3.3 Lama Tzong Khapa: I Grandi Stadi del Sentiero, Lam Rim Cen Mo

Lama Tzong Khapa: La gente comune non comprende il karma e i suoi effetti, i livelli dei sentieri o argomenti di questo genere, ma ne sente parlare e li sperimenta, prendendoli in tal modo come oggetti.

3.3 Lama Tzong Khapa: Il Grande Trattato sugli Stadi del Sentiero dell’Illuminazione, Lam Rim Cen Mo. Terzo volume. II Ed. a cura della traduttrice Ven. Tenzin Oejung, Dharamsala, India 2016.

Capitolo 14 L’esistenza convenzionale. Capitolo 15 La produzione non è confutata . Capitolo 16 Non negare abbastanza. Capitolo 17 L’effettivo oggetto da negare. 18 Interpretazioni errate della distinzione svatantrika/prasangika.

Capitolo 14 L’esistenza convenzionale {177}

In questo modo, noi Madhyamika postuliamo convenzionalmente, all’interno del nostro sistema, molte presentazioni dell’esistenza ciclica e del nirvana; confutiamo anche l’esistenza convenzionale dei costrutti che sono proposti come asserzioni uniche dagli essenzialisti. Tutto questo è estremamente difficile, la conoscenza precisa della presentazione delle due verità è scarsa.

La comprensione erronea può sorgere come segue. Quando noi confutiamo l’esistenza convenzionale dei costrutti che gli essenzialisti asseriscono, dobbiamo portare avanti la confutazione usando l’analisi razionale. Inoltre, nel prendere la loro posizione su materie come l’esistenza della produzione e della cessazione convenzionale, gli individui capaci di riflessione decideranno cosa asserire in conformità con ciò che può essere provato e la prova è basata su una sequenza di ragionamenti. Prendendo in considerazione questo, alcuni sentono che, sottoposte all’analisi razionale, le convenzioni proposte di produzione, ecc. e i costrutti immaginari degli essenzialisti hanno lo stesso stato in entrambe i casi: (che siano) contraddetti o non contraddetti dalla ragione. Perciò, se negano l’esistenza convenzionale dei costrutti come un creatore divino o un’essenza primordiale, (Secondo i Samkhya teisti, il dio supremo inizia e sovrintende alla creazione del mondo dalla “natura fondamentale” (rang bzhin, prakrti), altrimenti nota come “essenza primordiale” spyi gtso bo, pradhana). essi devono allora negare anche l’esistenza convenzionale delle forme e cose simili; se essi ritengono che le forme esistano convenzionalmente, dovrebbero allora accettare anche l’esistenza di un creatore divino. Essi vedono quei due come equivalenti. Dicono che è improprio per il loro sistema identificare o asserire di qualsiasi fenomeno: “Questo è così e così; questo non è così e così”. Essi presumono di aver trovato in questo la realtà Madhyamaka. Inoltre, in accordo con tale comprensione, essi ritengono che stabilizzare la mente senza apprendere {178} alcunché sia coltivazione della genuina visione Madhyamaka. [627] C’è un gran numero (di persone) che asserisce questo.

È evidente che un tale parlare non piace all’erudito. Questo perché, non essendo riusciti a identificare l’oggetto negato dalla ragione come spiegato sopra, quelli che dicono ciò usano le argomentazioni che confutano l’esistenza intrinseca per distruggere tutte le presentazioni delle convenzionalità. Di conseguenza, la loro è una posizione altamente inesatta, che tratta come uguali la visione corretta e la visione sbagliata nel grado in cui sono erronee o non-erronee. Come risultato, l’abitudine prolungata a una tale visione non ti porta minimamente più vicino alla visione corretta. Di fatto, ti porta più lontano da essa, perché una tale visione errata si trova in aperta contraddizione col sentiero del sorgere dipendente, il sentiero in cui tutti gli insegnamenti su ciò che sorge in modo dipendente nell’esistenza ciclica e sul nirvana sono sostenibili all’interno del nostro sistema. Perciò, il Commentario sulla “Via di Mezzo”, di Ciandrakirti, dice:

Il sé come è immaginato dai filosofi non buddhisti
Che sono disturbati dal sonno dell’ignoranza,
E le cose che sono ascritte a miraggi,
Illusioni (create) dai maghi, e così via, non esistono nemmeno per il mondo.

Egli dice che ciò che è immaginato nelle asserzioni uniche dei filosofi non buddhisti, o, secondo la precedente citazione nelle uniche asserzioni dei buddhisti essenzialisti, non esiste neppure convenzionalmente nel nostro sistema Madhyamaka. Spiegherò questo punto.

Come si determina se qualcosa esiste convenzionalmente o no? Noi sosteniamo che qualcosa esista convenzionalmente: (1) se è nota a una coscienza convenzionale; (2) se nessun’altra cognizione valida convenzionale contraddice il suo essere come è così conosciuto; e (3) se la ragione che analizza accuratamente la realtà, ossia, analizza se qualcosa esista intrinsecamente o no, non la contraddice. Noi riteniamo che ciò che non collima con questi criteri non esista.

In un senso, la coscienza convenzionale opera in maniera non inquisitiva. Opera solo entro il contesto di come un dato fenomeno le appare, senza analizzare: “È questo il modo in cui l’oggetto esiste effettivamente, oppure esso appare solo alla mia mente in questo modo?” [628] È chiamata coscienza non analitica, ma non è che sia completamente non-inquisitiva. Opera entro il contesto di come appaiono le cose, come sono conosciute, a una coscienza mondana o convenzionale. Non opera tramite analisi di come le cose esistano effettivamente. Perciò è chiamata conoscenza mondana. Questo tipo di coscienza è presente in tutte le persone, che siano state o no {179} coinvolte nei sistemi di dogmi filosofici. Perciò, a prescindere dalla corrente mentale in cui si manifesta, questa è chiamata “conoscenza mondana” o “coscienza non-analitica”.

Non supponete che esista soltanto nelle correnti mentali di quelle persone mondane che non sono coinvolte in sistemi di dogmi filosofici. Quelli che sono coinvolti in tali sistemi possono spesso avere menti che analizzano (così): “La conoscenza convenzionale è accurata?” oppure: “Questo oggetto esiste in questo modo nella realtà?” Inoltre, come potrebbero tutte le loro coscienze analizzare come esistono effettivamente le cose? Perciò, se vuoi comprendere cosa sia la conoscenza mondana, non puoi chiedere solo a quegli anziani del mondo che non hanno dogmi filosofici. Tuttavia, è sufficiente considerare come le menti non analitiche operino nelle correnti mentali delle due parti in un dibattito. Ciò che queste coscienze conoscono è la base percettiva o esperienziale per la costruzione del linguaggio convenzionale.

La gente comune non comprende il karma e i suoi effetti, i livelli dei sentieri o argomenti di questo genere, ma ne sente parlare e li sperimenta, prendendoli in tal modo come oggetti. Poiché è così, queste cose appaiono anche alle coscienze ordinarie che non analizzano come le cose esistano effettivamente. Noi evitiamo perciò la convinzione erronea che queste non siano cose conosciute dal mondo.

Altre cognizioni convenzionali valide non contraddicono ciò che esiste convenzionalmente. Per esempio, una coscienza che non analizzi come esistano effettivamente le cose può pensare che una corda sia un serpente o che un miraggio sia acqua. Tuttavia, la cognizione convenzionale valida contraddice gli oggetti appresi da tali coscienze, perciò quegli oggetti non esistono neppure convenzionalmente.

Una coscienza razionale che analizzi accuratamente se qualcosa esista intrinsecamente o no, non contraddice ciò che esiste convenzionalmente. [629] Ciò che è postulato convenzionalmente deve essere stabilito dalla cognizione valida convenzionale. In aggiunta, la coscienza razionale che analizza accuratamente se ciò esista o no intrinsecamente, non deve di sicuro contraddirlo in alcun modo. Qualunque cosa un tale ragionamento stabilisca come esistente deve esistere essenzialmente, perciò è contraddittorio che quello sia un oggetto convenzionale. Per questo motivo, è errato confondere: (1) non essere contraddetto da una coscienza razionale e (2) essere stabilito da una coscienza razionale. Tale confusione è la base della concezione errata secondo cui le seguenti proposizioni hanno pari valore, che siano entrambe vere o entrambe false:

1. Piacere e dolore sorgono convenzionalmente dalla virtù e dalla non virtù.{180}

2. Piacere e dolore sorgono da un creatore divino e da un’essenza primordiale.

Questa idea sbagliata è scorretta. Le due proposizioni sono equivalenti nei limiti in cui una linea di ragionamento che analizzi accuratamente se le cose esistano o no intrinsecamente stabilirà nessuna delle due, ma le due non sono uguali da tutte le angolazioni: una è contraddetta dalla ragione e l’altra non lo è.

Un oggetto e un soggetto senza parti, un sé, un’essenza primordiale, un creatore divino: tali cose sono costrutti immaginari portati avanti nelle asserzioni uniche degli essenzialisti buddhisti e non buddhisti. Quando postulano tali cose, lo fanno dopo analisi razionale (che verifichi se) tali cose esistano o no essenzialmente; essi pensano che questo tipo di analisi razionale scoprirà queste cose. Perciò, dato che essi asseriscono che queste cose possono sostenere l’analisi razionale, devono accettare che altri al di fuori delle loro scuole possano compiere tale analisi razionale per scoprire se queste cose esistano intrinsecamente o no. Quando (vengono) analizzate in questo modo, quelle cose non possono sopportare la pressione dell’indagine (condotta) da un ragionamento impeccabile. Così, quando la ragione non le trova, esse sono confutate, perché, se esistessero, tale ragionamento dovrebbe trovarle.

Noi postuliamo le forme, i suoni e cose simili solo come sono conosciute dalle coscienze convenzionali che non sono menomate da cause interne o esterne di errore. [630] Non le asseriamo come parte di un sistema in cui un’analisi, (che accerti) se sono mere convenzioni o se invece abbiano un’esistenza oggettiva, troverà che esse sono essenzialmente o intrinsecamente esistenti. Perciò, l’analisi razionale (che valuti) se esistano intrinsecamente o no, è irrilevante, perché non asseriamo che questi oggetti possono sopportare l’analisi razionale. Per esempio, se qualcuno afferma “Questa è una pecora”, è fuori luogo analizzare questa affermazione chiedendo: “È un cavallo o è un elefante?” Questa è analogo.

Ci sono cose che sono state “conosciute dal mondo” da tempo senza inizio, e tuttavia non esistono neppure convenzionalmente giacché la ragione le contraddice. Come esempio, si può citare l’essenza che l’ignoranza sovrappone alle cose, l’“io” e il “mio” essenzialmente esistenti concepiti dalla visione reificante degli aggregati perituri, o l’oggetto della concezione secondo cui la montagna di ieri è la montagna di oggi. Perciò, non è che i Madhyamika accettino convenzionalmente tutto ciò che è conosciuto dal mondo.

Alcuni sostengono che, in termini di esistenza convenzionale, le forme, i suoni e così via non sono equivalenti ai costrutti dei filosofi non buddhisti per la ragione che i primi sono noti a tutto il mondo {181} mentre i secondi sono noti solo ai fautori dei dogmi filosofici. Quelli che sostengono questa posizione non sono stati capaci di fare accurate distinzioni; altrimenti vedrebbero le molte implicazioni indesiderabili delle loro argomentazioni, come la seguente: in termini convenzionali, le forme e cose simili potrebbero non essere come illusioni; piuttosto, a livello convenzionale dovrebbero esistere essenzialmente. Anche il Commentario sulle “Sessanta Stanze di Ragionamento” [di Nagarjuna], di Ciandrakirti, dice:

Le persone imprecise sono quelle che apprendono queste cose dell’esistenza ciclica solo come datrici di felicità e così via, perché anche dal punto di vista convenzionale queste cose non hanno tale natura. Le persone accurate (precise) sono quelle che apprendono queste cose come sofferenza e così via, perché tali cose hanno questa natura convenzionalmente.

