso tipo di risultato per ognuna di loro, anche se a cose specifiche che maturano viene dato il nome del tipo predominante di risultato che esse sono. Inoltre, non dobbiamo pensare che qualsiasi cosa che sperimenteremo in una futura rinascita sarà determinata unicamente dallo strascico del nostro karma. Il Buddhismo non è un sistema solipsistico. Sia le circostanze interne che quelle esterne contribuiscono anch’esse al processo causale, e allo stesso modo molte altre cause esterne, come per esempio lo sperma e l’ovulo dei nostri genitori, incluse le loro specie e il loro DNA personale. In effetti, siccome tutto è in qualche modo interconnesso e dipendente da tutto il resto, causa ed effetto è l’argomento più complesso che ci sia.

Il principale risultato karmico discusso in relazione al meccanismo dei dodici anelli dell’origine dipendente è il risultato maturato (rnam-smin-gyi ‘bras-bu). Questo si riferisce agli aggregati di base (phung-po) della nostra prossima rinascita, i quali sono enormemente influenzati dalla forma di vita che assumeremo. I risultati maturati includono, comunque, soltanto gli oggetti imprecisati all’interno dei nostri aggregati, come il nostro corpo, la nostra mente e le tendenze karmiche.

  • Le nostre reti di forza karmica sono le loro cause maturanti (rnam-smin-gyi rgyu). Esse danno loro origine nello stesso modo in cui un albero da frutta dà origine ad un frutto quando è maturo.
  • Le nostre tendenze karmiche sono le loro cause di pari stato ( skal-mnyam-gyi rgyu). Le cause di pari stato hanno lo stesso stato etico dei loro risultati, come un momento d’amore che dà origine ad un momento di compassione.

  • Le nostre tendenze karmiche sono anche le nostre cause di ottenimento ( nyer-len-gyi rgyu) del nostro corpo e della nostra mente. Esse danno loro origine come un seme dà origine ad un germoglio.

  • La scuola Cittamatra asserisce che le nostre tendenze karmiche sono anche la sorgente natale ( rdzas) di tutte loro, come un forno è la sorgente natale di una pagnotta di pane. Tutte le altre scuole asseriscono che le tendenze karmiche sono le sorgenti natali solamente di quegli oggetti, tra i nostri aggregati, che sono modi d’essere consapevoli di qualcosa e fenomeni non-statici. Lo sperma e l’ovulo dei nostri genitori e gli elementi esterni sono le sorgenti natali di quelli che sono forme di fenomeni fisici.

Non sono inclusi tra i risultati maturati quegli oggetti che sono naturalmente costruttivi o distruttivi, come la continuità delle reti di forza karmica che proseguono nella nostra prossima vita.

  • Le nostre reti di forza karmica sono le loro cause di pari stato.
  • Le nostre tendenze karmiche sono le loro cause di ottenimento e sorgenti natali.

I cinque aggregati

Per comprendere il modo in cui l’intero meccanismo si sviluppa nell’utero, dobbiamo avere almeno una comprensione approssimativa dei cinque aggregati, i fattori che compongono ogni momento della nostra esperienza delle cose. Il modo in cui sperimentiamo le cose, ciò che sperimentiamo, è un conglomerato di molti fattori diversi, che possiamo riunire in cinque gruppi. In realtà non esistono in cassetti separati. Questo è soltanto uno schema per organizzare il materiale. Ciascuna delle cinque categorie è composta da molti componenti e questo è il motivo per cui sono chiamati fattori “aggregati.” Uno o più elementi di ognuno di questi cinque gruppi costituiscono l’esperienza che facciamo in ogni momento e tutti loro funzionano insieme come una rete: tutto è interconnesso. In questo contesto non li presenterò nel loro ordine tradizionale, ma in un ordine che è leggermente più facile da comprendere.

(1) Il fattore aggregato di forme di fenomeni fisici (gzugs-kyi phung-po) consiste di vista, suoni, odori, sapori e sensazioni fisiche, insieme ai sensori fisici, ovvero le cellule sensoriali, i bastoncelli e i coni degli occhi e così via. Possiamo anche parlare dell’elemento fisico del corpo in generale. Potremmo imbarcarci in una discussione molto sofisticata in merito alle forme che appaiono nei sogni e così via, ma lo tralasceremo per questa volta.

(2) Il prossimo è quello che viene normalmente chiamato l’aggregato della coscienza (rnam-shes-kyi phung-po). Questi sono i diversi tipi di coscienza primaria coinvolti nella nostra esperienza delle cose. Nel modello occidentale, abbiamo una coscienza generale che può operare tramite gli occhi, le orecchie, il naso, la lingua, il corpo o la mente. Nel modello buddhista, non parliamo di un tipo generale di coscienza. Parliamo di specifici tipi di coscienza per ognuno dei canali sensoriali. Ci sono sei tipi di coscienza: la coscienza della vista, dei suoni, degli odori, dei sapori, delle sensazioni fisiche e dei fenomeni mentali, come i pensieri, i sogni e il sonno. La coscienza primaria riguarda soltanto il campo sensoriale di base di cui siamo consapevoli. In ogni momento dell’esperienza delle cose, siamo su un canale oppure su un altro. Siamo sul canale della vista, oppure sul canale dell’udito, sul canale del pensiero e così via.

(3) Poi abbiamo un aggregato distinguente (‘du-shes-kyi phung-po). Questo viene spesso chiamato “riconoscimento,” ma qui non stiamo parlando di qualcosa di così sofisticato come il riconoscimento. Stiamo parlando di qualcosa di molto basilare. Accade anche in qualsiasi momento dell’esperienza di un verme. Il termine occidentale “riconoscimento” significa che vediamo qualcosa di simile a quello che abbiamo già sperimentato in precedenza, poi ci ricordiamo cosa abbiamo sperimentato in precedenza e lo confrontiamo con quello che stiamo sperimentando adesso. Affinché il riconoscimento funzioni, dobbiamo riconoscere che questi due sono simili. Non è di questo che stiamo parlando con questo aggregato. Nella sua forma più semplice, stiamo parlando del distinguere qualcosa all’interno di un campo sensoriale, con una specifica caratteristica peculiare, in maniera tale che ci possiamo concentrare su di esso e farne l’esperienza.

Per esempio, il campo sensoriale della vista è composto da ogni sorta di forme colorate. Questo è ciò che vediamo con la coscienza primaria. Per poter mettere a fuoco e relazionarci con qualsiasi cosa sia presente in quel campo sensoriale, dobbiamo distinguere un certo gruppo di forme colorate aventi qualche caratteristica specifica da qualsiasi altra cosa si trovi sullo sfondo. Non solo è importante fare ciò, anzi è essenziale. Non potremmo affrontare il mondo senza essere in grado di distinguere diverse cose all’interno dei nostri campi sensoriali. Qualsiasi cosa vedessimo, sarebbe soltanto una massa indifferenziata di forme colorate.

All’interno del campo uditivo del suono, dobbiamo anche distinguere un suono dagli altri che udiamo contemporaneamente. Dobbiamo distinguere il suono di qualcuno che sta parlando dal rumore del traffico. Dobbiamo anche distinguere le parole. È davvero stupefacente, se ci pensate. C’è un flusso di suoni che proviene dalla bocca di qualcuno e noi siamo in grado di spezzettarlo e distinguere sequenze di suoni in sillabe e parole. Altrimenti, come potremmo comprendere qualsiasi cosa che venga detta da qualcuno?

Ogni momento della nostra esperienza contiene qualche aspetto di distinzione. Non abbiamo bisogno di sapere cosa sono le cose o di dare loro dei nomi per distinguerle. Per esempio, possiamo distinguere qualche cosa di nebuloso che si muove laggiù nell’oscurità. C’è un rumore. Non sappiamo cosa sia, ma possiamo distinguerlo. A volte, non vogliamo neppure sapere cosa sia, come quando sentiamo qualcosa che si muove nei cespugli al lato di un sentiero nella giungla.

(4) Poi abbiamo un aggregato della sensazione (tshor-ba’i phung-po). La nostra parola “sensazione” copre molti più significati di quanto s’intende qui. In quasi ogni linguaggio occidentale, sensazione significa emozione. In inglese, la parola feeling [sensazione] può indicare sensazioni come caldo o freddo, morbido o liscio; emozioni come passione o depressione; stati di benessere come lo star bene o l’essere malati; uno stato di sensibilità, come: “Ha un intuito per l’arte;” una soglia di sensibilità, come in “ha ferito i miei sentimenti;” intuizioni, come in “sento che oggi è il mio giorno fortunato;” oppure opinioni, come in “cosa pensi di questa faccenda?” Qui, non stiamo parlando di nulla di tutto ciò. Certamente non stiamo parlando di emozioni. Tutto quello di cui si parla in questo aggregato è il provare un certo livello di felicità o infelicità. In ogni momento della nostra esperienza, stiamo sperimentando qualche oggetto, insieme ad una sensazione concomitante che si trova da qualche parte nella scala da completamente felice a completamente infelice. È molto raro trovarsi esattamente nel mezzo o in uno stato neutro; c’è sempre almeno un livello sottile di felicità o infelicità. Anche se sembra come se non stessimo provando nulla, semplicemente non stiamo facendo attenzione a ciò che accade.

(5) L’ultimo aggregato è quello che io chiamo “l’aggregato delle altre variabili incidenti” (‘du-byed-kyi phung-po). A volte è chiamato “volizioni,” ma questo vuol dire prendere un solo elemento dell’aggregato e usarlo per dare il nome a tutto l’insieme, quindi non è la traduzione migliore. Inoltre, anche se il nome di questo aggregato è lo stesso del secondo anello dell’origine dipendente, nel secondo anello “variabili incidenti” si riferisce soltanto al karma proiettante. Qui, le variabili incidenti che costituiscono questo aggregato includono tutto ciò che costituisce ed influenza la nostra esperienza che non sia contenuto negli altri quattro aggregati. È l’aggregato di tutto il resto. Include tutte le emozioni, positive e negative, e gli altri fattori mentali come l’attenzione, l’interesse, la concentrazione, la sonnolenza e la noia. E poi include anche le astrazioni non-statiche come i potenziali karmici, le reti di forza karmica e le tendenze karmiche, ma lasciamo queste da parte per il momento.

In parole povere, potremmo dire che abbiamo un fattore aggregato fatto di cose fisiche e quattro aggregati costituiti da cose mentali, modi d’essere consapevoli delle cose. Se pensiamo che “mentale” si riferisca soltanto ai nostri pensieri, ci faremo un’idea sbagliata. Stiamo parlando di qualsiasi modo d’essere consapevoli delle cose. Vedere, distinguere, provare un livello di felicità, essere arrabbiati e così via sono tutti modi d’essere consapevoli di qualcosa.

[Per maggiori dettagli, vedi:Schema di base dei cinque fattori aggregati dell’esperienza.]

Il quarto anello: facoltà mentali nominabili con o senza forma grossolana

Siamo arrivati al quarto anello dell’origine dipendente, che io chiamo “facoltà mentali nominabili con o senza forma grossolana” (ming-dang gzugs). Spesso viene chiamato semplicemente “nome e forma.”

Ognuno dei prossimi quattro anelli si riferisce ad un arco di tempo durante lo sviluppo di un feto. Nel Buddhismo, parliamo del livello degli esseri senza forma (gzugs-med khams, reame senza forma), il livello dell’esistenza samsarica in cui vivono esseri divini privi di una forma grossolana. Le facoltà mentali nominabili senza forma grossolana si riferiscono agli aggregati di questi esseri del livello senza forma. In realtà, anche se non ci sono forme grossolane su questo livello, ci sono ancora delle forme molto sottili. Gli esseri del livello degli oggetti dei sensi desiderabili (‘dod-khams, reame del desiderio) hanno forme grossolane, mentre esseri del livello delle forme eteree (gzugs-khams, reame della forma) hanno forme eteree. Le facoltà mentali nominabili con forma grossolana si riferiscono agli aggregati degli esseri di questi due livelli dell’esistenza samsarica. In ogni caso, il quarto anello si estende dal momento del concepimento fino al momento appena prima che le facoltà cognitive del vedere, udire e così via vengano differenziate.

