Il titolo e la prefazione, Lavorare sulla mente, Confronto con le altre religioni.
Il nome di questo testo è “L’addestramento mentale come i raggi del sole”. Ho già spiegato cosa significa l’addestramento del nostro atteggiamento. “I raggi del sole” indicano che questo insegnamento ha la capacità di rimuovere le varie macchie dalla mente, in modo che diventi luminosa come il sole.
In primo luogo abbiamo le strofe d’omaggio, insieme alle lodi ed, a seguire, la promessa di comporre. L’autore prima rende omaggio, si prostra e prende la direzione sicura nel suo guru radice, quindi rende omaggio e loda il Buddha, che ha sviluppato l’amore, il desiderio che gli altri siano felici, e la compassione, il desiderio che gli altri siano liberi dalla sofferenza. Questa è la radice per sviluppare un obiettivo di bodhicitta https://www.sangye.it/altro/?p=5464 per raggiungere l’illuminazione a beneficio di tutti e per seguire le pratiche dei sei atteggiamenti di vasta portata (perfezioni) https://www.sangye.it/altro/?p=6613 e dei quattro modi di radunare i discepoli (1- Sii generoso. 2 – Parla gentilmente e insegna il Dharma. 3 – Incoraggia gli altri alla virtù. 4 – Pratica ciò che predichi)
La loro pratica è il modo di rimuovere tutte le macchie, sviluppare tutte le buone qualità e diventare un Buddha. Namkapel si prostra al Buddha come il grande nocchiero della nave che guiderà tutti attraverso l’oceano del samsara. L’enfasi principale qui è sullo scopo di bodhichitta, avendo come radice amore e compassione.
L’autore quindi si prostra e loda i grandi maestri dei lignaggi profondi ed estesi che discendono dal Buddha. Il lignaggio vasto fu trasmesso attraverso il bodhisattva Maitreya ai suoi discepoli umani: Asanga, Vasubandu e al suo discepolo Sthiramati. Il lignaggio della visione profonda deriva dal bodhisattva Manjushri a Nagarjuna https://www.sangye.it/altro/?p=10906, passando attraverso Chandrakirti https://www.sangye.it/altro/?p=10587 e così via. Namkapel rende anche omaggio al terzo lignaggio, proveniente da Shantideva https://www.sangye.it/altro/?p=11776, che è il lignaggio delle grandi onde della pratica relativo a pratiche come lo scambiare sé stessi con gli altri https://www.sangye.it/altro/?p=6607, provenienti da “La preziosa ghirlanda” https://www.sangye.it/altro/?p=2788 (Rin-chen ‘phreng-ba, scr. Ratnavali) di Nagarjuna https://www.sangye.it/altro/?p=10906 e dagli insegnamenti che Shantideva https://www.sangye.it/altro/?p=11776 ricevette da Manjushri.
Questi tre lignaggi furono trasmessi attraverso vari lama fino a Serlingpa e fu da questo grande maestro che li ricevette Atisha https://www.sangye.it/altro/?p=11767, che li trasmise a Dromtonpa del lignaggio Kadam, un nomade che proveniva dallo stesso luogo in cui sono nato io, e poi ai tre fratelli Kadam, successivamente a Langri Tangpa https://www.sangye.it/altro/?p=27 e così via.
Namkapel senza dubbio ricevette questo insegnamento da molti lama, il principale fu lo stesso Tsongkhapa, che era guidato da Manjushri. Nel testo c’è una strofa di lode a Tsongkhapa e alle sue qualità. Se leggiamo i suoi diciotto volumi di insegnamenti, vedremo quanto grandi fossero le sue qualità; non compose solo testi rituali ma anche chiare e dettagliate spiegazioni. Non c’è niente di straordinario nel numero di volumi composti, è il loro contenuto e la loro chiarezza che sono davvero straordinari.
Dopo i versi di lode giunge la promessa di composizione. L’autore dice che spiegherà, nel miglior modo possibile, il modo di sviluppare bodhichitta, come gli è stato insegnato dai suoi guru. Quindi ci incoraggia a leggere questo testo con molta attenzione. La fonte principale è Manjushri, che conferì questi insegnamenti a Shantideva, che in seguito compose il Compendio degli addestramenti (bsLab-btus, scr. Shikshasamuccaya) e Impegnarsi nella condotta del bodhisattva (sPyod-jug, scr. Bodhisattvacharyavatara) https://www.sangye.it/altro/?p=2346. Soprattutto quest’ultimo testo spiega gli insegnamenti di base trovati qui ed in particolare illustra la trasformazione dei nostri atteggiamenti attraverso lo scambiare noi stessi con gli altri https://www.sangye.it/altro/?p=5984.