Egli spiega che, nonostante la permanenza e così via delle cose dell’esistenza ciclica sia “conoscenza comune” nel mondo, tali concezioni sono inaccurate anche convenzionalmente. [631] Inoltre, anche se la loro impermanenza e così via non sono note a tutto il mondo, tali concezioni sono esatte.

Perciò, una coscienza concettuale che apprenda gli aggregati come impermanenti e così via è erronea riguardo all’oggetto che le appare, ma noi la chiamiamo accurata, o non-erronea, giacché ciò che discerne non è contraddetto da cognizione valida. Le coscienze sensoriali sono erronee rispetto agli oggetti che ad esse appaiono e noi non le chiamiamo non-erronee dal momento che esse non hanno un altro fattore che sia non-erroneo. Tutte le coscienze sensoriali sono uguali nell’essere erronee rispetto a ciò che appare loro. Tuttavia, le coscienze sensoriali come quelle a cui appare un riflesso sono coscienze convenzionali non-corrette; invece, le coscienze sensoriali non menomate sono coscienze convenzionali corrette. Ciò si basa sull’esistenza o meno di un oggetto compatibile con ciò che appare alla prospettiva visuale mondana di quella coscienza sensoriale.

Dal momento che gli oggetti concepiti dalle coscienze concettuali che apprendono gli aggregati come permanenti e così via, non esistono convenzionalmente, la ragione può confutarli. Tuttavia, gli oggetti referenti delle concezioni degli aggregati come impermanenti, ecc. esistono sì convenzionalmente; quindi la ragione non può confutarli. Non c’è permanenza ultima o essenziale e così via; allo stesso modo, non c’è impermanenza ultima o essenziale e così via. Perciò, le concezioni di quegli otto come esistenti nella realtà sono identiche nel loro grado di precisione (accuratezza). (“Otto” si riferisce ai quattro errori – vedere l’esistenza ciclica come permanente, portatrice di gioia, pura e dotata di un sé – e alle quattro concezioni corrette di queste cose come impermanenti, sofferenza, impure e prive di un sé.) Pensava a questo il Buddha quando disse [nei sutra della Perfezione della Saggezza] che voi state meditando sui segni di vera {182} esistenza sia che meditiate sulle forme come permanenti o impermanenti, portatrici di felicità o di dolore, dotate di un sé o prive di un sé.

Dubbio: L’ignoranza sovrappone una natura intrinseca alle cose. Per voi, usare la ragione per superare la sua prospettiva e tuttavia non confutare gli oggetti convenzionali, questa è una contraddizione, perché il Commentario sulla “Via di Mezzo”, di Ciandrakirti, dice:

Il Saggio disse che, poiché l’ignoranza oscura la natura dei fenomeni,
Essa è un “occultatore” (tib.
kun rdzob, scr. samvrti).
Le fabbricazioni che percepisce come vere
Sono chiamate “verità per un occultatore” (tib.
kun rdzob bden pa, scr. sam- vrti-satya).

Così Ciandrakirti dice che le forme, i suoni e così via sono postulate come verità convenzionali (tib. kun rdzob bden pa, scr. samvrti-satya) per la forza dell’ignoranza.

Risposta: Qui non c’è errore. [632] Quando postuliamo le cose, tipo le forme e i suoni, come verità convenzionali, “verità” significa che esse sono vere per la forza di un particolare pensiero. Dal momento che quel pensiero deve essere considerato una concezione di vera esistenza, le forme, i suoni e così via sono verità per l’ignoranza che sovrappone ad esse l’esistenza intrinseca. Perciò, Ciandrakirti si riferisce ai due tipi di arhat che hanno eliminato l’afflizione dell’ignoranza e ai bodhisattva sull’ottavo livello e oltre quando dice: “Essi vedono queste apparenze come fabbricazioni e non come vere, perché essi non hanno una concezione esagerante della vera esistenza”. Per questa ragione Ciandrakirti dice che per quelli che non hanno la concezione di vera esistenza, le forme e così via sono “mere convenzionalità”.

Pertanto, la verità di forme, suoni e simili è postulata dal punto di vista dell’ignoranza, ma l’ignoranza non postula cose come le forme e i suoni. Per esempio, dalla prospettiva di una coscienza errata che apprende una corda come un serpente, la corda è un serpente, ma questa coscienza errata non postula la corda. Dal momento che le menti che postulano le cose come forma e suono sono le sei coscienze inalterate associate all’occhio, ecc., gli oggetti che essi stabiliscono, esistono convenzionalmente e perciò la ragione non li confuta. Tuttavia, anche convenzionalmente essi non esistono come l’ignoranza li apprende. Questo perché l’ignoranza sovrappone alle cose una natura essenziale o intrinseca, e questa natura intrinseca non esiste neppure convenzionalmente. Perciò, la ragione confuta convenzionalmente ciò che l’ignoranza apprende; se non lo facesse, voi non potreste allora provare che, al livello convenzionale, le cose sono come illusioni.

{183} L’ignoranza sovrappone una natura intrinseca alle cose; da questo sorgono attaccamento, ostilità e così via, che sovrappongono ulteriormente a quella natura intrinseca le caratteristiche di essere attraente o non attraente. Perciò, la ragione può anche essere utile per sradicare il modo in cui l’attaccamento e simili apprendono gli oggetti. Il Commentario sulle “Quattrocento Stanze”, di Ciandrakirti, dice:

L’attaccamento e così via sovrappongono caratteristiche di attrattiva o mancanza di attrattiva solo alla natura intrinseca delle cose che è stata sovrapposta dall’ignoranza. [633] Perciò non lavorano separate dall’ignoranza; esse dipendono dall’ignoranza. Questo perché l’ignoranza è l’afflizione principale.

Queste sono le afflizioni innate che operano da tempo senza inizio. Tuttavia, poiché la ragione può sradicare il modo in cui esse apprendono le cose, i loro oggetti referenti non esistono neppure convenzionalmente. Perciò, gli oggetti delle menti innate sono di due tipi: quelli che la ragione può confutare e quelli che la ragione non può confutare. Gli oggetti delle cognizioni valide innate convenzionali che postulano che le cose come forma e suono esistano convenzionalmente; quindi, la ragione non li confuta.

Di conseguenza, dal momento che noi confutiamo l’esistenza essenziale o intrinseca, anche convenzionalmente, nel sistema dei maestri Buddhapalita e Ciandrakirti, sembra sia veramente difficile postulare gli oggetti convenzionali. Se non comprendete come postulare bene questi, senza contraddizione, non sarete allora perfettamente sicuri delle pratiche della classe dell’esecuzione. (La “classe dell’esecuzione” (“performance”, spyod phyogs) si riferisce al metodo, compassione e mezzi abili, come distinto dalla “classe della vacuità/visione” stong phyogs, lta phyogs). Pare che questo causi la caduta di molti individui in una visione eccessivamente negativa. Perciò, l’intelligente dovrebbe avere padronanza sulla procedura di questo sistema per postulare le cose convenzionali. A questo punto, io temo di aver parlato più che a sufficienza su questo; non elaborerò più nulla ulteriormente.

Capitolo 15 La produzione non è confutata {185}

(c’’)) Non potete sradicare i fenomeni convenzionali confutandoli con l’investigare se essi siano o no prodotti in uno dei quattro modi alternativi.

(d’’)) La confutazione di tutte e quattro le parti del tetralemmai non è una critica legittima dei fenomeni convenzionali. ***
(c’’))
Non potete sradicare i fenomeni convenzionali confutandoli con l’investigare se essi siano o no prodotti in uno dei quattro modi alternativi

Obiezione: Il (sistema) Madhyamaka confuta la produzione da sé, da altro e da entrambi, così come la produzione senza cause. Questo confuta la produzione? Se sostenete di sì, allora, dal momento che questi quattro tipi alternativi di produzione non esistono neppure convenzionalmente in questo sistema Madhyamaka, non c’è bisogno di aggiungere alcuna frase qualificante alla confutazione della produzione. Se sostenete di no, allora la vostra confutazione delle quattro alternative della produzione non riesce a confutare la produzione ultima.

Risposta: Noi non accettiamo la prima di queste due posizioni, perciò io spiegherò la risposta alla seconda.

Quelli che asseriscono la produzione ultima devono asserire che essa sopporta l’analisti condotta dal ragionamento che analizza la realtà. Dato che è così, essi devono usare la ragione per analizzare la produzione al fine di scoprire quale sia tra le quattro alternative, produzione da sé, da altro e così via. [634] Quindi, a coloro che asseriscono la produzione ultima {186} si richiede in modo chiaro di asserire che essa può essere collocata analiticamente all’interno di una delle quattro alternative.

Poiché noi affermiamo la mera produzione, il sorgere di particolari effetti in dipendenza da particolari cause e condizioni, noi non asseriamo la reale produzione. Dato che non affermiamo la reale produzione, perché dovremmo usare il ragionamento che analizza la realtà per analizzare quale (tipo) di produzione sia: produzione da sé, da altro e così via? Questo perché non ci è richiesto di asserire che la produzione resiste all’analisi razionale.

Inoltre, la produzione dipendente stessa confuta i quattro tipi alternativi di produzione. Come dice il Commentario sulla “Via di Mezzo”, di Ciandrakirti:

Poiché le cose sorgono in modo dipendente
Queste concezioni errate non possono sopportare l’attenta indagine.

Perciò, il ragionamento del sorgere dipendente
Taglia tutti gli intrichi delle visioni cattive.

Dunque Ciandrakirti afferma che la produzione dipendente confuta i quattro tipi alternativi di produzione. Tuttavia, voi sostenete che se non c’è produzione fra uno dei quattro tipi alternativi, allora non esiste neanche la mera produzione. Sembra, perciò, che quello che proponete sia l’opposto di ciò che asserisce Ciandrakirti. Il Commentario sulla “Via di Mezzo”, di Ciandrakirti, dice anche:

Poiché le cose non sono prodotte
Senza causa, o da cause come un creatore divino,

O da sé, da altro, o da entrambi: sé e altro,
Esse sono prodotte dipendentemente.

Comunque, secondo voi, sarebbe contraddittorio per Ciandrakirti dire questo. Perciò, le (entità) sorte in modo dipendente, prodotte dipendentemente, sono libere dai quattro tipi estremi di produzione. Quindi non chiedete: “Ciò che è libero dagli estremi: qual è dei quattro estremi?” Ancora una volta questi oppositori sbagliano nel non distinguere “produzione non intrinseca” da “non produzione”.

Dubbio: Come spiegate l’affermazione del Commentario sulla “Via di Mezzo”, di Ciandrakirti:

L’argomentazione che mostra che la produzione da sé e da altro
È insostenibile nel contesto della realtà ultima
Mostra anche che la produzione è insostenibile convenzionalmente.

Risposta: Questo significa che se asserite la produzione sostanzialmente esistente, o la produzione che esiste per via del suo carattere intrinseco, {187} allora queste argomentazioni la confutano anche convenzionalmente. Non indica per niente una confutazione della mera produzione, perché nella transizione verso quel passaggio, [Spiegazione del Commentario sulla “Via di Mezzo”, di Ciandrakirti] dice: [635]

Obiezione: Le cose che servono da cause dei fenomeni afflitti e puri, devono produrre entità esistenti sostanzialmente.

