Giuseppe Baroetto Pema Jigdrel: Ati Rimè: Un tesoro di Insegnamenti Dzogchen.

Prof. Giuseppe Baroetto Pema Jigdrel: Per un attimo siete riusciti a lasciar andare?

Giuseppe Baroetto Pema Jigdrel: Ati Rimè: Un tesoro di Insegnamenti Dzogchen. 13/04/2024 Mandala Centro Studi Tibetani Milano

Innanzitutto chiediamoci il significato dei termini. Cosa significa la parola Dzocen? Dzocen è composto dal prefisso “dzo” e dal suffisso cen, che è l’abbrviativo di cenpo che significa “grande”.

Dzo è generalmente tradotto come “perfezione”. Ma non è così.

Dzo significa: compimento, conclusione, fine. Fine di che cosa? Fine del samsara.

C’è un qualcosa che non termina con la morte fisica.

Il buddha comprese che il ciclo di rinascite può cessare. È la grande intuizione del Buddha.

Esiste quindi la fine del samsara e la fine del nirvana.

Quindi, anche il nirvana non deve essere ricercato.

Quando la via del samsara cessa, è il conseguimento del nirvana.

Il samsara è già finito. Quindi, non c’è nessun nirvana da cercare.

Il samsara è un illusione e così lo è la ricerca del nirvana.

La coscienza che lascia il corpo sospinta dagli impulsi negativi o positivi, s’indirizza verso la rinascita.

Pensiamo ad un un film che ha avuto grande successo. Proprio perché è piaciuto molto s ha il desiderio di rivederlo e di vederne la sua continuazione. Così è per i telefilm a puntate.

Il sequel d’un film non è lo stesso del precedente e, come nei telefilm, c’è il desiderio di continuare, di vedere cosa sarà la prima puntata, quindi la seconda e via dicendo.

Ci devono essere dei motivi per continuare.

Per lo dzochen, tutto è finito se c’è il riconoscimento della propria vera natura. Siamo noi i protagonoisti di questo film, così questa vita potrebbe essere la conclusione della serie.

Come posso esserne certo?

Si possono avere dei ricordi.

Ma la mente di questa vita potrebbe non essere in grado di ricordare correttamente quelle passate. Non sappiamo come la nostra mente interpreti quelle sensazioni, quei ricordi. Tuttavia, sembra che in noi ci siano delle tracce carmiche, in qualche modo gli eventi di una vita determinano quelli della vita successiva.

Per conseguire ciò occorre riconoscere la nostra vera natura.

Quali sono i motivi per rinascerre? Il desiderio.

Per vedere il sequel di un film ci dobbiamo autoingannare, ovvero convincerci che sia reale, perché, se lo consideriamo fin dall’inizio irreale, non lo vederemo.

Ci interessano le emozioni suscitate dal film, che ci faceva credeere che fosse vero. La successione delle vite data dal karma implica che le emozioni siano percepite come reali, così come facciamo finta che le emozioni suscitate dal film siano vere.

Le emozioni suscitate ci suscitano delle memorie, esperienze da provare o che si desiderano provare. Ma tutto ciò può finire. Le esperienze di questa vita generano tendenze che non cessano con la morte, rimangono con la mente, che continua, che, desiderando riprovarle, sarà portata a cercare una nuova vita.

La sofferenza di questa vita dipende da impulsi psichici in base ad esperienze attuali e precedenti. Tutte le scuole buddhiste vi si dovrebbero attenere, ma non è così.

Nel buddhismo tibetano coesistono diverse tradizioni, anche distanti tra loro.

Perché? In quanto per le diverse caratteristiche personali, per le diverse inclinazioni e propensioni di ognuno, il messaggio ha assunto sfaccettature diverse.

Lo Dzocen è una di queste tradizioni che sorse nell’VII secolo d.C. ad opera di Garab Dorje in India, le cui opere furono tradotte ed elaborate nella lingua tibetana. Ed è cambiato nel tempo. In quanto, per le loro tendenze, in Tibet hanno adattato a sé il messaggio e, col passare del tempo, l’hanno modificato. E nei secoli l’insegnamento Dzochen è cambiato. È possibile tornare alla formulazione originaria dello Dzochen. Il che ci permette di tornare all’origine del buddhismo. La cui intuizione principale è : il samsara esiste ma può finire. Quindi se il samsara finisce, non c’è neppure il nirvana.

Ma deve finire ora, perché il samsara è gia finito.

Quando un film ci viene raccontato, il desiderio di vederlo s’affievolisce, e siamo sempre meno invogliati a vederlo se poi quel qualcuno ci sconsiglia di vederlo.

Questa non è la prima volta, siete contenti della vostra vita? C’è insoddisfazzione? Se sì, è perché non può essere la prima volta. E, se ce ne sono state delle altre, le cause le dobbiamo andare a cercare a ritroso, alla lontana.

Pensiamo al karma ed alle sue molteplici sfaccettature.

Cosa né può quel bambino di quell’evento negativo che gli è accaduto?