Che cosa significa? Uno sperma e un ovulo s’uniscono. C’è un aggregato della forma: gli elementi del corpo sono palesi. Gli altri quattro aggregati, quelli mentali, i modi d’essere consapevoli delle cose, sono presenti in forma latente (bag-chags, istinti), ma non sono ancora palesi o differenziati. Sono presenti soltanto nominalmente: sono facoltà mentali meramente nominabili.

A questo punto dobbiamo essere molto precisi. Non stiamo parlando dell’unione di uno sperma ed un ovulo avente il mero potenziale di sostenere l’esperienza; piuttosto stiamo parlando dell’unione di uno sperma ed un ovulo dove una mente è già presente. Ha già attività mentale, anche se non è un’attività mentale conscia in nessuno dei sensi del termine conscio. Il feto fa esperienza delle cose, ma l’aggregato della coscienza non è ancora differenziato in vista, udito, olfatto, gusto, tatto e pensiero e i quattro aggregati mentali non sono differenziati tra di loro.

La distinzione tra l’avere il potenziale per l’attività mentale e l’avere effettivamente attività mentale, anche se inconscia e non differenziata, è molto importante e non del tutto ovvia. È questa la distinzione che dobbiamo fare per poter risolvere la questione di quando la vita abbia inizio, un punto essenziale per considerare la questione dell’aborto. Quando inizia una rinascita futura? Questa è una domanda a cui è molto difficile dare risposta. Quanto devono svilupparsi lo sperma e l’ovulo prima di cambiare dall’avere solamente il potenziale di sostenere l’esperienza all’effettivo sostegno dell’esperienza, anche se questa esperienza è inconscia e non ancora differenziata in vista, olfatto, gusto, e così via?

Un approccio fondamentalista a questa questione sarebbe l’affermare che il quarto anello abbia origine al momento del concepimento e dunque è in quel momento che la vita comincia. Se facciamo un’analisi con questa logica, non c’è pervasione logica del fatto che uno sperma e un ovulo con il potenziale di sostenere la vita stiano necessariamente supportando la vita. La vita non significa solamente cellule viventi, perché allora potremmo dire che uno sperma o un uovo siano vivi. Sono esseri senzienti? No. Questo è un punto molto interessante e Sua Santità il Dalai Lama ha detto che è necessario investigarlo scientificamente. Ci sono molte implicazioni etiche in termini di controllo delle nascite e aborto.

Il quinto anello: stimolatori della cognizione

Il quinto anello è chiamato stimolatori di cognizione (skye-mched, stimolatori cognitivi). Questo si riferisce al periodo tra lo sviluppo dei sei diversi stimolatori di cognizione fino ad appena prima che l’aggregato distinguente venga differenziato. I sei stimolatori di cognizione sono gli oggetti cognitivi e i sensori cognitivi (dbang-po) di ognuna delle sei facoltà cognitive. Nel caso delle cinque facoltà sensoriali, gli oggetti e i sensori hanno la forma di fenomeni fisici, come vista e cellule fotosensibili. Nel caso della facoltà mentale, gli oggetti possono essere un qualsiasi fenomeno validamente conoscibile, mentre i sensori sono i momenti cognitivi immediatamente precedenti.

L’aggregato della forma ora è differenziato in vista, suoni e così via, e allo stesso modo lo sono anche le cellule che possono percepire queste cose. Il feto si è sviluppato fino al punto in cui ci sono cellule sensoriali visive, in altre parole i coni e i bastoncelli nei proto-occhi, cellule sensoriali uditive nelle proto-orecchie e così via. Inoltre, l’aggregato della coscienza è anch’esso differenziato in coscienza visiva, coscienza uditiva e così via. Non è più meramente una facoltà mentale nominabile. A questo punto, tuttavia, non c’è distinzione di forme o di particolari sensazioni; c’è soltanto la consapevolezza dei campi sensoriali in generale. Le altre tre facoltà mentali sono ancora solamente nominabili. È molto interessante, se ci pensiamo da un punto di vista dello sviluppo: c’è la consapevolezza della sensazione fisica, ma non c’è differenziazione tra caldo e freddo e così via.

Il quinto anello si riferisce alle cellule sensoriali e agli oggetti sensoriali o ai campi sensoriali che vengono sperimentati attraverso esse. Questi sono risultati maturati e si riferiscono a ciò che accade quando una vita sta prendendo forma. Per usare l’analogia rudimentale di un computer, fino ad ora abbiamo discusso l’ hardware. Ora dobbiamo discutere del software.

Il sesto anello: la consapevolezza contattante

Il sesto anello è la consapevolezza contattante (reg-pa). A questo punto l’aggregato distinguente e parti consistenti dell’aggregato delle altre variabili incidenti sono funzionanti. Non sono più facoltà mentali meramente nominabili.

Chiamare questo anello “contatto,” la sua traduzione abituale, dà l’impressione che si tratti dell’azione fisica dell’entrare in contatto con un oggetto. Non è così. È un modo d’essere consapevoli d’un oggetto con cui si entra in contatto perché viene distinto. La consapevolezza contattante distingue questo oggetto come piacevole, spiacevole o neutro. Per esempio, all’interno del campo delle sensazioni fisiche, il feto ora è in grado di distinguere esperienze di caldo o freddo o di saltellare su e giù, con cui entra in contatto cognitivamente. È consapevole della sensazione fisica del saltellare su e giù, per esempio, in quanto sensazione piacevole, spiacevole o neutra.

Cosa determina questo? Il karma. A questo punto, i risultati karmici simili alla loro causa (rgyu-mthun-gyi ‘bras-bu) iniziano a maturare. Poiché abbiamo creato situazioni piacevoli o spiacevoli nelle vite precedenti, ora incontriamo cose di cui siamo consapevoli come piacevoli o spiacevoli a questo livello di sviluppo. Nonostante l’aggregato distinguente e quelle altre variabili incidenti come la consapevolezza contattante siano in funzione, l’aggregato della sensazione non sta ancora funzionando. È presente, ma ancora in maniera indifferenziata come facoltà mentale nominabile. In altre parole, siamo consapevoli degli oggetti con cui entriamo in contatto come piacevoli, spiacevoli o neutri, ma non ci sentiamo ancora felici, infelici o neutri in risposta a ciò.

Il settimo anello: provare un livello di felicità

Il settimo anello è provare un livello di felicità (tshor-ba). A questo punto, anche l’aggregato della sensazione è funzionante. La sensazione è definita come il modo in cui sperimentiamo ciò che è maturato dal nostro karma. Sperimentiamo felicità in accordo con la consapevolezza contattante una sensazione fisica piacevole, oppure infelicità in accordo con la consapevolezza contattante una sensazione spiacevole. Oppure non sperimentiamo né felicità, né infelicità, oppure un livello molto basso dell’una o dell’altra, in accordo con la consapevolezza contattante una sensazione neutra.

Questi quattro anelli e mezzo – la coscienza carica risultante, le facoltà mentali nominabili con o senza forma grossolana, gli stimolatori di cognizione, la consapevolezza contattante e la sensazione di un certo livello di felicità – sono gli anelli risultanti di ciò che è stato proiettato. Ora è entrato in funzione il meccanismo pienamente maturo di tutti i cinque aggregati. Qualsiasi cosa è al posto giusto per perpetuare incontrollabilmente la nostra situazione samsarica.

Per esempio, il feto nell’utero è consapevole del saltellare su e giù come una sensazione spiacevole. È infelice e la situazione non gli piace. Con repulsione, vorrebbe scalciare per poterla eliminare. Sorge un impulso di scalciare; l’impulso viene messo in atto con un impulso di energia e il feto dà un calcio. Questo fa sì che la madre provi una sensazione fisica con consapevolezza contattante come qualcosa di spiacevole. Prova fastidio. Scalciare rabbiosamente e creare la circostanza per cui la propria madre provi fastidio accumula le cause per essere consapevole delle cose come spiacevoli in futuro e sperimentare infelicità. Un altro feto potrebbe essere consapevole della stessa sensazione di saltellare su e giù come una cosa calmante e rilassante e in risposta a ciò, essere felice e sereno. Tutto proviene dal karma.

Domande riguardo alla futura rinascita

Domanda: Lo strascico del karma proiettante matura nella vita immediatamente successiva oppure in una vita seguente a quella?

Risposta: Lo strascico di un karma proiettante può maturare nella rinascita immediatamente seguente oppure in qualsiasi altra rinascita successiva ad essa. Tuttavia, una volta attivato, ci proietta nella rinascita immediatamente successiva. Nel nostro continuum mentale abbiamo gli strascichi di milioni di karma proiettanti. Quando lo strascico di un particolare karma proiettante viene attivato al momento della morte, ci proietta nella prossima rinascita, incominciando con lo stato intermedio del bardo. Nel bardo, abbiamo un corpo sottile fatto di luce, che ha già la forma della nostra prossima rinascita. Se rinasciamo come un essere umano, quel corpo avrà la forma di come saremo all’età di otto anni.

Domanda: Ci sono insegnamenti secondo cui la coscienza nel bardo vede i suoi futuri genitori uniti nell’abbraccio sessuale. Come fa a sapere quando buttarsi in quella direzione?

Risposta: Come abbiamo visto, il momento in cui inizia la prossima rinascita è una grande domanda. È una domanda difficile. Ci sono descrizioni classiche della coscienza che osserva il padre e la madre in unione e poi entra attraverso la bocca del padre e attraversa il suo organo con il suo sperma che entra nell’utero della madre e si unisce all’ovulo. Se rinascerà come maschio, proverà repulsione per il padre e attrazione per la madre e viceversa se rinascerà come femmina. Penso che logicamente dobbiamo differenziare un po’ di più e includere gli omosessuali e i bisessuali. Si potrebbe rinascere in un corpo maschile provando repulsione per la madre e così via. Il karma proiettante determina se sarà maschio o femmina e il karma completante determina la preferenza sessuale.

La domanda è se questa descrizione vada presa in senso letterale oppure metaforico. In ogni caso, sia che la coscienza si unisca allo sperma e all’ovulo al momento del concepimento oppure più tardi, non sta pensando consciamente: “Dove sono mio padre e mia madre? Ah, eccoli!” Non sceglie. Non se ne sta lì nel bardo a guardare le coppie e ad aspettare che quelli giusti comincino a fornicare. Piuttosto, è quasi come un’attrazione magnetica. Non c’è alcun controllo. Una coscienza è attratta verso una particolare base fisica. Sono propenso a pensare che la descrizione classica dell’attraversare la bocca del padre e così via non sia da prendere alla lettera. Ma se mettiamo in discussione alcuni punti nel Dharma, dobbiamo farlo con motivi di Dharma, non semplicemente dicendo: “non penso che sia così.”

Questa descrizione della rinascita si trova principalmente in fonti tantriche. Nell’anuttarayoga, la classe più alta del tantra, vogliamo purificare il processo della morte, del bardo e della rinascita. Quindi, meditiamo su un processo che è analogo alla morte, al bardo e alla rinascita per poterli trasformare e purificare. La descrizione dell’universo nel Tantra di Guhyasamaja, con il Monte Meru, i quattro continenti, gli elementi e così via, è la stessa che si trova nei testi sutra dell’Abhidharma. Il Tantra di Kalachakra ha una descrizione differente, in cui il Monte Meru e gli elementi del mandala sono in proporzione al corpo umano. Sulla base di questa presentazione, possiamo meditare in modo tale che il mandala di Kalachakra abbia le stesse proporzioni dell’universo e le stesse proporzioni del corpo umano. In questo modo, possiamo purificare sia le nostre situazioni esterne che quelle interne allo stesso tempo. Allo stesso modo, quando vogliamo purificare il processo della nascita nell’anuttarayoga tantra, meditiamo in maniera analoga al processo della nascita. Meditiamo che la nostra coscienza entri nella bocca della divinità maschile e attraversi l’organo maschile, passando nell’utero della divinità femminile, con un’esperienza di beatitudine. Tutte le figure nel mandala sono generate da gocce nell’utero della divinità femminile e queste figure poi escono dall’utero e prendono il proprio posto nel mandala esterno.