Risposta: Se fosse così, allora le stesse parole della tua affermazione non rimarrebbero. Perché?

A questo punto, Ciandrakirti dà i versi citati sopra: “L’argomentazione che mostra che la produzione da sé e da altro…”. Commentando quel verso, egli dice:

Devi perciò ammettere, per quanto malvolentieri, che la produzione per via di carattere intrinseco non esiste nei termini dell’una o dell’altra delle due verità.

In tal modo, dal momento che la produzione esistente essenzialmente è la produzione ultima, quando gli altri la asseriscono, anche se la asseriscono convenzionalmente, dovete confutare la sua correttezza proprio come confutate la produzione ultima. Dato che questa è l’asserzione eccellente del maestro Ciandrakirti, non dovreste asserire la produzione essenzialmente esistente neppure convenzionalmente. Il Commentario sulla “Via di Mezzo”, di Ciandrakirti, dice:

L’auto-generazione del figlio di una donna sterile
Non esiste né in realtà né nel mondo.
Similmente, tutte queste cose mancano di produzione essenziale

Per entrambi, il mondo e la realtà.

Alcuni ritengono che la mancanza di produzione intrinseca, mancanza di esistenza intrinseca della produzione, debba significare che la produzione non esiste. Essi sostengono che la produzione dipendente e l’assenza di produzione intrinseca sono contraddittori. Ciandrakirti dice [nel Commentario sulle “Sessanta Stanze di Ragionamento”] che quelli che dicono così non hanno orecchie o cuore. Nel dire che non hanno orecchie, egli intende che non odono la qualificazione “intrinseca” quando facciamo riferimento alla mancanza di produzione intrinseca; ritengono che noi abbiamo detto: “mancanza di produzione”. Nel dire che non hanno cuore, egli intende che anche se la odono, essi non hanno la comprensione del significato della parola “intrinseca”. Sessanta Stanze di Ragionamento, di Nagarjuna, dice:

Il supremo conoscitore della realtà
Disse che la produzione dipendente non è produzione.

Commentando quel passaggio, il Commentario sulle “Sessanta Stanze di Ragionamento”, di Ciandrakirti, dice:

{188} Quando vedi il sorgere dipendente, non percepisci le cose come intrinsecamente esistenti. Questo perché ciò che è prodotto dipendentemente non è prodotto intrinsecamente, come un riflesso. [636]

Obiezione: Non sarà che ciò che è prodotto dipendentemente è solo prodotto? Come puoi dire che non è prodotto? Se dici che qualcosa non è prodotto, allora non dovresti dire che è prodotto dipendentemente. Perciò, dato che questi si escludono reciprocamente, la tua posizione è scorretta.

Risposta: Poveretto! Senza né orecchie né cuore discuti ancora. Questo ci mette in una situazione difficile. Noi sosteniamo che le cose prodotte dipendentemente sono, come i riflessi, non prodotte intrinsecamente. Poiché le cose stanno proprio così, come può la tua obiezione avere una chance?

Perciò dovreste tenere in gran conto queste distinzioni.
Anche
Domanda del Re dei Naga Anavatapta (Anavatapta-naga-raja-pari-prccha-sutra) dice:

Qualsiasi cosa sia prodotta da condizioni non è prodotta;

Non è intrinsecamente prodotta.
Io considero vuota qualunque cosa dipenda da condizioni;

Chi conosce la vacuità è diligente. (“dimorante in un sentiero della liberazione”)

Il Buddha, dopo aver affermato nella prima linea: “Qualsiasi cosa sia prodotta da condizioni non è prodotta”, indica nella seconda linea il modo della non- produzione: “Non è intrinsecamente prodotta”. In tal modo, aggiungendo una frase qualificante all’oggetto della negazione, il Buddha dice che le cose non sono prodotte intrinsecamente. Alcuni sentono queste parole e non le comprendono; essi dicono: “Solo il prodotto non è prodotto; solo il dipendente non dipende”. Evidentemente, essi pensano che sostenere questa massa di contraddizioni costituisca una visione avanzata.

Questo è affermato molto chiaramente anche nel Sutra della Discesa in Lanka (Lankavatarasutra) come citato da Ciandrakirti nel suo Chiare Parole:

Mahamati, pensando che essi non sono prodotti intrinsecamente, io ho detto che tutti i fenomeni non sono prodotti.

Questo in effetti risponde alla domanda se la qualificazione “in senso ultimo” debba essere aggiunta alla confutazione della produzione e così via. Comunque, io risponderò più specificamente a questa domanda qui sotto.
Questi punti spiegati sopra indicano che nessuna delle confutazioni esposte dagli oppositori può confutare questa procedura per postulare le cose come causa ed effetto in assenza di esistenza intrinseca [
637]. In generale, il colmo della falsa confutazione è una discussione che oblitera l’analisi che si supponeva confutasse l’oppositore, senza lasciare traccia. Perciò, la vostra affermazione è il colmo della falsa {189} confutazione. Questo perché il metodo che voi usate per confutare la posizione del vostro antagonista, analizzando se la ragione la contraddica e così via, può essere rivolto contro di voi e usato per confutare la vostra critica.
Dubbio: Voi asserite l’esistenza delle forme e simili, così l’analisi di esse nei termini delle quattro alternative si avvicina alla vostra posizione. Noi, tuttavia, non abbiamo una nostra posizione, perciò tale analisi non si applica a noi.

Risposta: Questa discussione non può evitare quei falsi ragionamenti. Spiegherò questo più avanti, nella sezione (che discute) se la visione sia stabilita tramite argomenti per reductio ad absurdum o tramite sillogismi autonomi.

(d’’)) La confutazione di tutte e quattro le parti del tetralemma non è una critica legittima dei fenomeni convenzionali

Dubbio: I testi Madhyamaka confutano tutte e quattro le parti del tetralemma, una cosa o natura intrinseca: (1) esiste, (2) non esiste, (3) entrambe le cose: esiste e non esiste, e (4) né esiste, né non esiste. La ragione confuta ogni cosa, perché non ci sono fenomeni che non siano inclusi tra questi quattro.

Risposta: Come indicato in precedenza, “cose” ha due significati. Tra questi due, noi confutiamo l’asserzione che le cose esistano essenzialmente in termini di entrambe le verità; tuttavia, a livello convenzionale, non confutiamo le cose che possono svolgere funzioni. Quanto alle non-cose, se voi ritenete che i fenomeni non-composti siano non-cose essenzialmente esistenti, noi allora confutiamo anche tali non-cose. Allo stesso modo, confutiamo qualcosa che sia entrambe: una cosa del genere e una non-cosa del genere, e confutiamo anche qualcosa che esista essenzialmente come né l’una né l’altra. Perciò, dovreste capire che tutti i metodi per confutare il tetralemma sono come questo, che implicano qualche (avverbio) qualificativo come “essenzialmente”.

Supponiamo che confutiate il tetralemma senza aggiungervi alcuna qualificazione del genere. Confutate la posizione secondo cui le cose esistono e confutate la posizione secondo cui le cose non esistono; voi dite allora: [638] “Non è vero che esse esistono e non esistono”. Se ora continuate con la confutazione dicendo: “Non è vero neanche che esse sono né esistenti né non esistenti”, allora voi contraddite esplicitamente la vostra stessa posizione. Se poi ostinatamente insistete: “Anche così non c’è errore”, allora il dibattito è finito, perché noi non discutiamo con gli ostinati.

Inoltre, quando confutate la natura essenziale o intrinseca, o il sé, rispetto agli aggregati, questo fa sorgere una coscienza di saggezza che pensa: “La natura intrinseca, o il sé, non esiste”. Se confutate anche la mancanza di natura intrinseca che è l’oggetto di quella coscienza di saggezza, state allora confutando la visione Madhyamaka. Questo {190} perché avete confutato l’oggetto della coscienza di saggezza che conosce che i fenomeni mancano di natura intrinseca.

Questo è ciò che chiedo a coloro che pretendono di confutare sia la natura intrinseca che l’assenza di natura intrinseca: Per favore, ditemi in che modo confutate l’assenza di natura intrinseca che è l’oggetto della coscienza di sag- gezza che accerta che gli aggregati non esistono intrinsecamente.

Dubbio: Il Trattato Fondamentale https://www.sangye.it/altro/?p=9194 di Nagarjuna dice:

Se ci fosse una minima traccia non-vuota,
Allora esisterebbe anche una traccia di vacuità;

Poiché non c’è traccia che sia non-vuota,
Come potrebbe esserci una traccia della vacuità?

Perciò, dato che non c’è nulla che non sia vuoto, non esiste neanche la vacuità che è assenza di esistenza intrinseca.

Risposta: Qui, nel Trattato Fondamentale, “vuoto” e “non-vuoto” si riferiscono all’essere vuoto e non vuoto di natura intrinseca, e sono usati in questo modo nell’intero testo, dall’inizio alla fine. Perciò, “non vuoto di natura intrinseca” significa “che ha natura intrinseca”. Cosa potrebbe essere più ridicolo della vostra posizione secondo cui, dal momento che non c’è natura intrinseca, non esiste neppure la vacuità che è l’assenza di natura intrinseca!

Inoltre, la conoscenza certa che apprende che qualcosa tipo una pianticella manca di natura essenziale o intrinseca, apprende che non c’è natura intrinseca nella pianticella. Non pensa: “Questa assenza di natura intrinseca esiste”, né pensa: “Questa assenza di natura intrinseca non esiste”. Chiudi gli occhi, ritirati all’interno e conosci questo; è veramente facile da capire. Non sarebbe corretto apprendere l’assenza di natura intrinseca come esistente in quel modo. (Se la mente dell’analisi ultima che trova che non c’è essenza nella pianticella pensasse anche: “Ecco ora qualcosa che esiste, l’assenza di esistenza intrinseca”, allora l’assenza stessa di esistenza intrinseca resisterebbe all’analisi ultima. In tal caso, la vacuità stessa sarebbe intrinsecamente esistente.) [639] Supponiamo che questo significhi che è corretto usare la ragione per confutare l’esistenza della vacuità al fine di superare la concezione secondo cui l’assenza di natura intrinseca esiste. Dovresti ancora sostenere che stai confutando l’oggetto di qualche altra mente che apprende l’assenza di natura intrinseca come qualcosa che esiste; sarebbe proprio sbagliato confutare l’oggetto della saggezza che realizza che una pianticella non esiste intrinsecamente.

Quando noi confutiamo la natura essenziale o intrinseca di una pianticella, abbiamo una conoscenza certa che la pianticella non esiste intrinsecamente. Allora, anche se qualche altra consapevolezza apprende quell’assenza di natura intrinseca come esistente, la ragione non confuta l’oggetto di {191} quell’altra mente. Tuttavia, se quella mente ritiene che la vacuità esista essenzialmente, allora la ragione lo confuta.

Dubbio: Come potrebbe qualcuno sviluppare una concezione secondo cui l’assenza di natura intrinseca esiste intrinsecamente?

Risposta: Nel percepire la mancanza di natura intrinseca della pianticella, non stabilisci questa mancanza come natura intrinseca della pianticella. Tuttavia, potresti sviluppare l’idea che l’assenza di natura intrinseca sia la natura intrinseca di quella pianticella. Per esempio, in assenza di un vaso, non svilupperesti l’idea: “La verità è che c’è un vaso”, ma potresti sviluppare l’idea: “La verità è che non c’è un vaso”.