Questo testo deriva dagli insegnamenti quintessenziali su bodhichitta. Lo stesso Tsongkhapa sottolinea chiaramente che la quintessenza degli insegnamenti ed i lignaggi trasmessi oralmente non sono separati dai grandi testi; semplicemente rendono più semplici da capire i concetti che non sono spiegati esplicitamente nei grandi testi, sono le chiavi concrete che ci consentono di comprendere veramente i grandi testi e pertanto derivano totalmente dagli stessi, così che non devono essere pensati come un qualcosa di separato. Questo testo fornisce le linee guida per gli insegnamenti di bodhichitta, provenienti da Shantideva https://www.sangye.it/altro/?p=2340.
Il testo di base della tradizione di addestramento mentale a cui appartiene è l’Allenamento mentale in sette punti (Blo-sbyong don-bdun-ma) di Geshe Chekawa. Esiste un testo radice e poi molti commenti; il modo in cui Tsongkhapa lo rese in versi nella propria versione è diverso da come appare nel testo base.
[Nota: Namkapel segue la versificazione di Tsongkhapa e lo stesso testo di Namkapel ha numerosi commenti. Sua Santità sta spiegando solo uno di loro, del quale sfortunatamente l’attuale traduttore non ha ottenuto il nome.]
Allo stesso modo, nella collezione chiamata Cento addestramenti mentali (Blo-sbyong rgya-rtsa), compilato dal maestro Sakya Mucen Konciog Gyaltsen, poco dopo Tsongkhapa, troviamo alcune versioni che si accordano con il testo originale e altre che differiscono leggermente e hanno modi diversi di commentarlo.
[Nota: ad esempio, Namkapel e Pabongka iniziano il testo base con le parole: “Questa essenza di nettare dell’insegnamento della quintessenza è del lignaggio di Serlingpa”. Nella versione molto anteriore di Togme Zangpo, questo passaggio appare alla fine del testo radice.]
In tutte queste versioni, Geshe Chekawa insegna i vari metodi per eliminare l’inconsapevolezza (l’ignoranza) che immagina le cose esistere veramente in modi impossibili e i vari metodi per raggiungere uno stato di liberazione, o nirvana – è chiamato con molti nomi diversi. Non è sufficiente, tuttavia, ottenere solo la liberazione o il nirvana, liberarsi cioè dall’afferrarsi a un’esistenza veramente stabilita, la causa di tutti i nostri problemi e sofferenze. Per il beneficio di tutti, dobbiamo conoscere la situazione reale di tutto ciò che esiste, non c’è nulla che non possa essere incluso in questi due argomenti: come le cose esistono e l’entità di ciò che esiste.
Per insegnarci come raggiungere la liberazione, Buddha girò la ruota del Dharma per l’Hinayana, il veicolo di mentalità modesta – in altre parole, trasmise il giro di insegnamenti hinayana per insegnare come raggiungere lo stato onnisciente di un Buddha. All’interno del Mahayana si trovano due divisioni: sutra e tantra. Il Mahayana è il veicolo della mentalità vasta, che ha la motivazione di bodhichitta, per il beneficio di tutti gli esseri ed è quello di cui stiamo parlando qui.
Lavorare sulla mente
Quelli di noi che vengono dal Tibet possono pensare a tre gruppi di persone: uno che accetta la religione o la spiritualità di qualunque tipo, uno che pensa che la religione sia la causa di tutti i problemi e un terzo che ne è indifferente, che non dice che la religione è buona o cattiva, ma semplicemente non se ne cura. Molte persone hanno questo tipo di pensiero.
La religione dovrebbe portarci felicità quindi, se così non è, non c’è motivo di seguirla, semplicemente la scartiamo. Le persone che hanno rinunciato al Dharma o che non lo accettano, pensando che sia l’oppio delle masse – non hanno trovato la felicità, vero? Vivono in costante paura, tensione e competizione. Se esaminiamo coloro che abbandonano la religione e quelli che la seguono e chiediamo quali sono più felici, lo sono sicuramente quelli che seguono e praticano la religione. Questo perché il vero punto della religione è domare la mente e renderla più pacifica. Chi segue la religione è più pacifico e più felice.