Dunque, così come la descrizione dell’universo nel Kalachakra è una descrizione utile per la meditazione e non va presa alla lettera, allo stesso modo, la descrizione del processo di rinascita che troviamo nel Tantra di Guhyasamaja non va presa alla lettera. Sta soltanto offrendo un’analogia utile alla finalità della meditazione. Penso che questa sia un’argomentazione valida, coerente con la logica buddhista, per affermare che la descrizione della rinascita che inizia un momento prima dell’eiaculazione del futuro padre nell’utero della futura madre non vada presa alla lettera.

Domanda: Cosa si può dire dei bambini in provetta e di ovuli fertilizzati che vengono congelati?

Risposta: Nella presentazione tradizionale, possiamo nascere dall’utero, dall’uovo, dal calore e dall’umidità o dalla trasformazione. I testi classici dicono addirittura che gli esseri umani possono nascere in tutti questi quattro modi. Dobbiamo pensare cosa questo potrebbe indicare. Forse quello di cui stavano parlando era uno di questi modi moderni di nascere. Nascere da un uovo viene indicato come “nascere due volte,” perché prima si nasce dentro l’uovo e poi si nasce nuovamente dall’uovo. Possiamo immaginare un processo simile in due passi quando un ovulo viene fertilizzato nell’utero di una madre e poi impiantato nell’utero di un’altra madre. Questo è nascere due volte. Se uno sperma ed un ovulo vengono uniti in una provetta e poi impiantati nell’utero di una madre o perfino sviluppati in qualche ambiente artificiale, cosa che prima o poi sicuramente accadrà, queste situazioni artificiali potrebbero essere simili alla nascita dal calore e dall’umidità. La nascita dalla trasformazione mi sembra essere come una clonazione; c’è una trasformazione da una cellula in un altro corpo, senza che ci sia la fertilizzazione di uno sperma e di un ovulo. Usando la nostra immaginazione, potremmo essere d’accordo che questi quattro tipi di rinascita si trovino anche tra gli esseri umani. Ovviamente, avremmo bisogno del karma di rinascere in un modo piuttosto che in un altro.

In termini di embrioni surgelati, è difficile dire se la coscienza sia entrata in un embrione oppure no. Ovviamente, ci possono essere entrambe le possibilità. Ma anche se vi è entrata, è soltanto un’altra esperienza. Ci sarebbe l’esperienza soggettiva ed individuale dell’essere in uno stato di animazione sospesa o coma a causa della circostanza che la base fisica è surgelata. È un rimasuglio di una precedente rinascita in un inferno freddo. Questi fenomeni vengono descritti nelle leggi del karma.

Domanda: In quale momento il feto inizia a generare nuovo karma?

Risposta: In risposta a sensazioni di felicità o infelicità, emozioni disturbanti emergono perché siamo attaccati alla felicità e non vogliamo lasciarla andare oppure non ci piace l’infelicità e vogliamo sbarazzarcene. Emozioni disturbanti come l’attaccamento e l’avversione emergono come risposta a sensazioni di felicità o infelicità. Queste emozioni disturbanti ci motivano a fare qualcosa a quel proposito. C’è anche un’intenzione. Quindi, c’è un impulso di energia con cui il feto dà un calcio alla madre. Questo inizia ad accumulare ulteriore karma.

Possiamo vedere che l’intero scenario è iniziato nuovamente. Se la madre si arrabbia con questo essere dentro il suo utero che la prende a calci e le crea disagi tutto il tempo, questo potrebbe essere l’inizio d’una relazione difficile tra la madre e il bambino. Anche il padre potrebbe arrabbiarsi con il bambino perché crea talmente tanti problemi alla madre che lei non riesce a mostrare affetto e attenzioni per lui. Il karma matura nelle circostanze che vengono sperimentate dal bambino. In questo esempio, esso nasce in una situazione in cui i genitori già sono arrabbiati con lui perché scalciava tutto il tempo. Probabilmente continuerà a scalciare e a piangere tutto il tempo perché sperimenta tutto come sgradevole ed è arrabbiato e infelice. Allora i genitori potrebbero desiderare ancora di più che il bambino stia zitto, cosa che il bambino sperimenterebbe come ancora più sgradevole e dunque lo farebbe andare ancora di più fuori di testa. Questo intero pacchetto è la maturazione del karma. Il bambino sta soltanto rendendo tutto peggio, senza alcun controllo. Benvenuto nel samsara!

Domanda: Ma se la madre è già impegnata in un processo di purificazione, questo funge da condizione favorevole per il bambino, giusto?

Risposta: Non necessariamente. Ricordatevi che abbiamo detto che il karma non matura in maniera lineare. Possiamo praticare bene e meditare ogni giorno e ciononostante avere il cancro e morire. Quello che matura può provenire da molte vite fa. Una madre potrebbe essere una buona praticante e avere un bambino che urla e strilla e sta sempre male. Non ne consegue che un praticante avrà come figlio un bel piccolo Buddha.

Domanda: Un continuum mentale illuminato continua a rinascere per compassione, con totale controllo, invece che per confusione, in qualsiasi circostanza, luogo e tempo lui o lei desideri, giusto?

Risposta: Giusto.

Terzo giorno: gli ultimi cinque anelli e il meccanismo del samsara

I tre anelli seguenti – l’ottavo, il nono e il decimo – sono gli anelli causali che mettono in atto (bsgrub-byed-kyi yan-lag). Essi sono ciò che attiva lo strascico karmico del karma proiettante negli istanti che precedono la morte, in modo tale che i risultati karmici si attuino. In questo modo, essi servono da condizioni agenti simultaneamente (lhan-cig byed-rkyen) per gli aggregati della nostra futura rinascita. Agiscono simultaneamente alle cause karmiche per questi ultimi. Senza la loro presenza e la loro funzione di condizioni, lo strascico karmico non si attiverà e non darà origine ai suoi risultati.

Questi tre anelli sono paralleli alla sequenza che avviene in ogni istante nella nostra vita in risposta all’esperienza di sensazioni di felicità o infelicità. Normalmente rispondiamo con emozioni disturbanti, impulsi ad agire e impulsi in cui effettivamente agiamo. Tuttavia, qui i fattori paralleli sono molto più forti nel loro impatto, poiché avvengono al momento della morte.

L’ottavo anello: il desiderio ardente

L’ottavo anello è il desiderio ardente (sred-pa). Qui, ci stiamo concentrando su sensazioni di felicità, infelicità o neutre che sono maturate nei momenti immediatamente precedenti la nostra morte. È una forma di desiderio bramoso (‘ dod-chags) di fare in futuro un’esperienza che al momento potremmo provare oppure no.

Ci sono tre tipi di desiderio ardente.

(1) Il primo è il desiderio ardente in relazione a ciò che è desiderabile (‘ dod-sred), ovvero il desiderare ardentemente di non venire separati dalle forme ordinarie di felicità di cui al momento attuale stiamo facendo esperienza. La felicità che proviamo può derivare dall’avere i nostri cari intorno al nostro letto di morte ma anche da un narcotico antidolorifico. Il livello di felicità che desideriamo ardentemente e che non vogliamo abbandonare non deve necessariamente essere intenso.

(2) Il secondo tipo è il desiderio ardente basato sulla paura (‘ jigs-sred), ovvero il desiderare ardentemente di venire separati da dolore e infelicità. Molte persone anziane che soffrono mentalmente sentono che tutti i loro conoscenti siano già morti e vogliono solamente essere liberati dalla loro depressione e dalla loro pena. Queste prime due forme di desiderio ardente non sono difficili da comprendere.

(3) La terza forma di desiderio ardente, il desiderio ardente di esistere ancora (srid-sred), si riferisce al desiderio ardente per una sensazione neutra che stiamo provando per sopravvivere e non degenerare, per esempio la sensazione neutra dell’essere addormentati o in coma.

Una spiegazione aggiuntiva del desiderio ardente di esistere ancora è che si tratta di desiderio ardente per il nostro corpo composto da cinque aggregati come base per le prime due forme di desiderio ardente. Dobbiamo esaminare questa spiegazione: è sottile e non facile da comprendere. Anche se siamo in coma, c’è ancora questo desiderio ardente inconscio di avere un corpo, di tenere duro. Un mio amico aveva una zia anziana che ebbe un grave ictus. Rimase in coma parziale. Tutto quello che poteva fare era muovere gli occhi. La maggior parte del tempo, non era presente. I medici dissero che sarebbe dovuta morire entro poche settimane dall’ictus ma lei sopravvisse per circa otto mesi con una sonda nello stomaco che la nutriva. Era aggrappata alla vita e non voleva lasciarla andare.

Persino i meditatori che hanno raggiunto l’equanimità rispetto alle loro sensazioni possono ancora avere desiderio ardente verso il loro corpo, la base per la loro equanimità. Questo non è così difficile da vedere anche nella nostra limitata esperienza. Potremmo praticare tonglen (dare e prendere) mentre siamo sulla poltrona del dentista, oppure pensare che il dolore è temporaneo, recitare mantra e così via. Come risultato, potremmo essere mentalmente un po’ più rilassati rispetto al dolore. Eppure, potremmo scoprire che il nostro corpo è ancora teso. La tensione nelle nostre mani mentre ci aggrappiamo con forza ai braccioli della poltrona del dentista potrebbe essere indicativa di questo terzo tipo di desiderio ardente.

C’è anche un modo alternativo di spiegare i tre tipi di desiderio ardente, in relazione agli oggetti dei tre tempi.

(1) Desiderio ardente in relazione a ciò che è desiderabile è l’aggrapparsi agli oggetti del presente, che desideriamo fortemente mantenere.

(2) Desiderio ardente basato sulla paura è l’aggrapparsi agli oggetti del passato. Abbiamo paura di lasciare andare tutto ciò che ci ricordiamo di aver ottenuto o posseduto in passato.

(3) Desiderio ardente di esistere ancora è l’aggrapparsi agli oggetti del futuro, ovvero aggrapparsi al proseguimento dell’esistenza con una futura rinascita.

Il nono anello: un ottenitore

Il nono anello è un ottenitore (len-pa), che può essere sia un ottenitore di un’emozione disturbante oppure un ottenitore d’un atteggiamento disturbante. Un insieme di aggregati è “macchiato” (zag-bcas kyi phung-po, aggregati contaminati) se deriva dall’inconsapevolezza, il primo anello dell’origine dipendente che ha portato al karma proiettante e a tutto il processo che ha dato origine a questi aggregati. Gli aggregati sono chiamati gli aggregati ottenenti (nyer-len-gyi phung-po) se contengono uno o più di questi ottenitori d’emozioni o atteggiamenti. A causa della loro presenza e funzionamento, otteniamo aggregati futuri che includeranno anch’essi, attraverso il meccanismo per cui essi favoriscono l’attivazione dello strascico karmico.

Ci sono quattro ottenitori, il primo è un ottenitore di un’emozione disturbante, mentre gli altri tre sono ottenitori di atteggiamenti disturbanti.

(1) Un ottenitore di un’emozione disturbante è l’ottenitore di un desiderio (‘ dod-pa nye-bar len-pa) rivolto verso alcuni oggetti sensoriali desiderabili del reame degli oggetti dei sensi desiderabili. Può essere attaccamento verso uno di essi di cui stiamo facendo esperienza al momento attuale, oppure desiderio bramoso per uno che vorremmo avere. Una forma molto comune è il desiderare che qualcuno ci tenga per mano o ci abbracci. Vogliamo una sensazione fisica. “Abbracciami!” “Non lasciarmi andare.” Vogliamo vedere immagini dei nostri cari, o di Buddha, Gesù o di chiunque altro. La maggior parte delle persone non desidererà un odore o un sapore al momento della morte, ma un cane potrebbe avere attaccamento o desiderio bramoso verso l’odore del proprio padrone. Potrebbe anche essere attaccamento o desiderio bramoso verso il suono della voce di una persona amata. Questo accade veramente al momento della morte. È terribile. Questa è una delle cose che attiva il karma proiettante. Tutto ciò viene spiegato nei testi in gergo tecnico. È importante metterlo in relazione alla nostra esperienza e riflettere su cosa stiamo effettivamente parlando.