In conformità, dal momento che non c’è proprio nulla che non sia vuoto di esistenza intrinseca, è perfettamente ragionevole dire che anche la vacuità che è la mancanza di natura intrinseca di una pianticella, manca di esistenza essenziale. Il Commentario sulle “Quattrocento Stanze” di Ciandrakirti parla del confutare l’esistenza essenziale della vacuità:

Se ciò che è chiamato vacuità avesse qualche esistenza essenziale, allora le cose avrebbero natura intrinseca. Tuttavia non l’ha. Per indicare questo, Quattrocento Stanze (Catuh-sataka), di Aryadeva, dice:

Poiché non c’è nulla che non sia vuoto,

Da cosa può sorgere la vacuità?
Poiché non c’è nulla da opporre,
Come può esserci un rimedio?

Se non sei d’accordo e confuti l’esistenza della vacuità che è l’assenza di natura intrinseca, allora l’assenza di natura intrinseca non esisterebbe. In tal caso, dal momento che esisterebbe la natura essenziale o intrinseca, sarebbe totalmente fuori luogo confutare la natura intrinseca, [640] perché su questa linea, Confutazione delle Obiezioni, di Nagarjuna, dice:

Come potrebbe l’assenza di natura intrinseca delle mie parole

Confutare la mia asserzione che le cose mancano di natura intrinseca?

Se l’assenza di natura intrinseca fosse confutata,
Sarebbe allora provata la presenza di natura intrinseca.

E il Commentario sulla “Confutazione delle Obiezioni” di Nagarjuna commentando ciò dice molto chiaramente

Obiezione: Proprio come una persona potrebbe fermare un suono con il suono: “Non fare un suono”, così l’assenza di esistenza intrinseca nelle tue parole confuta la tua asserzione che non c’è natura intrinseca nelle cose.

Risposta: L’esempio è corretto, ma la tua idea non lo è. Ecco, le parole che non hanno natura intrinseca confutano proprio l’esistenza intrinseca delle {192} cose. Se l’assenza di natura intrinseca delle parole potesse confutare l’assenza di natura intrinseca delle cose, ciò confuterebbe allora la stessa assenza di natura intrinseca. Perciò le cose avrebbero natura intrinseca e, avendo natura intrinseca, non sarebbero vuote.

Quindi, proprio dopo il passaggio del Trattato Fondamentale citato sopra, Come potrebbe esserci una traccia di vacuità?” (L’obiettore suppone che solo le cose che hanno natura intrinseca possano funzionare. Nagarjuna ha sostenuto che tutte le cose, anche le stesse parole, mancano di natura intrinseca. L’obiettore sostiene che senza natura intrinseca le parole di Nagarjuna non sarebbero in grado di fungere da confutazione della natura intrinseca, e pertanto la natura intrinseca rimarrebbe.) Nagarjuna dice:

Il Conquistatore disse che la vacuità
Sradica tutte le visioni dogmatiche;
Quanto a quelli che assumono una visione dogmatica della vacuità,

Egli disse che essi sono incurabili.

Di nuovo, avere una visione dogmatica della vacuità non significa assumere la visione che le cose sono vuote di natura intrinseca. Significa pensare alla vacuità, alla vacuità di natura intrinseca, come realmente esistente o considerarla come una cosa reale. Il Commentario di Buddhapalita sul “Trattato Fondamentale” dice questo molto chiaramente, dando un esempio:

È possibile sconfiggere le concezioni errate di quelli che pensano che le cose esistano essenzialmente. [641] Puoi spiegare la vacuità e mostrare che le cose sono vuote di essenza, dicendo: “Poiché queste sono entità che sorgono in modo dipendente, sono designate come questa o quella cosa per la forza di cause e condizioni; le cose non esistono essenzialmente”. Tuttavia, non c’è modo di sconfiggere le concezioni errate di quelli che pensano che la vacuità sia una cosa reale. Per esempio, se dici a qualcuno: “Io non ho alcunché”, e quella persona dice allora: “Dammi quel nulla”, come potresti far capire a quella persona che tu hai niente?

Se non fosse preso in questo modo, anche l’esempio sarebbe improprio. Supponi di dirmi: “Dammi del denaro”, e che io risponda: “Io non ho denaro”. Se tu concludi: “Questa persona non ha denaro”, allora non c’è problema. Ma se tu pensi al “non denaro” come a un tipo di denaro, in tal caso non c’è modo che io possa assicurarti che non ho denaro. Proprio in modo analogo, supponi di chiedere: “Le cose hanno natura intrinseca o no?” e che io risponda: “Esse non hanno natura intrinseca”. Se tu allora pensi: “Le cose non hanno natura intrinseca”, come potrebbe essere un problema? Io volevo che tu recepissi questa idea. Ma se tu pensi che la mancanza di natura intrinseca delle cose sia essa stessa intrinsecamente esistente, allora questo è un problema. Secondo la tua interpretazione, quando mi senti dire che non ho soldi e quindi sviluppi l’idea “Questa persona non ha soldi”, perfino quell’idea deve essere confutata. Perciò sarebbe magnifico per te fidarti di ciò che ho detto.

{193} Inoltre, in Chiare Parole, Ciandrakirti parla dell’aggrapparsi alla vacuità come a una cosa reale; quindi egli non confuta la vacuità stessa e non c’è difetto nell’avere semplicemente la visione della vacuità. Il Verso Sommario della Perfezione della Saggezza in Ottantamila Linee (Ratna-guna-san-caya-gatha) dice:

Un bodhisattva che pensa: ”Gli aggregati sono vuoti”, sta meditando sui segni ed è privo di fede nel regno della non-produzione.

Anche la Preziosa Ghirlanda di Nagarjuna dice:

Perciò il Grande Saggio ha confutato

Le visioni del sé e dell’assenza del sé.

Benché queste ed altre scritture e trattati dicano che è sbagliato avere una visione della vacuità o assenza del sé, tu dovresti comprendere come ho spiegato sopra. Altrimenti contraddirebbero una gran quantità di affermazioni di altri testi. Nel Sutra del Cuore (Prajnaparamita-hrdaya-sutra), Shariputra chiede ad Avalokitesvara come dovrebbe addestrarsi colui che desidera praticare la profonda perfezione della saggezza. In risposta, Avalokitesvara dice: [642]

Un Bodhisattva dovrebbe vedere correttamente questi cinque aggregati come vuoti di esistenza intrinseca.

Il Verso Prajnaparamita-ratna-guna-sancaya-gatha Sommario della Perfezione della Saggezza in Ottantamila Linee dice:

Colui che sa che i fenomeni non esistono intrinsecamente sta praticando la

suprema perfezione della saggezza.
Il
Commentario sulla “Via di Mezzo”, di Ciandrakirti, dice:
Di conseguenza, uno yoghi vede la vacuità del sé

E di ciò che appartiene al sé, e in questo modo si libera.

Perciò, la radice di tutti i problemi è l’ignoranza che sovrappone l’esistenza intrinseca. C’è solo una coscienza che può sradicarla, apprendendo le cose in un modo che la smentisca esplicitamente. Quella coscienza è la saggezza che conosce l’assenza del sé, l’assenza di esistenza intrinseca. Poiché è così, se confuti questo modo di apprendere le cose, dovrai allora ammettere, sebbene contro voglia, che stai confutando la visione della realtà.

Nel punto in cui Quattrocento Stanze, di Aryadeva, dice: “Non c’è una seconda porta per la pace”, il Commentario sulle Quattrocento Stanze”, di Ciandrakirti, dice:

L’estinzione dell’attaccamento è la causa del raggiungimento del nirvana ed eccetto che la visione dell’assenza di esistenza intrinseca, {194} non c’è altro insegnamento che possa produrre l’estinzione dell’attaccamento. Perciò, la mancanza del sé, caratterizzata dall’assenza di esistenza intrinseca, è l’una e la sola porta per la pace. Come ingresso alla città del nirvana, è sola, e nulla può uguagliarla.

Benché ci siano le tre porte della liberazione chiamate “vacuità”, “assenza di segno” e “assenza di desiderio”, tuttavia solo la visione dell’assenza del sé assume priorità. Se conosci i fenomeni, senza eccezione, come privi di sé e per questo estingui ogni attaccamento a tutte le cose, come potrai mai ardere di desiderio per qualcosa o apprendere i segni in qualcosa? Per questo soltanto l’assenza di sé è l’una e la sola porta per la pace. [643] Perciò, Dotazione per l’Illuminazione (Byang chub kyi tshogs) spiega:

Poiché i fenomeni non esistono intrinsecamente, essi sono vuoti. Inoltre, poiché i fenomeni sono vuoti, a che servono i segni? Giacché sono andati oltre tutti i segni
Perché i colti dovrebbero desiderare tali fenomeni?

Così Ciandrakirti risolve l’apparente contraddizione tra le spiegazioni scritturali che (affermano) esserci tre porte per la liberazione e altri testi che spiegano che la visione della vacuità di esistenza intrinseca è la sola porta per la liberazione. Egli usa scritture e ragione per comprovare che proprio questa visione è la porta per la liberazione.

Perché dovrebbe la mera negazione della natura intrinseca implicare la confutazione dell’oggetto della saggezza? Non dovrebbe, perché tale conoscenza è un rimedio alle concezioni dei due sé come segni ed è priva perfino di una traccia di tale concetto errato. Se consideri difettosa anche tale concezione, e confuti ogni concettualità di qualsiasi tipo, buona o cattiva, allora è evidente che vuoi intraprendere il sistema dell’abate Cinese Ha-shang.

Capitolo 16 Non negare abbastanza {195}

(2)) Confutare un’identificazione eccessivamente ristretta dell’oggetto che deve essere negato.

Oppositore: L’oggetto che deve essere negato è una natura intrinseca che abbia tre attributi: (1) cause e condizioni non la pongono in essere, (2) la sua condizione è immutabile e (3) è postulata senza dipendere da qualche altro fenomeno, perché il Trattato Fondamentale di Nagarjuna dice:

Non è ragionevole che una natura
Debba sorgere da cause e condizioni.
Se sorgesse da cause e condizioni
Allora la natura sarebbe qualcosa che è prodotto.

Come potrebbe essere appropriato
Per una natura essere qualcosa che è prodotto?

Una natura non è fabbricata
E non dipende da un’altra.

Risposta: In generale, se qualcuno sostiene che le cose interne e esterne, per es. le pianticelle, abbiano “natura intrinseca” in questo senso, allora i Madhyamika devono proprio confutarlo. Tuttavia, qui identificare l’oggetto da negare significa identificare l’oggetto fondamentale di negazione. Quando confuti l’oggetto fondamentale di {196} negazione, allora la visione Madhyamaka, la conoscenza che i fenomeni mancano di natura intrinseca, si sviluppa nella tua corrente mentale. [644]

Le convinzioni errate sorgono se noi seguiamo l’interpretazione dell’oppositore. Dal momento che i sostenitori delle scuole buddhiste non-Madhyamaka hanno già stabilito che i fenomeni composti sono prodotti da cause e condizioni e sono mutevoli, noi non dovremmo aver bisogno di dimostrare loro l’assenza di natura intrinseca. Essi dovrebbero anche aver riconosciuto che le cose mancano di natura intrinseca. Perciò, come può questo essere l’unico oggetto di negazione Madhyamaka?

Molti testi Madhyamaka adducono argomenti come questo: se le cose esistessero essenzialmente non potrebbero dipendere da cause e condizioni, dovrebbero essere immutabili e così via. Tuttavia, queste affermazioni indicano idee errate che sarebbero implicate se le cose esistessero essenzialmente; esse non identificano l’oggetto di negazione nei suoi termini.

