Ven. Lama Ciampa Monlam (Preghiera d’Amore) nasce in Tibet nel 1926 da una famiglia di nomadi. All’eta di 4 anni entra nel monastero Tsecioling a Lhasa, dove viveva un suo fratello più anziano. Compito specifico del Gompa era quello della celebrazione quotidiana dei rituali al Palazzo del Potala, sia per il Dalai Lama che per il Governo Tibetano. Lì Lama Monlam riceve la formazione ed acquisisce il titolo di “Maestro di cerimonia”. Era a Lhasa quando l’invasore cinese bombardava nel 1959 il Potala. Vi rimane per qualche anno travestito da laico. Nel 1962 a causa dell’invasione Cinese fugge dal Tibet, si rifugia prima in India a Dharamsala e poi in Nepal al monastero di Samtenling a Boudhanath, dove stringe amicizia con Lama Thupten Yesce.
Nel 1972 Lama Thupten Yesce lascia il monastero per fondare Kopan offrendo a Lama Monlam la carica di Abate, che tuttavia rinuncia, decidendo di dedicarsi intensamente alla meditazione seguendo i consigli del suo maestro, spostandosi nei luoghi sacri nepalesi. I primi 9 anni di ritiro li trascorre in una minuscola capanna sulla collina di Swayambu successivamente, invitato da alcuni discepoli Nepalesi, si sposta a vivere e meditare vicino a Katmandu al tempio di Vajra Yogini a Pharping, benedetto alla meditazione di Guru Padmasambawa e visitato da Marpa Lotzawa e caro a tutte le tradizioni tibetane, dove risiede tutt’ora. Qui continua incessantemente la sua pratica meditativa in relazione a Tara Bianca, Vajra Yogini, Yamantaka perfezionando le sue doti di guaritore. A metà degli anni ‘90 comincia ad avere discepoli occidentali e diventa guida spirituale di una scuola sperimentale per bambini disagiati con sede a Sarnat e Bodhgaya nel nord dell’India. Lama è particolarmente devoto alla pratica di Tara Bianca cui a rivolto molte preghiere.
È depositario della preghiera di “guarigione con il sale” tramandatagli oralmente per guarire in special modo le malattie provocate dai “Naga”. Ha conosciuto l’Occidente nel 2002 tramite gli amici che lo hanno invitato in Italia. Dal 2005 è assistito e tradotto (parla solo tibetano) dalla nipote Tenzin Tsomo del monastero.