(2) Il secondo tipo è un ottenitore d’una prospettiva ingannevole (lta-ba nye-bar len-pa). È a sua volta diviso in tre tipi, che coprono tre delle cinque “prospettive ingannevoli disturbanti sulla vita” (lta-ba nyon-mongs-can, visioni ingannevoli), che io chiamo in breve “prospettive ingannevoli.”

Qui stiamo parlando dei cosiddetti “klesha” in sanscrito (nyon-mongs), che io preferisco tradurre con “emozioni e atteggiamenti disturbanti,” ma anche questo è un termine inadeguato. Secondo la definizione, quando essi sorgono, ci fanno sentire turbati e a disagio. Alcuni traducono questo termine con “afflizioni emozionali” o “emozioni afflittive,” ma questi termini creano l’impressione che si stia parlando soltanto di emozioni. Non è così.

È estremamente difficile trovare una frase o un’espressione nelle nostre lingue che copra l’intero significato di ciò che è incluso nei klesha. Dei sei klesha fondamentali, cinque non sono prospettive sulla vita, mentre le cinque suddivisioni del sesto klesha sono prospettive sulla vita. Dei cinque che non sono prospettive sulla vita, attaccamento e ostilità sono emozioni nel senso occidentale del termine. Arroganza o orgoglio è forse un’emozione, ma per lo più è un atteggiamento. Ingenuità e indecisione sono stati mentali disturbanti. Il sesto, prospettive ingannevoli, sono atteggiamenti disturbanti.

In ogni caso, andiamo a vedere le tre prospettive ingannevoli che sono incluse tra le divisioni di un ottenitore d’una prospettiva ingannevole.

(a) La prima, una prospettiva distorta (log-par lta-ba), è principalmente un rifiuto di causa ed effetto. Con questa prospettiva distorta, potremmo negare causa ed effetto. Potremmo ancora credere nella rinascita futura, tuttavia neghiamo che in essa sperimenteremo i risultati di nessuna delle nostre azioni. Per usare l’analogia del computer, il nostro atteggiamento è che il nostro disco rigido verrà completamente formattato e procederemo verso la nostra prossima vita come un disco rigido vuoto. La formattazione e i programmi che verranno caricati su di esso in una vita futura non avranno alcuna relazione con quello che abbiamo fatto in questa vita. Questo può anche essere molto inquietante, poiché non abbiamo idea di ciò che verrà caricato su di esso e potrebbe facilmente essere qualcosa di terribile. Non c’è niente che possiamo fare per influenzare quello che accadrà.

La nostra prospettiva distorta può essere anche un rifiuto della rinascita. Se pensiamo che questa vita sia l’unica che un “io” apparentemente solido avrà mai, tenderemo ad aggrapparci ad essa con ancora più forza rispetto al caso in cui crediamo nella rinascita.

Un’altra variante potrebbe essere un rifiuto della direzione sicura (rifugio). Possiamo avere la sensazione che non ci siano fonti di direzione sicura che possano indicarci quali siano i pensieri di maggiore beneficio da coltivare o preghiere da fare al momento della morte. Con questa prospettiva distorta, possiamo sentirci persi e indifesi. Siccome le prospettive distorte hanno una componente emozionale di antagonismo contro chiunque o contro qualsiasi visione che sia in disaccordo con la nostra, questo rifiuto di tutto ciò che può aiutarci può essere molto amaro al momento della morte.

(b) Il secondo ottenitore d’una prospettiva ingannevole è una prospettiva estrema (mthar-‘dzin-pa’i lta-ba). Un tipo consiste nell’atteggiamento disturbante secondo cui il nostro corpo e la nostra mente, con la loro attuale identità apparentemente concreta e permanente, dureranno per sempre e la morte non avverrà mai. È un grandioso rifiuto della morte: uno stato mentale molto disturbato e inquietante. Può portare facilmente al panico completo al momento della nostra morte.

Una prospettiva estrema può anche essere quella che non ci sia alcuna continuità dopo la nostra morte. Pensiamo che dopo la morte non accada nulla, che non ci sia nessun’altra esperienza. Se guardiamo questa cosa dal punto di vista psicologico, questo è uno stato mentale disturbante. Sottostante ad esso c’è generalmente la sensazione spaventosa che non ci sarà un bel niente.

(c) Il terzo ottenitore d’una prospettiva ingannevole è il considerare una prospettiva ingannevole come suprema (lta-ba mchog-tu ‘dzin-pa). Considerare una prospettiva ingannevole come suprema è un atteggiamento che si riferisce al modo in cui consideriamo le cose. Secondo una spiegazione, potremmo considerare i nostri aggregati, il nostro corpo e così via, come completamente puri, puliti, una fonte di vera felicità. Con questa prospettiva ingannevole, consideriamo tale atteggiamento come supremo sulla base di una considerazione scorretta (tshul-min yid-byed): pensiamo che sia totalmente vero. Questo è il motivo per cui vogliamo continuare ad avere il nostro corpo. Quando pensiamo ai nostri corpi come ad una fonte di vera felicità, la maggior parte delle persone generalmente pensa al sesso.

La considerazione scorretta che è in gioco in questo caso potrebbe anche assumere la forma opposta, ovvero il considerare i nostri aggregati come sporchi ed orribili. Considereremmo allora questa prospettiva come totalmente corretta e forse penseremmo, “se solo potessi riuscire a separarmi da loro, allora sarei davvero felice.” Per esempio, qualcuno che sta morendo di cancro o di AIDS o che sta per commettere un suicidio potrebbe avere questa prospettiva ingannevole.

Dunque, queste tre – una prospettiva distorta, una prospettiva estrema e il considerare una prospettiva ingannevole come suprema – costituiscono il secondo tipo di ottenitore, un ottenitore d’una prospettiva ingannevole.

(3) Il terzo tipo di ottenitore è l’atteggiamento disturbante del considerare una moralità o condotta ingannevole come suprema (tshul-khrims-dang brtul-zhugs mchog-tu ‘dzin-pa).

  • Moralità ingannevole è il liberarci di qualche comportamento banale il cui abbandono è del tutto privo di significato, in particolare nella circostanza della morte. Un esempio potrebbe essere l’abbandonare i nostri cibi preferiti che non ci fanno bene quando siamo nella fase finale di un cancro terminale.
  • Condotta ingannevole è il vestirsi, agire o parlare in maniera banale e del tutto priva di significato in vista della morte imminente. Per esempio, metterci l’uniforme militare in modo da morire in alta uniforme; afferrare un amuleto portafortuna; oppure, non accettando ciò che sta accadendo, chiamare a gran voce affinché qualcuno miracolosamente ci salvi dalla morte.

Con questo ottenitore d’un atteggiamento disturbante, siamo convinti che comportarsi in questo modo banale ci purificherà da tutto ciò che è negativo, ci libererà da tutte le nostre preoccupazioni e ci porterà sicuramente ad un destino migliore.

(4) Il quarto ottenitore è affermare la nostra identità (bdag-tu smra-ba): questo si riferisce all’atteggiamento disturbante di una prospettiva ingannevole su una rete transitoria (‘ jig-lta). Pensando nei termini di un “io” solido, identifichiamo quest’io solido con i nostri aggregati, in altre parole con qualche componente della nostra esperienza mentre stiamo morendo. Oppure identifichiamo questo “io” apparentemente solido come il possessore, controllore o inquilino dei nostri aggregati che sono solidamente “miei.” Per esempio, quando stiamo morendo, questo potrebbe tradursi in un attacco di panico accompagnato dal pensiero: “cosa mi sta succedendo? Cosa succede al ‘mio’ corpo?”

Questi sono i quattro modi di afferrarsi disperatamente. Queste cose effettivamente capitano ad ognuno di noi quando moriamo, in una forma o un’altra. “Tenetemi! Sto morendo! Qualcuno mi salvi! Non voglio lasciare questo corpo, mi ha dato così tanta gioia nella mia vita! Cosa mi sta succedendo?” È un’esperienza orribile. Questa è l’esperienza della morte con inconsapevolezza.

Nella pratica dell’anuttarayoga tantra, ripassiamo mentalmente il processo della morte in modo da morire senza inconsapevolezza e in modo da non essere presi dal panico al momento della morte. Sappiamo che il processo di dissoluzione nella morte avviene in otto stadi e sappiamo quello che succederà, quindi non andiamo fuori di testa. Fino a che non abbiamo ottenuto completa familiarità con gli otto stadi del processo della morte, le istruzioni per la meditazione sono: mentre immaginiamo di stare sperimentando ciascuno stadio, essere consapevoli di quale stadio è appena terminato, quale stadio sta avvenendo in questo momento e quale sarà il prossimo stadio. Il motivo per fare ciò è acquisire familiarità in modo da non perderci; rimaniamo consapevoli dell’intero processo. Altrimenti, è facile andare fuori di testa ad ogni particolare stadio mentre sta effettivamente avvenendo. In un certo senso, il panico è una delle cose principali che causa l’attivazione del karma proiettante.

Il decimo anello: ulteriore esistenza

Il decimo anello, ulteriore esistenza (srid-pa), viene generalmente tradotto come “divenire.” Letteralmente, tuttavia, significa “esistenza,” intendendo l’esistenza nella nostra prossima rinascita. Qui, il nome del risultato viene dato ad una delle sue cause. “Ulteriore esistenza” in realtà si riferisce ad un impulso karmico che attiva (nus-pa mthu-can-du byed-pa) lo strascico karmico del karma proiettante appena prima della nostra morte.

Poiché è un tipo di impulso karmico mentale, il nome tecnico completo per “ulteriore esistenza” è un “impulso karmico che pone in atto un’ulteriore esistenza” (yang-srid sgrub-pa’i las). È un po’ come un impulso alla sopravvivenza. L’ulteriore esistenza che esso mette in atto include le quattro divisioni di questo anello: esistenza nel bardo (bar-do’i srid-pa), esistenza del concepimento (skye-srid), esistenza precedente la morte (sngon-dus-kyi srid-pa, sngon-gyi srid-pa), ed esistenza della morte (‘ chi-srid).

Le emozioni e gli atteggiamenti disturbanti del desiderio ardente e un ottenitore stimolano (gsos-‘debs) un impulso d’ulteriore esistenza e, proprio come l’ottavo e il nono anello, il decimo anello è una condizione necessaria agente simultaneamente per una rinascita samsarica. Lo strascico karmico attivato di un karma proiettante è la causa che “matura” in quella rinascita. Il karma proiettante che causa la rinascita karmica è un fenomeno del passato e non è la causa immediata della rinascita.

Al momento di questi tre anelli causali che mettono in atto, lo strascico del karma proiettante designato sulla nostra coscienza causale carica non è ancora maturato in maniera da generare il suo risultato. I due anelli seguenti, gli anelli risultanti di ciò che è attuato (mngon-par grub-pa’i ‘bras-bu’i yan-lag), riassumono il risultato dell’essere gettato nella prossima rinascita.

L’undicesimo anello: concepimento

L’undicesimo anello, il concepimento (skye-ba), equivale al primo momento dell’anello numero quattro, facoltà mentali nominabili con o senza forma grossolana. Come abbiamo visto, questo non significa necessariamente il momento del concepimento come lo intendiamo dal punto di vista biologico, quanto piuttosto il momento in cui l’embrione inizia a fungere da base per l’esperienza. Questo undicesimo anello dura solamente un momento.

Il dodicesimo anello: invecchiare e morire

Il dodicesimo anello, invecchiare e morire (rga-shi), inizia nel secondo istante della nostra rinascita. Dunque, dopo il primo istante della nostra esperienza della vita futura sulla base di un embrione, iniziamo ad invecchiare. Questo è molto interessante secondo il nostro concetto d’invecchiare. Non iniziamo ad invecchiare solamente quando abbiamo sessant’anni; iniziamo ad invecchiare nell’istante successivo al concepimento.

