Il significato di “sangha” e consigli per i centri di Dharma

Il significato di “sangha” e consigli per i centri di Dharma

Alexander Berzin, Berlino, Germania, Aprile 2003. Traduzione in italiano a cura di Benedetta Lanza

Oggi mi è stato chiesto di parlare del sangha. Si tratta di un argomento molto importante per quanto riguarda la nostra direzione sicura, il nostro rifugio, ed anche per quanto riguarda tutti gli altri aspetti della nostra pratica. Vorrei affrontare l’argomento da tre punti di vista:

  • il Gioiello Sangha

  • i Tre Gioielli del rifugio

  • il sangha monastico, la comunità monastica

Da ultimo, vorrei parlare dell’uso occidentale del termine “sangha.” Anche se si tratta di un uso non tradizionale, è diventata abitudine comune in occidente usare il termine “sangha” per riferirsi ad un gruppo di persone che frequenta un centro di Dharma o che studia con uno stesso insegnante.

Definizione del sangha e del Gioiello Sangha

Sangha” è un termine sanscrito che indica, letteralmente, una comunità che si riunisce e vive insieme. In questo senso, al suo posto a volte utilizzo il termine “rete” riferendomi a tutte le varie persone o cose che si riuniscono, interagiscono e formano un tutto. Ad un certo livello, può essere riferito ad un gruppo di persone che vive, agisce e lavora insieme come una comunità. Ad un altro livello può essere riferito all’insieme di purificazioni e realizzazioni in un continuum mentale, le quali, anch’esse, esistono, interagiscono e lavorano insieme. Più precisamente, a questo secondo livello, sangha si riferisce alle vere interruzioni (vere cessazioni) delle vere sofferenze e delle loro vere cause, insieme alle vere menti-sentiero (veri sentieri) che portano all’ottenimento di quelle vere interruzioni nel continuum mentale di un arya. Questi arya possono essere essere noi stessi o altri. Queste vere cessazioni e vere menti-sentiero costituiscono anch’esse un sangha, una comunità che vive insieme, che, in altre parole, esiste e funziona insieme.

Invece di tradurre il termine “sangha,” i cinesi traslitterarono la parola usando “seng-jia” (僧伽), o semplicemente “seng” (), che suona come sangha. Questo è il classico termine che essi adoperano per indicare un membro della comunità monastica, un monaco, una persona del sangha; può anche significare sangha in un senso più elevato. Anche noi usiamo la parola “sangha” invece di tradurla.

I tibetani non utilizzarono semplicemente la parola “sangha” così come facciamo noi o come fecero i cinesi. Essi la tradussero con il termine “gendun” (dge-‘dun) che significa “quelle persone o cose che sono dedite ad un obiettivo costruttivo:” Gen vuol dire “costruttivo” e dun “avere lo scopo.” Questo obiettivo costruttivo può essere la liberazione o l’illuminazione. Quindi si può avere una comunità di persone che hanno lo scopo o che si prefiggono di ottenere la liberazione o l’illuminazione, o si possono anche avere purificazioni e realizzazioni in un continuum mentale e queste, in un certo senso, si prefiggono o aspirano ad ottenere un obiettivo, anche in questo caso la liberazione o l’illuminazione.

Credo sia sempre di grande aiuto prima di tutto analizzare le parole per farsi un’idea del loro significato. Ad esempio la parola sanscrita sharanam viene comunemente tradotta con “rifugio” ed ha il significato di protezione. L’espressione “prendere rifugio” quindi, vuol dire cercare protezione. Ciò implica che si tratta di una processo attivo, stiamo facendo effettivamente qualcosa, non vuol dire che stiamo lì seduti e riceviamo una protezione. Questo è quello che io chiamo “prendere una direzione sicura:” vuol dire intraprendere una direzione sicura nella propria vita, perseguirla nel corso della vita, e farlo al fine di ottenere protezione contro la sofferenza. Possiamo ricevere protezione anche dagli altri nel senso che essi ci possono offrire un modello che ci mostra come proteggere noi stessi. Il Buddha è un modello: vogliamo diventare così, quando raggiungeremo quel traguardo allora saremo davvero protetti dalla paura e dalla sofferenza. In altre parole, se davvero mettiamo in pratica il Dharma, gli insegnamenti del Buddha, come mezzo per diventare noi stessi un Buddha, ci proteggeremo dalla sofferenza.

Qual è il ruolo del sangha in tutto questo? Si dice generalmente che il sangha ci aiuta ad andare in quella direzione. Questo va esaminato per comprendere cosa vuol dire veramente. Potrebbe voler dire molte cose.

Quando prendiamo rifugio, non lo facciamo nel sangha in generale ma nel Gioiello Sangha. Sangha e Gioiello Sangha sono due cose differenti. Per andare nella direzione sicura del Gioiello Sangha, dobbiamo ovviamente sapere cosa esso sia. Qui sta il pericolo nel chiamare la comunità di persone che frequenta un centro di Dharma “sangha,” perché se non abbiamo chiaro cosa sia il Gioiello Sangha, potremmo pensare che esso si riferisca alle persone del centro di Dharma. Di conseguenza, se questa comunità ci delude o si comporta in modo improprio, potremmo perdere il nostro rifugio pensando “questo non è assolutamente qualcosa che è degno di fiducia.”

La stessa cosa potrebbe accadere se pensiamo che Gioiello Sangha si riferisce semplicemente a monaci e monache, perché ci possono essere monaci e monache piuttosto disturbati emotivamente ed allora potremmo pensare: “come faccio a prendere rifugio in loro?” Quindi neanche questo è ciò a cui si riferisce il Gioiello Sangha. Questa è la ragione per la quale, per prendere veramente una direzione sicura, è molto importante identificare correttamente cosa voglia effettivamente dire “Gioiello Sangha.”

Ci sono persone in occidente che pensano: “se Gioiello Sangha si riferisce solo ai monaci, allora possiamo farne a meno. Non c’è bisogno di monaci e monache. Si può avere un Buddhismo moderno senza di loro.” Tuttavia i monaci non sono assolutamente ciò cui si riferisce Gioiello Sangha. Le persone possono pensare che la tradizione monastica sia qualcosa di antico o medioevale e che non sia necessaria nella nostra società moderna. “Non abbiamo bisogno del rifugio nel sangha.” Questo è un grosso errore, perché in questo contesto, il Gioiello Sangha non viene identificato correttamente.

Cos’è il Gioiello Sangha? Vediamo cosa dicono: 1) la tradizione theravada, 2) la tradizione mahayana seguita dai tibetani, 3) la tradizione zen. Questo ci aiuterà ad acquisire una prospettiva più ampia. Credo che osservare altri punti di vista all’interno del Buddhismo sia molto utile anche per aprire la mente e non restare rinchiusi nella nostra tradizione del Buddhismo tibetano. In questo modo, possiamo anche osservare ciò che è condiviso da tutte le tradizioni buddhiste.

Il sangha nelle diverse tradizioni buddhiste

Il sangha nel Theravada

Nel Theravada, il Gioiello Sangha è descritto dalla prospettiva degli insegnamenti. Quindi si riferisce a chiunque abbia ottenuto uno dei quattro stadi di realizzazione spirituale, iniziando con il livello arya. Un “arya” è qualcuno che ha ottenuto la cognizione non concettuale delle quattro nobili verità. Nel Theravada i quattro stadi che iniziano con quella cognizione sono chiamati “entrati nella corrente,” “coloro che tornano una sola volta,” “senza-ritorno” e “arhat.” Quando sentiamo questi termini nel Theravada, non dovremmo pensare “ah, entrato nella corrente, è solo un principiante. Ce la possono fare tutti.” Quello in realtà è il livello di un arya. Dal punto di vista theravada il Gioiello Sangha si riferisce agli arya sangha. Essi vengono chiamati “gioiello” a causa del loro conseguimento, la realizzazione e la cognizione non concettuale delle quattro nobili verità e, in particolare, della non esistenza di un tipo di sé la cui entità è impossibile (anatta). Questa persona può essere sia un monaco che un laico.

Si può anche parlare di sangha così come descritto nel Vinaya, le regole della disciplina. In quella prospettiva, si riferisce ad una comunità di monaci o monache pienamente ordinati e, in maniera più specifica, ad un gruppo di quattro o più monaci o monache pienamente ordinati che sono tenuti a partecipare a determinati rituali nei quali è richiesto che a svolgerli sia un quorum di monaci. Ad esempio, durante la piena ordinazione dei monaci, è necessario sia presente un certo numero di monaci pienamente ordinati e, per la piena ordinazione delle monache, è ugualmente necessario che siano presenti tutte monache pienamente ordinate oppure monaci e monache pienamente ordinati. Questi monaci e monache pienamente ordinati, il che si riferisce ai loro voti, sono sangha ma non sono necessariamente Gioiello Sangha. Sono ciò che è chiamato “sangha ordinario,” non il Gioiello Sangha. Naturalmente alcuni monaci potrebbero essere degli arya ed in questo caso sarebbero sia sangha ordinario che Gioiello Sangha.

L’affermazione che troviamo nel Theravada, per la quale vi è una distinzione tra sangha e Gioiello Sangha, è anche presente in tutte le altre forme di Buddhismo. I termini tecnici che vengono usati possono cambiare, ma è sempre presente una generale differenziazione.

Il sangha nel Mahayana

Cosa dice la tradizione indiana mahayana seguita dai tibetani? Qual era la visione tradizionale in India, quella nella quale per prima si imbatterono i tibetani?

Nel Buddhismo indiano mahayana uno dei grandi maestri, o dovremmo dire sorgente degli insegnamenti, è Maitreya. Maitreya è il prossimo Buddha universale che verrà dopo Shakyamuni. Un grande maestro indiano di nome Asanga ebbe varie visioni di Maitreya e mise per iscritto gli insegnamenti da lui ricevuti, in quelli che sono chiamati i “cinque testi di Maitreya.” Questi “cinque testi di Maitreya” sono largamente studiati, non solo nel Buddhismo indiano ma anche dai tibetani. Quando analizziamo le definizioni dei Tre Gioielli, ci riferiamo a quei testi di Maitreya. In tre di questi testi, i Tre Gioielli sono definiti in maniera leggermente diversa anche se non contraddittoria. I tibetani, che sono molto bravi a mettere insieme cose apparentemente in contrasto tra loro, in realtà le adottano tutte. Questi testi delineano due posizioni: due testi prendono una posizione ed il terzo l’altra.

Una posizione si trova in un testo chiamato in sanscrito Abhisamayalamkara, in tibetano mNgon-rtogs rgyan. Vuol dire “Filigrana” o “Ornamento per le realizzazioni.” Questo è il principale trattato studiato da tutti i tibetani per cinque anni, come parte dell’addestramento per diventare kenpo o ghesce. E’ un testo estremamente complicato ed è fondamentalmente la chiave per comprendere i Sutra della Prajnaparamita, perché struttura questa immensa letteratura della Prajnaparamita in categorie ed argomenti comprensibili. I Sutra della Prajnaparamita sono immensi, ne esistono varie versioni di cui una in centomila versi e così via. Non è facile studiarli e comprenderne chiaramente il significato, e questo testo ci aiuta a farlo.

Secondo l’Abhisamayalamkara ognuno dei Tre Gioielli ha due livelli: il livello manifesto o convenzionale ed il livello più profondo o ultimo. Il livello manifesto o convenzionale nasconde quello più profondo.

C’è un altro trattato di Maitreya chiamato Uttaratantra, in tibetano rGyud bla-ma, che significa “Continuum perenne ultimo.” Questo testo è sulla natura di Buddha e per i tibetani è anch’esso fondamentale oggetto degli studi buddhisti. L’Uttaratantra riporta le definizioni complete dei Tre Gioielli. L’unico punto in cui è in disaccordo con l’Abhisamayalamkara è che le definizioni del Gioiello Dharma in esso contenute, si riferiscono soltanto al più profondo livello di Gioiello Dharma e non al livello apparente di Gioiello Dharma. A parte questa differenza, i due testi sostengono la stessa posizione. Il primo testo presenta i due livelli dei Tre Gioielli, il secondo testo definisce il Gioiello Dharma solo con uno di quei due livelli, quello più profondo. Qui, comunque, il nostro argomento è il Gioiello Sangha ed in questo caso le definizioni che vengono date nell’Uttaratantra si riferiscono sia al livello convenzionale che a quello più profondo del Gioiello Sangha. Guardiamo alla spiegazione di tutti e tre i Gioielli.