L’introduzione del comunismo in Tibet doveva essere a beneficio del popolo tuttavia, se viene forzato, non conduce a benefici individuali o collettivi: il desiderio di lavorare per la società non è qualcosa a cui si possono costringere le persone dall’esterno ma deve svilupparsi dall’interno, dalla propria mente e dai propri sentimenti. Non si può forzare la coscienza sociale nelle persone, semplicemente non funziona.
L’esercizio della lotta di classe per portare a cambiamenti nell’intero sistema sociale del Tibet è un processo basato su rabbia, odio e risentimento che non funziona affatto. Ma se fosse stato basato sull’atteggiamento mahayana di reale preoccupazione per le altre persone e sul voler veramente essere di beneficio, allora potrebbe rivelarsi d’utilità nell’aiutare le persone a migliorare tuttavia, poiché è basato sull’odio, è disastroso.
Il Buddhismo ebbe origine in India e Buddha Shakyamuni espresse la necessità emersa dal suo sistema sociale multi-castale: tale sistema aveva creato sofferenza a molti livelli, nonché molti tipi di disturbi e problemi all’interno della società secolare. Egli cercò quindi i mezzi per eliminare questo tipo di profonde differenze e discriminazioni, parlò del percorso dei Buddha come qualcosa che non attribuisce alcuna importanza al sistema delle caste. Gli insegnamenti originali del Buddha dicono di non fare differenze di classe o di casta in termini di persone che hanno un grande naso, una particolare occupazione o cose simili, il che è assurdo: le persone non hanno questo tipo di classi o divisioni innate quando nascono.
Per questo motivo al giorno d’oggi le persone in India che si interessano al Buddhismo sono persone di bassa casta. Perché sono interessate al Buddhismo? Non a causa dell’atteggiamento di compassione, della possibilità di beneficiare le vite future e nemmeno per la visione del vuoto, bensì perché nel Buddhismo non abbiamo la differenziazione delle caste.
Confronto tra il Buddhismo e le altre religioni
Nel negare il sistema delle caste, Buddha non stava criticando un’altra religione; come nelle altre religioni egli insegnò il rispetto genuino per le altre tradizioni religiose poiché tutte insegnano qualità positive a beneficio dell’umanità. Nell’Islam, per esempio, ci sono sette che basano la loro pratica religiosa sulla compassione: ci sono mullah in Iran che ricevono donazioni dai ricchi e li distribuiscono liberamente ai poveri e ai bisognosi. Ciò dimostra che anche in paesi come l’Iran dove ci sono attualmente grandi difficoltà e sofferenze, come la guerra contro l’Iraq, sorte anche in nome della religione, c’è ancora un atteggiamento basato sulla compassione, come mostrato da questo esempio di generosità.
Se consideriamo le varie religioni che affermano l’esistenza di Dio, tutte sostanzialmente dicono che dobbiamo essere brave persone. Rivolgiamo richieste a Dio e ciò che accade è nelle sue mani, ciò nondimeno dobbiamo comportarci in modo dignitoso, religioso e ciò sarà vantaggioso. Negli insegnamenti buddhisti appare invece ancora più chiaro che il miglioramento non giungerà semplicemente dal pregare un dio, ma che noi stessi dobbiamo porre l’enfasi sui nostri sforzi e sul nostro lavoro.
Ci sono religioni che sottolineano l’importanza di Dio e, nonostante nel Buddhismo non sia così, ci sono tuttavia diversi tipi di divinità. Rivolgiamo loro richieste ricevendo varie “benedizioni” e ispirazione. Ma questo è solo un aspetto dei metodi, non è l’intera sorgente di come avvengono le cose. Nelle religioni teistiche è come se non avessimo realmente alcun potere: possiamo solo rivolgere richieste a Dio e, proprio come ha egli creato l’universo, ha il potere di creare la nostra felicità o infelicità. Sulla base delle preghiere che recitiamo potremmo forse ricevere alcune benedizioni e diventare felici, ma in realtà non abbiamo il potere ultimo. Invece negli insegnamenti buddhisti, anche se possiamo fare richieste e preghiere per ricevere “benedizioni” e ispirazione dai Buddha e così via, noi stessi dobbiamo fare ciò che i Buddha hanno compiuto; dobbiamo impiegare i molti metodi insegnati da Buddha per raggiungere la felicità. Quindi tutto il potere dipende da noi.