Mia madre, prima di morire, viveva in una comunità di pensionati in Florida. Tutti coloro che vivevano là avevano tra sessantacinque ed ottant’anni e nessuno di loro si riteneva anziano. Erano solamente “pensionati.” “Gente anziana” sono gli ultra ottantenni negli ospizi. I bambini o gli adolescenti considerano vecchio chiunque abbia più di venticinque anni. Figurarsi chi ha più di quarant’anni! Il modo buddhista di considerare la vecchiaia è molto più salutare: nell’istante successivo al concepimento, iniziamo ad invecchiare.

Il processo della rinascita samsarica

I dodici anelli non avvengono in sequenza lineare. Perché dovrebbero, al di là del nostro desiderio d’aggrapparci ad una simmetria intrinseca? Ci sono quattro insiemi di anelli.

  • Il primo insieme, gli anelli causali che proiettano (1, 2 e 3a), avviene tutto il tempo. Stiamo “piantando i semi” del karma proiettante tutto il tempo.
  • Il terzo insieme, gli anelli causali che mettono in atto (8, 9 e 10), avviene nei momenti immediatamente precedenti la morte. Questi sono il modo in cui attiviamo lo strascico del karma proiettante.\

  • Il secondo insieme, gli anelli risultanti di ciò che è stato proiettato (3b, 4, 5, 6 e 7), si riferisce allo sviluppo dell’embrione nell’utero nella vita che è stata proiettata dal karma proiettante attivato.

  • Gli ultimi due anelli, gli anelli risultanti di ciò che è attuato (11, 12), iniziano di nuovo nel secondo insieme. Potremmo morire prima che il secondo insieme si sia pienamente sviluppato, come nel caso di un aborto indotto o spontaneo, oppure molto tempo dopo.

Gli anelli causali che proiettano Gli anelli risultanti di ciò che è stato proiettato Gli anelli causali che mettono in atto Gli anelli risultanti di ciò che è attuato

1. Inconsapevolezza
2. Impulsi incidenti
3. Coscienza carica
a. Causale

b. Risultante
4. Facoltà mentali nominabili con o senza forma grossolana
5. Stimolatori di cognizione
6. Consapevolezza contattante
7. Provare un livello di felicità

8. Desiderio ardente
9. Un ottenitore
10. Ulteriore esistenza

11. Concepimento
12. Invecchiare e morire

(1) Nel caso in cui il processo venga completato in due vite, il primo e il terzo insieme avvengono nella stessa vita e il secondo e il quarto nella vita immediatamente successiva.Per completare tutti i dodici anelli servono due o tre vite. Il primo insieme, il piantare lo strascico del karma proiettante, è una vita. Il terzo insieme, che attiva questo strascico karmico, può avvenire nella stessa vita in cui è stato piantato oppure in una vita successiva; potrebbe anche essere milioni di anni più tardi. Non devono affatto essere consecutivi. Il secondo e il quarto insieme si riferiscono ad una vita sotto prospettive diverse.

(2) Se invece avviene in tre vite, il primo insieme avviene in una vita, il terzo insieme in un’altra vita, non necessariamente quella successiva, e il secondo e il quarto insieme avvengono nella vita immediatamente successiva alla vita in cui è avvenuto il terzo insieme. Una volta che lo strascico del karma proiettante è stato attivato dal terzo insieme, il quarto insieme è il risultato nella prossima vita.

Interrompere il processo: la purificazione di Vajrasattva

Dunque, come ne veniamo fuori? Come interrompiamo il processo? Come spesso nel Buddhismo, ci sono molti passaggi coinvolti. Prima di tutto, cerchiamo di purificarci dalla forza karmica negativa che abbiamo accumulato. Uno dei metodi più diffusi per farlo è attraverso la meditazione di Vajrasattva. Questo metodo si trova solo nel Mahayana.

La meditazione inizia con la contemplazione delle azioni distruttive che abbiamo commesso. Questo include sia le azioni negative che effettivamente ci ricordiamo di aver compiuto, sia ciò di cui non ci ricordiamo. Questo include anche le azioni distruttive che senza dubbio abbiamo commesso nelle vite passate. Anche se non sappiamo veramente cosa abbiamo fatto nelle vite passate, tuttavia ammettiamo che qualsiasi fossero state le nostre azioni distruttive, queste erano sbagliate. Non deve necessariamente essere una cosa così vaga. Per esempio, io sono allergico ai gatti e lo sono fin da quando ero un bambino. Questa è una sofferenza. Deve provenire da qualche comportamento negativo in una vita precedente. Non importa cosa fosse. Si potrebbero fare delle speculazioni, ma in ogni caso ci deve essere stata qualche causa di ciò in una vita precedente e qualsiasi cosa sia stata, fu uno sbaglio.

Non c’è bisogno di confessare i nostri “peccati” o “crimini” a nessun altro, neppure a Buddha. Semplicemente ne prendiamo atto davanti a noi stessi. Ci siamo comportati in quel modo perché eravamo confusi, non perché eravamo “cattivi” e abbiamo disobbedito ai comandamenti divini o alle leggi civili. Il perdono e il chiedere pietà sono concetti propri di certi sistemi etici non-buddhisti che non hanno rilevanza in un contesto buddhista.

Poi, applichiamo le quattro forze opponenti.

(1) Come prima cosa, ci rammarichiamo di aver agito distruttivamente. Il rammarico è molto diverso dalla colpa. La colpa è come non buttare mai via la spazzatura o non scaricare mai l’acqua del water. Vi restiamo attaccati e non molliamo mai, anche se è orribile. Questa è davvero una buona analogia. Metterla in ridicolo rende più facile il lasciare andare. Quando proviamo rammarico, è come se avessimo mangiato cibo che ci fa star male. Vorremmo non averlo mangiato, ma non significa che siamo persone cattive per il fatto di averlo mangiato.

(2) In secondo luogo, prendiamo la ferma decisione di fare del nostro meglio per non ripetere queste azioni. Non possiamo fare una promessa e poi garantire che non grideremo mai più a nessuno. Ma faremo del nostro meglio per non arrabbiarci e non gridare più. Questo secondo fattore, quindi, implica l’intenzione di non ripetere l’azione. Se la forza karmica negativa che deriva dal nostro comportamento distruttivo è ancora nel nostro continuum mentale in forma di energia sottile negativa, la nostra intenzione di non ripeterla trasforma l’energia karmica sottile in un potenziale karmico negativo. La forza karmica del nostro precedente schema comportamentale di gridare ora tenderà di meno a farci agire allo stesso modo nel prossimo futuro.

Inoltre, ricordatevi che nel sistema Ghelug Prasanghika, che afferma l’esistenza dell’energia karmica sottile, questa energia sottile è ancora un impulso karmico e, se le emozioni motivanti erano forti, sarebbe ancora un karma proiettante attivo. La forza karmica di un’astrazione non-statica, come un potenziale karmico, è molto meno potente della forza karmica di un impulso di energia karmica sottile.

(3) Terzo, riaffermiamo la direzione positiva verso cui ci stiamo dirigendo con la direzione sicura (rifugio) e la bodhicitta. Questo si chiama “la forza della base a cui ci affidiamo.” Torniamo ad essere calmi e stabili. Queste sono le direzioni verso cui ci stiamo dirigendo nella nostra vita. La nostra vita si basa su tutto questo.

(4) Quarto, applichiamo qualche azione positiva per neutralizzare lo strascico karmico negativo che abbiamo accumulato. Qui l’azione positiva è la meditazione di Vajrasattva, che pratichiamo con una visualizzazione in più stadi. In essa, fondamentalmente immaginiamo di sciacquare tutta la forza karmica negativa fuori dal nostro corpo e di lasciarla andare. Buttiamo via la spazzatura. Mentre facciamo questa visualizzazione recitiamo un mantra di cento sillabe.

Non è soltanto il dire parole magiche senza provare o pensare nulla. Se ripetiamo il mantra ventuno volte ogni giorno con le quattro forze opponenti al completo, con la giusta concentrazione, la motivazione Mahayana e così via, la forza negativa di questa particolare azione karmica non crescerà, non aumenterà. Questo perché la forza karmica positiva della nostra applicazione delle forze opponenti ostacola e riduce la pesantezza delle nostre azioni distruttive. Altrimenti, la forza negativa nel nostro continuum mentale crescerà ogni giorno.

Molti fattori influenzano la pesantezza dei risultati che maturano dallo strascico karmico. Alcuni hanno luogo mentre commettiamo l’atto karmico, come per esempio quanta sofferenza causiamo agli altri e la forza della nostra emozione motivante. Altri fattori possono aver luogo anche dopo che l’azione è terminata, come l’applicazione di azioni contrastanti in questo caso. Se per esempio litighiamo con il nostro partner e lasciamo la cosa lì senza scusarci, il risentimento, il dubbio e così via diventeranno ogni giorno più forti. Ma se ci scusiamo, le conseguenze del litigio nella nostra relazione quotidiana diventeranno meno pesanti. Per questa ragione ci viene sempre raccomandato di recitare il mantra di Vajrasattva almeno ventuno volte al giorno. Una volta che conosciamo il mantra, non ci vuole davvero molto per farlo.

Se ripetiamo il mantra centomila volte in maniera pura – con bodhicitta, giusta concentrazione e, ottimamente, anche con una comprensione concettuale della vacuità – possiamo ottenere una “purificazione provvisoria” delle reti di forza karmica negativa che abbiamo accumulato da quelle azioni distruttive su cui ci siamo concentrati durante la purificazione.

Il meccanismo somiglia a quello che spiega il modo in cui azioni distruttive fisiche, verbali o mentali rivolte verso uno specifico bodhisattva e motivate dalla rabbia, possano devastare (bcom) qualsiasi forza karmica positiva accumulata da precedenti azioni costruttive rivolte verso quel bodhisattva in questa vita o in qualsiasi altra vita precedente. Il termine devastare ha un significato molto specifico. La forza karmica del nostro comportamento irato sradica (med-pa) qualsiasi forza karmica positiva accumulata da azioni costruttive dirette verso quel bodhisattva, ma non influenza le tendenze karmiche positive di quelle azioni. Poiché quelle tendenze karmiche positive possono ancora maturare, è possibile che in futuro desidereremo nuovamente agire in maniera costruttiva nei confronti di quel bodhisattva e dunque ci impegneremo in tale comportamento. Tuttavia, senza una rete di sostegno di forza karmica positiva, quelle tendenze karmiche richiederanno circostanze esterne e interne molto forti e speciali per attivarsi e maturare. Dunque il termine sradicare non significa che abbiamo ottenuto un vero arresto (‘ gog-bden) della forza karmica positiva rivolta verso quel bodhisattva, in modo tale che non potremo mai più accumularne altra. Possiamo accumularne altra perché il nostro comportamento irato non ha sradicato le nostre tendenze karmiche positive verso di lui o di lei.

Inoltre, lo sradicamento, tramite la rabbia, di una specifica forza karmica positiva significa che, indipendentemente dalle circostanze presenti, questa forza positiva non potrà mai maturare nel risultato in cui sarebbe maturata, qualora la rabbia non l’avesse devastata. Nonostante ciò, la forza karmica positiva potrebbe maturare in un’altra forma di felicità, molto più debole di quella che avrebbe prodotto in precedenza, e tale maturazione potrebbe venire fortemente ritardata.

In aggiunta a questo effetto che il nostro comportamento irato ha sullo strascico karmico di qualsiasi azione costruttiva commessa in precedenza e rivolta verso quel bodhisattva, esso indebolisce anche le nostre reti di forza karmica positiva accumulate dal nostro precedente comportamento costruttivo rivolto verso chiunque altro. Questo significa che la forza karmica negativa del nostro comportamento irato fa sì che queste reti positive producano risultati più deboli o minori e spesso posticipa la loro maturazione.