Il Gioiello Buddha, al suo livello manifesto, è i Corpi della forma di un Buddha, Rupakaya (un Corpus delle forme). Ciò che vedete. Ci sono due tipi di Corpi della forma: Sambhogakaya (Corpi o Corpus di fruizione) e Nirmanakaya (Corpi di emanazione o un Corpus di emanazioni) che sono le forme sottile e grossolana nelle quali il Buddha si manifesta. Il livello più profondo che viene nascosto da questo Corpus di forme illuminanti, è il Dharmakaya del Buddha, il Corpo o Corpus che comprende tutto. Il Dharmakaya ha due aspetti. Uno è chiamato Jnana-Dharmakaya, a volte detto “Dharmakaya di saggezza” o “Dharmakaya di profonda consapevolezza,” un corpus di verità di profonda consapevolezza che comprende tutto. Esso si riferisce alle vere menti-sentiero (veri sentieri) nel continuum mentale di un Buddha, la quarta nobile verità. L’altro aspetto del Dharmakaya è chiamato Svabhavakaya, “Corpo di natura” o Corpus di natura essenziale, e si riferisce alle vere interruzioni o vere cessazioni nel continuum mentale di un Buddha, quindi alla terza nobile verità. Quindi Dharmakaya si riferisce alla terza e quarta nobile verità nel continuum mentale di un Buddha. Questo è il più profondo Gioiello Buddha.

Cos’è il gioiello Dharma? Il livello manifesto del Gioiello Dharma consiste nelle dodici categorie di insegnamenti della parola illuminante del Buddha. Si tratta delle parole effettive insegnate dal Buddha. Ciò che ascoltiamo o che vediamo scritto. Il più profondo Gioiello Dharma è quello che si trova alla sua origine: le realizzazioni degli insegnamenti del Buddha. Questo si riferisce nuovamente alla terza e quarta nobile verità: le vere interruzioni (vere cessazioni) e le vere menti-sentiero. Le vere interruzioni sono la completa eliminazione da un continuum mentale delle prime due nobili verità: la vera sofferenza e le sue vere cause. Le vere menti-sentiero sono la profonda consapevolezza che elimina le prime due nobili verità, oppure, nel continuum mentale di un Buddha, la profonda consapevolezza risultante, che ne è libera. La quarta nobile verità nel continuum mentale di un Buddha non ha bisogno di agire per estirpare le prime due nobili verità perché è già libera da esse. In breve, quando parliamo dell’aspetto più profondo del Gioiello Dharma, parliamo della terza e quarta nobile verità nel continuum mentale di chiunque a partire da un arya fino a un Buddha. Quando parliamo delle vere menti-sentiero nel continuum mentale di un arya, ci riferiamo alla profonda consapevolezza che porterà all’eliminazione delle prime due nobili verità. Quando invece parliamo delle vere menti-sentiero nel continuum mentale di un Buddha, esse sono la profonda consapevolezza che ne è libera.

Il Gioiello Sangha manifesto, è un qualsiasi individuo arya, sia laico che monaco. Quindi non è il gruppo o la comunità degli individui arya presi come un tutto, ma ciascun membro della comunità. Questo è quello che vediamo. Cosa c’è alla sua origine? Il più profondo Gioiello Sangha che è nuovamente, la terza e quarta nobile verità nel continuum mentale di un arya. E’ da notare che i Buddha qui sono inclusi, quali sommo livello di arya.

Dal punto di vista di questa tradizione di Maitreya, il livello più profondo dei Tre Gioielli è di base lo stesso: la terza e quarta nobile verità.

  • Il livello più profondo del Gioiello Buddha è la terza e quarta nobile verità di un Buddha

  • Il livello più profondo del Gioiello Dharma è la terza e quarta nobile verità da un arya fino a un Buddha

  • Il più profondo Gioiello Sangha è nuovamente la terza e quarta nobile verità da un arya fino a un Buddha

Quindi a quale livello della terza e quarta nobile verità troviamo tutti i Tre Gioielli ? Solo al livello di un Buddha. Solamente a quel livello tutti e tre i Gioielli convergono in una sola persona cioè un Buddha. I tibetani si riferiscono a questo quando parlano dei Tre Gioielli come presenti in una sola persona, cioè nel guru quale Buddha. E’ questa la base di quell’asserzione. Quindi è da qui che i tibetani la ricavano, ed è di particolare importanza nel tantra.

L’altra tradizione di Maitreya deriva da un altro dei suoi trattati chiamato Mahayanasutralamkara “Filigrana dei sutra del Mahayana” o “Ornamento dei sutra del Mahayana.” Questa tradizione parla del Gioiello Sangha solo come singola persona arya. Non parla della terza e quarta nobile verità. Quando i tibetani parlano in termini di sutra, si riferiscono a questa seconda tradizione. In questo caso gli arya Buddha non sono inclusi nel Gioiello Sangha, lo sono solo gli arya con realizzazioni inferiori a quelle di un Buddha. Il punto di vista del tantra, nel quale i guru sono considerati personificazioni dei Tre Gioielli, è in accordo alla prima tradizione di Maitreya per la quale gli arya Buddha sono inclusi nel Gioiello Sangha.

Ciascuno dei Tre Gioielli ha una rappresentazione che è chiamata “gioiello simbolico,” ma questo non fornisce una direzione sicura. In altre parole, per la maggior parte di noi gli effettivi Buddha, Dharma e Sangha non sono qualcosa che possiamo incontrare, ma possiamo vedere le loro rappresentazioni. Il gioiello Buddha simbolico consiste nelle rappresentazioni di Buddha, come dipinti e statue. Quando facciamo le prostrazioni davanti ad una statua o un dipinto, questo non è il vero Gioiello Buddha, semplicemente lo rappresenta. Offriamo le prostrazioni a ciò che il dipinto o la statua rappresentano. Non è che prendiamo rifugio in una statua; non veneriamo gli idoli nel Buddhismo.

Similmente il gioiello Dharma simbolico consiste nei testi di Dharma che rappresentano sia le parole del Buddha che la loro realizzazione. Allo stesso modo, noi non prendiamo rifugio nei libri, non è vero? Similmente, ciò che rappresenta il Gioiello Sangha è un gruppo di monaci o monache pienamente ordinati. Noi in realtà non prendiamo rifugio nella comunità monastica, che è soltanto il Gioiello Sangha simbolico, ciò che i Theravada chiamano “sangha convenzionale.”

Partecipante: la presenza del Gioiello Sangha è sufficiente a perpetuare il Sangha?

Alex: No, non in questo senso. Il numero di monaci pienamente ordinati necessari per conferire la piena ordinazione monastica varia a seconda delle tradizioni, ma non è addirittura sufficiente che i monaci siano pienamente ordinati. Per conferire l’ordinazione, devono essere stati monaci per dieci anni; comunque ci sono varie tradizioni riguardo al numero di anni di ordinazione necessari. Per conferire piena ordinazione alle monache ci sono varie tradizioni riguardo al numero richiesto di monaci pienamente ordinati o al numero di monaci e monache pienamente ordinati, ed al numero di anni per i quali essi debbano aver mantenuto i voti monastici della loro piena ordinazione.

Il sangha nella tradizione tibetana

Questo per quanto riguarda la tradizione mahayana indiana; quindi è interessante guardare cosa si trova nella tradizione tibetana. Nel “Prezioso Ornamento della Liberazione,” Gampopa parla di oggetti di rifugio comuni e speciali. Quelli comuni sono quelli condivisi sia dall’Hinayana che dal Mahayana. Quelli speciali sono esclusivi del Mahayana.

In riferimento al Gioiello Sangha, Gampopa dice che ce ne sono due: gli esseri ordinari e gli arya.

  • Il sangha che consiste degli esseri ordinari, si riferisce ad un gruppo di quattro o più monaci o monache pienamente ordinati, che non abbiano ancora conseguito il livello di arya. Gampopa fa riferimento soltanto ai monaci pienamente ordinati, in quanto il lignaggio della piena ordinazione per le monache non venne trasmesso in Tibet. Comunque il termine “monaco pienamente ordinato” (dge-slong, Skt. bhikshu) può anche essere usato come termine generale per indicare sia i monaci che le monache.

  • Arya sangha si riferisce ad uno qualunque degli otto individui delle quattro coppie. Questo è uguale a ciò che i Theravada asseriscono come Gioiello Sangha. Le quattro coppie, o quattro gruppi sono: entrati nella corrente, coloro che tornano una sola volta, senza ritorno e arhat. Ciascuno di essi si divide in due: “colui che entra” cioè colui che inizia ad ottenere la realizzazione su quel livello, ed “il risultante,” colui che ha conseguito quel livello. Gampopa non specifica se questi arya debbano o meno avere la piena ordinazione di monaco o monaca.

Il Gioiello Sangha speciale, asserito esclusivamente nel Mahayana e non condiviso dalle scuole hinayana, ha anch’esso due aspetti, che si differenziano in base ai termini con cui viene descritto.

  • Quando descritto in termini di oggetti a noi esterni , il Gioiello Sangha speciale si riferisce al sangha dei bodhisattva. Questo presumibilmente include bodhisattva monaci e monache pienamente ordinati, sia arya, sia non ancora arya.

  • Quando descritto nei termini delle loro realizzazioni, il Gioiello Sangha speciale si riferisce agli arya bodhisattva, coloro che hanno uno o più dei dieci livelli mentali di un bodhisattva (sa-bcu).

Cosa dicono i Nyingma? Nel trattato di uno dei primi grandi maestri Nyingma, Longchenpa chiamato “Gentilmente volto a facilitarci,” il Gioiello Sangha sono gli shravaka ed i pratyekabuddha, ancora una volta nei quattro stati di entrati nella corrente, coloro che tornano una sola volta, senza ritorno e arhat, e di arya bodhisattva. Ma qui essi aggiungono coloro che sono conosciuti come “Detentori del Mantra” e “Detentori della Pura Consapevolezza” (rig-‘dzin in tibetano). Questi sono fondamentalmente arya che hanno seguito il sentiero dzogchen del tantra.

I Nyingma aggiungono un aspetto del tantra alla descrizione del Sangha.

E i Sakya? Il loro testo di base è chiamato “L’eccellente ornamento delle tre visioni” di Ngorchen Konchog Lhundrub. Questi sono i fondamentali sentieri graduali del lam rim delle quattro tradizioni. Qui egli dice che il Gioiello Sangha è l’insieme degli arya, senza tutte le varie divisioni dei Nyingma e Kagyu. E’ interessante che quando egli parla dell’essere-ordinario sangha che è il Gioiello Sangha simbolico, egli dice: “Coloro che sono entrati nel Dharma prima di noi stessi.” Ciò si riferisce ai monaci che hanno ricevuto l’ordinazione prima di noi. In altre parole, non ai monaci più giovani. Nella comunità monastica ci si siede in base a quando si è ricevuta l’ordinazione, quindi sarebbero tutti coloro che sono seduti davanti a noi nell’assemblea, ma non coloro che sono seduti dietro di noi. Trovo molto interessante che nel Sakya venga definito in questo modo.

Nella tradizione Ghelug cosa dice Tsongkhapa nel Lam-rim chen-mo, “Gli Stadi Graduali del Sentiero?” Tsongkhapa non definisce i Tre Gioielli esattamente come abbiamo fatto noi. Egli descrive le differenze nei termini delle loro attività, qualità e così via, ma dalla sua presentazione risulta molto chiaro che la sua posizione è esattamente come quella di Gampopa. Egli dice che gli arya sangha sono il sangha principale, il Gioiello Sangha. Pabongka fa la stessa affermazione nel suo “La Liberazione nel Palmo della tua Mano,” ma specifica che il sangha monastico è semplicemente il gioiello simbolico, non il vero gioiello.