La protezione e il rifugio nelle religioni teistiche provengono dall’esterno: tutto discende dall’alto verso di noi. Nella religione buddhista il vero rifugio e protezione provengono dall’interno, dall’evolversi per raggiungere lo stato di un buddha. Piuttosto che venire dall’alto dei cieli verso di noi, tutto funziona grazie ai nostri sforzi quaggiù e si innalza. Il solo sedersi e pregare Buddha: “Possa io essere felice; possa essere liberato” non sarà di grande aiuto. Dal momento che noi stessi abbiamo bisogno di svilupparci, rivolgiamo preghiere e richieste al Buddha “Possa io essere in grado di svilupparmi per raggiungere lo stato di un Buddha”.
Per raggiungere questo obiettivo dobbiamo lavorare sulla mente e non solo sul corpo. Questo perché, pur essendo fisicamente felici, è ancora possibile essere molto miserabili mentalmente. Ma se le nostre menti sono felici allora, anche se il corpo è a disagio, non saremo turbati. Ad esempio, se le nostre menti sono molto infelici, è probabile che sviluppiamo ipertensione e probabilmente diventeremo nervosi. Tutte queste cose ci causeranno disagio fisico e sofferenza; se le nostre menti sono felici ciò influenzerà il modo in cui ci sentiamo in modo positivo.
Quali sono lo stato e lo scopo più elevati descritti nel Cristianesimo? Qualcosa di simile, ma non esattamente lo stesso, delle nostre terre pure – ovvero il nascere in un paradiso celeste. Il meglio che possiamo ottenere da tutte le nostre richieste è rinascere in paradiso dove saremo molto felici. Al contrario quando parliamo di liberazione, il punto supremo della pratica buddhista, non si tratta semplicemente di rinascita in un bel paradiso ma piuttosto di liberarsi da tutte le varie afflizioni e emozioni negative che disturbano le nostre menti, sbarazzandoci degli impulsi karmici che emergono e ci fanno agire in modo indisciplinato, che ci portano infelicità. Il vero modo per raggiungere la liberazione non consiste solo nel pregare per rinascere in un paradiso, ma lavorare davvero per domare la mente, per rimuovere i vari disturbi e impulsi che sorgono causando infelicità: il Buddhismo non si basa solo sull’allenamento e sul miglioramento del corpo ma su quelli della mente.
Per migliorare la mente, dobbiamo essere profondamente consapevoli di cosa sia la realtà. È vero che se usiamo i vari mezzi fisici come la prostrazione, la pratica del digiuno, recitazione di mantra e la pratica della parola, possiamo sviluppare una forza positiva (potenziale positivo, merito) che è molto utile; tuttavia la base principale per raggiungere la liberazione è lavorare sulla mente: è la mente che è nella natura dei risultati effettivi.
Ad esempio, se realizziamo un oggetto di metallo e il prodotto finale è di ferro, allora anche la causa sarà costituita dal ferro. Lavoriamo semplicemente sul materiale causale, modellandolo, piegandolo e trasformandolo nell’oggetto che vogliamo. Allo stesso modo, pensando al prodotto finale sia come illuminazione sia come liberazione, dobbiamo purificare e modellare la mente al punto in cui opera pienamente in accordo con la sua natura di base. Questo è il materiale con cui dobbiamo lavorare: la mente.
La mente ha varie macchie che però sono passeggere e non fanno parte della sua natura fondamentale. Dobbiamo capire qual è la natura di base della mente, le menti primarie, i fattori mentali e così via, e lavorare con questi. Dobbiamo avere in mente il prodotto finale che desideriamo ottenere, che vogliamo modellare. Così possiamo lavorare con i materiali che ognuno di noi ha effettivamente, modellandoli nella forma che vorremmo avesse il prodotto, proprio come se stessimo lavorando con il ferro per realizzare un prodotto di ferro.
Per questo è importante sapere quali sono gli stati mentali validi e non validi in noi. Le menti non valide sono i modi distorti di conoscere, di vacillare incerto o dubbio e di supposizione. D’altra parte abbiamo le menti valide della comprensione inferenziale e della percezione nuda, che sono modi diversi in cui possiamo essere consapevoli delle cose, lavorando per migliorare la mente e portarla a un livello in cui può comprendere i fenomeni esclusivamente in modo valido. Per allenare la mente è molto importante sapere come funziona e come esperisce poiché dobbiamo effettivamente lavorare con essa. Dobbiamo allenarla per raggiungere gli effettivi prodotti finali: lo stato di un Buddha, l’illuminazione che è anche prodotta dalla mente; è un modellamento della mente.