Compiere centomila ripetizioni del mantra di Vajrasattva con le giuste visualizzazioni e uno stato mentale corretto ha una funzione simile nei confronti del nostro strascico karmico negativo. In termini di tipologie specifiche di comportamento distruttivo rivolto verso individui specifici, se abbiamo ammesso apertamente d’avere sbagliato e abbiamo applicato le quattro forze opponenti, la nostra pratica di purificazione sradica le reti di forza negativa derivanti da quel tipo di comportamento rivolto verso quegli individui. Non influenza le tendenze karmiche accumulate precedentemente e rivolte verso di loro e dunque, in presenza di circostanze forti, esse possono maturare in un ulteriore comportamento distruttivo rivolto nei loro confronti. Inoltre, la nostra pratica di Vajrasattva indebolisce anche le reti di forza karmica negativa derivanti da altri tipi di azioni distruttive commesse in precedenza che non abbiamo ricordato o su cui non abbiamo riflettuto nella nostra aperta ammissione, ma non le sradica. Inoltre, anche le reti di forza karmica negativa derivanti da quelle tipologie di azioni distruttive che abbiamo ammesso, ma che erano rivolte verso individui diversi da quelli che abbiamo specificato, vengono solamente indebolite.

Per questo motivo, è importante cercare di ricordarsi ed ammettere il maggior numero possibile di azioni negative specifiche rivolte verso individui, poiché l’effetto sarà più forte rispetto al caso di una formulazione vaga come “qualsiasi negatività rivolta verso qualsiasi essere senziente.” Tuttavia, è importante pensare nella maniera più vasta possibile mentre si pratica la purificazione di Vajrasattva. Pertanto, quando pensiamo a “tutte le negatività rivolte verso tutti gli esseri senzienti,” dobbiamo essere veramente sinceri e cercare di concepire al meglio tutto ciò che davvero implica pensare a “tutte le negatività” e a “tutti gli esseri senzienti.” Se lasciamo che queste parole siano vaghe e se esse non hanno una valenza emotiva per noi, la nostra purificazione sarà limitata.

In ogni caso, qualsiasi livello di purificazione ottenuto tramite la recitazione di mantra ma non accompagnato dalla cognizione non-concettuale della vacuità è solamente provvisorio. È soltanto un sollievo temporaneo dalla maturazione pesante del nostro strascico karmico negativo accumulato in precedenza. Ci dà una tregua per respirare e lavorare sul sentiero con meno intralci, come quando otteniamo una preziosa rinascita umana con le tregue e gli arricchimenti che la rendono la rinascita più favorevole ai fini della pratica spirituale.

Anche dopo aver praticato con successo la purificazione di Vajrasattva, certamente sperimenteremo ancora desiderio ardente e un ottenitore di un’emozione o atteggiamento quali condizioni agenti simultaneamente per l’attivazione e la maturazione dello strascico karmico negativo in generale. La nostra meditazione di Vajrasattva non ha avuto effetto su di loro.

Ciononostante, poiché lo strascico karmico negativo lasciato sul nostro continuum mentale sarebbe più debole, gli impulsi d’ulteriore esistenza, stimolati dal nostro desiderio ardente e dagli ottenitori, i quali attivano quello strascico, porterebbero a risultati meno pesanti in termini di sofferenza. Certamente non saremo liberi per sempre da qualsiasi tipo d’infelicità o da rinascite peggiori o dall’incontrare cose spiacevoli, ma la sofferenza più pesante sarebbe temporaneamente allontanata.

Inoltre, siccome il desiderio ardente e l’ottenitore di un’emozione o atteggiamento sono le condizioni che agiscono simultaneamente in modo da far sorgere nuovi impulsi karmici, certamente non siamo liberi dall’eventualità che ulteriori impulsi karmici negativi possano sorgere in futuro e, se li mettiamo in atto, di accumulare fresco strascico karmico negativo. Il meccanismo è simile a quello spiegato da Asanga e altri maestri Mahayana per riconnettere le cosiddette “radici troncate di forza positiva (radici di virtù).” Soltanto la cognizione non-concettuale della vacuità ci può liberare per sempre da tutto il karma, lo strascico karmico e le maturazioni karmiche, sia di tipo negativo che di tipo positivo. Entrambi i tipi ci legano alla rinascita che ricorre in maniera incontrollabile: il samsara.

Inoltre, poiché la nostra pratica di Vajrasattva non ha necessariamente avuto un effetto sulla forza delle nostre emozioni ed atteggiamenti disturbanti, incluso l’afferrarsi ad un “io” solido, alcuni dei nostri impulsi karmici ed azioni saranno ancora fortemente motivati da essi. Come risultato, continueremo ad accumulare nuovo karma proiettante e il suo strascico che maturerà ancora in rinascite samsariche. Ma, nel frattempo, abbiamo una tregua temporanea dalle condizioni difficili che fungerebbero da ostacoli ad una nostra pratica più profonda per liberarci completamente dal karma. Ecco perché le centomila ripetizioni del mantra di Vajrasattva costituiscono una pratica preliminare efficace per il tantra, che viene diffusamente raccomandata e praticata.

Un ultimo punto riguardo alla ripetizione del mantra di Vajrasattva. Per favore, non siate superstiziosi riguardo ai numeri. Non è che se ne facciamo venti anziché ventuno, allora non funziona, oppure che tra 99,999 e centomila facciamo il terno al lotto. Certamente non funziona così. È molto più salutare fare qualche ripetizione ogni giorno, oppure farne molte per un periodo più lungo di tempo. È come quando contiamo il respiro: il numero non è importante. È molto facile perdersi nei numeri e farne un’ossessione.

L’antidoto definitivo: la cognizione non-concettuale della vacuità

Quello di cui abbiamo veramente bisogno per liberarci per sempre da tutti gli aspetti del karma in modo che non ritornino mai più è la cognizione non-concettuale della vacuità. Soltanto questo porterà ad un vero arresto del karma.

Vacuità significa un’assenza. Attribuiamo un’esistenza solida e sostanziale a noi e agli altri, immaginandoci d’esistere come degli “io” solidi, sostanziali. Questo è il primo anello. Ci sembrava fosse proprio così e ci abbiamo creduto. Tuttavia, le nostre proiezioni non corrispondono a nulla di reale. C’è un’assenza assoluta di un “io” realmente solido. Non esiste e non è mai esistito. Sembra come se ci fosse, ne abbiamo un’idea concettuale, ma in realtà questa cosa non esiste. La nostra convinzione che questo solido “io” esista è rivolta a qualcosa che effettivamente esiste: l’io convenzionale. Ma la maniera in cui crediamo esista non si riferisce a nulla di reale. L’io convenzionale non esiste come un solido “io,” perché non c’è un tale modo di esistere. Farò un esempio sperando di rendere le cose più chiare.

Vediamo un uomo con la barba bianca con un vestito rosso e bianco. Appare e ci sembra come se fosse veramente Babbo Natale. Tuttavia nessun uomo può esistere come Babbo Natale, perché in realtà Babbo Natale non esiste. Quando smettiamo di attribuire questa maniera impossibile di esistere, vediamo semplicemente un uomo che sembra Babbo Natale, ma che è privo d’esistere come il vero Babbo Natale. Sappiamo che è proprio come un’illusione: l’apparenza di Babbo Natale non corrisponde a nulla di reale.

Allo stesso modo, questo “io” convenzionale appare e ci sembra sostanziale, ma questo non corrisponde alla realtà perché non c’è alcuna cosa come un “io” solido e sostanziale. Quello che percepiamo è semplicemente un “io” convenzionale che sembra esistere come un falso “io,” ma questa apparenza ingannevole è solamente come un’illusione. Questo è vero non soltanto per quanto riguarda noi stessi, ma anche per tutti gli altri.

Questa è solo una semplice introduzione alla vacuità. Ovviamente è una cosa molto complicata. Per avere un vero arresto di tutti gli aspetti del karma e della rinascita samsarica, dobbiamo focalizzarci in maniera non-concettuale, e con una piena e corretta comprensione, sull’assenza di questo modo impossibile di esistere in termini di noi stessi e degli altri.

[Vedi: Introduzione alla vacuità e alla designazione mentale.]

Livelli progressivi della comprensione della vacuità: le cinque menti sentiero

Nel Buddhismo ci sono cinque cosiddetti “sentieri” per raggiungere la liberazione o l’illuminazione, a seconda del percorso in cui ci troviamo. “Sentiero” significa una mente sentiero. Un sentiero è un livello della mente, un livello di esperienza delle cose.

(1) Otteniamo una prima mente sentiero quando abbiamo come motivazione primaria una motivazione spontanea (rtsol-med) che sia la determinazione ad essere liberi (rinuncia) oppure, in aggiunta a questa, bodhicitta. “Spontanea” significa che non abbiamo bisogno di percorrere una linea di ragionamento, con uno sforzo consapevole, finché non arriviamo a sentirla. Viene del tutto automaticamente. Avere bodhicitta come nostra motivazione primaria significa che è evidente tutto il tempo: abbiamo continuamente l’intenzione di ottenere l’illuminazione e di aiutare gli esseri limitati, sia che siamo consci di questa speranza e di questa finalità oppure no.

Prima di raggiungere questa prima mente sentiero, potremmo aver ottenuto la perfetta concentrazione della mente calma e posata di shamatha (zhi-gnas) oppure no. Questa prima mente sentiero si chiama la mente sentiero che accumula (tshogs-lam), generalmente tradotta come il “sentiero dell’accumulazione.” Con questo livello mentale, lavoriamo per accumulare, tra le altre qualità positive, shamatha focalizzata sulla corretta comprensione concettuale della vacuità. Quando otteniamo shamatha focalizzata concettualmente sulla vacuità, otteniamo il terzo dei tre principali stadi di questo sentiero, una mente sentiero avanzata che accumula.

A questo punto lavoriamo per sviluppare la coppia unita di shamatha e vipashyana focalizzata sulla vacuità. La vipashyana (lhag-mthong) è uno stato mentale eccezionalmente percettivo e non è necessariamente focalizzato sulla vacuità. Potremmo perfino averlo ottenuto prima di raggiungere il sentiero dell’accumulazione. In effetti, anche i meditatori non-buddhisti ottengono shamatha e vipashyana focalizzandosi su una varietà di oggetti. Qui, il punto principale è di focalizzarsi sulla vacuità. Ovviamente, è possibile fare un tipo di meditazione sulla vacuità che somigli a vipashyana prima di aver ottenuto shamatha. Tuttavia, ottenere la vipashyana effettiva è solamente possibile una volta che si sia raggiunta la perfetta concentrazione di shamatha.

[Vedi:Presentazione generale di Shamatha e Vipashyana.]

(2) Quando otteniamo la coppia unita di shamatha e vipashyana focalizzata sulla vacuità, abbiamo ottenuto la seconda mente sentiero, una mente sentiero che si applica (sbyor-lam), generalmente tradotta come “sentiero della preparazione.” Con questo secondo livello di mente sentiero, la nostra unione di shamatha e vipashyana è focalizzata concettualmente sulla vacuità e continuiamo ad applicarla per poter raggiungere la coppia unita che è focalizzata sulla vacuità in maniera non-concettuale. Dunque in questo stadio siamo in grado di focalizzarci sulla vacuità solamente tramite un’idea corretta di cosa sia. Altrimenti, se non avessimo idea di cosa significhi vacuità, su cosa ci focalizzeremmo? È una meditazione concettuale. È importante non disprezzare la meditazione concettuale.

La seconda mente sentiero ha quattro stadi. Quando raggiungiamo il terzo, lo stadio della pazienza, non abbiamo più alcuna paura di perdere la nostra identità convenzionale. Questo è davvero molto avanzato, poiché con il secondo stadio di questa mente sentiero abbiamo unito shamatha e vipashyana focalizzate sulla vacuità persino nei nostri sogni. Con questo terzo stadio della mente sentiero che si applica, non avremo più nessuno dei peggiori tipi di rinascita. Potremmo ancora avere rinascite migliori con dolore e sofferenza, ma non rinasceremo mai più come uno scarafaggio, tanto per fare un esempio.