E’ interessante notare che vi è un consenso generale circa il fatto che l’ Arya Sangha sia l’effettivo Gioiello Sangha, il che coincide anche con la posizione Theravada. Comunque, mentre i Theravada parlano solo degli arya hinayana, gli shravaka e pratyekabuddha, nel Mahayana seguito dai tibetani aggiungiamo gli arya bodhisattva e nella tradizione Nyingma viene fatta la menzione speciale dei praticanti tantrici arya. Ricordatevi che “arya” include i Buddha; arya è chiunque abbia la realizzazione non concettuale della vacuità, ed anche un Buddha ce l’ha. Poi il Sangha convenzionale o simbolico, che non è ciò in cui prendiamo realmente rifugio, è la comunità monastica. Questo è spiegato in modo leggermente diverso, ma di base è lo stesso.

Nella tradizione tantrica il guru racchiude in sé i Tre Gioielli

Per analizzare la tradizione tantrica tibetana, in riferimento al guru che racchiude in sé i Tre Gioielli, possiamo riferirci alla prima tradizione di Maitreya, in particolare al rGyud bla-ma “Continuum Perenne.” Gampopa ne parla a lungo nel “Prezioso ornamento,” dove dice che c’è una differenza tra un oggetto di direzione sicura definitivo e provvisorio.

Dal punto di vista dei veri sentieri e vere cessazioni, prima di ottenere lo stato di Buddha, dove si inizia a conseguirli? Solo quando si diventa arya. Immaginate per esempio, di avere una di quelle vecchie radio o televisioni con dentro dei tubi fissati ad una tavola. Volete convertirla nella scheda madre di un computer. Da una parte c’è la comprensione erronea rappresentata dai vecchi tubi. Quello che volete fare è rimuoverli e sostituirli con dei nuovi componenti. Questi nuovi tubi sono la cognizione non concettuale della vacuità. Quando ne togliete uno, quella è la sua vera cessazione, è l’assenza di quel tubo, è vacuità. Questa è una vera cessazione, la terza nobile verità. Quindi inserite un nuovo tubo e quella è la quarta nobile verità. Il nuovo tubo è ciò che elimina il vecchio sostituendolo. Il nuovo tubo, da un lato, è ciò che rimuove il vecchio tubo quindi è come il sentiero che agisce in modo da liberarsi da quello vecchio e, dall’altro lato è anche il risultato, la quarta nobile verità. E’ sia il sentiero che il risultato.

Si inizia a fare questo quando si è un arya, cioè quando ci si è liberati di alcuni tubi e li si è sostituiti con altri nuovi. Quindi c’è la mancanza di vecchi tubi e la presenza di nuovi tubi; parte della terza nobile verità e della quarta nobile verità. Questo significa che quegli arya che non sono Buddha sono solo oggetti provvisori di direzione sicura; non hanno una raccolta completa della terza e quarta nobile verità. Un Buddha ha la totale assenza di tutti i vecchi tubi e la presenza di tutti i nuovi tubi. Quindi solo il Buddha è oggetto definitivo di direzione sicura, perché solo un Buddha ha la raccolta completa della terza e quarta nobile verità. Quando parliamo del Gioiello Sangha, dobbiamo concentrarci sul Gioiello Sangha definitivo. Solo i Buddha sono Gioiello Sangha definitivo. Gli Arya Sangha prima di ottenere lo stato di Buddha sono solo oggetti provvisori, possono aiutarci a realizzare il loro livello ma non ad andare oltre.

Questo ci conduce al guru che viene percepito come essere tutti e tre, allo stesso modo di un Buddha. Nel Buddhismo tibetano si prende sempre rifugio nel guru. Perché il guru? Perché il guru incorpora tutti i Tre Gioielli, incluso il Sangha. Come fa ad includere il Sangha? Perché un Buddha, quale Arya Sangha, è un membro del Sangha. Il Buddha è tutti e tre, dal punto di vista della terza e quarta nobile verità nel flusso mentale di un Buddha, quindi tutto è incluso in uno. Ecco perché abbiamo il guru, ed il rifugio nel guru.

E’ interessante come nel Theravada non si parli del quarto gioiello, o di prendere rifugio nel guru. Essi parlano di prendere rifugio nel proprio karma, perché l’accumulazione di karma positivo è ciò che fornisce protezione rispetto alle vere sofferenze ed alle loro cause. Anche questo conferma che il rifugio è un processo attivo.

Oggetti che forniscono una direzione sicura causali e risultanti

Un’altra differenza rispetto al Theravada riguarda il rifugio o direzione sicura dalla prospettiva dei suoi oggetti causali e risultanti. Quando prendiamo una direzione sicura causale, stiamo prendendo rifugio nel Buddha, Dharma e Sangha quali entità esterne, perché essi forniscono una direzione che agisce da causa per la nostra realizzazione dei Tre Gioielli. Noi diventeremo i Tre Gioielli. Come si fa a trasformarsi nei Tre Gioielli nel senso di diventare un Buddha? Un Buddha incorpora i Tre Gioielli. E’ “causa” nel senso che è Buddha, Dharma e Sangha esterno. Questo è chiamato “la mera presa di direzione sicura.” L’intraprendere una direzione sicura speciale è “il prendere una direzione sicura risultante.” Ciò si riferisce ai Tre Gioielli che, grazie alla nostra natura di Buddha, otterremo in futuro. Questo ci fornisce una direzione, i Tre Gioielli in cui ci trasformeremo sono l’oggetto che ci fornisce la direzione sicura. Quindi ad esempio quando facciamo le prostrazioni, le facciamo nel senso che prendiamo rifugio, direzione sicura. Mostriamo rispetto non solo ai Tre Gioielli causali, quelli esterni, ma anche alla nostra futura realizzazione, la nostra trasformazione nei Tre Gioielli.

Possiamo pensare: “Cosa significa Arya Sangha, Gioiello Sangha in riferimento a ciò che realizzerò?” Potrebbe significare il nostro ottenimento dello stato di arya, che sarà provvisorio, o può riferirsi al livello finale, la nostra realizzazione dello stato di Buddha. Quando abbiamo bodhicitta, questa è una mente che aspira o che è concentrata sulla nostra futura illuminazione. Non si tratta di illuminazione in generale, non è l’illuminazione del Buddha, è la nostra illuminazione che si realizzerà in un qualche futuro del nostro continuum mentale. Ancora non è successo. Questo è l’oggetto finale di direzione sicura che aspiriamo ad ottenere. Tutto questo torna alla perfezione.

Traduttore: è chiaro che il Buddha incorpora tutti i Tre Gioielli, ma perché il guru?

Alex: Il guru rappresenta il Buddha. Questo ci porta al tema del guru che viene visto come il Buddha. E’ un argomento immenso e ci vorrebbe un intero fine settimana per parlarne, quindi non lo affronteremo adesso. Di base quando vediamo il guru come un Buddha, vediamo la natura di Buddha nel guru nei termini della sua piena realizzazione. Così come quando prendiamo la direzione sicura risultante in noi stessi, aspiriamo alla nostra futura realizzazione dei Tre Gioielli. Per essere in grado di vederla in noi stessi, abbiamo bisogno di vederla nel guru. Vederla nel guru ci aiuta a vederla in noi stessi. Quando la vediamo in noi stessi, ciò non vuol dire che siamo letteralmente illuminati. La stessa cosa accade quando vediamo il guru come un Buddha, non vuol dire che il guru è onnisciente e conosce, ad esempio, tutti i numeri telefonici dell’universo, no? Non vuol dire questo.

Qual è la differenza tra i Tre Gioielli?

Ognuno dei Tre Gioielli si riferisce alla sorgente di rifugio ultima, la terza e quarta nobile verità nel flusso mentale di un Buddha. Qual è la differenza tra questi tre?

In precedenza abbiamo parlato dell’aspetto più profondo della sorgente ultima o oggetto ultimo di direzione sicura, in altre parole, l’aspetto più profondo del Gioiello Buddha, sia dei Buddha esterni che di quello che noi stessi realizzeremo. Poi abbiamo visto che i Gioielli Buddha, Dharma e Sangha quali sorgenti di direzione sicura, si riferiscono tutti alla terza e quarta nobile verità nel continuum mentale di una persona. Qual è la differenza tra i tre? Consiste nell’osservare queste vere cessazioni e vere realizzazioni da tre differenti punti di vista.

Dal punto di vista del Gioiello Buddha, sono sorgenti di ispirazione, ciò che viene comunemente tradotto con “benedizioni.” Si riceve ispirazione da queste vere cessazioni e veri sentieri. Il Gioiello Buddha ci ispira per trasformarci in quel modo, sia che venga visto in un Buddha esterno, o nella nostra futura realizzazione.

Dal punto di vista del Dharma, sono sorgenti delle nostre effettive realizzazioni, “siddhi” in sanscrito. Se otteniamo queste vere cessazioni e veri sentieri, allora quella è la sorgente del conseguimento della nostra illuminazione.

Dal punto di vista del Sangha, essi sono portatori di un’ influenza illuminante, a volte chiamata guida di Buddha. In riferimento ai Buddha esterni, le vere cessazioni e veri sentieri nel continuum mentale di un Buddha consentono a quel Buddha di esercitare un’influenza illuminante su tutti gli esseri. Quando noi stessi realizzeremo quello stadio, allora le vere cessazioni e veri sentieri nel nostro continuum saranno sorgente di influenza positiva per gli altri.

Come ci relazioniamo a questo in riferimento al Sangha? Quando ci focalizziamo sul Sangha, osserviamo principalmente la sua influenza, la sua attività, ciò che fa. Quando parliamo di una comunità monastica o della comunità di un centro di Dharma, è utile considerare questi aspetti principali: come funziona? Cosa fa? Come ci influenza? Come influenza gli altri? Questo è il principale aspetto che possiamo apprendere da questa presentazione. C’è moltissimo altro da dire in termini della presentazione del tantra, ma non abbiamo tempo.

Il Sangha nella tradizione zen

Prima di addentrarci nella discussione sulla comunità monastica e sui centri di Dharma, guardiamo cosa dice la tradizione zen.

Dogen, il fondatore giapponese della tradizione Soto Zen, scrisse molto chiaramente circa i Tre Gioielli. Secondo Dogen, il Gioiello Sangha ha due livelli. Uno è il livello che egli chiama dei “Buddha celestiali,” che si riferisce ai grandi bodhisattva come Manjushri, Avalokiteshvara, Kshitigarbha. Questo si trova anche nella tradizione tibetana nella quale nell’albero del rifugio così come strutturato secondo il tantra, c’è Manjushri e tutti gli altri grandi bodhisattva intorno alla figura centrale del Buddha, a rappresentare il Sangha. Questo è presente anche nella tradizione zen.

L’altro aspetto del Gioiello Sangha consiste nei quattro stadi di un arya. Si riferisce agli arya shravaka, arya pratyekabuddha, arya bodhisattva e arya Buddha, il che è coerente con tutto ciò che è stato detto in precedenza.

Dogen parla di tre aspetti dei Tre Gioielli: “i Tre Gioielli dal corpo unico,” “i Tre Gioielli manifesti” ed “i Tre Gioielli conservati.” Il “Gioiello Sangha dal corpo unico” è la pace ed armonia di tutti i fattori dell’illuminazione. Ad un livello più astratto, può essere la pacifica interconnessione ed armonia del tutto. Da questo si trae l’idea di una comunità ed una rete nella quale tutto funziona armoniosamente. Credo sia molto importante che in una comunità monastica o in un centro di Dharma tutti lavorino insieme connettendosi armoniosamente tra di loro, senza lasciare fuori nessuno.

Il “Gioiello Sangha manifesto” è l’istruzione e la pratica attraverso la quale si ottiene il livello di arya. Questo è simile a ciò di cui abbiamo parlato in precedenza: l’influenza illuminante, la funzione, l’attività del Gioiello Sangha. Qual è la principale funzione del Sangha in un centro di Dharma? E’ la possibilità di studiare, praticare, meditare insieme per raggiungere l’obiettivo di realizzare le vere cessazioni e veri sentieri.