Riepilogo dei punti principali
Ci sono tre gruppi di persone: quelli che sono interessati alla religione, quelli che sono molto contrari e quelli che sono indifferenti. All’interno della categoria di coloro che sono religiosi ci sono i teisti che credono in un dio creatore: per loro la felicità proverrà solo dal fare richieste e preghiere a un dio onnipotente che la concederà loro. Il Buddhismo è all’interno di un’altra divisione delle religioni, quelle che non affermano un dio creatore onnipotente, ma che sostengono che la felicità proviene dal karma, dalle tendenze, dai semi e dalle abitudini dei propri continua mentali. Questo è il motivo per cui i buddhisti si definiscono “interni” – la felicità e il potere di influenzare il nostro futuro risiedono all’interno. L’attenzione si concentra sull’”interno”.
I buddhisti pensano in termini di vite precedenti e così anche alcune altre religioni. Alcune parlano di un sé concreto, un’anima concreta che proviene da vite precedenti, si incarna in questa e prosegue in quelle future. Altre sostengono che, sebbene ci sia rinascita, non esistono un sé o un’anima concreti che continuano da una vita all’altra. All’interno di queste due categorie il Buddhismo afferma che non abbiamo sé o anime concreti e immutabili che trasmigrano dalle vite passate a quelle future e che sono la base per la liberazione.
Ci sono quindi molti diversi tipi di religioni. Noi buddhisti non affermiamo che esiste un dio creatore fonte di felicità; inoltre pensiamo che non esiste un sé o un’anima concreta che va verso la liberazione. Nel Buddhismo la modalità di condotta si basa sulla compassione e la visione della realtà si basa sull’origine interdipendente, su causa e effetto. Su questa base, gli insegnamenti del Mahayana pongono l’accento principale sulla compassione e sullo sviluppo di un obiettivo di bodhicitta.
All’interno del Mahayana c’è la divisione in sutra e tantra e qui stiamo parlando nel contesto del primo. All’interno del sutra ci sono tre lignaggi: uno di Asanga, uno di Nagarjuna e uno di Shantideva. Quello di Nagarjuna, in particolare nel suo testo La ghirlanda preziosa, parla di prendere su di noi la sconfitta e dare la vittoria agli altri.
Quali sono le differenze tra questi lignaggi? Potremmo dire che il lignaggio di Asanga parla del modo in sette punti di causa ed effetto per sviluppare bodhichitta, mentre quello di Shantideva dello scambiare il sé con gli altri e anche quest’ultimo si trova nella Ghirlanda preziosa di Nagarjuna. Mi chiedo come possiamo spiegare la differenza tra le presentazioni di Nagarjuna e Shantideva? Potremmo dire che Nagarjuna parla principalmente della visione profonda del vuoto e solo per inciso menziona lo sviluppo dell’obiettivo di bodhicitta attraverso lo scambio di sé e degli altri, mentre Shantideva spiega questo metodo principalmente ponendo l’enfasi su bodhichitta.
Resoconto storico degli insegnamenti
Questa prima sezione del testo, un resoconto storico degli insegnamenti, inizialmente discute l’importanza di sviluppare bodhichitta dicendo che nell’Hinayana l’enfasi è sui tre addestramenti superiori. È sicuramente possibile, sulla base di questi tre allenamenti superiori, raggiungere la liberazione ed eliminare ciò di cui dobbiamo liberarci tuttavia, al fine di sbarazzarci di tutto ciò di cui dobbiamo liberarci, dobbiamo anche sviluppare bodhichitta.
Il testo continua con un resoconto della sua storia, riferendosi ad Atisha e Dromtonpa, menzionando i commenti sugli insegnamenti di allenamento dell’atteggiamento composti a Radreng, il monastero che i due fondarono in Tibet. Tra tutti i discepoli che vivevano a Radreng i più illustri erano i tre fratelli della tradizione Kadam, in particolare il grande Ghesce Potowa, che era abile negli insegnamenti completi di sutra e tantra. Dei tre lignaggi Kadam provenienti da Dromtonpa, uno è la tradizione dei grandi classici, un altro è il lam-rim (gli stadi graduali del sentiero) e il terzo è l’insegnamento della quintessenza. Ho letto in un testo di formazione dell’atteggiamento che la tradizione Ghelug proviene principalmente dalla grande tradizione dei classici Kadam. La tradizione di lam-rim Kadam passò principalmente a quella Kagyu, giunta attraverso Tilopa, Naropa, Marpa e Milarepa. La sua spiegazione del tantra proveniva dalla presentazione della visione della realtà negli insegnamenti di mahamudra e, negli insegnamenti di Gampopa, questi erano combinati con la tradizione del lam-rim Kadam.