Se il buddha fosse qui direbbe: “Date per scontato d’aver vissuto altre vite”. E, di vita in vita si creano le condizioni per vedere e rivedere il film, che al momento ci pare reale. È l’autoinganno della rappresentazione falsa della vita, solo per scovare delle emozioni.

Perché ques’autoinganno ci piace, pur sapendo che è un inganno?

Ma, se ne siamo consapevoli, possiamo evitare che si generi altra sofferenza.

Pensate a cio che vi spinge a vedere una rappresentazione della vita, ideata per guadagnare, perché un film ha unicamente scopi di lucro, non per trasmettere una conoscenza, saggezza. Poiché ci confondiamo, ci identifichiamo con quello e l’abbracciamo, facciamo nostro l’autoinganno.

Mi convinco, mi sostituisco con un’altra l’identificazione che ha cerato la mia mente. Ma è ancora un’illusione. Si tratta di capire che è un’illusione. Ma c’è il bisogno che quel film sia percepito come reale. È far finta che un qualcosa che non è reale lo sia. Perché? Per creare emozioni.

Alla base dell’identificazione di sé con un qualcosa che non è rale, la ricerca delle emozioni, è credere di essere ciò che quella rappresentazione mi comunica e mi identifico. Se fossimo in grado di tornare con la nostra memoria nei ricordi piu antichi, non c’erano identificazioni con concetti. Perché non c’erano concetti, non c’era l’idea: “io sono queste sensazioni”. Così come il bambino piccolo non s’identifica con le sensazioni, ma ognuno è un’evento momentaneo, istantaneo, che lascia subito il posto ad altro.

È lo stesso meccanismo che ci spinge a vedere un film: c’è un’assuefazione a riconoscerci nei contenuti delle emozioni. C’è la convinzione che “noi siamo le nostre emozioni, le nostre sensazioni”. È una forma di dipendenza simile a quella della droga.

Il Buddha dice:

Stai lì fermo ed osserva la tua mente, non stare dietro alle senzazioni e pensieri, non devi fare altro”. Ma abbiamo bisogno di pensare, di provare emozioni, sensazioni.

Il Buddha capi che questo bisogno può cessare. Per il bambino piccolo non è così. Lo diventa dopo. Deve diventare un personaggio, diventare un qaulcosa, un qualcuno. Deve identificarsi in contenuti che vanno alimentati con l’eserienza, che è capace di mantenere l’illusione della rappresentazione, convinto d’essere il personaggio.

Sono queste le considizionoi per rinscere.

C’è un momento dopo la morte in cui la mente è staccata dal corpo.

La coscienza s’identifica con le tendenze, e vorrà ricreare il personaggio e tornare come un attore sul palcoscenico.

Questa è l’intuizione originaria.

Lo Dzocen è la riscoperta di questo personaggio originario.

Ma non sei il personaggio, e non ci vuole niente per lasciarlo andare, basta che ti fermi e lasci andare quel personaggio, perché non sei il personaggio. Devi solo concederti la possibilità di farlo. Non devi fare niente. Perché, se capisci che non sei il epersonaggio, il samsara è gia terminato.

Tutto è compiuto, perciò il samsara è un illusione.

Se vuoi capire chi sei veramente, puoi farlo.

In qualunque istante puoi staccarti dallo schermo che ti propone il film e vedi cio che ti succede dentro. Spegnete, staccate lo smartphone, lo potete fare in ogni istante.

Si giunge così a capire profondamente che l’identificazione di sè con concetti e senzazioni è un illusione. Il film è un’illusione.

State sognando, ma dove siete è scoppiato un incendio: potete scappare o spegnerlo. Se ricorrete ad una di queste strategie confermate che l’incendio è reale. Ma può essere anche un incubo e vi svegliate, e l’incendio che credevate reale non c’era, era un’illusione. L’io che credeva nell’incendio non c’è piu, perché ora ti sei svegliato e l’incendio non c’è. Quindi, quell’io che si identificava con quella percezione è irreale.

Nel sogno mi identifico con ciò che proviamo, ma, quando ci svegliamo, capiano che quell’io non è reale.

Ma tutto può finire perché non è reale.

Cosi come il sogno.

È gia finito, terminato, perché non è reale.

La nostra sofferenza nasce con l’identifciazione con idee, percezioni, sensazioni transitorie, irreali. La mente che sogna può renderso conto che quello è un sogno. Se ci riesce, stacca la percezione con le percezioni oniriche ed in quel momento se ne rende conto, si sveglia.

Tutto il samsara di sofferenza non è come pensi, è gia tutto finito, così è gia concluso il nirvana nell’attimo in cui la percezione si stacca dalla sensazione sensoriale. È riconoscere che quel bisogno non è reale. Posso provare sensazioni ed emozioni, ma non sono reali quelle sensazioni ed emozioni. Quindi sono libero dal bisogno. Poiché stando presente e lasciando che tutto fluisca ho la capacità di staccare l’attenzione, avrò pure la sicurezza che non ci sarà un’altra rinascita.