Il “Gioiello Sangha conservato” si riferisce al modo in cui il sangha permane, al modo in cui si mantiene, a come fa a perdurare,e a come persista attenuandotutta la sofferenza e liberandosi del samsara. Cosa vuol dire questo, cosa fa la comunità? Naturalmente pratichiamo e meditiamo insieme per raggiungere il livello di arya e la terza e quarta nobile verità di cui sopra. Come facciamo a conservare la comunità in modo che possa durare per sempre? Manteniamo la comunità cercando di aiutare non solo noi stessi ma anche gli altri, attenuando la sofferenza e liberandoci dal samsara, il che vuol dire farlo in un modo non-samsarico. In altre parole non stiamo aiutando noi stessi e gli altri a fare soldi o a diventare famosi o a competere con altri centri di Dharma. Non lo stiamo facendo per ragioni samsariche, stiamo facendo tutto ciò con una motivazione illuminante e pura. Se c’è questa, il centro durerà. Se invece aiutate gli altri e voi stessi per interessi puramente mondani, per mettervi in competizione o diventare famosi, le cose non dureranno. Altre persone vi distruggeranno o cercheranno di distruggervi. Questo è un aspetto molto importante perché la maggior parte dei centri di Dharma devono affrontare problemi finanziari e coloro che li gestiscono hanno la costante preoccupazione di come far quadrare i conti o come attrarre nuovi studenti, e diventa un business. E allora, è naturale, ci si mette in competizione con altri business. E questo porterà ad un sempre maggior numero di problemi e preoccupazioni. Allontana la nostra attenzione dalla vera pratica del Dharma, dallo studio, dalla pratica e dal meditare insieme, che sono le principali funzioni del sangha. E’ vero che se si vuole tenere aperto un centro bisogna pensare alle questioni economiche. Ma la cosa principale non è solo meditare, studiare e praticare insieme ma anche cercare di aiutarsi con una motivazione pura e non samsarica. Si insegna agli altri per aiutarli, non solo per attrarre un grande pubblico e per fare soldi.

La presentazione Soto Zen è molto rilevante per il modo in cui va gestito un centro di Dharma, nel quale tutti lavorano in maniera interconnessa ed armoniosa. Facendo ciò procediamo verso la realizzazione del Gioiello Sangha, il livello di arya. Anche se prendiamo come modello la comunità monastica, ciò non vuol dire che dobbiamo tutti diventare monaci o monache, ma piuttosto che facciamo nostro l’ideale di una comunità monastica così come la vedeva il Buddha. Ovviamente, molte comunità monastiche possono avere un orientamento piuttosto samsarico, ma non prenderemo quelle come esempio. A modello ed ideale prenderemo un esempio che sia più puro perché la nostra sorgente ultima di direzione sono i Buddha. Chiunque venga prima di un Buddha ha ancora delle limitazioni; prima di divenire arhat vi sono ancora imperfezioni samsariche. Bisogna tenere a mente che quelli sono solo oggetti provvisori di direzione sicura e che è il Buddha la nostra sorgente ultima di direzione. Questo è molto importante perché è facile scoraggiarsi quando osserviamo difetti nei monaci o perfino in un essere altamente realizzato. Fino a quando anch’essi non diventeranno Buddha, non potranno essere fonte ultima di direzione, la sorgente ultima del rifugio. Hanno ancora delle limitazioni e allora cosa vi aspettate?

Non prendete tutto ciò di cui abbiamo parlato come informazioni accademiche. Il punto è che bisogna applicarle, osservare cosa ci dicono relativamente a come fare a vivere in accordo con il Dharma. Questi sono punti importanti.

Ci sono domande su quanto detto finora?

Partecipante: quali sono gli indizi per capire se un centro di Dharma è gestito in modo samsarico?

Alex: Alcuni indizi per capire se si è caduti nell’errore di questo approccio sbagliato sono se la principale attività o obiettivo del centro di Dharma consiste nel raccogliere soldi o nel fare campagne per attirare un maggior numero di studenti. Oppure quando si compra una grande struttura e poi si passa tutto il tempo a lavorarci su per mantenerla e il tempo che resta per praticare, meditare e studiare insieme è poco o nullo. Ci si concentra principalmente su cose mondane. Penso che allora ci sia un qualche pericolo. L’ho visto in dei centri di Dharma che ho visitato in giro per il mondo. Tutto ciò che fanno i membri è costruire e lavorare: lavorare nel negozio, al ristorante, costruire o fare riparazioni alla struttura. E allora l’obiettivo del Dharma è perso, rimane solo teorico, “Oh si, lo facciamo per beneficiare tutti gli esseri senzienti.” Io sto parlando dell’obiettivo principale; ovviamente ci vogliono i volontari, bisogna fare questo e quello, pagare l’affitto e così via, ma non perdete l’obiettivo principale. Lo scopo principale è praticare e studiare insieme, e cercare di essere di beneficio agli altri. Quando accade che il nuovo centro di Dharma o la nuova grande statua diventano più importanti che riunirsi per praticare, allora avete un problema. Chiaramente se c’è bisogno di un posto più grande è naturale e necessario raccogliere i fondi, lavorare al restauro ecc. ma non perdete l’obiettivo. Ci sono molti esempi di centri di Dharma che hanno perso di vista quell’obiettivo e dove le persone non interagiscono armoniosamente; e, invece di essere fonte di gioia e di pace, quei centri di Dharma diventano fonte di ansia, tensione e conflitti. E allora avete perso la strada.

Partecipante: Se un centro di Dharma non è una fonte di tranquillità ma di disarmonia, non una sorgente di armonia ma le persone ci vanno più per socializzare che per il Dharma; e se coloro che gestiscono il centro non solo accettano ciò ma ne sono anche stati ispiratori, è un qualcosa di sbagliato o in alcune situazioni può essere giustificato?

Alex: credo sia importante per un gruppo condividere diverse cose, incluso il trascorre insieme più momenti rilassati. Cose quali organizzare picnic, mangiare insieme ecc. sono di grande aiuto per creare un senso di comunità. Ma, di nuovo, qual è il vostro obiettivo? E’ quella la cosa su cui ci si concentra principalmente o è piuttosto lo studio, la pratica e il meditare insieme ed aiutarsi l’un l’altro? Credo che un po’ di socializzazione sia di aiuto, a meno che non diventi il principale obiettivo. Stiamo parlando di un circolo sociale o di un luogo in cui si va per studiare, praticare e meditare? Credo sia un grande errore quando in un centro di Dharma tutti sono mortalmente seri e nessuno parla con gli altri; dove si va lì ci si siede a meditare fissando il muro e poi si va via senza parlare con nessuno. Anche questo non va bene.

Partecipante: e cosa si fa se questo è l’unico posto che conosci? Cosa si fa se si frequenta da molto tempo un posto del genere e non si conoscono altri posti o quando le persone non ti dicono che ci sono altri posti?

Alex: Si cerca in internet. E’ un processo attivo, non bisogna aspettare che le cose arrivino da sole.

Partecipante: A volte questi gruppi sono molto chiusi e non si può neanche accedere ai loro siti web.

Alex: Vai da un’altra parte. Cerca. Se non ce n’è uno nel luogo in cui ti trovi e se per te è una cosa importante, vai da un’altra parte. Lamentarsi non serve. Se ciò che è disponibile nei paraggi non ti soddisfa puoi creare tu stesso un qualcosa che sia soddisfacente o andare in un altro posto dove ce n’è uno migliore, se questo è molto importante per te nella tua vita. Se invece è solo un hobby, allora è un’altra cosa.

Il sangha monastico

Dopo che il Buddha ebbe dato il suo primo discorso, un gruppo di monaci celibi iniziarono a seguirlo dovunque egli insegnasse. All’inizio, alla luce di quelle circostanze molto speciali, essi divennero automaticamente monaci e seguirono il Buddha. Circa vent’anni dopo la sua illuminazione, il Buddha fece il primo ritiro della stagione delle piogge. Quello fu l’inizio della fondazione dei monasteri. Prima di allora, essi semplicemente erravano di luogo in luogo. Poco prima della sua morte, il Buddha fondò l’istituzione delle monache. I vari voti monastici ebbero uno sviluppo nel tempo. Non è che il Buddha si mise a sedere e disse:” Queste sono le regole.” Via via che la comunità acquisiva esperienza, quando sorgeva qualche problema, ad esempio problemi quando si mendicava per il cibo e così via, il Buddha diceva: “Qui c’è la necessità di un voto per ovviare a questo problema” e stabiliva le varie regole di disciplina in modo che le cose nella comunità funzionassero armoniosamente. Fu questo il modo in cui i voti ebbero un’evoluzione. Il Buddha disse che l’esistenza del sangha monastico era la chiave affinché i suoi insegnamenti perdurassero. Questo è molto importante! Il Buddha stesso disse che è essenziale che vi sia una tradizione monastica. I monaci e le monache si dedicano totalmente a proteggere i completi insegnamenti del Buddha.

Gli insegnamenti del Buddha rientrano in tre canestri detti “Tripitaka.” Il primo canestro, i sutra hanno a che fare con lo sviluppo delle varie concentrazioni, incluse le concentrazioni superiori. Sono chiamate “addestramento alla concentrazione superiore.” Il secondo canestro, l’Abhidharma o “argomenti di conoscenza” ha a che fare con l’addestramento alla saggezza superiore della consapevolezza discriminante. Noi laici potremmo essere in grado di proteggere questi due ma non il terzo canestro, il Vinaya, le “regole della disciplina monastica.” I monaci e le monache proteggono questi precetti, oltre ai primi due. Anche se noi, quali individui laici non adottiamo tutte le discipline, possiamo aiutare a sostenerle supportando i monaci e le monache.

Perché si diventa monaco o monaca? Non è solo il desiderio di preservare tutti gli insegnamenti del Buddha, il che è già una cosa molto bella. La ragione principale per cui si prende l’ordinazione è sviluppare la disciplina etica, l’autodisciplina. Per poter sviluppare la disciplina c’è bisogno dei voti e del sostegno della comunità. E’ molto difficile sviluppare da soli quella disciplina se abbiamo una famiglia, un lavoro e così via. E’ per questo che si prende l’ordinazione: per sviluppare la disciplina etica con il supporto dei voti e della comunità laica. La disciplina etica diviene la base per sviluppare la concentrazione e la saggezza superiori. Inoltre, diventare monaco e rinunciare alla vita laica aiuta a sviluppare la completa rinuncia.

Quando si rinuncia ad una vita laica, si rinuncia ad avere una famiglia e ad altre cose mondane. Questo è il primo passo verso lo sviluppo della piena rinuncia a tutto il samsara per ottenere la liberazione. Si rinuncia alla propria apparenza, al modo in cui si portano i capelli, al modo in cui ci si veste: ci si vestirà in maniera sempre uguale e ci si raseranno i capelli. Si rinuncia a cercare di attrarre un partner e così via. Questa è un’ottima base per sviluppare la piena rinuncia necessaria per ottenere la liberazione.

Non sto dicendo che avere una famiglia e lavorare siano cose negative, sono cose neutre, né buone né cattive. Il punto è che esse tendono a creare situazioni nelle quali abbiamo maggiori preoccupazioni, maggiori desideri e maggiore rabbia. Queste sono cose a cui si rinuncia. Divenire un monaco è in realtà un gradino verso la totale dedizione all’apprendimento ed alla meditazione, alla pratica per ottenere la liberazione e l’illuminazione. Anche se potremmo farlo da laici senza famiglia, sarebbe piuttosto difficile sostentarci. Potremmo dover ugualmente lavorare anche se non abbiamo una famiglia, e questo porta via tempo allo studio e alla pratica. Entrando in monastero, riceveremo il supporto della comunità laica.

Una delle principali responsabilità della comunità laica buddhista è stata di sostenere e dare da mangiare alla comunità monastica. La comunità monastica è degna di essere rispettata e sostenuta. Non si sta parlando di persone pigre che cercano un pasto gratuito e che non hanno voglia di lavorare. In uno dei primi sutra Mahayana, il Vimalakirti Nirdesa Sutra si parla dei bodhisattva laici e se sia possibile essere bodhisattva ed ottenere l’illuminazione da laici. Vimalakirti è il nome di un bodhisattva capofamiglia. Buona parte di questo sutra prende in giro i monaci arhat. Credo che questo sutra metta in evidenza i problemi che possono insorgere quando un monaco diventa arrogante e non più dedito ad aiutare le persone.