Tra i vari discepoli di Ghesce Potowa, come Sharawa e così via, ognuno aveva la sua specialità. Ghesce Chekawa era lo specialista di bodhichitta; aveva ascoltato un discorso sugli Otto versi dell’allenamento mentale (Blo-sbyong tshig-brgyad-ma) di Ghesce Langri Tangpa, sviluppando un grande interesse in esso.
Per saperne di più andò dal grande insegnante Ghesce Sharawa, quando lui stava dando un insegnamento su Gli stadi della mente degli shravaka (uditori) (Nyan-sa, scr. Shravakabhumi). Si chiedeva se questo Ghesce Sharawa, che aveva senza dubbio il lignaggio di questi insegnamenti sull’allenamento dell’atteggiamento, fosse uno specialista in essi. Ghesce Chekawa non ne era certo, ma pensò valesse la pena chiederglielo. Dopo l’insegnamento, mentre Ghesce Sharawa stava circoambulando uno stupa, Ghesce Chekawa si avvicinò al vecchio lama chiamandolo “Gen-la”. Ghesce Sharawa chiese: “Che cosa non hai capito oggi dal discorso? Ho chiarito tutto. Cosa rimane che non hai capito?” Ghesce Chekawa rispose: “Ho ascoltato questa strofa sull’allenamento dell’atteggiamento che dice che bisogna dare la vittoria agli altri e prendere su di sé la perdita. Ho sentito questa frase e ha colpito a tal punto la mia mente che ho pensato che sarebbe stato di grande beneficio imparare di più su di essa e metterla in pratica. Vorrei chiederti se ne sai di più, come sviluppare effettivamente questo atteggiamento e vorrei sapere la fonte di questi insegnamenti, da quale testo provengono e se è opportuno metterli in pratica”.
Ghesce Sharawa rispose: “Non è questione se sia qualcosa che tu devi mettere in pratica o no; il punto è che, se praticato, ti porterà sicuramente l’illuminazione”. Ghesce Chekawa si rese conto che senza dubbio Ghesce Sharawa aveva compreso tutto ciò, altrimenti non sarebbe stato in grado di rispondere in modo così intelligente e così gli chiese: “Qual è la fonte testuale di questo insegnamento?” Ghesce Sharawa gli disse che proveniva da La ghirlanda preziosa di Nagarjuna, al che Ghesce Chekawa disse: “Certo, Nagarjuna è il secondo Buddha dopo Buddha Shakyamuni, e tutto ciò che dice ovviamente ha una grande autorità scritturale”. Improvvisamente tutto gli fu chiaro e decise con risoluzione che in ciò avrebbe posto tutti i suoi sforzi.
Richiese degli insegnamenti e Ghesce Sharawa rispose: “Vedremo quando giungerà il momento di darteli mentre procediamo con ciò che ho insegnato. Stavo spiegando Gli stadi mentali degli shravaka e, se dovessi dare gli insegnamenti che tu mi hai chiesto, mi chiedo davvero se qualcuno sarebbe interessato o li praticherà davvero”. Al che Ghesce Chekawa si rallegrò molto pensando che prima o poi sarebbe stato in grado di ricevere questi grandi insegnamenti sull’allenamento dell’atteggiamento da un grande maestro come Ghesce Sharawa. Nel frattempo continuò a praticare riaffermando e rafforzando il suo obiettivo di bodhicitta sulla base dello scambiare sé stessi con gli altri.
(Tratto dal sito https://studybuddhism.com/it/buddhismo-tibetano/allenamento-mentale/commentari-sui-testi-lojong/il-commentario-sull-allenamento-mentale-simile-ai-raggi-del-sole-il-dalai-lama/meditazione-sulla-vacuita-del-se-e-di-tutti-i-fenomeni che devotamente ringraziamo per la sua compassionevole gentilezza verso tutti gli esseri che soffrono in questa dolorosa esistenza samsarica.)