Il fatto è che se qualcosa esistesse in senso ultimo, esisterebbe in realtà, quindi non potrebbe dipendere da cause e condizioni e così via; tuttavia, non è questo il significato di esistenza ultima. Per esempio, anche se l’essere un vaso comporta l’essere impermanente, il significato corretto di vaso non è impermanenza; devi piuttosto dire che significa “una cosa a forma di bulbo con la base piatta capace di svolgere la funzione di contenere acqua”.

Allo stesso modo, se qualcosa esistesse in senso ultimo, ecc., dovrebbe essere una cosa senza parti; tuttavia, nel Madhyamaka noi non suggeriamo che “una cosa senza parti” sia l’oggetto fondamentale di negazione. Dal momento che le cose senza parti sono semplicemente imputate dalla prospettiva unica dei paladini dei dogmi filosofici, tali nozioni non sono la causa fondamentale che vincola gli esseri incarnati all’esistenza ciclica. Inoltre, anche se voi determinaste che quelle cose senza parti mancano di natura intrinseca e quindi meditaste su quello, ciò non si opporrebbe per nulla alla concezione ignorante che opera da tempo senza inizio. Perciò, anche la conoscenza ottimale e diretta di quello non sconfiggerebbe le afflizioni innate.

Così, quando esegui determinazioni filosofiche, fai che il tuo compito principale sia di determinare che un oggetto come concepito dall’ignoranza innata non esiste. In subordine a questo, confuta gli oggetti delle concezioni errate acquisite. [645] Se non comprendi questo e non riesci a sradicare la prospettiva dell’ignoranza innata, allora, nel confutare il sé personale, confuterai solo un sé che sia permanente, unitario e indipendente. Nel confutare un sé oggettivo, confuterai solo le cose imputate dai propugnatori dei {197} dogmi filosofici, come gli oggetti che sono particelle senza parti, momenti di esperienza senza parti, o un substrato naturale (pradhana) con i tre guna (“elementi primi”) asseriti dai Samkhya. Questo è completamente improprio. Se pensi diversamente, allora quando fai determinazioni filosofiche, stabilirai niente più che questa poco profonda mancanza del sé. Poiché le determinazioni filosofiche sono fatte ai fini della meditazione, quando mediti dovrai meditare solo su questo. Perciò, anche se tu realizzassi tale mancanza del sé in meditazione e ne coronassi la coltivazione, non ne verrebbe nulla. Sarebbe estremamente assurdo sostenere che puoi vincere le afflizioni innate col vedere come non esistenti i due sé imputati da idee sbagliate acquisite. (I “due sé” sono il sé della persona e il sé dei fenomeni.) Il Commentario sulla “Via di Mezzo”, di Ciandrakirti, dice:

Quando conoscono l’assenza del sé, alcuni eliminano il sé permanente, Ma noi non consideriamo questo la base della concezione dell’“Io”.
È perciò sorprendente sostenere che conoscere questa assenza del sé Espunge e sradica la visione del sé.

Anche Spiegazione del Commentario sulla “Via di Mezzo”, di Ciandrakirti, dice:

Per delucidare proprio tale punto, l’irrilevanza di questo per le afflizioni innate, per mezzo di un esempio:

Una persona vede un serpente che vive nel muro della sua casa.
Per alleviare la sua preoccupazione, un’altra persona dice:

Qui non c’è un elefante”.
Ahimè, per gli altri è ridicolo
Supporre che questo possa dissolvere la paura del serpente.

Ciandrakirti si riferisce all’assenza del sé della persona, ma è la stessa cosa per l’assenza del sé degli oggetti; egli avrebbe potuto aggiungere:

Quando conoscono l’assenza del sé, alcuni eliminano la concezione errata del sé,

Ma noi non consideriamo questa come base dell’ignoranza.
È perciò sorprendente sostenere che conoscere questa assenza del sé
Espunga e sradichi l’ignoranza. [
646]

Domanda: Nell’affermazione di Nagarjuna esposta sopra, egli dice che le caratteristiche che definiscono una “natura” sono il non essere fabbricata e il non dipendere da qualcos’altro. Stava parlando ipoteticamente o una tale natura esiste?

Risposta: Il Buddha postula una “natura” dicendo: “Questa è la realtà dei fenomeni”. Non è fabbricata e non dipende da qualcosa {198} d’altro. Spiegazione del Commentario sulla “Via di Mezzo”, di Ciandrakirti, stabilisce che essa esiste, citando la fonte di un sutra:

C’è una natura che abbia quelle qualificazioni che sostiene Nagarjuna? Si, è la “realtà” di cui il Bhagavan parlò ampiamente, dicendo: “Che i tathagata appaiano o no, la realtà dei fenomeni resta” Dasa-bhumika-sutra. Cos’è questa “realtà?” È la natura delle cose come questi occhi. E qual è la loro natura? È ciò che in essi non è né fabbricato né dipendente da qualcosa d’altro; è la loro identità come conosciuta dalla conoscenza libera dalla menomazione dell’ignoranza. Esiste o no? Se non esistesse, a che scopo i bodhisattva coltiverebbero il sentiero delle perfezioni? Perché i bodhisattva si sottoporrebbero a centinaia di tribolazioni per conoscere la realtà?

Domanda: Non hai affermato prima che tutti i fenomeni mancano di natura intrinseca?

Risposta: Anche i fenomeni che non sono costrutti mentali interni mancano perfino di una particella di natura essenziale o intrinseca. Non abbiamo già dato questa risposta diverse volte? Perciò, che bisogno c’è di parlare di altri fenomeni nei termini di tale natura? Perfino la realtà, la verità ultima, non ha per nulla natura intrinseca. Perciò Chiare Parole di Ciandrakirti dice:

La “natura finale” è l’entità fondamentale non fabbricata che è ineluttabilmente presente nel fuoco, nel passato, nel presente e nel futuro; [647] non è l’ultimo manifestarsi di qualcosa che prima non c’era; non dipende da cause e condizioni come il calore dell’acqua, o da qui e là, da lungo e corto. Il fuoco ha forse una natura del genere? Non ce l’ha essenzialmente né ne manca essenzialmente. Tuttavia, per evitare di spaventare gli ascoltatori, io la reifi- co e dico: “Esiste convenzionalmente”.

Così Ciandrakirti confuta la visione secondo cui questa natura esiste essenzialmente; egli dice che esiste convenzionalmente.

Obiezione: Egli non afferma che esiste, perché dice che la reifica per evitare di spaventare gli ascoltatori.

Risposta: Ciò non è ragionevole. Egli ha parlato anche di altri fenomeni, avendoli imputati per quella stessa ragione. Perciò, se la natura finale non esistesse, anche quegli altri fenomeni non esisterebbero. Come citato in precedenza, Ciandrakirti dimostra che la natura finale esiste, portando l’argomento che, se non esistesse, ne conseguirebbe allora per assurdo che la condotta pura non avrebbe senso. Anche Spiegazioni del Commentario sulla “Via di Mezzo”, di Ciandrakirti, dice:

{199} Non solo il maestro Nagarjuna asserisce questa natura, (ma) anche gli altri sono indotti ad accettarla. Così egli postula questa natura come stabilita al dibattito da ambo le parti.

Se le cose stessero in un altro modo, allora dovresti sostenere che nel Madhyamaka è impossibile raggiungere la liberazione. Questo perché (1) Ciandrakirti dice che raggiungere il nirvana significa percepire il nirvana, e dice che il nirvana è considerato una vera cessazione e che le vere cessazioni sono verità ultime; e (2) le verità ultime non esisterebbero. Nel suo Commentario sulle Sessanta Stanze di Ragionamento, Ciandrakirti si dà un bel da fare per dimostrare che, quando raggiungi il nirvana, devi necessariamente percepire la verità ultima della cessazione. [648]

Conformemente, i fenomeni composti quali gli occhi non sono nature nel senso di essere essenzialmente esistenti, né sono nature quando la realtà è postulata come natura finale. Quindi essi non sono né l’uno né l’altro tipo di natura. Le verità ultime sono nature quando la realtà è postulata come la natura finale, ma ciò che le stabilisce come nature di quel genere è il fatto che esse sono non-fabbricate e non dipendono da qualcos’altro. Esse non esistono per niente come nature nel senso di essere essenzialmente esistenti. Pertanto, esistono meramente in modo convenzionale.

Fabbricate” significa “prodotte” nel senso di un nuovo manifestarsi di qualcosa che prima non esisteva; “dipendere da qualcos’altro” significa dipendere da cause e condizioni.

Dal momento che le forme e così via non sono né l’uno né l’altro dei due tipi di natura, quando parli di coltivare il sentiero al fine di vedere la natura finale, “natura” ha il senso di realtà. Perciò, Ciandrakirti dice che la condotta pura non è senza senso. Inoltre, egli spiega che questa totale mancanza di un’asserzione secondo cui i fenomeni hanno una natura nel senso di esistenza essenziale, non contraddice la sua asserzione incidentale di una natura finale. Spiegazione del Commentario sulla “Via di Mezzo”, di Ciandrakirti, dice:

Obiezione: Ahimè, completamente errato! Tu non asserisci per nulla le cose reali, ma asserisci anche per inciso una natura che è non-fabbricata e non dipende da qualcos’altro. Stai dicendo cose che sono manifestamente contraddittorie.

Risposta: Nel dire questo, non afferri l’essenziale del Trattato Fondamentale. Ecco ciò che intende dire: Se gli occhi e simili entità, sorte in modo dipendente, che sono evidenti agli esseri ordinari puerili, fossero la loro stessa natura, allora la condotta pura non avrebbe senso perché anche le coscienze imprecise potrebbero conoscere quella natura. Poiché non sono la loro stessa natura, la condotta pura intesa a vedere quella natura ha uno scopo. Inoltre, io dico che questa natura, {200} in quanto paragonata alle verità convenzionali, è non fabbricata e non dipende da qualcos’altro. [649] Solo qualcosa che gli esseri puerili ordinari non vedono, è idonea ad essere la natura. Perciò, l’ultimo non è né una cosa né una non cosa; per natura, è semplicemente pace.

Qui “cosa” e “non cosa” si riferiscono all’esistenza essenziale e alla totale non-esistenza, come spiegato sopra nella sezione sul dualismo.

Ora, quando tu come essere ordinario determini che i fenomeni mancano perfino di una particella di natura essenziale o intrinseca, trovi che la vacuità, vacuità di natura intrinseca, è un attributo dei fenomeni, come la forma, che servono come suoi substrata. (“Substrata” (latino) è il plurale di “substratum” che si traduce substrato, sostrato, fondo, base; ndt). Perciò non è contraddittorio per i substrata e per l’attributo essere gli oggetti di una singola mente. Dal momento che non hai posto fine all’apparenza dualistica, quella vacuità è una verità ultima nominale piuttosto che effettiva (reale).

Abituandoti a quella visione che conosce l’assenza di natura intrinseca, la conoscerai percependola. Con una tale coscienza, giungono a termine tutte le apparenze mal interpretate. Qui apparenze mal interpretate significa l’apparenza di esistenza intrinseca dove non c’è esistenza intrinseca. Perciò, dal momento che la coscienza che percepisce direttamente la realtà non percepisce i sostrati come le forme, né quella realtà né i suoi sostrati esistono dal punto di vista di quella mente. Perciò la vacuità e le forme, ecc., devono essere postulati come realtà e sostrati dalla prospettiva di qualche altra mente, una mente convenzionale.