La vita monastica è sempre stata vista come ideale. All’inizio del quattordicesimo secolo, un re thailandese di nome Luthai entrò nell’ordine monastico per tre mesi e poi lo lasciò. Così ebbe inizio l’usanza thailandese per la quale gli uomini hanno la possibilità di diventare monaci per un breve periodo di tempo, invece di restare ordinati per tutta la vita com’era in precedenza. Nel diciannovesimo secolo anche i birmani adottarono questa usanza. Di conseguenza in quei paesi tutti gli uomini – poiché la tradizione monastica delle donne in questi paesi come anche in Tibet è interrotta, – da adolescenti prendono l’ordinazione per un certo periodo, in genere per circa tre mesi. Se ci pensate, è un’alternativa di gran lunga migliore rispetto al dovere entrare per un periodo nell’esercito. Questo ha anche aiutato ad avvicinare tra loro villaggi e comunità perché ogni madre offre il cibo ai monaci quando essi vanno in giro, dal momento che anche il proprio figlio lo diventerà. Quindi si rinforza l’usanza per la quale alla comunità monastica viene offerto cibo e sostegno da tutto il villaggio. Tutti gli uomini faranno un’esperienza di vita monastica e così diventeranno molto solidali e comprenderanno che non è qualcosa di così distante. Naturalmente, molti rimangono monaci per tutta la vita, non solo per tre mesi.

Inoltre nei villaggi in Thailandia e Birmania i monaci gestiscono scuole per i bambini locali. Questo accadeva un tempo, non so adesso con le scuole statali, ma tradizionalmente era così. I monaci non solo meditavano e studiavano, ma erano anche coinvolti in un qualche servizio sociale. Anche in questo caso la cosa non riguardava tutti ma soltanto coloro che volevano farlo. Anche nelle comunità monastiche cinesi i monaci e le monache si impegnano in attività socialmente utili. In Thailandia ad esempio i monasteri ed i monaci sono quelli che maggiormente si prendono cura dei morenti di AIDS, quelli rifiutati da tutti; l’AIDS è un problema enorme in Thailandia. I tibetani sono stati abbastanza negligenti nell’aspetto dei servizi sociali e questo è un qualcosa che Sua Santità il Dalai Lama riconosce e ritiene che vada corretto. Credo che in Tibet la causa principale di ciò sia nella situazione geografica. I monasteri erano molto isolati e non era possibile lasciare il monastero per recarsi in città o al villaggio per mendicare il cibo con la propria ciotola. Quindi erano i laici a recarsi ai monasteri e a portare le offerte. Credo sia questa la ragione per la quale c’è una maggiore distanza.

Penso che sia molto importante avere la possibilità di un’alternativa monastica, invece di fare il militare o un normale lavoro sociale. Se per le persone c’ è la possibilità di diventare monaci o monache e di dedicare la vita intera alla pratica del Dharma, con la possibilità di aiutare gli altri se lo si desidera, e se possono essere ampiamente sostenuti dalla comunità buddhista, allora gli insegnamenti perdureranno. Questo è quello che disse il Buddha. Naturalmente tutto ciò si basa sulla disciplina etica, sulla pratica e sulla meditazione nel gruppo, non soltanto sul fare un lavoro socialmente utile e poi andare alle feste e prendere soldi dal governo per questo. E’ quindi molto importante che in occidente cerchiamo di sostenere i monaci e le monache. In realtà, per essere monaci e monache c’è bisogno di un monastero, è comunque una forma di comunità. Non è mai stato detto che una persona possa prendere l’ordinazione per poi vivere da sola, indossando vestiti da laico ed uscendo a lavorare durante il giorno, non è questo l’ideale per un monaco o una monaca. Sfortunatamente in occidente molte persone hanno dovuto farlo ma dobbiamo comprendere la loro difficoltà e non criticarli perché non si trovano nelle circostanze che sarebbero adatte ad un monaco o monaca. Ci sono molti laici e centri di Dharma che guardano i monaci e le monache dall’alto in basso e li trattano quasi come servi dai quali ci si aspetta che gestiscano il centro di Dharma, preparino il tè e questi tipi di cose. Questo è totalmente sbagliato. Dovrebbero essere i laici a fare queste cose, non i monaci e le monache.

Per essere oggetti di rispetto i monaci e le monache devono mantenere i voti, c’è bisogno di questo per essere effettivamente monaci e monache. I testi dicono che anche un brandello della veste di un monaco o monaca è degno di rispetto. Questo vuol dire che anche se non sono veramente all’altezza dei propri voti, bisogna comunque rispettare le loro vesti. Essi vengono rispettati perché cercano di lavorare su loro stessi avendo fatto il passo di prendere l’ordinazione. Si incontrano a volte monaci e monache che non cercano di evolversi. Alcuni, ad esempio, sono stati mollati in un monastero quando erano bambini perché i loro genitori non ce la facevano a dar loro da mangiare. Perfino in questo caso dobbiamo fare differenza tra istituzione monastica così com’è rappresentata dalle vesti, e la persona. Credo che come buddhisti sia molto importante che riflettiamo sul nostro atteggiamento verso i monaci e le monache e l’intera istituzione monastica. E’ un qualcosa che consideriamo futile e di poca importanza ed alla quale non pensiamo neppure? O è un vero e proprio oggetto di rispetto? Dopotutto anche se non sono veramente il Gioiello Sangha lo rappresentano per noi. Essi rappresentano il loro avanzamento verso lo stato di arya, verso le vere cessazioni e veri sentieri, che sono il Gioiello Sangha effettivo.

Partecipante: Nel mondo ci sono delle organizzazioni che aiutano i monaci che lavorano o fanno altre cose.

Alex: Ci sono molti programmi che sostengono i monasteri per tibetani in India e Nepal, ma non molto per gli occidentali. Questo è il problema. Le persone tendono ad essere molto più solidali verso monaci e monache di altre etnie ma non molto con quelli occidentali. In realtà quelli occidentali sono quelli che hanno veramente bisogno di aiuto. Comunque questo ci porta alla discussione sul vasto argomento di come vada gestito un monastero occidentale.

Partecipante: Attualmente il principale obiettivo per noi che abbiamo una vita mondana è costruire centri di Dharma migliori. Cosa possiamo fare per aiutare i monaci e le monache?

Alex: Qual è la modalità tradizionale di aiuto? Il modo tradizionale è dare loro da mangiare ed un posto dove stare in modo che non debbano guadagnarsi soldi per pagare l’affitto e il cibo. Aiutarli con un’assicurazione sulla salute, per esempio. Un centro di Dharma potrebbe ad esempio organizzare un’assicurazione sanitaria di gruppo per i monaci e le monache, questo sarebbe di grande aiuto.

Il sangha in occidente

In occidente la parola “sangha” è usata come equivalente di membri di una chiesa, come si dice in inglese, “congregazione.” Come dicevo, questo non è assolutamente un uso tradizionale della parola ma in occidente è diventata una convenzione che oramai abbiamo. Dobbiamo avere molto chiaro ciò cui si riferisce e non si riferisce. Non si riferisce al Gioiello Sangha.

Uno degli argomenti di cui mi è stato chiesto di parlare è se vi siano delle linee guida nelle regole della disciplina monastica, i voti monastici, che possano anche servire da linee guida per poter meglio collaborare in un centro di Dharma. Abbiamo già visto dalla presentazione del sangha nello Zen come sia molto importante per i membri del sangha:

  • lavorare insieme armoniosamente;

  • far sì che la principale attività sia studiare, praticare e meditare insieme;

  • sostenersi reciprocamente in questa attività;

  • lavorare per il beneficio altrui;

  • fare tutto questo, il più possibile, senza una motivazione samsarica.

In questo modo, possiamo esercitare un’influenza illuminante uno sull’altro, ed anche esercitare un’influenza positiva sulla comunità intorno a noi. Purché rimaniamo dediti ad un obiettivo positivo, la parola tibetana per sangha, e quell’obiettivo è la liberazione e l’illuminazione.

Una guida per il Sangha

Una guida dai voti monastici

Uno degli aspetti dei voti monastici è il non mentire uno all’altro, soprattutto riguardo alla propria pratica spirituale ed alle proprie realizzazioni. Ci relazioniamo l’un l’altro sulla base del Dharma, della pratica e dobbiamo essere molto onesti a questo riguardo, senza pretendere di avere grandi realizzazioni o di svolgere pratiche intense e avanzate quando non lo facciamo; non far credere di essere un grande yogi quando non lo siamo. Inoltre non nascondere i nostri difetti; quando ci troviamo nel centro di Dharma potremmo fingere di essere molto disciplinati o etici ma una volta fuori ci ubriachiamo e assumiamo droghe e poi fingiamo che non sia vero. Siate onesti uno verso l’altro, non mentite. Siate schietti soprattutto riguardo alla pratica perché quello che possiamo condividere con gli altri è la nostra esperienza, ciò che impariamo, le cose che abbiamo fatto. Ad alcuni potrebbe sembrare poco opportuno parlare delle pratiche meditative, ma credo invece che sia importante condividere le nostre esperienze quando cerchiamo di applicare il Dharma alla vita di tutti i giorni. Se siamo stati pigri e non abbiamo fatto nulla, non diciamo bugie!

Questo ci porta ad un argomento che è di grande aiuto discutere con i nostri amici del Dharma: cosa si fa quando non ci va di praticare? In che modo ci comportiamo? Perché tutti noi abbiamo avuto periodi del genere.

Un altro punto è non parlarsi in modo offensivo, insultarsi, gridarsi contro, ma invece parlarsi educatamente. Essere educati non vuol dire dover essere formali, ma soltanto educati in generale.

Partecipante: E cosa si fa con le persone che non sanno parlare in modo educato?

Alex: Non sto dicendo che bisogna avere un linguaggio formale, mi riferisco ai modi, alle maniere, all’atmosfera in generale. Non si deve dire “Ehi tu, prendi questo e mettilo lì!” ma va usato “per favore” e “grazie.” “Per favore potreste parlare più piano?” Piuttosto che “state zitti!” Ci troviamo in un luogo dove si cerca di sviluppare rispetto, quindi è importante mostrare rispetto reciproco e non parlare in maniera rude o offensiva.

Il prossimo punto è non diffamare gli altri. Non dire falsità sugli altri, inventarsi storie e questo tipo di cose. Questo non aiuta affatto.

Non lanciarsi false accuse. “Non sei venuto perché sei pigro.” Non sappiamo veramente perché una persona non è potuta venire per dare una mano ad un progetto o per partecipare ad un incontro, forse si sentiva male. Concediamole il beneficio del dubbio.

Non picchiate o alzate le mani verso un altro membro. Questo probabilmente non accade molto spesso, ma fa parte dei voti. Mi viene in mente che tra i voti di monaci e monache c’è anche quello di non fare il solletico, ma non l’ho inserito in questa lezione. Non è piacevole se fate il solletico a qualcuno che sta meditando. E non dovreste neppure versargli acqua addosso.

Tutti questi sono voti sia dei monaci che delle monache. Effettivamente, è molto interessante studiare i voti.

Il prossimo è non provocare deliberatamente ansia o preoccupazione in un altro membro. Vi viene in mente qualche esempio?

Traduttore: per esempio qualcuno che ha appoggiato per terra uno scritto di Dharma e voi gli dite: “stai attento o andrai all’inferno.”

Alex: esattamente questo tipo di cose. O potrebbe essere una cosa come “ Ah, non vieni a questo ritiro, è una cosa molto negativa,” per farlo sentire in colpa. “Non sei venuto a lezione lunedì! Che razza di monaco sei?” Bisogna cercare di non rendere gli altri ansiosi o preoccupati, in modo deliberato.

