Le sei perfezioni

bh-mandPanoramica dei “sei atteggiamenti lungimiranti”: le sei perfezioni

Alexander Berzin, Riga, Lettonia, luglio 2004. Traduzione italiana a cura di Valentina Tamiazzo. 

Prima sessione: la bodhicitta e i sei atteggiamenti lungimiranti nel contesto delle due reti
La bodhicitta

Ieri parlavamo della bodhicitta, e abbiamo visto come vi sia quella relativa e la bodhicitta più profonda. La bodhicitta relativa mira alla nostra illuminazione individuale futura, la quale non è ancora avvenuta, ma che sulla base della nostra natura di Buddha e di un gran quantitativo di impegno e di lavoro da parte nostra, è qualcosa che è sicuramente possibile realizzare. E siccome abbiamo la convinzione che sia possibile realizzarla e abbiamo un’idea accurata di cosa essa sia, allora con la bodhicitta relativa miriamo a quella che è effettivamente la futura illuminazione – a quella che sarà, le sue qualità, e così via – con due intenzioni: l’intenzione di raggiungere tale illuminazione attraverso i metodi realistici che ci condurranno realmente ad essa, e di portare il più possibile beneficio a tutti gli esseri, per mezzo di quest’ottenimento. Sappiamo bene che non diventeremo un dio onnipotente che soltanto schioccando le dita – non ha neanche bisogno di schioccare le dita – può far sparire i problemi di tutti. Questo è impossibile. Ma possiamo insegnare agli altri come ottenere l’illuminazione, attraverso effettive istruzioni e attraverso il nostro esempio. Sta poi a loro farlo davvero.

Gli stati mentali che accompagnano la bodhicitta

Questa bodhicitta è accompagnata da altri diversi stati mentali, simultanei ad essa, i quali fanno parte della nostra motivazione ad avere come scopo l’ottenimento dell’illuminazione. Tali stati mentali non si concentrano sulla nostra illuminazione futura; si concentrano su tutti gli esseri – il che significa su ogni essere senziente in assoluto (o essere con un corpo limitato, una mente limitata) in modo assolutamente equo, stiamo quindi parlando di ogni insetto, tutti – con amore, ovvero il desiderio che siano felici e posseggano le cause della felicità, e compassione, ossia il desiderio che siano liberi dalla sofferenza e dalle cause della sofferenza. L’amore è quindi rivolto alla felicità e al benessere di questi esseri senzienti, ed è il desiderio che questa felicità aumenti e cresca. E la compassione è rivolta alla loro sofferenza: è il desiderio che ne siano liberi. Continue reading »

Le paramita o perfezioni

LE SEI PARAMITA o PERFEZIONI

Dopo aver sviluppato il bodhicitta, si deve cominciare a seguire la pratica delle “paramita” (perfezioni o virtù trascendenti): generosità, moralità, pazienza, impegno entusiastico, meditazione, saggezza discriminativa.

Delle 6 paramita, le prime 5 costituiscono il “metodo” (mezzi salutari o azione appropriata), mentre la sesta è la “saggezza discriminante” : la pratica di quelle comporta l’“accumulazione di meriti”, mentre questa comporta l’”accumulazione di saggezza (consapevolezza)”. Le due accumulazioni sono le cause per ottenere – finchè si sta nel samsara – un corpo umano pienamente qualificato, nonché per raggiungere rispettivamente il Rupakaya e il Dharmakaya : esse sono quindi i mezzi per maturare la mente e diventare un Buddha. Gli occhi sono la saggezza, i piedi sono le altre 5 paramita, che devono andare – per così dire – di pari passo, se si vuole arrivare al nirvana: sono indispensabili entrambe come le due ali ad un uccello per poter volare. La pratica delle paramita – purché sia ispirata dal bodhicitta – è la via percorsa da tutti coloro che seguono i sutra ed un preliminare per chi intende poi dedicarsi al tantra. Il bodhisattva le coltiva così lungo i 5 Sentieri, soprattutto a partire da quello della Visione Interiore.

Oltre alle 6 paramita vi sono 4 “perfezioni supplementari o realizzazioni supreme”, che sono aspetti della 6° paramita – per cui si parla anche di 10 paramita in totale.

1) generosità (dana). Consiste nel donare senza attaccamento o desiderio di remunerazione, ma solo per il benessere degli altri. Si distingue in:

a) offerte fatte, con fede e rispetto, ai Tre Gioielli: cose reali (come incenso, musica, ecc.) e mentali (ad es., offrendo mentalmente cose che esistono in realtà, ma di cui non abbiamo la disponibilità: il mare, una bellissima aurora, ecc. oppure visualizzando ricchezze, belle forme, suoni gradevoli, ecc.). I Tre Gioielli non hanno ovviamente bisogno di queste offerte, che in realtà servono solo a noi per eliminare il nostro attaccamento.

b) doni fatti con compassione a chi si trova nel samsara:

doni materiali: ad es., dare cibo ad un affamato;

dono della protezione: ad es., proteggere una persona dal pericolo di un incendio;

dono dell’amore: ad es., confortare chi è infelice;

dono del Dharma: ad es., insegnare il Dharma verbalmente.

Nel dare, dobbiamo considerare ciò che serve veramente al destinatario e non ciò che piace a noi; inoltre, si deve dare nell’ambito della nostra effettiva disponibilità e non sulla scia dell’emotività, che ci potrebbe poi procurare rimpianti o ripensamenti.

2) etica (sila). Il comportamento corretto consiste nell’abbandonare i “10 atti negativi” (uccidere, ecc.) e nel compiere i “10 atti virtuosi”.