Poiché è così, la verità ultima viene postulata dove, in aggiunta al calmarsi di tutte le elaborazioni di esistenza intrinseca, c’è anche un puro e semplice arresto di tutte le elaborazioni di apparenze fraintese, apparenze di esistenza intrinseca dove non ce n’è alcuna. Perciò, mentre noi asseriamo una natura finale, come potremmo essere costretti ad accettare una natura essenzialmente esistente? Chiare Parole, di Ciandrakirti, dice:

Guidati dalla menomazione dell’ignoranza, gli esseri ordinari percepiscono un certo aspetto delle cose. Poiché gli esseri nobili, che sono liberi dalla menomazione dell’ignoranza, non vedono quell’aspetto erroneo, c’è qualche altra cosa che serve da oggetto per loro. Proprio quella entità è assunta come la natura finale di quelle cose.

Anche: [650]

La mancanza di produzione intrinsecamente esistente delle cose non è qualcosa. Perciò, dal momento che è proprio una non-cosa, non ha essenza. Perciò, non è la natura intrinseca delle cose.

{201} Alcuni [Tibetani] non postulano la verità ultima come la pura e semplice eliminazione delle elaborazioni degli oggetti di negazione, ergo, i due sé. Ritengono invece che, come l’oggetto di una mente che conosce senza errore il modo di esistere delle cose, l’ultimo appaia esistere per il suo stesso potere: proprio come le cose, tipo il blu e il giallo, appaiono ad una mente ordinaria. Accertare che esiste in quel modo è la visione che conosce il profondo. Essi sostengono anche che è un passo falso, rispetto alla visione corretta, considerare i fenomeni interni ed esterni, le basi in relazione alle quali gli esseri viventi si aggrappano ai due sé, come privi di esistenza intrinseca.

Queste asserzioni sono al di fuori della sfera di tutte le scritture, Hinayana e Mahayana. Essi ammettono che è necessario bloccare la concezione del sé, la radice che lega tutti gli esseri viventi all’esistenza ciclica. Asseriscono poi che non blocchi la concezione del sé realizzando che non c’è esistenza intrinseca nei sostrati che apprende come un sé; piuttosto, la arresti conoscendo come veramente esistente qualche altro fenomeno non connesso. Questo non è differente dallo scenario che segue. Supponi che non ci sia un serpente ad est, ma qualcuno pensa che ci sia ed è terrorizzato. Tu dici alla persona angosciata: “Non puoi bloccare l’idea che ci sia un serpente pensando ‘A est non c’è alcun serpente’. Dovresti invece pensare ‘C’è un albero a ovest’. Questo bloccherà la tua idea che ci sia un serpente e porrà fine alla tua angoscia”.

Quindi, voi che volete il bene per voi stessi dovreste stare lontani da tali visioni errate. Dovreste lavorare sul metodo per sradicare il modo in cui l’ignoranza apprende le cose, essendo tale ignoranza la radice di tutto ciò che vi lega e vi degrada nell’esistenza ciclica. Riguardo a questo metodo, i testi del padre, il nobile Nagarjuna, e del suo figlio spirituale Aryadeva espongono chiaramente vaste collezioni di argomenti che edificano una conoscenza profonda e certa delle scritture definitive e (spiegano) come il significato di queste scritture non possa essere interpretato in altro modo. [651] Affidandovi a questi testi di Nagarjuna e Aryadeva, passate sull’altra sponda dell’oceano dell’esistenza ciclica.

Per evitare passi falsi nel raggiungere la visione Madhyamaka, è della massima rilevanza confutare le idee errate circa l’oggetto di negazione. Per questa ragione ho dato una spiegazione estesa.

Capitolo 17 L’effettivo oggetto da negare {203}

(c)) Come il nostro sistema identifica l’oggetto di negazione:
(1)) L’effettiva identificazione dell’oggetto da negare.
(2)) Quando aggiungere qualificazioni agli altri oggetti di negazione.
(3)) Se aggiungere o no la qualificazione “ultimo” all’oggetto di negazione.
(c))
Come il nostro sistema identifica l’oggetto di negazione

Questo (punto) ha tre parti:

  1. L’effettiva identificazione dell’oggetto da negare.

  2. Quando aggiungere qualificazioni agli altri oggetti di negazione.

  3. Se aggiungere o no la qualificazione “ultimo” all’oggetto di negazione.

(1)) L’effettiva identificazione dell’oggetto da negare.

In generale, riguardo agli oggetti di negazione, ci sono oggetti negati dal sentiero e oggetti negati dalla ragione. Quanto ai primi di questi, Separazione del Mezzo dagli Estremi Madhyanta-vibhaga di Maitreya, dice:

Ci sono insegnamenti sull’oscurazione afflittiva
E sull’oscurazione cognitiva.
Noi riteniamo che tutte le oscurazioni rientrino in queste,

E quando se ne sono andate, tu sei libero.

Perciò, ci sono oscurazioni afflittive e oscurazioni cognitive. Questi oggetti di negazione si trovano tra gli oggetti di conoscenza, {204} perché, se non esistessero, tutti gli esseri incarnati sfuggirebbero allora senza sforzo all’esistenza ciclica.

Quanto agli oggetti negati dalla ragione, Confutazione delle Obiezioni, di Nagarjuna, dice:

Qualcuno pensa che
Una donna emanata
(Un’immagine apparentemente reale, prodotta magicamente da un siddha (ossia una persona dotata di poteri psichici), da un illusionista, da un mago, ecc. ndt). sia una donna (vera).
Un’altra emanazione impedisce questa concezione errata,

Questo è come quello.

Nel suo Commentario sulla “Confutazione delle Obiezioni” egli dice:

Una donna emanata da qualche essere è vuota della natura di essere una donna, ma qualcun altro pensa erroneamente: “Questa è con certezza una donna”. Perciò, per via di quella concezione errata, sorge l’attaccamento. Il Tathagata o uno sravaka del Tathagata emette un’altra emanazione, e in tal modo blocca la concezione errata di quella persona.

Similmente, le mie parole, che sono vuote come un’emanazione, bloccano qualsiasi concezione che qualcosa esista intrinsecamente. Tutte le cose, come la donna emanata, sono vuote e non esistono intrinsecamente. [652]

Così egli parla delle concezioni errate come oggetti di negazione e tratta come oggetto di negazione anche la natura intrinseca che esse apprendono, stabilendo due tipi di oggetti da negare. Tuttavia, il principale oggetto di negazione è il secondo. Questo perché, al fine di far cessare una coscienza inesatta, devi per prima cosa confutare l’oggetto che quella coscienza apprende. Per esempio, il sorgere dipendente confuta l’esistenza essenziale o intrinseca delle persone e dei fenomeni.

Questo secondo oggetto di negazione non può essere tra gli oggetti di conoscenza, perché, se esistesse, non potrebbe allora essere confutato. Tuttavia, ci sono sovrapposizioni erronee che lo apprendono come esistente, perciò devi proprio confutarlo. Questa confutazione non è come distruggere un vaso con un martello; è piuttosto una questione di sviluppare conoscenza certa che riconosce il non-esistente come non-esistente. Quando sviluppi la conoscenza certa che esso non esiste, la coscienza erronea che lo apprende come esistente verrà a cessare.

Analogamente, usare la ragione per stabilire qualcosa, non è come stabilire ex novo qualcosa che prima non esisteva, come un seme che produce una pianticella. È piuttosto lo sviluppo della conoscenza certa che riconosce un fenomeno com’è. Confutazione delle Obiezioni, di Nagarjuna, dice:

A che serve stabilire la negazione
Di ciò che non esiste in alcun modo, anche senza parole? {205}

Per rispondere a questo, le parole “non esiste”

Causano la comprensione; esse non eliminano.

Nel suo Commentario, Nagarjuna dice su questo:

Dubbio: Se stai stabilendo la negazione di qualcosa che non esiste anche senza parole, senza dire nulla, allora a che servono le tue parole: “Tutte le cose mancano di natura intrinseca?”

Risposta: Le parole “Tutte le cose mancano di natura intrinseca” non causano la mancanza di natura intrinseca delle cose, ma, in assenza di natura intrinseca, fanno capire che le cose mancano di natura intrinseca.

Per esempio, benché Devadatta non sia in casa, qualcuno dice: “Devadatta è in casa”. Qualcun altro, per mostrare che Devadatta non c’è, dice: “Devadatta non c’è”. [653] Quelle parole non causano l’assenza di Devadatta, ma indicano semplicemente che Devadatta non è in casa. Analogamente, le parole “Le cose mancano di natura intrinseca” non causano la mancanza di natura intrinseca delle cose. Tutte le cose mancano di natura intrinseca, come le creature di un’illusione magica. Tuttavia, gli esseri infantili sono confusi riguardo all’assenza di reale essenza in tutte le cose, così noi facciamo comprendere loro che non c’è natura intrinseca nelle cose che essi, confusi dall’ignoranza, reificano come se avessero natura intrinseca. Perciò, ciò che hai detto, che, se non c’è natura intrinseca, a che servono le parole: “Non c’è esistenza intrinseca”, giacché le cose sarebbero stabilite come prive di natura intrinseca anche senza alcuna parola, senza dire nulla, non è ragionevole.

Dovreste comprendere ciò in conformità a questa affermazione veramente chiara. Alcuni ritengono che condurre l’analisi razionale estesa, richiesta per le confutazioni e le prove, sia muoversi tra i meandri delle mere parole convenzionali, perché tutti i fenomeni sono privi di confutazione e prova, in quanto, se qualcosa esiste, non può essere confutato e, se non esiste, non ha bisogno di essere confutato. Questa è una collezione insensata di contraddizioni, che non mostra né la consapevolezza generale di come la ragione stabilisca e neghi le cose, né la consapevolezza generale di come il sentiero stabilisca e neghi le cose. Questo perché pretendete che la confutazione e la prova non debbano essere fatte, mentre voi stessi state confutando l’uso che il vostro oppositore fa dell’analisi che implica la confutazione e la prova, citando come ragione: “Se qualcosa esiste, non può essere confutata e, se non esiste, non ha bisogno di essere confutata”. Inoltre, la ragione che avete addotto non è una confutazione appropriata di un oppositore che sostiene essere necessario condurre la confutazione e la prova perché, secondo {206} voi, se qualcosa esiste, non può essere confutato e, se non esiste, non c’è bisogno che sia confutato.

Noi eseguiamo le confutazioni con un ragionamento eccellente al fine di far cessare le concezioni imprecise ed errate; la prova per mezzo del ragionamento è una tecnica per sviluppare una conoscenza accurata e certa. [654] Pertanto, coloro che desiderano porre fine alle varie consapevolezze inaccurate e sviluppare le varie consapevolezze accurate dovrebbero perseguire le collezioni di argomentazioni di autori come Nagarjuna e dovrebbero sviluppare menti dotate di conoscenza accurata e certa della confutazione e della prova.

Domanda: Se, come dici, la confutazione per mezzo del ragionamento è fatta per sviluppare una conoscenza accurata e certa sradicando i processi cognitivi inaccurati, la ragione cancellerà un oggetto come è appreso da un certo tipo di mente. Cos’è quella mente?

Risposta: In generale, c’è un numero illimitato di coscienze concettuali che apprendono l’oggetto di negazione; tuttavia, dovresti identificare con cura la coscienza concettuale scorretta che è la radice di tutti gli errori e i difetti e dovresti sradicare il suo oggetto referente, perché, se quello è bloccato, tutti gli errori e i difetti saranno bloccati.

Inoltre, i rimedi esposti nel sutra per le altre afflizioni, quali l’attaccamento, curano una porzione delle afflizioni, mentre i rimedi spiegati per l’ignoranza curano tutte le afflizioni. Perciò, l’ignoranza è la base di tutti gli errori e i difetti. Chiare Parole, di Ciandrakirti, dice:421

Gli insegnamenti dei Buddha, i gruppi di sutra e così via, sono basati sulle due verità.