Il prossimo: se dai il tuo consenso affinché la comunità effettui un qualche atto formale che sia in accordo con il Dharma, non devi poi cambiare idea criticando e disapprovando quello che è stato fatto. Per esempio la comunità, il centro di Dharma, si incontra e decide di comune accordo di prendere un nuovo centro, o di invitare un certo insegnante, o prendere una statua o qualcos’altro per il centro, e voi vi dichiarate d’accordo. Non dovete dire più tardi “E’ sbagliato,” disapprovare e criticare. Questo fa parte del vivere in armonia. Le istituzioni monastiche prendono decisioni sulla base del consenso, il consenso delle persone. E’ un tipo di istituzione abbastanza democratica. Allo stesso modo, quando avete dato la vostra approvazione, siate poi d’accordo con ciò che viene fatto. Non dovreste creare successivi problemi e fastidi. Quando in un centro di Dharma si decide di fare qualcosa, è naturale che poi non andrà esattamente come programmato dal gruppo e tanto meno come programmato nelle nostre menti. Comunque, se ci si dichiara d’accordo riguardo a una certa linea o ad un certo progetto, a quel punto si è preso l’ impegno di portarlo avanti. Non bisognerebbe creare problemi. Ma, come consigliavano Shantideva e Atisha, prima di impegnarvi in un progetto considerate molto bene se siete in grado di portarlo a termine.

Il prossimo: diciamo che qualcuno è stato incaricato dal gruppo di fare qualcosa per il centro, e questa persona sta svolgendo il compito correttamente ed in accordo con il Dharma. Non lo svilite se accade che svolge il suo compito diversamente da come avreste fatto voi. Magari non gli dite: “Lo stai facendo malissimo, non sei in grado di farlo” ma invece gli urlate in faccia perché nella vostra testa la cosa andava fatta in modo leggermente diverso. Naturalmente ciascuno fa le cose in modo diverso. Questo accade sempre nei centri di Dharma. Una persona viene scelta per un compito e tutti sono d’accordo e poi qualcuno lo tormenta anche se il compito lo sta svolgendo bene. E’ naturale che se non lo sta facendo bene, c’è bisogno di correggerlo. Ma anche quando si riprende qualcuno o si dà un consiglio – diciamo che questo qualcuno si è un po’ perso riguardo al suo compito – bisogna cercare di farlo educatamente, non parlando in modo offensivo come si diceva prima. “Sei uno stupido, sei incompetente, sei un buono a nulla.”

Il prossimo: quando è necessario prendere una decisione su qualche questione, la comunità monastica si riunisce per decidere. Allo stesso modo i membri di un centro di Dharma devono, di tanto in tanto, riunirsi per prendere decisioni su alcune linee, o su cose che si vogliono fare al centro, e non bisognerebbe andarsene prima che la cosa venga decisa o senza dare il proprio voto su quella decisione da prendere. Questo è uno dei voti monastici, è importante riunirsi per prendere decisioni insieme e dare il proprio voto. E’ necessario esprimere la propria opinione anche se si ha bisogno di andare via in anticipo.

Questo solleva una questione abbastanza interessante: quanto vogliamo che i centri di Dharma siano democratici? C’è un consiglio d’amministrazione, e come funziona? Sono membri del centro di Dharma o sono solo persone arrivate casualmente? In un monastero ci sono membri e persone che sono soltanto in visita. Allo stesso modo in un centro di Dharma ci devono essere membri della comunità realmente impegnati ma anche persone semplicemente di passaggio. Credo sia importante per un centro di Dharma avere dei membri effettivi. Come si definisce un membro, in base al suo contributo monetario o con quale altro criterio? Questo deve deciderlo la comunità. Naturalmente c’è bisogno di amministratori, come nei monasteri.

Per quanto riguarda lo svolgimento dei lavori fisici in un monastero, come nel Monastero di Ganden, quello che conosco meglio, i monaci fanno dei turni per pulire il tempio, occuparsi dell’altare ed altre cose, perché questo può essere un lavoro a tempo pieno. Quindi tutti avranno il loro turno, diciamo di un mese. Quando devono occuparsi delle pulizie, non potranno essere concentrati sullo studio o altro ma tutti fanno i turni quindi non c’è nessuno che deve assumersi il ruolo di schiavo a tempo pieno. In questo modo tutti hanno uguale tempo a disposizione per lo studio e la pratica e tutti condividono il lavoro fisico.

Quali membri di un centro, è importante seguire il modello monastico, secondo il quale i membri decidono quali sono le linee da seguire e cosa vogliono fare. Per esempio in alcuni centri che conosco, il così detto comitato ad un certo punto decide che nel centro di Dharma si svolgerà un programma di studio intensivo su uno o l’altro dei principali testi, anche se gli effettivi membri non sono interessati e gli stessi elementi del comitato non partecipano neanche alle lezioni, quindi non sanno cosa vogliono realmente le persone. Stabiliscono che ci sarà questo corso ma poi non ci va nessuno, o solo una o due persone. Quindi se decidete quali attività si svolgeranno al centro di Dharma, è importante che i membri partecipino alla decisione altrimenti le persone non verranno. Cosa volete fare? Volete fare delle puje, o volete studiare o volete fare meditazione silenziosa? Cosa volete fare nello specifico? Quindi i membri effettivi votano e decidono. Naturalmente sarà sempre difficile ottenere un consenso unanime ma, una volta che la decisione è presa, portatela avanti. Questo è ciò di cui si parlava prima, non lamentatevi e non create problemi a posteriori. Se non vi piace quel tipo di indirizzo, non venite, non partecipate. Ma se ci andate ed è stato stabilito un certo programma con gli altri, allora portatelo avanti.

Ricordate, abbiamo visto in precedenza come una delle caratteristiche del sangha nella tradizione zen è che tutti lavorano insieme armoniosamente. Quindi non gestite il centro in maniera dittatoriale. Quando un centro fa parte di un’organizzazione che comprende molti centri, allora possono sorgere numerosi problemi. L’ho visto in tutto il mondo. C’è un comitato centrale per questo impero di centri e questo impone una linea politica ma accade che in uno o l’altro dei centri che appartengono a questo organizzazione le persone non siano interessate a quel tipo di programma. Quindi si distaccano e ci sono un sacco di problemi, con accuse reciproche. “Hai rubato il mio centro di Dharma,” e questo tipo di cose. Questo è molto triste. Credo che perfino all’interno di queste grandi organizzazioni i vari centri abbiano bisogno di un notevole grado di autonomia. Anche se si guarda all’esempio tibetano, non bisogna credere che all’interno di una tradizione tutti i monasteri siano uno la fotocopia dell’altro. Non lo sono. Ciascun monastero dà maggiore importanza ad una o un’altra cosa. Ad esempio ci può essere un monastero in cui principalmente si studia o un altro in cui principalmente ci si dedica ai rituali. E questo è ammesso sotto l’egida del Kagyu o Sakya o Nyingma o Ghelug. Essi provengono dallo stesso lignaggio ed onorano gli stessi maestri di lignaggio, ed è questo il senso in cui restano uniti, ma allo stesso tempo, si tiene conto della diversità, proprio come fece il Buddha.

Il Buddha insegnò in molti modi differenti a differenti persone. E’ triste quando un centro di Dharma è gestito da un comitato che è poco in contatto con le attività quotidiane e con i membri ordinari. Credo che l’approccio democratico proprio del modello monastico sia molto importante. Che sia più o meno seguito nei monasteri moderni, è certo che questo era il modello originario. Grandi lama, che sono capo spirituale dei centri e delle organizzazioni di Dharma, naturalmente danno consigli e suggerimenti, ed anche gli studenti più anziani possono dare suggerimenti, ma è molto importante che vengano presi come suggerimenti o consigli e non come ordini di un generale dell’esercito. Si possono discutere, si può decidere assieme: “E’ proprio questo quello che vogliamo fare?” Se è un qualcosa che le persone non vogliono davvero fare, allora molto educatamente si va dal maestro o dai membri più anziani e si dice: “ Le persone non sono molto entusiaste di questo. Per favore potrebbe spiegare in maniera un po’ più chiara perché lei ritiene che per noi sarebbe di beneficio farlo?” E se non lo potete assolutamente fare allora dite “Mi dispiace non lo possiamo fare.” Ad esempio, “Non abbiamo abbastanza soldi per costruire un nuovo centro.” “Non abbiamo sufficiente sostegno finanziario.” Siate onesti con il maestro. E di nuovo: una volta che dalla comunità è stato stabilito di fare qualcosa, allora fatelo e non causate problemi. E quando qualcuno viene incaricato di farlo, cercate di aiutarlo, non criticatelo e non tormentatelo perché, ovviamente, il compito non verrà svolto esattamente come volevamo noi.

Il prossimo punto, piuttosto importante nelle comunità monastiche, è che i membri devono seguire gli insegnamenti, specialmente le linee guida etiche che riguardano il comportamento. E’ responsabilità del gruppo dire a qualcuno che non le sta osservando, che lo dovrebbe fare. Non si tratta solo di rimproverarlo ma, ovviamente, di aiutarlo; la cosa importante è di non cercare solo di farlo sentire in colpa. Uno dei voti secondari del bodhisattva è non fare qualcosa che potrebbe indurre qualcuno a pensare male del Dharma. Siamo buddhisti, siamo membri di un centro buddhista, è importante che non vi siano membri che mettono il centro o il Buddhismo in cattiva luce agendo in maniera impropria. Quindi se qualcuno lo sta facendo, allora è nostra responsabilità dirgli di smettere e correggerlo. Vi viene in mente qualche esempio?

Traduttore: Ad esempio può esservi un uomo che quando parla fa allusioni sessuali e quando va a in un centro di Dharma si rivolge alle donne in maniera offensiva. L’ho sentito io stesso al centro. Se questa persona fa sentire una donna a disagio, è necessario che il centro di Dharma lo corregga o lo aiuti a non comportarsi più così. Altrimenti quella donna non tornerà mai più al centro di Dharma.

Alex: Esattamente, questo è un ottimo esempio. Crea una reputazione negativa per il centro di Dharma. Se le donne vengono infastidite da un uomo che tenta di corteggiarle, sedurle o cose del genere, la reputazione del centro diventa cattiva e le persone non ci vanno. Quindi se qualcuno si comporta in quel modo bisogna correggerlo.

Un altro esempio è arrivare al centro ubriachi e turbare l’ordine dentro o anche fuori al centro. Se si viene a sapere che un membro del centro si ubriaca e causa risse, la reputazione del centro diventerà negativa. Quando una persona agisce così, è responsabilità del gruppo cercare di aiutarla, correggerla e farle capire il comportamento sbagliato. Quindi se ci sono persone di questo genere e viene chiesta loro una spiegazione circa questo comportamento inappropriato, circa questo comportamento negativo e sbagliato, devono essere onesti e non restare in silenzio o essere evasivi. In altre parole se veniamo fronteggiati perché ci siamo comportati in modo inappropriato, dobbiamo ammetterlo.

Una cosa che ho notato nei centri di Dharma, specialmente se l’insegnante è un monaco, o anche se non lo è, è che in estate alcune studentesse vengono agli insegnamenti con dei vestitini corti, si siedono proprio di fronte all’insegnante e questi può vedere cosa c’è sotto il vestito. Una volta ho fatto da traduttore ad un Rinpoche ordinato, ed è successo proprio questo. E’ una cosa orribile. In questo caso si corregge la persona dicendo: “Se vieni agli insegnamenti devi vestirti in un modo un po’ più appropriato, mostra un po’ di rispetto.” Ma a volte questa persona può metterti in difficoltà: “Cosa vuoi dire, io mi posso vestire come voglio!”

Partecipante: Capisco questo discorso in senso generale ma forse non in modo abbastanza chiaro. In una chiesa cristiana ad esempio, bisogna coprirsi la testa o indossare vestiti particolari e sembra siano anche molto conservatori per quanto riguarda la loro religione, ma qual è il vero scopo di questo comportamento?