Ciò significa che la forza dello strascico karmico positivo derivante dalla nostra meditazione sulla vacuità è diventata così potente da indebolire seriamente la forza dello strascico del nostro karma proiettante negativo. Lo ha indebolito ad un punto tale che questo strascico karmico negativo non maturerà più come rinascita in uno dei reami peggiori dell’esistenza samsarica. Può solamente maturare in forma di condizioni ed esperienze terribili in rinascite samsariche migliori o perfino in questa vita. Inoltre, la forza delle nostre emozioni ed atteggiamenti disturbanti si è anch’essa indebolita in maniera sufficiente affinché qualsiasi impulso karmico negativo o azioni motivate o accompagnate da esso non possa più fungere da karma proiettante. Non accumuliamo più alcun karma proiettante negativo.

La nostra meditazione sulla vacuità, tuttavia, non ha ancora influenzato lo strascico karmico del nostro karma proiettante positivo per ulteriori rinascite samsariche in uno degli stati migliori. Inoltre, non ha ancora indebolito la forza delle emozioni e degli atteggiamenti disturbanti che potrebbero ancora motivare o accompagnare i nostri impulsi karmici e le nostre azioni positive al punto tale che queste emozioni ed atteggiamenti disturbanti non possano più renderli karma proiettante.

(3) La terza mente sentiero è la mente sentiero del vedere (mthong-lam), con la quale abbiamo unito shamatha e vipashyana focalizzate in modo non-concettuale sulla vacuità. Non abbiamo più bisogno di focalizzarci sulla vacuità mediante un’idea di essa, bensì possiamo focalizzarci liberi da ogni concetto.

Parlando di ciò che accade in questo stadio, la nostra discussione deve diventare un po’ più complessa. Restringeremo la nostra discussione alle presentazioni Ghelug e Karma Kagyu del sistema di principi Prasanghika-Madhyamaka. Le scuole Sakya e Nyingma hanno ciascuna una presentazione leggermente differente di questo materiale.

Vi ricorderete che stavamo parlando dell’inconsapevolezza riguardo al modo in cui le persone esistono e al modo in cui tutti i fenomeni esistono, e che essa ha due livelli: l’inconsapevolezza avente una base dottrinale e quella che sorge spontanea. Prima del sentiero del vedere, veniamo chiamati “esseri ordinari” (so-so’i skye-bo). Una volta che abbiamo ottenuto questa mente sentiero, veniamo chiamati un “arya” (‘ phags-pa), un essere altamente realizzato, un “nobile.” Gli esseri ordinari possiedono sia l’inconsapevolezza avente una base dottrinale sia quella che sorge spontanea riguardo al modo in cui le persone esistono. Con una mente sentiero del vedere, ci liberiamo dall’inconsapevolezza avente una base dottrinale. Tuttavia, un arya sperimenta ancora l’inconsapevolezza che sorge spontanea, almeno fino ad un certo livello più avanzato. L’inconsapevolezza che sorge spontanea è molto più profondamente radicata di quella avente una base dottrinale: questo è il motivo per cui sia gli esseri ordinari sia gli arya la possiedono.

Non tutta l’inconsapevolezza è il primo anello dell’origine dipendente. Il primo anello è solamente l’inconsapevolezza riguardo al modo in cui le persone esistono. Inoltre, nonostante sia l’inconsapevolezza avente una base dottrinale sia quella che sorge spontanea riguardo al modo in cui le persone esistono costituiscano il primo anello nel continuum mentale di un essere ordinario, l’inconsapevolezza che sorge spontanea riguardo al modo in cui le persone esistono, presente nel continuum mentale di un arya, non costituisce il primo anello. In questo modo, nonostante che, come arya, ci siamo liberati dall’anello dell’inconsapevolezza, abbiamo ancora l’inconsapevolezza che sorge spontanea, non soltanto riguardo alle persone, ma anche riguardo alle cose.

Poiché come arya ci siamo liberati dal primo anello, siamo liberi da un bel po’ di confusione. Non creiamo più il secondo anello; non c’è più alcun nuovo karma proiettante, neppure quello positivo. Questo perché le emozioni e gli atteggiamenti disturbanti che sorgono automaticamente sono troppo deboli per rendere persino i nostri impulsi e le nostre azioni positive sufficientemente forti da essere karma proiettante. Dunque, anche se non siamo ancora liberi dal samsara, non c’è più creazione di nuovo karma proiettante.

Dunque non c’è più il terzo anello, la coscienza carica con nuovo karma proiettante. Di conseguenza, non ci sono gli anelli risultanti di ciò che è stato proiettato o gli anelli risultanti di ciò che è attuato da nuovo karma proiettante. Tuttavia, abbiamo ancora vecchio karma proiettante, in forma di reti di forze karmiche e tendenze karmiche. È troppo complicato entrare nei dettagli di questo punto. Possiamo ancora attivare il vecchio karma proiettante e sperimentare gli anelli risultanti di ciò che è stato proiettato e gli anelli risultanti di ciò che è attuato a partire da esso.

Mentre abbiamo una mente sentiero del vedere, facciamo ancora esperienza di tutti i vari tipi di risultato del karma, inclusa la consapevolezza contattante e provare un livello di felicità. Nonostante gli anelli del desiderio ardente e dell’ottenitore non abbiano più forme aventi una base dottrinale, essi hanno ancora forme che sorgono spontanee. Siamo liberi dal primo anello, l’inconsapevolezza avente base dottrinale riguardo al modo in cui le persone esistono e l’inconsapevolezza che sorge spontanea riguardo ad esso, che sorgono nel continuum mentale di un essere ordinario. Tuttavia, secondo le affermazioni Ghelug Prasanghika, non siamo ancora liberi dalla radice del samsara, l’inconsapevolezza che sorge spontanea, nel continuum mentale di un arya, riguardo al modo in cui non soltanto le persone, ma anche tutti i fenomeni esistono. Dunque, nonostante non abbiamo più il desiderio ardente e gli ottenitori d’emozioni e atteggiamenti aventi una base dottrinale, che deriverebbero dall’inconsapevolezza avente una base dottrinale, abbiamo ancora il desiderio ardente e gli ottenitori che sorgono spontanei, derivanti dall’inconsapevolezza che sorge spontanea.

I sistemi Ghelug non-Prasangika e tutti i sistemi che sono spiegati nelle tradizioni non-Ghelug non affermano che l’inconsapevolezza riguardo alla realtà di tutti i fenomeni, sia che si trovi nel continuum mentale di un essere ordinario o in quello di un arya, sia la radice del samsara. Questo perché essi considerano tale inconsapevolezza come un oscuramento che riguarda tutto il conoscibile, il quale previene l’onniscienza. Non la considerano, come fa la scuola Ghelug Prasanghika, come un oscuramento che è un atteggiamento o emozione disturbante, il quale previene la liberazione.

Inconsapevolezza riguardo alla realtà

Avente base dottrinale

Che sorge spontanea

E sseri ordinari Riguardo alle persone

Primo anello

Sia il primo anello sia la radice del samsara

Riguardo a tutti i fenomeni

Né il primo anello né la radice del samsara

Radice del samsara

Arya Riguardo alle persone

Nessuna

Radice del samsara

Riguardo a tutti i fenomeni

Nessuna

Radice del samsara

Desiderio ardente di non venire separati da forme ordinarie di felicità,All’interno del desiderio ardente, abbiamo ancora le forme che sorgono spontanee di tutti i tre tipi di desiderio ardente:

  • Desiderio ardente di venire separati dall’infelicità e

  • Desiderio ardente che le sensazioni neutre non degenerino, e verso i nostri corpi come base continuativa per provare felicità e assenza di sofferenza.

All’interno degli ottenitori, abbiamo ancora le loro forme che sorgono spontanee:

  • Desiderio verso oggetti sensoriali desiderabili,
  • Una prospettiva ingannevole su una rete transitoria e

  • Una prospettiva estrema.

Tuttavia non abbiamo più:

  • Una prospettiva distorta,
  • Considerare una prospettiva ingannevole come suprema,

  • Considerare una moralità o una condotta ingannevole come suprema.

Questi tre ottenitori di prospettive ingannevoli hanno solamente le forme aventi una base dottrinale.

Anche senza concetti, possiamo ancora aggrapparci ai nostri corpi perché costituiscono la solida identità dell’io e ci afferriamo a quell’io avente questa solida identità affinché duri per sempre. Tuttavia, solamente sulla base di concetti possiamo negare gli effetti del nostro comportamento nelle nostre vite future, pensare ai nostri corpi come delle magnifiche fonti di vera felicità, oppure invocare disperatamente che un miracolo ci salvi dalla morte.

Quando moriamo, questo livello più sottile di desiderio ardente e l’ottenitore d’emozioni e atteggiamenti che sorgono spontanei, stimoleranno ancora un impulso d’ulteriore esistenza che attiverà lo strascico karmico del vecchio karma proiettante rimasto nel nostro continuum mentale. Avremo ancora l’esperienza della rinascita samsarica proiettata sotto l’influenza del karma e delle emozioni e degli atteggiamenti disturbanti. Non sarà una rinascita in uno dei tre reami peggiori. Abbiamo eliminato questa possibilità molto tempo prima. Poiché abbiamo una forte determinazione ad essere liberi, una forte bodhicitta e forti preghiere, verremo proiettati in una rinascita fortunata con una preziosa vita umana che ci permetterà di proseguire lungo il sentiero per l’illuminazione.

Tuttavia, siccome abbiamo tutto il nostro strascico karmico che abbiamo accumulato in precedenza, possiamo ancora fare esperienza di essere infelici, venire investiti da una macchina e di avere il cancro. Possiamo persino continuare ad arrabbiarci e replicare precedenti comportamenti negativi come gridare agli altri. Tuttavia, siccome le nostre azioni distruttive sono motivate solo dalla rabbia che sorge automaticamente e non dalla sua forma avente una base dottrinale, la forza degli impulsi e delle azioni è debole. Non è abbastanza forte da creare alcun nuovo karma proiettante. Anche il desiderio e l’attaccamento che sorgono spontanei e che potrebbero motivare i nostri impulsi e le nostre azioni positive, come l’aiutare qualcuno spinti dal desiderio che ci sia bisogno di noi, non genereranno nessun nuovo karma proiettante. Tuttavia, siamo ancora nel samsara.

(4) Per uscire dal samsara, dobbiamo lavorare ulteriormente con la vacuità con una quarta mente sentiero, la mente sentiero che si abitua (sgom-lam), generalmente tradotta come il “sentiero della meditazione.” Alla fine, arriviamo allo stadio in cui la nostra unione di shamatha e vipashyana, concentrata sulla vacuità in maniera non-concettuale, è sufficientemente forte da eliminare la nostra inconsapevolezza che sorge spontanea riguardo a qualsiasi cosa: sia le persone sia tutti i fenomeni. A quel punto, ci liberiamo dalla radice del samsara.

Se abbiamo lavorato nella direzione dell’ottenimento solo della libertà dal samsara, motivati dalla determinazione di essere liberi, raggiungeremo lo stadio di un arhat shravaka o pratyekabuddha. Se abbiamo lavorato nella direzione del bodhisattva, completiamo il settimo dei dieci stadi di un bodhisattva e stiamo per entrare nell’ottavo. Siamo un arhat bodhisattva, ma non ancora un Buddha.

Ognuna delle varie scuole che sottoscrivono la spiegazione comune Mahayana del karma spiega in maniera leggermente differente di cosa incominciamo a liberarci e di cosa finiamo di liberarci ad ognuno di questi livelli arya. Tuttavia, concordano tutte sul fatto che quando otteniamo lo stato di arhat, non sperimenteremo più alcuna sofferenza o non sentiremo più il bisogno impulsivo di ripetere i nostri precedenti schemi comportamentali karmici. Ma abbiamo solamente ottenuto il nirvana con residuo (lhag-bcas-kyi myang-‘das). Finché non moriremo e non ci libereremo dal residuo dei nostri corpi samsarici contaminati con cui siamo nati, potremo ancora venire investiti da una macchina o ci potrà ancora venire il cancro, ma non ne soffriremo.