In nove tipi essi proclamano giustamente i vasti rimedi che corrispondono al comportamento mondano.

Tra questi, quelli pronunciati per eliminare l’attaccamento non estinguono l’ostilità,

Quelli pronunciati per eliminare l’ostilità non estinguono l’attaccamento,
E quelli pronunciati per estinguere l’orgoglio e così via non sconfiggono gli

altri contaminanti.
Perciò non sono efficaci in generale e quelle scritture non hanno grande

significato.
Quelli pronunciati per estinguere l’illusione sconfiggono tutte le afflizioni;
I Conquistatori hanno detto che tutte le afflizioni sono basate sull’illusione.

Com’è l’illusione? È ignoranza, che in questo contesto è una consapevolezza che erroneamente sovrappone la natura intrinseca; apprende i fenomeni interni ed esterni come esistenti per via del {207} proprio carattere intrinseco. [655]

Il Commentario sulle “Quattrocento Stanze”, di Ciandrakirti, dice:

Si dice che uno si attacca alle cose per il potere di un’incomprensione afflittiva, una coscienza che sovrappone un’essenza delle cose, e che si blocca l’esistenza ciclica interdicendo totalmente ciò che funge da seme per il proces- so dell’esistenza ciclica. Per indicare questo, Quattrocento [Stanze] dice:

l seme dell’esistenza mondana è una coscienza; Gli oggetti sono la sua sfera di attività. Quando vedi che gli oggetti sono privi di un sé, Tu neghi il seme dell’esistenza ciclica.

Quindi Aryadeva ritiene che, vedendo gli oggetti come mancanti di natura intrinseca, tu blocchi il seme dell’esistenza ciclica, la coscienza che causa attaccamento. Ciò fa cessare l’esistenza ciclica per gli sravaka, i pratyeka-buddha e i bodhisattva che hanno raggiunto la sopportazione (tolleranza, pazienza) riguardo all’insegnamento della non-produzione.

Questa è anche chiamata la concezione di vera esistenza, perché Quattrocento [Stanze], di Aryadeva, dice:

Proprio come la facoltà sensoriale tattile pervade il corpo,

L’illusione sta all’interno di tutte le afflizioni.
Perciò, distruggendo l’illusione,
Distruggerai tutte le afflizioni.

Commentando questo verso, il Commentario sulle “Quattrocento Stanze”, di Ciandrakirti, dice:

A causa della confusione prodotta dal pensiero che le cose esistano veramente come appaiono, l’illusione agisce per sovrapporre alle cose un’essenza di vera esistenza.

Dubbio: Se, come dici, l’ignoranza è la radice dell’esistenza ciclica, sarebbe allora incorretto per Ciandrakirti spiegare nel Commentario sulla “Via di Mezzo” e in Chiare Parole che la visione degli aggregati corruttibili come “io” e “mio” è la radice dell’esistenza ciclica, perché non ci possono essere due cause primarie di esistenza ciclica.

Risposta: Nella sezione sulla persona di media capacità, ho già spiegato ciò che dicono gli altri maestri sul come asserire l’ignoranza e la visione degli aggregati corruttibili. (Tsong-kha-pa dà una spiegazione Cittamatra dell’ignoranza come distinta dalla visione degli aggregati transitori e antecedente ad essa.) Perciò, qui io spiegherò le asserzioni del maestro Ciandrakirti. Gli altri Madhyamika ritengono che la concezione delle cose come veramente esistenti sia un’oscurazione cognitiva; egli asserisce che tale concezione è ignoranza e, per di più, asserisce che è ignoranza afflittiva. {208} Questo perché, come citato sopra, il suo Commentario sulle “Quattrocento Stanze” spiega che la concezione di vera esistenza è afflittiva. [656] Anche Spiegazione del Commentario sulla “Via di Mezzo” dice:

Poiché questa causa confusione negli esseri viventi rispetto alla visione dello stato effettivo delle cose, essa è illusione; l’ignoranza sovrappone erroneamente alle cose un’essenza che esse non hanno. Essa è fatta in modo da interdire la percezione della loro natura. È un’occultatrice.

Anche:

In tal modo, le verità convenzionali sono postulate attraverso la forza dell’ignoranza afflittiva che è inclusa nei fattori dell’esistenza ciclica.

Quindi, poiché egli spiega che è il primo dei dodici fattori del sorgere dipendente, è un’afflizione e non un’oscurazione cognitiva. Cosa sono le oscurazioni cognitive? Questo sarà spiegato in seguito.

Dunque, egli spiega che l’ignoranza, che è il primo dei dodici fattori, è la radice dell’esistenza ciclica e, all’interno di questo, spiega anche che la visione degli aggregati corruttibili è la radice dell’esistenza ciclica. Dal momento che l’ignoranza è la categoria generale e la visione degli aggregati corruttibili è un caso illustrativo, non c’è contraddizione.

Ignoranza è l’opposto di conoscenza, e questo non si riferisce a qualsiasi conoscenza, ma alla saggezza che conosce la realtà che è assenza di sé. L’opposto di questa non può essere semplicemente la non esistenza di quella saggezza, né può essere semplicemente qualcosa di diverso da quella saggezza; perciò, è una concezione che è l’equivalente contraddittorio di quella saggezza. Questa (concezione) è la sovrapposizione del sé. Ce ne sono due tipi: la sovrapposizione di un sé oggettivo e la sovrapposizione di un sé personale. Perciò, la concezione di un sé personale e la concezione di un sé oggettivo sono entrambe ignoranza. Pertanto, quando egli indica che la visione degli aggregati corruttibili è la radice di tutte le altre afflizioni, questo non significa che l’ignoranza non sia la radice.

Anche [la Preziosa Ghirlanda, di Nagarjuna], dice: “Fino a quando concepisci gli aggregati, li concepirai come io. Questo significa che l’ignoranza, che è confusione riguardo ad un sé oggettivo, causa confusione rispetto ad un sé personale. [657] Dal momento che questo colloca le divisioni interne dell’ignoranza in una relazione di causa ed effetto, ciò non contraddice l’insegnamento secondo cui la visione degli aggregati corruttibili è la radice di tutte le afflizioni diverse dall’ignoranza.

{209} Se non comprendi questo modo di spiegare ciò che il maestro Ciandrakirti intendeva, è allora davvero difficile dissolvere la falsa impressione che egli contraddicesse se stesso spiegando la radice dell’esistenza ciclica in due modi diversi.

Anche Nagarjuna il Protettore accetta questo sistema di identificare l’ignoranza, perché il suo Settanta Stanze sulla Vacuità Sunyata-saptati dice:

L’Istruttore disse che l’ignoranza
È la concezione che, in realtà,
Le cose siano prodotte da cause e condizioni.

Da questo sorgono i dodici fattori.

Tramite la visione della realtà, tu conosci
Che le cose sono vuote; l’ignoranza non sorge.

Questa è la cessazione dell’ignoranza.
Per via di questo, i dodici fattori cessano.

Inoltre, il ventiseiesimo capitolo del suo https://www.sangye.it/altro/?p=9194 Trattato Fondamentale dice:

Quando l’ignoranza è fatta cessare
L’attività composizionale non sorge per nulla.

Ciò che arresta l’ignoranza
È il conoscere ed il meditare sulla realtà.

Bloccando questo e quel fattore precedente del sorgere dipendente,

Questo e quel fattore successivo non sorgeranno.
In questo modo fai cessare completamente
L’intero ammasso della sofferenza.

Questo e l’altro passaggio appena citato sono in accordo e si attagliano molto bene alla linea della Preziosa Ghirlanda https://www.sangye.it/altro/?p=2788 di Nagarjuna: “Fino a quando concepisci gli aggregati…” che dice che la radice dell’esistenza ciclica è la concezione degli aggregati come intrinsecamente esistenti.

Anche il nobile Aryadeva asserisce questo, come è chiaramente indicato dal passaggio citato in precedenza: “Proprio come la facoltà sensoriale tattile pervade il corpo…” ed anche: “La radice dell’esistenza ciclica è una coscienza…”.

Quando il maestro Nagarjuna confuta l’oggetto di negazione nel Trattato Fondamentale, egli porta tutte le sue diverse argomentazioni al fine di confutare una natura intrinseca, la reificazione dell’illusione dei fenomeni come essenzialmente esistenti, e di dimostrare che i fenomeni mancano di essenza. Così Nagarjuna offre un’ampia gamma di argomenti solo allo scopo di sradicare il modo in cui l’ignoranza apprende le cose. Il Commentario di Buddhapalita sul “Trattato Fondamentale” dice:

{210} Qual è lo scopo dell’insegnare l’originazione dipendente? [658] Il maestro Nagarjuna, la cui vera natura è compassione, vide che gli esseri viventi sono assediati da varie sofferenze e assunse il compito di insegnare la realtà delle cose proprio perché è così che essi potrebbero essere liberati. Egli incominciò, perciò, con l’insegnare il sorgere dipendente. Infatti, si dice:

Vedendo ciò che non è reale, tu sei legato; Vedendo il reale, tu sei libero.

Cos’è la realtà delle cose, proprio com’è? È l’assenza di esistenza. Le persone impreparate il cui occhio dell’intelligenza è oscurato dal buio dell’illusione, concepiscono un’essenza delle cose e quindi generano attaccamento ed ostilità rispetto ad esse. Quando l’illuminazione della conoscenza del sorgere dipendente rimuove l’oscurità dell’illusione e l’occhio della saggezza vede l’assenza di essenza delle cose, allora non c’è base (fondamento) per le altre afflizioni e attaccamento e ostilità non si sviluppano.

Inoltre, nella transizione al ventiseiesimo capitolo, lo stesso testo dice:

Domanda: Tu hai già spiegato l’ingresso nell’ultimo attraverso i testi Mahayana. Spiega ora l’ingresso nell’ultimo attraverso i testi degli sravaka.

Risposta: [Il Trattato Fondamentale dice]: “Per via dell’oscurazione dovuta all’ignoranza, si ripete (ricorre) l’esistenza ciclica….”
E nella transizione al ventisettesimo capitolo, Buddhapalita dice:

Domanda: Ora illustra l’assenza di visioni errate usando scritture che concordino col veicolo degli sravaka.

Risposta: [Il Trattato Fondamentale] dice: “Nel passato, io sorsi…”.

Queste affermazioni chiarificano che il maestro Buddhapalita asserisce anche che l’ignoranza, la quale è il primo dei dodici fattori del sorgere dipendente, è la sovrapposizione della natura intrinseca sulle cose e che anche gli sravaka ed i pratyekabuddha conoscono la mancanza del sé degli oggetti. [659] Perciò, dovreste capire che la grande prova per mostrare che gli sravaka ed i pratyekabuddha sanno che gli oggetti mancano di natura intrinseca è il fatto che la concezione di un sé oggettivo sia considerata come l’ignoranza che sta tra i dodici fattori del sorgere dipendente.

Quattrocento Stanze, di Aryadeva, dice: Vedendo concettualmente, tu sei vincolato; dovrebbe essere bloccata qui”. Anche la concettualità menzionata in questa affermazione non si riferisce a tutte le {211} coscienze concettuali di qualunque tipo, ma piuttosto alle coscienze concettuali che sovrappongono ai fenomeni esistenza essenziale. Infatti, commentando quel passaggio, il Commentario sulle “Quattrocento Stanze,” di Ciandrakirti, dice: Una coscienza concettuale sovrappone un senso scorretto di esistenza intrinseca”. Inoltre, egli afferma che è ignoranza afflittiva. Quindi, mentre ci sono persone che sostengono che la ragione confuti l’oggetto di ogni coscienza concettuale che pensi: “Questo è così e così”, esse non hanno fatto dettagliate investigazioni su questa materia.