Alex: Lo scopo di quel comportamento è che, se si sta parlando di un monaco, bisogna mostrare rispetto verso i voti di celibato. Sto parlando di un esempio estremo, una donna che indossava una gonnellina minuscola che lascia intravedere cosa c’era sotto. E che non indossava nemmeno biancheria intima. Non ci si mostra così davanti ad un monaco Rinpoche o davanti a un qualsiasi monaco, o a chiunque. Non è educato. In una sauna va bene, ma in centro di Dharma durante insegnamenti di Dharma, no. Non vuol dire che bisogna venirci completamente coperti da un panno o un velo, stiamo dicendo che non bisogna cadere negli eccessi.

Partecipante: Ci sono monaci che hanno perso il celibato a causa di queste donne, c’è una tale tentazione che il monaco non riesce più a controllarsi e poi perde i voti… Ho visto accadere che il monaco ha assecondato la donna ed è stato insieme a lei, e poi la colpa era del monaco, anche se il monaco magari non c’entrava niente ma era stato influenzato dalla donna. Può diventare molto difficile.

Alex: E’ solo questione di mostrare rispetto. Ci sono varie regole riguardo al non insegnare a persone che indossano il cappello o le scarpe; questo tipo di cose.

Partecipante: Ci sono anche casi in cui la donna va persino a bussare alla porta del monaco, entra nella sua stanza e cose del genere. Il mio può essere un modo di pensare all’antica, ma credo che bisognerebbe correggere questo comportamento perché non va bene.

Alex: Questo è ciò che dicevamo: se qualcuno si comporta così è compito della comunità correggerlo, e colui che viene corretto non dovrebbe essere elusivo ma dovrebbe accettare la correzione.

Partecipante: Può anche accadere che una donna si innamori di un monaco in modo incredibile! Una mia amica si è innamorata di un monaco in un tale modo che ha avuto un esaurimento nervoso ed è finita in una casa di cura per malattie mentali perché non sapeva come sedurlo, come prenderselo. E’ accaduto.

Il prossimo punto è una conseguenza di quanto detto prima: anche se siamo stati allontanati da un centro di Dharma a causa di un comportamento scorretto, non dobbiamo parlare male o criticare il centro. Diciamo che se qualcuno viene ad un centro di Dharma completamente ubriaco e si siede agli insegnamenti facendo commenti ad alta voce e comportandosi da ubriaco, potrebbe essere necessario chiedere alla persona di allontanarsi. Anche se siamo noi stessi quella persona alla quale è stato chiesto di allontanarsi, è giusto che ci sia stata fatta questa richiesta perché stiamo disturbando gli altri e creando cattiva reputazione al centro. Quindi anche se siamo noi quella persona che se ne deve andare, non dobbiamo in seguito criticare e dire cose negative sul centro. Diciamo che siamo un frequentatore abituale del centro e che ci è capitato che una volta per chissà quale ragione siamo andati al centro ubriachi e che ci viene detto di allontanarci. Non bisogna criticare il centro per questo. Era giusto che ci venisse chiesto di andare via. Forse da ubriachi non abbiamo capito il perché, ma dopo sì. Succede che le persone vengano ubriache agli insegnamenti. Un ubriaco che fa tutti i più orribili commenti dal fondo della sala non è molto bello né per l’insegnante né certamente per le persone che sono lì. Tutti sono a disagio. Come quando parlavo dei voti monastici, la cosa importante è dare risalto alla disciplina etica. Non vogliamo fare nulla che possa danneggiare la disciplina del gruppo o la nostra disciplina.

Partecipante: Come dovremmo comportarci noi laici con i monaci e le monache?

Alex: Mostrare loro rispetto. Aiutarli. Se qualcuno ha bisogno di sostegno, sostenerlo. Come dicevo, non guardateli come se fossero vostri servi, mostrate loro rispetto. In un certo senso, siamo noi che dobbiamo servirli.

Partecipante: Quindi non dovremmo stringere loro la mano quando li salutiamo?

Alex: In questi casi, il contatto fisico che potremmo scambiare dipende dagli individui. Naturalmente i monaci e le monache non dovrebbero avere alcun contatto fisico con persone dell’altro sesso. Alcuni seguono questa regola molto strettamente e, in aggiunta a ciò, non hanno neppure alcun tipo di contatto intimo con qualcuno dello stesso sesso. Certamente i monaci e le monache sono affettuosi l’uno con l’altro, tra gli asiatici questo è assolutamente normale. Quindi quando un occidentale si avvicina ad un monaco o una monaca, dipende dall’individuo. Certamente non vi è nulla di male nello stringersi le mani. Credo invece che non sia appropriato per una donna abbracciare un monaco e dargli un bacio. La stessa cosa per un uomo verso una monaca, non è appropriato abbracciarla e salutarla con un bacio.

Partecipante: Io vengo dal sud America dove è usanza abbracciare tutti. Una volta ho incontrato questo monaco, Lama Kunga, ed ero così felice di vederlo che l’ho abbracciato e poi ho sentito che era a disagio. Ma io non volevo fare nulla di inappropriato.

Alex: Quello era inappropriato.

Partecipante: Naturalmente non sapevo come dovevo comportarmi. Ora ho imparato!

Alex: Si fanno le prostrazioni. Si esprimono le proprie emozioni attraverso le prostrazioni. Ma, come dicevo, dipende dall’individuo. Alcuni maestri, come Lama Yeshe, si mostrano molto amichevoli e calorosi. Altri insegnanti non toccano mai nessuno, e nessuno tocca mai loro; non c’è assolutamente alcun contatto fisico. Dipende dalla loro personalità. Il mio maestro, Serkong Rinpoche, non è mai stato toccato da nessuno. L’unica volta che l’ho toccato è stato per aiutarlo ad alzarsi; a parte questo, mai. Era uno degli insegnanti del Dalai Lama, uno dei monaci più altamente rispettati. Nessuno lo ha mai abbracciato.

Partecipante: Ho perfino visto che delle persone alla presenza di Lama Zopa Rinpoche si coprono la bocca usando una parte della veste. Dovremmo farlo anche noi?

Alex: Quando si serve un Rinpoche eminente, ad esempio quando una persona serve una tazza di tè o del cibo a Sua Santità, si copre la bocca con la veste per non contaminare il tè. A volte si coprono anche il naso o si legano una kata intorno alla bocca come una maschera di garza. E’ questo che si fa in realtà. Non quando si parla con loro ma quando si offre loro il cibo o la bevanda. Non ci si starnutisce o tossisce dentro. La stessa cosa avviene per i cuochi di Sua Santità. Uno dei miei amici monaci una volta ha cucinato per Sua Santità quando Egli visitò il suo monastero. Il cuoco indossa una kata intorno alla faccia per tutto il tempo mentre prepara il cibo, per evitare di contaminarlo. Ma questo avviene per Sua Santità il Dalai Lama, non è una cosa che si fa con la maggior parte delle persone. E’ vero che si vuole mostrare rispetto ma credo che la maggior parte dei lama più giovani che vengono ai nostri centri si sentirebbero piuttosto imbarazzati se qualunque occidentale si comportasse così nei suoi confronti. Ma certamente se Sua Santità il Karmapa venisse in occidente e voi doveste preparare il suo cibo o tè o servirlo, sarebbe certamente appropriato coprirvi la bocca. Poi egli potrebbe dire: “non è necessario.” E allora non lo fate. Ma certamente dovreste fare così come primo gesto.

Una guida dai voti del bodhisattva

Credo che numerosi tra i voti del bodhisattva abbiano grande importanza per la conduzione di un centro di Dharma. Cosa ci suggeriscono i voti del bodhisattva?

Il primo ci dice di accettare le scuse e di non portare rancore. Se un membro del centro si è comportato in modo inappropriato e poi si è scusato, bisogna accettare le scuse e perdonarlo.

Il prossimo è di non appropriarsi di offerte fatte ai Tre Gioielli. E’ ovvio che se sono stati messi dei soldi nella scatola delle offerte per qualche attività di Dharma, non è che ve li mettete in tasca. Se i soldi sono stati donati per la pubblicazione di libri di Dharma, per l’acquisto di statue o qualsiasi altra cosa, vanno impiegati per quegli scopi.

Il prossimo è molto importante: non essere avari nel condividere gli insegnamenti o le cose materiali. Se qualcuno vuole prendere in prestito e usare i nostri appunti di Dharma, i nostri strumenti rituali, o qualunque cosa, è importante condividerli e non tenerli solo per noi. Come comunità, stiamo cercando di aiutarci l’un l’altro verso la liberazione e l’illuminazione, quindi qualunque cosa noi abbiamo che può essere di aiuto nella comunità, la condividiamo. Nei nostri tempi moderni è facile perché si possono fare fotocopie, usare internet e questo tipo di cose, quindi è più facile rispetto al dare quell’unica copia di qualcosa. Ma anche se fosse quello il caso, sarebbe meglio condividere.

Il prossimo punto è aiutarsi l’un l’altro quando ne abbiamo bisogno. I voti fanno riferimento ad otto tipi di persone che hanno bisogno di aiuto.

I primi sono coloro che hanno bisogno di aiuto per prendere una decisione riguardo a qualcosa di positivo, per esempio durante una riunione. Se un centro di Dharma organizza una riunione per decidere una linea di azione che il centro deve intraprendere, dovete partecipare a questa riunione. Si trasgredisce il voto quando non si partecipa con il proprio aiuto perché si è arrabbiati o pigri o indifferenti, o per dispetto, “non mi piacete quindi non vengo.” Se non ci andate perché avete un altro appuntamento, siete occupati o malati, allora è un altro discorso. Ma non andarci perché non vi va o non ve ne importa è improprio. Bisogna andarci, partecipare.

Il prossimo tipo sono coloro che hanno bisogno di aiuto per gli spostamenti. Le persone più anziane che hanno difficoltà a venire al centro, possono aver bisogno di un passaggio. Se avete una macchina andateli a prendere e riaccompagnateli. Aiutateli a salire le scale, questo tipo di cose.

Il prossimo tipo sono coloro che hanno bisogno di aiuto per imparare una lingua straniera che noi conosciamo. Diciamo che ci sono delle persone che vengono al centro che non parlano tedesco o lo conoscono poco. Potete aiutarli traducendo per loro. A volte ci sono persone al centro che sono venute per un discorso, ma che non capiscono bene di cosa si stia parlando a causa di problemi linguistici: voi potete aiutarli spiegando cosa è stato detto.

Il prossimo è aiutare a svolgere una mansione che non implichi difetti morali. Certamente non si aiuta una persona che va a caccia o a pesca, ma se qualcuno sta pulendo il centro, andate ad aiutare. E’ una cosa neutra.

Il prossimo riguarda coloro che hanno bisogno di aiuto per sorvegliare una casa, un tempio o i loro possedimenti o per sorvegliare ed accudire il centro. Se si fa parte di un centro di Dharma, è nostra responsabilità collettiva prendersene cura, non lasciarlo semplicemente nelle mani di un domestico. In sud America accade frequentemente che persone abbienti donino un centro, parte della loro casa o uno stabile di loro proprietà. Le persone però lo vedono come il centro di Dharma di proprietà di quel donatore e nessuno contribuisce prendendosene cura perché è visto come esclusiva proprietà di colui che lo ha donato. Per questo quelle persone non sentono davvero di essere membri di quel centro di Dharma. Se invece tutti lavorano insieme per prendersene cura, questo aiuterà a creare un senso di comunità. E’ molto più sano.

Il prossimo sono quelle persone che hanno bisogno di aiuto per mettere fine ad un diverbio o un litigio. Se c’è una disputa o un dissenso nel centro di Dharma, possiamo aiutare a calmarlo. Questo a volte accade sia tra differenti gruppi all’interno di un centro, che tra singoli individui.

Il prossimo è aiutarsi l’un l’altro quando si celebra una ricorrenza, come puje in giorni speciali. Credo che nei centri di Dharma sia pienamente appropriato celebrare alcune importanti ricorrenze, come il giorno dell’illuminazione del Buddha, come si fa in qualsiasi altra religione. Quindi quando si celebra qualcosa, una qualche puja, un rituale o cose così, è importante partecipare e non “sono qui per meditare, non voglio partecipare a questo o quest’altro.” E’ importante partecipare a questi tipi di celebrazione quale comunità. Nel programma di alcuni centri di Dharma ogni settimana c’è una certa puja o un rituale. Non è necessario che partecipino proprio tutti, ma credo sia molto bello se ve ne sono alcuni particolari che vengono celebrati per l’intera comunità in alcuni giorni speciali per il Dharma. Così le persone possono festeggiare insieme, non solo partecipare a qualcosa come un rituale, ma anche mangiare qualcosa. Fa parte dell’usanza, se c’è uno tsog, ci sono tutte queste differenti offerte ed alla fine si condividono, si mangia qualcosa insieme, è come un festeggiamento.