Una volta che moriamo, tuttavia, otteniamo il nirvana senza residuo (lhag-med myang-‘das), il parinirvana, e nessuna di queste cose ci capiterà mai più. Rinasceremmo con corpi fatti di luce. Questi corpi non sono samsarici e non sono proiettati dal desiderio ardente, un ottenitore o un impulso di ulteriore esistenza. Tuttavia, non siamo ancora liberi dalle nostre costanti abitudini karmiche o da ciò che continuamente matura da esse. Comunque non voglio entrare nei dettagli, visto che le varie scuole fanno diverse affermazioni a questo proposito.

Secondo il sistema di principi Ghelug Prasanghika, nirvana con residuo significa con un residuo del creare l’apparenza di una vera esistenza trovabile (bden-snang). Nirvana senza residuo significa privo di un tale residuo. Gli arhat si alternano tra i due, non soltanto nella parte restante della vita in cui ottengono lo stato di arhat, ma anche in tutte le loro vite future fino all’ottenimento dell’illuminazione, quando si libereranno per sempre da tali modi di creare l’apparenza. Fanno l’esperienza del nirvana senza residuo solamente durante l’assorbimento totale (mnyam-bzhag, equilibrio meditativo) sulla vacuità. Fanno invece l’esperienza del nirvana con residuo in tutti gli altri momenti come il loro ottenimento successivo (rjes-thob, periodo post-meditativo), sia che stiano meditando su qualcosa di diverso dalla vacuità oppure che non stiano meditando affatto.

Dunque, quando gli arhat raggiungono il nirvana, sia che siano arhat shravaka, pratyekabuddha o bodhisattva, sono liberi da tutte le maturazioni karmiche dello strascico karmico che matura in maniera intermittente (reti di forza karmica e tendenze karmiche). La continuità dei loro aggregati non è più contaminata. Poiché non hanno alcuna caratteristica peculiare trovabile dalla loro parte che potrebbe ancora renderli contaminati, non sono più contaminati. Ogni momento della loro continuità deriva dalla profonda consapevolezza (ye-shes), non dall’inconsapevolezza. Questo perché, secondo la scuola Ghelug Prasanghika, anche l’inconsapevolezza riguardo al modo in cui tutti i fenomeni esistono è inclusa tra gli oscuramenti che ostacolano la liberazione, e gli arhat hanno raggiunto un vero arresto di questo insieme di oscuramenti. Soltanto se gli aggregati derivano direttamente dall’inconsapevolezza nel momento precedente, possono venire considerati contaminati. Quando gli arhat muoiono nella vita in cui hanno ottenuto la liberazione, tuttavia, essi rinascono con corpi fatti di pura luce, come nei sistemi di principi Mahayana comuni.

In questa fase, secondo la scuola Ghelug Prasanghika, abbiamo ottenuto il vero arresto dell’inconsapevolezza e del karma, ma rimaniamo ancora con le abitudini costanti dell’inconsapevolezza, le abitudini costanti karmiche e ciò che matura continuamente da entrambe. Esse fanno sì che la nostra cognizione sia continuamente limitata e continuamente incapace di focalizzarsi sulle due verità allo stesso tempo. Dunque, non siamo in grado di beneficiare gli altri nel modo più completo possibile.

(5) Con la quinta mente sentiero, la mente sentiero che non ha più bisogno di formazione (mi-slob lam), diventiamo dei Buddha, se abbiamo intrapreso il percorso Mahayana. A questo punto saremo per sempre in grado di focalizzarci in maniera non-concettuale non soltanto sulla vacuità, ma anche sulle due verità allo stesso tempo. Questo ci libererà per sempre dalle abitudini costanti dell’inconsapevolezza e dalle abitudini karmiche costanti. In quanto Buddha illuminati, saremo in grado di beneficiare gli altri nel modo più completo possibile.

Riassunto del processo di purificazione

Sto presentando brevemente questi stadi complicati soltanto per dare un’idea generale dei passaggi del processo di purificazione, in modo che non avremo false speranze riguardo a ciò che accadrà lungo il sentiero. Riassumendo:

  • Prima di tutto, impediamo che le forze karmiche negative diventino ogni giorno sempre più forti.
  • Poi facciamo piazza pulita e ci liberiamo dal nostro cumulo di forza karmica negativa, specialmente lo strascico karmico del karma proiettante negativo, ma immediatamente ricominceremo ad accumulare nuova forza negativa, nuovo karma proiettante negativo.

  • Poi arriviamo allo stadio in cui non saremo gettati in nessuna delle rinascite peggiori per via dello strascico karmico del karma proiettante negativo.

  • Successivamente, ci liberiamo dal primo anello. Non accumuliamo più nuovo karma proiettante – né positivo, né negativo.

  • Come prossimo passo, ci liberiamo dalla radice del samsara. Non abbiamo più rinascite che si ripetono incontrollabilmente. Ci siamo liberati da tutto lo strascico karmico del karma proiettante.

  • Alla fine raggiungiamo l’illuminazione e in quel momento superiamo tutte le nostre limitazioni e ci rendiamo conto di tutto il nostro potenziale per essere in grado di beneficiare gli altri il più possibile.

Il processo di purificazione avviene gradualmente, e si verifica come risultato della focalizzazione non-concettuale sulla vacuità con la coppia unita di shamatha e vipashyana. Non possiamo avere simultaneamente, in uno stesso momento cognitivo, sia l’inconsapevolezza della realtà che la corretta cognizione non-concettuale della vacuità. Comprendiamo la vacuità oppure no. Liberarci da tutta l’inconsapevolezza e da tutte le abitudini costanti d’inconsapevolezza dipende dalla forza e dalla durata della nostra focalizzazione non-concettuale su quella comprensione. La bodhicitta rende la forza della nostra cognizione estremamente potente. Se siamo in grado di avere questa motivazione, che è la più forte di tutte, la mente più concentrata di tutte e focalizzarla tutto il tempo non-concettualmente sulla vacuità, l’inconsapevolezza non tornerà mai più. Rimarremo per sempre con questa comprensione.

Abbiamo coperto una spiegazione intermedia del processo del samsara, il processo dell’uscita dal samsara e di tutto il processo di purificazione via via fino allo stato di Buddha. Per favore rendetevi conto che questo processo può essere spiegato in maniera molto più complessa. Dobbiamo lavorare in maniera graduale.

Domande riguardanti il karma mentale

Domanda: Quando un pensiero di rabbia sorge nella nostra mente, possiamo capire che l’impulso grossolano generato da quel pensiero è ciò che ci fa dire o fare qualcosa mentre l’impulso sottile resta presente nel nostro continuum mentale?

Risposta: È necessario smontare il quadro concettuale da cui stai ponendo questa domanda. Nei nostri linguaggi occidentali, usiamo la parola pensare in senso molto ampio. Nel caso della spiegazione buddhista, è necessario limitarlo. Quando parliamo del karma derivante da azioni mentali, un esempio di un’azione mentale potrebbe essere il pensiero: “Non mi ha chiamato ieri. Ho sprecato tutto il giorno a casa ad aspettare la sua telefonata. La prossima volta che lo vedo, gli urlerò contro perché è così irrispettoso.” Pensare a questa successione di pensieri è un’azione mentale distruttiva. L’emozione negativa della rabbia che l’accompagna è una cosa diversa. La rabbia è la motivazione, non è il pensiero negativo stesso.

Indipendentemente da quale sistema di principi seguiamo, il karma mentale non implica impulsi fisici di energia, né grossolani né sottili. È solamente l’impulso mentale che porta avanti e sostiene una successione di pensieri. Non è mai l’azione karmica del pensare.

Domanda: Cosa succede se voglio dire qualcosa di cattivo a qualcuno, ma poi non lo metto in atto e tuttavia questo pensiero continua a tornare fino a quando non mi spinge ad agire?

Risposta: Prima di tutto dobbiamo differenziare l’atto mentale negativo dall’atto verbale negativo. Pensare qualcosa è un atto mentale, l’atto verbale è dirlo effettivamente. Pensare in anticipo di fare qualcosa – pianificarlo – può portare a dirlo effettivamente, ma non necessariamente porterà a dirlo. Nella discussione del karma, abbiamo quattro possibilità: pianificato e messo in atto; pianificato e non messo in atto; non pianificato ma messo in atto; né pianificato né messo in atto. Il potenziale karmico più pesante deriva dal pianificare qualcosa e poi metterlo in atto.

Domanda: Allora è corretto dire che anche se un pensiero non porta ad un’azione, già il solo pensiero crea un karma che dobbiamo purificare? E che dire dell’uccidere qualcuno in sogno? Nessuno viene ferito, stiamo quindi generando karma negativo da purificare?

Risposta: Sì a entrambe le tue domande. Nel caso del sognare d’uccidere qualcuno, anche se il sogno è iniziato con la pianificazione dell’uccidere la persona e poi effettivamente la uccidiamo nel sogno, la forza karmica negativa è più debole rispetto al caso d’uccidere qualcuno durante lo stato di veglia. Anche se l’azione è stata pianificata e poi messa in atto nel sogno, non c’era una base reale – mancava una persona reale – verso cui l’azione era diretta e che è stata uccisa dalla nostra azione.

Domanda: Se ho il karma di morire, a casa oppure in un letto d’ospedale, in maniera più o meno conscia, che cosa potresti suggerire come pratica considerando che non sono un praticante molto avanzato? Dovrei praticare shamatha, una figura di Buddha oppure visualizzare il mio lama?

Risposta: La cosa più importante al momento della nostra morte è restare focalizzati sul rifugio (la nostra direzione sicura) e sulla bodhicitta. Per favore tenete a mente che il rifugio non significa: “O Buddha salvami!” Piuttosto significa pensare: “Questa è la direzione in cui voglio continuare, la direzione sicura indicata dal Buddha, dal Dharma e dal Sangha. Voglio intraprendere tutto il percorso fino all’illuminazione per poter aiutare chiunque. Mi auguro di poter ottenere una forma umana pienamente dotata di tutte le tregue dalla sofferenza e le ricchezze di circostanze favorevoli che mi sostenga nel migliore dei modi per continuare il sentiero fino allo stato di Buddha in modo da poter essere veramente del migliore aiuto a chiunque. Mi auguro di poter essere sempre guidato da insegnanti pienamente qualificati.” Possiamo restare focalizzati sulla figura di un Buddha o dei nostri lama per restare con questo pensiero. Oppure, se questo è troppo difficile, possiamo solamente focalizzarci sul pensiero: “Mi auguro di poter essere in grado di beneficiare chiunque.”

Conclusione

Non posso mai enfatizzare abbastanza la necessità di essere realistici: “Cosa ti aspetti dal samsara?” Finché non diventeremo degli arhat, non smetteremo di sentirci infelici di tanto in tanto. E non smetteremo di ammalarci, avere incidenti eccetera finché non avremo ottenuto un corpo fatto di luce. Prima di ottenere lo stato di arhat, la nostra esperienza continuerà ad andare su e giù. Man mano che andiamo avanti, questo ottovolante non sarà così estremo, eppure a volte ci sentiremo ancora infelici riguardo alle cose, saremo di cattivo umore e ci succederanno cose che non vorremmo ci capitassero. Non dobbiamo ingannarci con false speranze di miracoli oppure lasciarci ingannare da persone che ci dicono che i miracoli avvengono.

Se abbiamo un’idea realistica di ciò che accade nel processo verso l’illuminazione, essa rafforzerà la nostra determinazione e il nostro coraggio. Possiamo pensare: “So che sarà difficile e che il mio umore andrà su e giù, ma continuerò ad andare avanti lo stesso. Non lascerò che questo mi distragga.” In questo modo, possiamo lavorare continuamente e con costanza verso la liberazione e verso l’illuminazione senza arrenderci o scoraggiarci quando i miracoli non avvengono.

Dedica

Auguriamoci che qualsiasi comprensione possiamo aver ottenuto, diventi sempre più profonda in modo da riuscire a vedere con maggiore chiarezza il processo che ci trattiene nel samsara, e anche i passaggi per venirne fuori. Auguriamoci che qualsiasi forza positiva derivante dal nostro ascolto e dalla nostra riflessione su tutto questo possa fungere da causa per essere in grado di lavorare in maniera realistica e costante verso la liberazione e l’illuminazione per il beneficio di tutti.

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