Vi sono 3 tipi di moralità, che consistono nel controllare il proprio comportamento:

  1. mantenendo i propri voti, nonché gli impegni presi nelle iniziazioni;

  2. aiutando gli esseri senzienti (ad es., mostrando loro gli effetti negativi delle azioni non-virtuose) ;

  3. avendo il bodhicitta come unico movente in tutte le nostre azioni.

Inoltre il nostro comportamento dev’essere di buone maniere: stare composti, non parlare con durezza o in modo sboccato, non desiderare ardentemente guadagni e onori, ecc.

I semi delle azioni negative che non sono ancora maturati in sofferenza possono esser distrutti col pentimento, che consiste:

a) nel sentire che quella data azione è sbagliata, cioè provare un’angoscia di

coscienza oppure il risveglio di una migliore comprensione;

b) nell’ammettere a noi stessi l’errore che abbiamo fatto;

c) nel rivolgerci al Buddha e pentirci profondamente;

d) nel promettere di non farlo più (come chi si è ammalato per aver ingerito del veleno, si ripromette di non prenderlo più).

Per le nuove colpe commesse ci si deve pentire subito, in meno di un’ora (considerando anche che la morte può arrivare in ogni momento).

3) pazienza kshanti. Questa virtù consiste nella capacità di sopportare e tollerare (senza reagire con collera o vendicarsi):

A) gli atteggiamenti sgradevoli o cattivi delle altre persone, pensando che:

a] se qualcuno è negativo con noi, significa che non sa essere migliore di così perchè è accecato dai suoi klesha (difetti mentali), non può controllare se stesso e sta soffrendo lui stesso;

b] quando tali suoi atti negativi matureranno, dovrà soffrirne molto e quindi col suo comportamento attuale sta costruendo qualcosa di cattivo per se stesso ; il che ci deve far sorgere una grande compassione per lui;

c] d’altronde, quel suo comportamento negativo verso di noi sta rimuovendo un po’ del nostro cattivo karma (è come il gusto cattivo di una medicina, che ci farà bene in seguito);

d] inoltre, quella persona che ora ci fa del male può essere stata nostra madre o padre o fratello o amico o maestro nelle vite precedenti, nelle quali siamo stati da essa amati e aiutati (amore e aiuto certamente superiori al male che ci fa oggi);

e] il male che ora stiamo soffrendo fu causato karmicamente da un’azione simile da noi commessa in precedenza; perciò, poiché è colpa nostra, sarebbe ingiusto rendere la pariglia;

B) le difficoltà che si incontrano nell’accettare il dolore e le contrarietà fisiche e mentali (ad es., nell’assumersi le sofferenze derivanti dal salvare la vita ad una persona);

C) la fatica derivante dallo sforzo di capire il Dharma il più profondamente possibile, di compiere pratiche come le 100.000 prostrazioni o nel sedere a lungo nella posizione del loto mentre si medita.

4) vigore o perseveranza entusiastica.

E’ l’impegno entusiastico (l’opposto dell’apatia, dello scoraggiamento, della pigrizia e della procrastinazione), che consiste in una grande diligenza nel comprendere ed attuare il Dharma: diligenza gioiosa, e non vista come un dovere pesante. Quindi significa:

innanzitutto, usare energia e zelo nel rivolgersi al Dharma, compiendo azioni e pratiche positive (anziché perdere tempo in banali attività mondane);

non stancarsi della pratica spirituale o non cadere nell’indifferenza che ce la fa rimandare di giorno in giorno;

continuare con entusiasmo ad agire in modo positivo (ad es., praticando le

paramita): da un lato, senza la presunzione di ritenersi soddisfatti delle esigue azioni virtuose che abbiamo finora compiuto; e dall’altro, con l’ottimistica convinzione della nostra capacità innata d’ottenere dei risultati positivi.

5) concentrazione meditativa (dhyana).

La “perfezione della concentrazione meditativa” è lo stato in cui la mente è mantenuta ferma sui pensieri positivi (senza distrazione nè torpore) ed è in grado di controllare – come un potente governante – l’attività mentale stessa e il sorgere dei difetti mentali (klesha).

Tale paramita si ottiene quando si sono realizzati i dhyana tanto del Rupadhatu che dell’Arupadhatu.

Entrando nei dettagli, vi sono 3 tipi di concentrazione meditativa:

a) un modo di meditare in cui si ha l’intenzione di voler provare esperienze di piacere, chiarezza ed assenza di pensieri;

b) un modo di meditare in cui si è superato l’attaccamento a quelle esperienze e si resta attaccati al concetto di vacuità come antidoto;

c) un modo di meditare in cui si è superato anche l’attaccamento al concetto di vacuità e ci si trova nella condizione priva di pensiero discorsivo nella quale si coglie la vacuità in maniera diretta, immediata, intuitiva e spontanea.

Come allenamento secondario alla “perfezione della concentrazione meditativa” è necessario meditare su:

l’uguaglianza fra sé e gli altri, perché tutti quanti desideriamo la felicità e non vogliamo la sofferenza;

lo scambio di sé con gli altri, offrendo a questi la nostra felicità ed accogliendo in noi tutte le loro sofferenze;

l’aver cari gli altri più di noi stessi, augurandoci che la loro sofferenza ricada su di noi e che essi possano esser felici prendendo la nostra felicità.

6) saggezza discriminante (prajña). Si tratta della consapevolezza discriminante o intelligenza discriminativa, che deve ispirare il compimento di tutte le paramita precedenti.

Essa consiste nella consapevolezza dell’essenza, delle differenze, delle caratteristiche (particolari e generali) di ogni oggetto di percezione: ossia, è la facoltà dell’intelligenza presente nel continuum mentale di tutti gli esseri senzienti che permette di esaminare gli oggetti e di formulare giudizi e decisioni. Continue reading »