Shantideva

Shantideva

Prima di conferire la trasmissione orale della Via del Bodhisattva, conosciuta in Sanscrito come la Bodhisattvacharyavatara, Shantideva fu deriso dalla sua comunità come un monaco pigro e poco studioso.

Shantideva (Sk: Shantideva; Tib: Shyiwa Lhà), fu un grande studioso indiano buddhista dell’ottavo secolo d.C. dell’Università di Nalanda ed un seguace della filosofia Madhyamaka di Nagarjuna . La Chan Ssu Lun della scuola cinese Madhyamika individua due diversi personaggi col nome di “Shantideva”: il fondatore del Sangha Avaivartika nel 6 ° secolo, e un successivo Shantideva che studiò a Nalanda nell’8° secolo che sembra essere la fonte delle biografie tibetane. Scoperte archeologiche sono a sostegno di questa tesi. Due fonti tibetane della vita di Shantideva sono gli storici Butön e Jetsün Tāranātha. Studi recenti hanno portato alla luce un manoscritto nepalese in sanscrito del 14° secolo sulla vita di Shantideva. Shantideva nacque come un bramino nel paese di Saurastra (nell’attuale Gujarat), era figlio del re Kalyanavarman ed ebbe il nome di Shantivarman. Shantideva era uno grande studioso e maestro buddista indiano che studiò presso l’Università monastica di Nalanda nell’VIII secolo c.C. Si sa poco della sua vita, anche se certi aneddoti offrono alcune informazioni su quella che doveva essere una delle menti più raffinate ed indipendenti dell’approccio scientifico della filosofia Mahayana. Prima di conferire la trasmissione orale della Via del Bodhisattva, conosciuta in Sanscrito come la Bodhisattvacharyavatara (o il Bodhicharyavatara nella sua versione abbreviata), Shantideva fu deriso dalla comunità monastica, in generale, come un uomo pigro e poco studioso. Infatti, per gli altri monaci di Nalanda, Shantideva passava tutto il suo tempo a mangiare, dormire, o ad utilizzare il bagno. Alla fine, questa sua riluttanza ad impegnarsi nella rigorosa attività intellettuale che contraddistingueva la vita nell’Università lo portò in attrito con l’amministrazione di Nalanda, al punto da escogitare un piano per esporre al pubblico ludibrio le carenze di Shantideva. Fu così avvicinato da funzionari di Nalanda che gli comunicarono che era il suo turno per tenere una dissertazione pubblica all’interno dell’Università al fine di fornire un insegnamento su degli aspetti della parola del Buddha. Shantideva prontamente accettò ed i funzionari ne rimasero sbalorditi, perché tutti s’aspettavano che avesse declinato l’offerta. Non erano consapevoli non solo che Shantideva avesse realizzato le tre perfezioni (del mangiare, dormire ed utilizzare il bagno), che costituivano infatti i veicoli fisici meditativi coi quali Shantideva praticava gli insegnamenti del Buddha, ma che avesse raggiunto un sorprendente livello di realizzazione a seguito della sua pratica basata sullo studio e la disciplina. In ogni caso, i funzionari Nalanda s’indaffararono ad organizzare un grande ed affollato meeting per dare il massimo risalto all’evento che certamente avrebbe rappresentato l’umiliazione di Shantideva. Nel giorno tanto atteso, tutta la comunità monastica era riunita attorno al trono destinato a Shantideva. Secondo la leggenda, il trono era collocato ben oltre l’altezza del capo di Shantideva, e non esisteva alcun ausilio per aiutarlo a raggiungere la meta. Con grande dispiacere dei suoi detrattori, Shantideva non mostrò alcun disagio. Semplicemente, stese la mano ed abbassò il trono ad un livello adeguato, vi ascese, e lo riportò di nuovo nella sua posizione originaria. Inutile dire che alcuni del pubblico iniziavano a capire il loro errore. Shantideva procedette conferendo uno dei più brillanti e profondi insegnamenti sui concetti fondamento del sentiero Mahayana, mai registrati nel cannone filosofico buddista. Come egli continuò ad insegnare, il suo trono salì al cielo per essere accolto dalla manifesta presenza di Manjushri, rappresentazione incarnata della saggezza di tutti i Buddha. Come Shantideva concluse il suo insegnamento, scomparve da Nalanda, lasciando, in segno di riverenza, gli astanti storditi ed ammutoliti.
Da questa storia, possiamo forse cominciare a comprendere l’importanza del ruolo di Shantideva come un santo buddhista classica, e l’importanza del Bodhicharyavatara come una pietra miliare del sistema filosofico Mahayana.

Śikṣāsamuccaya

Il Śikṣāsamuccaya (“Antologia sull’addestramento mentale”) è un’importante opera in diciannove capitoli di Shantideva. È un commentario a 27 brevi versi mnemonici conosciuto come il Śikṣāsamuccaya Karika. È costituito principalmente da citazioni (di variabile lunghezza) da sutra, testi autorevoli considerati la parola del Buddha: generalmente quelli sutra associati alla tradizione Mahāyāna, compreso il Samadhiraja Sutra. Vedi anche: “Moral theory in Śāntideva’s Śikṣāsamuccaya: cultivating the fruits of virtue by Barbra R. Clayton”: http://books.google.it/books?id=pfMtWsZELQMC&printsec=frontcover&dq=%C5%9Aik%E1%B9%A3%C4%81samuccaya&source=bl&ots=Luo7O1vbMu&sig=tsx5MbWIpW_apTeH81RSdsmBK3U&hl=it&ei=raKNTaCZBpDysgautrnuCQ&sa=X&oi=book_result&ct=result&resnum=6&sqi=2&ved=0CEIQ6AEwBQ#v=onepage&q&f=false

Consigliamo vivamente di leggere e meditare il “COMMENTARIO AL TESTO DI SHANTIDEVA BODHISATTVACHARYAVATARA” del Ven. Ghesce Yesce Tobten, pagine 361, Editore: CHIARA LUCE http://www.chiaraluce.it/

There are many full translations of the Bodhisattvacharyavatara online. – Translated by Alexander Berzin http://www.berzinarchives.com/web/x/nav/group.html_1487505749.html;

– Translated by Stephen Batchelor http://www.american-buddha.com/bodhi.1.htm#BODHISATTVACHARYAVATARA,%20Part%201