In questi casi credo sia molto importante coinvolgere anche le famiglie, soprattutto i bambini. E’ molto divertente. Se si osservano le persone che frequentano un centro di Dharma, la maggior parte sono single, la maggior parte non hanno bambini. E’ quasi come una comunità monastica, no? E’ molto interessante. Molto pochi hanno una famiglia, questa non mi sembra una cosa molto sana. Specialmente quando i centri di Dharma, i residenti e così via, hanno molti pregiudizi contro i bambini. “Non vogliamo bambini qui, fanno rumore, disturbano la nostra meditazione.” Questo è un atteggiamento malsano. Fa allontanare molte persone. Alcuni centri di Dharma hanno corsi per bambini, questo è ottimo. I bambini amano aiutare durante le puje, possono essere coloro che danno lo tsog, o aiutano con le ciotole d’acqua, o cose così. Se sono abbastanza grandi possono partecipare. In questo modo il centro di Dharma non è un qualcosa che ci aliena dalla nostra famiglia ma ci sono alcune attività, funzioni, dove essa viene coinvolta.

E’ molto interessante, se ci facciamo caso. Il Buddhismo è anche una religione. Molte delle persone che frequentano i centri di Dharma sono un po’ a disagio con questo aspetto. Comunque, se la consideriamo una religione, allora è un qualcosa che deve prendersi cura di tutta la famiglia. Quindi ritengo ci si debba domandare: il nostro centro di Dharma è il centro della nostra vita religiosa ed è anche allargato alle nostre famiglie? Se sì, come? Non necessariamente convertendo queste ultime al Buddhismo.

Se guardiamo al futuro, ci sono coppie buddhiste che si sposano, hanno bambini e vogliono crescerli come buddhisti, e poi invecchiano. Anche questa è una cosa a cui pensare, il prendersi cura dei buddhisti più anziani, prendersi cura dei bambini, cosa facciamo per loro come centro?

L’ultimo tipo riguarda le persone che hanno bisogno di aiuto per opere di carità. Se il centro di Dharma ha un programma di beneficenza, come aiutare i carcerati, aiutare negli ospedali e così via, è molto positivo se il maggior numero di persone possibile partecipa almeno in parte a queste attività. Non dovete fare tutto, ma fate qualcosa.

Il prossimo punto tratto dai voti del bodhisattva è prendersi cura di coloro che sono malati o vecchi. Se qualcuno che viene regolarmente al centro smette di venire, specialmente se è qualcuno che vive da solo, chiamatelo per sentire se sta bene o se ha bisogno di aiuto. Se è malato, aiutatelo prendendovene cura… Ci sono molte persone nelle nostra società moderna che vivono da sole e non hanno nessuno che li possa aiutare a cui rivolgersi in caso di bisogno, se stanno male, specialmente quando sono anziani. Credo che una funzione importante di un gruppo di Dharma è essere formato da persone sulle quali si può contare e che si possa pensare ad esse dicendo “posso sempre contare sui miei amici di Dharma, perché si prendono cura di me.” E’ una cosa meravigliosa essere in grado di occuparsi l’uno dell’altro, non solo quando si è anziani, anche le persone più giovani possono aver bisogno di aiuto se si ammalano. Se non avete qualcuno su cui contare che possa venire ad aiutarvi, allora lo faranno le persone del vostro centro di Dharma. Quali membri del centro di Dharma, sta a noi controllare che le persone del centro stiano bene, perché a volte le persone sono troppo riservate per chiedere aiuto.

L’ultimo voto del bodhisattva che sembra attinente a quanto si sta dicendo, è alleviare la sofferenza mentale degli altri. Se una persona soffre per la morte di una persona cara, o è molto depressa, cercate di confortarla, cercate di aiutarla. Ad esempio, se qualcuno è all’ospedale in preda a depressione, e questo accade a molte persone, cercate di fargli una visita, cercate di aiutarlo.

Una guida dai voti del tantra

Dalla prospettiva del tantra, la cosa che sembra più importante è non arrabbiarsi uno con l’altro. Questo è naturalmente molto difficile e dobbiamo sempre cercare di ricordarcene, cercare di andare d’accordo armoniosamente. Se ci sono delle differenze, lavorateci su, non arrabbiatevi subito.

Come creare una comunità di Dharma

Mi avete chiesto qualche suggerimento su come riuscire a creare un gruppo più stretto, in modo che ci si senta parte di una comunità.

Ad esempio, una cosa che mi è sempre sembrata utile agli insegnamenti o incontri, è il sedersi in circolo, se la stanza è abbastanza grande da permetterlo. Ovviamente se è molto piena non lo si può fare, ma sedersi in circolo ci permette di vederci l’un l’altro, piuttosto che guardare le nostre schiene, e non vedere nessun altro tranne coloro che sono davanti a noi. Se ci sediamo davanti, non vediamo nessuno di quelli che sono dietro di noi. Questo è un piccolo particolare fisico, ma in realtà il potersi guardare aiuta a sentirsi parte di un gruppo.

Quello che cerco di fare nel mio addestramento alla sensibilità è, quando si medita su temi quali amore e compassione, non stare semplicemente lì seduti e visualizzare tutti gli esseri senzienti, ma quando si è seduti in circolo, praticare uno nei confronti dell’altro. Guardate le persone “possa tu essere felice, possa tu essere libero dalla sofferenza, possa tu essere libero” Quelle sono persone vere e stiamo indirizzando questo desiderio l’uno verso l’altro. Credo che questo sia di grande aiuto nella nostra meditazione. Se pensiamo alla sofferenza, pensiamo a come chiunque nel gruppo soffra per le malattie, vecchiaia, morte, tutti uguali, e vediamo questo in termini concreti, con persone vere. Questo lo rende molto più reale. Ciò è utile non solo al nostro sviluppo ma ci aiuta anche a generare empatia, compassione uno per l’altro. Questo aiuta a costruire il gruppo.

Credo sia anche molto utile incontrarsi regolarmente per parlare delle nostre esperienze personali, i nostri tentativi di mettere in pratica gli insegnamenti di Dharma nella vita quotidiana, nell’ultima settimana o quindicina, o mese, a seconda di quanto spesso ci si incontra. “Ho cercato di mettere in pratica gli insegnamenti sulla pazienza al lavoro, ma è stato molto difficile in questa o quell’altra situazione in ufficio ecc.” Se ne può parlare e poi possiamo darci reciproci consigli o condividere le esperienze. “Proviamo questo e quello.” Questo ci aiuta ad approfondire la nostra conoscenza del Dharma e ci fa anche sentire di essere una comunità che ha un comune obiettivo: la liberazione e l’illuminazione. Ad essere onesti, qui bisogna ricordare uno dei voti monastici. Non essere presuntuosi: “Oh, io non mi arrabbio mai!” Dobbiamo parlare con il cuore, con la nostra esperienza personale. Questo è veramente di grande aiuto e ispirazione. In questo modo ci sosteniamo l’un l’altro come gruppo, è uno sforzo di gruppo.

Tutti noi cerchiamo di fare dei progressi. Alcuni di noi sono nuovi, altri hanno maggiore esperienza. Come in una famiglia, ci sono i più giovani ed i più anziani, così ci si può aiutare reciprocamente. Giovane e vecchio non dipendono necessariamente dall’effettiva età fisica; è più una questione di esperienza. Si cerca mettere in pratica i voti, lo si fa in modo tale da non far sentire nessuno nel gruppo colpevole o stupido.

L’ultimo punto: credo che a volte sia necessario trovare dei momenti di relax di gruppo. E’ molto piacevole a volte fare dei picnic o cene alla buona o qualcosa del genere, anche se non dev’essere l’attività principale del gruppo. Alcuni dei gruppi qui a Berlino lo fanno. Ad esempio per capodanno ognuno porta qualcosa da mangiare. Sono molte le persone a cui non piace andare in un club o ad una festa rumorosa, ma non vogliono nemmeno restarsene da soli. In quelle occasioni è molto piacevole incontrarsi al centro di Dharma. E’ uso tra le persone di portare del cibo, fare una puja, socializzare. Credo sia molto utile organizzare di volta in volta nel corso dell’anno cose di questo genere. Non è che bisogna incontrarsi solo per cose serie, ma anche per ridere insieme.

Partecipante: per il compleanno dei membri?

Alex: festeggiare i compleanni può diventare eccessivo. So che è un’usanza qui in Germania festeggiare il compleanno degli adulti molto di più di quanto abbia visto in qualsiasi altro paese. Negli Stati Uniti da dove provengo, si festeggiano solo i compleanni dei bambini con una festa una volta all’anno. Anche se è una vostra usanza, è rischioso che si inizi a farlo per tutti al centro. Il pericolo maggiore è che ci si dimentichi del compleanno di qualcuno che penserà “Oh, hanno festeggiato il compleanno di tutti gli altri ma non il mio.” E se siete in molti, ci potrebbe essere un compleanno ogni settimana, e questo è troppo. Quindi credo che in questo caso sia migliore la tradizione tibetana. In Tibet le persone non festeggiano i singoli compleanni. Tutti hanno lo stesso compleanno: a capodanno si diventa più vecchi di un anno e questo è tutto. Quindi potreste stabilire a piacimento un giorno in cui si celebrano tutti i compleanni.

Partecipante: Come si fa a capire se una persona ha un problema mentale in modo da poter intervenire prima che questi crei del danno al centro o al gruppo? Come si può dire se una persona ha un problema di salute mentale o se si sta solo comportando male? Come si capisce se una persona è instabile mentalmente?

Alex: Non credo sia compito delle persone di un centro di Dharma stabilire se qualcuno ha una malattia mentale. Ci vuole un professionista. Quello che è importante in un centro è se c’è un comportamento che disturba il gruppo. Comunque credo che avremmo bisogno di essere un po’ tolleranti. Ad esempio lo vediamo agli insegnamenti dei tibetani dove, se ci sono bambini che piangono o cose del genere, tutti comprendono. Le persone non se ne fanno un gran problema. Se sono davvero irrequieti allora è possibile che vengano portati fuori ma in generale le persone sono un po’ più tolleranti.

Un altro esempio: a volte vi sono persone che durante la meditazione iniziano a tremare. Qui ci riallacciamo al voto per il quale non bisogna indurre stati ansiosi o preoccupazioni negli altri; quindi se questa persona spiega: “Sì, mi succede, è dovuto al mio sistema nervoso ma non c’è nulla di cui preoccuparsi. Quindi non preoccupatevi, non allarmatevi, sto perfettamente bene;” la gente non si preoccupa e allora siete rilassati al riguardo. Se questa persona trema come una foglia, dovete essere tolleranti. Intendo dire proprio questo. Bisogna essere tolleranti, dal momento che non c’è nulla di cui preoccuparsi, allora non c’è neppure un particolare disturbo.

Questi sono alcuni dei principali aspetti che ho colto analizzando i voti, che credo possano essere di aiuto in un gruppo o in un centro di Dharma. Anche se l’uso della parola “sangha” per indicare coloro che frequentano un centro di Dharma non è un uso ortodosso, il ruolo della comunità in un centro di Dharma è molto importante. Non stiamo praticando da soli ma abbiamo amici che ci aiutano e possiamo darci reciprocamente una mano lungo il sentiero. Sono certo che possiamo essere di reciproca ispirazione, influenzarci positivamente l’un l’altro e condividere.

Terminiamo con una dedica: qualunque comprensione abbiamo ottenuto, possa essa andare sempre più in profondità ed essere una causa per ottenere l’illuminazione, con l’ispirazione del Buddha, Dharma e Sangha, per il beneficio di tutti.

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