È naturale provare sensazioni ed emozioni, ma qui parliamo della causa della sofferenza che è convincermi di essere quelle emozioni, quelle sensazioni. Invece, se le lascio andare, non mi travolgono, perche io non sono quei pensieri, quelle emozioni.

Se riconosci la chiarezza, stacca l’attenzione.

Tutte le strategie sono volte a farti riconoscere di essere nella stessa situazione di chi nel sogno, sognando che la casa è in fiamme, si prodiga per spegnerlo o fugge, ma l’incendio è irreale, è solo un sogno. Così, se l’incendio non è reale, e lo comprendo, e non mi attacco a quella senzsazione, il fuoco non esite, così al pari, il samsara è gia finito.

Pensieri ed emozioni sorgono dalla mente, che, per funzionare, ha bisogno d’energia, che viene dalla coscienza. Il cui prodotto non è la coscienza, intesa come cio che è consapevole o cosciente di sé, ma la coscienza s’identifica, come quando stavo vedendo un bellissimo film e sono stato interrotto e soffro perché volevo invece vederlo.

Puoi purificare la mente, ma non puoi portare la coscienza a risvegliarsi. Tutte le strategie che comportano sforzo – con mantra, visualizzaioni, yoga – sono analoghe al sognatore che nel sogno o scappa terrorizzato o cerca di spegnerlo. Ma occorre tempo, perche devo applicare il metodo.

Ricorro a qual cosa d’altro se non riesco in questa modalità diretta. Ma, se la percorro, devo aver chiaro che è l’unica modalità, perché negli altri casi ci vuole tempo, perché il tempo è un’illusione. Coltivando la comprensione della propria vera natura, l’espressione il comportamento nella vita quotidiana è per natura morale, etico, compassionevole.

Altrimenti c’è ancora un autoinganno.

Là dove c’è identificazione non c’è compassione.

Il ciclo del samsara consiste di tante vite, che comporta azioni che determinano un effetto positivo o negativo, meriti e demeriti. Ma quest’identificazione può venire meno. Perché quell’identificazione, che rende la persona adatta o meno adatta, è come un sogno. Lo dzo chen – zen – chan è come una medicina, ma potrebbe non funzionare, potrebbe aver bisogno d’un altra medicina. Al che, se si prova, si ricorrerà ad un’altra medicina. Se la persona fosse pronta e dovesse assumere medicine di cui non ha bisogno ne sarebbe danneggiato.

Siete gia nel nirvana, che è fermarsi per un attimo, lasciando andare i pensieri nella mente. Chiudete gli occhi e lasciate andare i pensieri, perché ne avete la capacità.

Ci sono momenti in cui non siamo presenti, per un istante non ci sono pensieri, ma voi ci siete. Cos’è che ve lo dice? Non il corpo fisico, perche la consapevolezza d’esserci non dipende da emozioni o sensazioni, ma quella consapevolezza di sé non è identificabile con niente, ma c’è, è la coscienza che c’è ma non s’aggrappa a nulla, non dipende dal corpo fisico. C’è sempre. Potete ritornare: staccate l’attenzione ed automaticamente siete pura coscienza. È cio che osserva tutte le osservazioni, crea i pensieri. Quando provate sofferenza, dentro di voi, ritornate a quella senzazione, la vostra vera natura è che voi ritorniate, ed è per natura libera e pura. Nessuna esperienza può alterarare quel che siete, né in male né in bene. Perciò possiamo lasciare il male, la sofferenza, perché la nostra vera natura è libera.

Per un attimo siete riusciti a lasciar andare?

Staccate la tensione dai contenuti dell’esperienza che stanno rubando la vostra mente e, se non ci riuscite, chiedetevi il perché. Non è il flusso d’una pratica, la vostra vera natura è sempre presente.

Se la sofferenza viene meno, e staccando la tensione ho visto quel che succede: perché nel mondo c’è tanta sofferenza?

Perché è una medicina difficile, perché sembra impossibile staccarsi dalla convinzione d’essere un personaggio, perché dietro c’è una concatenazione di tante altre vite.

Perciò non c’è ingiustizia, perché tutto dipende dal karma. Ma, questo meccanismo del karma che comporta e giustifica eventi anche molto dolorosi, è il risultato di impulsi carmici e quell’essere sarà indotto, probabilmente in vite future, a staccare la tensione perche ha compreso la situazione, quindi da parte tua verso gli altri c’è compassione, quella compassione che è indispensabile al mondo.

Colofone

Questa prima bozza d’appunti, a cura del Dott. Luciano Villa, nell’ambito del Programma Free Dharma Teachings per il beneficio di tutti gli esseri senzienti, sul prezioso seminario del Prof. Giuseppe Baroetto Pema Jigdrel, è da ritenersi provvisoria, quindi lacunosa, con possibili errori, nonché imperfezioni, anche rilevanti, e non rappresenta affatto una trascrizione letterale delle parole che il Prof. Giuseppe Baroetto Pema Jigdrel ha espresso direttamente, ma semplicemente un limitato spunto di riflessione.