Se fosse in un altro modo, allora, dal momento che per gli esseri ordinari il significato della realtà è celato, essi non avrebbero modo di apprendere il significato della vacuità con una coscienza non concettuale. Inoltre, se gli oggetti di ogni coscienza concettuale fossero contraddetti dalla ragione, allora anche gli oggetti della conoscenza certa sarebbero come la natura intrinseca sovrapposta da una coscienza erronea, sbagliata. Questo implicherebbe che non c’è una visione corretta che conduca allo stato di nirvana, per cui sarebbe inutile compiere qualsiasi studio o riflessione sui testi Madhyamaka. Per questo, Quattrocento Stanze, di Aryadeva, dice:

Vedendo ciò che non è vacuità come se fosse vacuità,
Alcuni dicono: “Io raggiungerò il nirvana”, ma non lo raggiungeranno.

I Tathagata dissero che
Non raggiungi il nirvana tramite le visioni errate.

Basandosi proprio su questa [natura intrinseca], l’oggetto di riferimento del modo in cui l’ignoranza apprende le cose come spiegato sopra, le scuole essenzialiste, buddhiste e non buddhiste, reificano molte cose diverse. Quando neghi il referente del processo cognitivo dell’ignoranza, tu poni fine completamente a tutte queste reificazioni guidate dal dogma, come se tagliassi un albero alla radice. [660] Perciò, coloro che hanno la facoltà della saggezza dovrebbero capire che l’oggetto referente dell’ignoranza innata è l’oggetto basilare della negazione e non dovrebbero votarsi puramente a confutare i costrutti immaginari, che sono imputati solo dai propugnatori dei dogmi filosofici.

Confutare in questo modo l’oggetto di negazione non è un passatempo ozioso. Voi vedete che gli esseri viventi sono vincolati all’esistenza ciclica da una coscienza concettuale errata, che ha come suo oggetto l’oggetto di negazione, e quindi voi confutate il suo oggetto. Ciò che vincola tutti gli esseri viventi all’esistenza ciclica è l’ignoranza innata; l’ignoranza acquisita esiste solo tra quelli che sostengono i dogmi filosofici, perciò non può essere la radice dell’esistenza ciclica. È estremamente importante guadagnarsi una conoscenza specifica e certa di questo punto.

{212} Quindi, la coscienza concettuale errata ultima che concepisce l’oggetto di negazione è l’ignoranza innata, che è il primo dei dodici fattori del sorgere dipendente. Gli oggetti di negazione acquisiti sono puramente sovrapposizioni basate su questa. Perciò, non corrisponde affatto a verità che la ragione neghi tutti i processi cognitivi tramite i quali le coscienze non concettuali, ergo, le coscienze sensoriali, apprendono le cose. Pertanto, solo le coscienze mentali concettuali hanno processi cognitivi che sono negati dalla ragione; più specificamente, la ragione confuta i processi cognitivi delle due concezioni del sé ed i processi cognitivi di quelle coscienze concettuali che sovrappongono ulteriori attributi agli oggetti che sono stati imputati da quelle due concezioni del sé. Non è che la ragione confuti i processi cognitivi di tutte le coscienze concettuali di qualsiasi tipo.

Domanda: In che modo l’ignoranza sovrappone la natura intrinseca?

Risposta: In generale, nei testi di Ciandrakirti appaiono molti usi delle convenzioni verbali come “natura” o “essenza” in relazione agli oggetti che esistono solo convenzionalmente. Tuttavia, nel caso della reificazione da parte dell’ignoranza c’è, rispetto agli oggetti, siano essi persone o altri fenomeni, la concezione che quegli oggetti abbiano uno stato ontologico, un modo di esistenza, in sé e per sé, senza che sia postulato tramite la forza di una consapevolezza. L’oggetto referente che è così appreso da quella concezione ignorante, lo stato ontologico indipendente di quei fenomeni, è identificato come un ipotetico “sé” o “natura intrinseca.” [661] Infatti, Quattrocento Stanze, di Aryadeva, dice:

Tutto questo è senza un potere proprio;

Perciò non c’è un sé.

Commentando questo, il Commentario sulle “Quattrocento Stanze”, di Cian- drakirti, dice:

È quello che esiste essenzialmente, intrinsecamente, autonomamente, e senza dipendere da un altro…

In tal modo, egli dice che quelli sono sinonimi. “Senza dipendere da un altro” non significa non dipendere da cause e condizioni. “Altro” si riferisce, invece, a un soggetto, ossia una coscienza convenzionale, e si dice che qualcosa non dipende da altro per il fatto di non essere postulata tramite la forza di quella coscienza convenzionale.

Perciò, “autonomamente” si riferisce alla natura di un oggetto che ha il suo unico stato ontologico o modo di essere. È proprio questo che è chiamato “essenza” o “natura intrinseca.” Prendiamo, per esempio, {213} il caso di un serpente immaginario che sia erroneamente imputato su una fune. Se lasciamo da parte il modo in cui è imputato dalla prospettiva che apprende un serpente (mentre invece è una fune) e cerchiamo di analizzare com’è il serpente, nei termini della sua natura, dal momento che il serpente semplicemente non è presente in quell’oggetto, le sue caratteristiche non potranno essere analizzate. La cosa è simile per questi fenomeni. Supponiamo di mettere da parte l’analisi del modo in cui appaiono – ossia, come essi appaiono alla coscienza convenzionale – e di analizzare gli oggetti stessi chiedendoci: “Qual è il modo di essere di questi fenomeni?” Troviamo che non sono stabiliti in alcun modo. L’ignoranza non apprende i fenomeni in questo modo; essa apprende ogni fenomeno come se avesse un modo di essere tale da poter essere compreso in sé e per sé, senza essere postulato tramite la forza di una coscienza convenzionale. Il Commentario sulle “Quattrocento Stanze”, di Ciandrakirti, dice:

Senza alcun dubbio, ciò che esiste solo tramite la presenza del pensiero concettuale, e non esiste senza il pensiero concettuale, con certezza non esiste in modo essenziale, come nel caso di un serpente che sia imputato ad una corda arrotolata.

In questo modo Ciandrakirti afferma come i fenomeni non esistano essenzialmente.

Perciò, ciò che esiste oggettivamente nei termini della sua essenza, senza essere postulato tramite il potere di una mente soggettiva, è chiamato “sé” o “natura intrinseca”. [662] L’assenza di questa qualità nella persona è chiamata mancanza del sé della persona; la sua assenza nei fenomeni come gli occhi, le orecchie e così via, è chiamata assenza del sé degli oggetti. Di conseguenza, si può comprendere implicitamente che le concezioni di quella natura intrinseca come presente nelle persone e negli oggetti sono le concezioni dei due sé. È come dice il Commentario sulle “Quattrocento Stanze”, di Ciandrakirti:

Sé” è un’essenza delle cose che non dipende da altre cose; è una natura intrinseca. La non-esistenza di questa è assenza del sé. Per via della divisione tra oggetti e persone, è intesa come duplice: “assenza del sé degli oggetti” e “assenza del sé delle persone”.

Dubbio: La concezione delle persone come esistenti per via del loro carattere intrinseco non può essere una concezione di un sé personale, perché, se così fosse, allora anche l’osservare le persone diverse da se stessi ed il concepirle come esistenti per via della loro caratteristica intrinseca, sarebbe una concezione di un sé personale. Se ammettete questo, allora, mentre deve necessariamente essere una visione degli aggregati corruttibili, non può essere una visione degli aggregati corruttibili nella misura in cui non è una concezione che pensa: “io”.

{214} Risposta: Come spiegato in precedenza, Ciandrakirti dice che una natura intrinseca nelle persone è un sé delle persone; perciò si deve necessariamente accettare che una concezione della persona come intrinsecamente esistente è una concezione di un sé delle persone. Tuttavia, una concezione di un sé delle persone non è necessariamente una visione degli aggregati corruttibili.

Cosa occorre per avere una concezione del sé che sia una visione degli aggregati corruttibili? Nel caso della concezione del sé che sia una visione acquisita degli aggregati deperibili, non c’è una regola definita, perché ci sono molti, incluse alcune tra le scuole Sammitiya, che, come risultato delle loro filosofie, apprendono un sé quando osservano gli aggregati. Comunque, nel caso della visione innata degli aggregati deperibili, il Commentario sulla “Via di Mezzo”, di Ciandrakirti, confuta che gli aggregati siano l’oggetto osservato ed il suo Spiegazione del Commentario sulla “Via di Mezzo” dice che l’oggetto osservato è il sé imputato in modo dipendente. Quindi, una visione innata degli aggregati corruttibili non prende come suo oggetto di osservazione gli aggregati, ma osserva piuttosto la mera persona. Inoltre, la base per il sorgere del pensiero “io” deve essere per forza una persona. Perciò, una persona di un altro continuum di aggregati mentali e fisici non è l’oggetto dell’osservazione. [663]

Riguardo a come è appreso quell’oggetto di osservazione, Spiegazione del Commentario sulla “Via di Mezzo”, di Ciandrakirti, dice:

Riguardo a questo, una visione degli aggregati deperibili opera all’interno dei pensieri di “io” e “mio”.

Per cui, non è semplicemente una concezione di esistenza intrinseca, ossia, esistenza per via di carattere intrinseco; deve per forza essere una concezione che pensa: “io”. Spiegazione del Commentario sulla “Via di Mezzo” dice anche:

Proprio la visione degli aggregati corruttibili deve essere eliminata, ed è eliminata con la comprensione della mancanza di sé del sé. (Ingl. “the selflessness of the self”; ndt).

Così Ciandrakirti dice che elimini la visione degli aggregati deperibili conoscendo l’assenza di sé, l’esistenza non-intrinseca, del sé che è l’oggetto dell’osservazione, contraddicendo con ciò il modo in cui è appreso dalla visione degli aggregati corruttibili. Per cui, la visione degli aggregati corruttibili deve per forza apprendere l’opposto di quella visione che conosce l’assenza del sé. Inoltre, dal momento che una visione degli aggregati soggetti a deterioramento è una concezione della persona come essenzialmente esistente, essa è una concezione di un “io” che esiste per via del suo carattere intrinseco.

Usando questo come esempio, dovresti essere in grado di capire la visione degli aggregati deperibili, che è una concezione di “mio”.

{215} Anche quando non concepiscono l’“io” od il “mio”, le concezioni della persona come sostanzialmente esistente sono ancora casi di ignoranza che concepisce in modo errato il sé delle persone, perciò non è vero che non sono afflizioni.

Come nel passaggio appena citato, “sé” si riferisce alla mera esistenza essenziale od intrinseca e si riferisce anche all’oggetto di una consapevolezza che pensa semplicemente: “io”. Di questi due, il primo è l’oggetto negato dalla ragione, mentre il secondo è accettato convenzionalmente, perciò non è confutato. Questo passaggio indica, quindi, che non confuti l’oggetto che è osservato dalla visione innata degli aggregati corruttibili. Tuttavia, il suo aspetto è appreso come un “io” essenzialmente esistente, perciò non è che non confuti quel modo di apprendere. Per esempio, tu non confuti il suono che è l’oggetto osservato da una concezione secondo cui il suono è permanente, ma confuti il suono permanente che è l’oggetto cui si riferisce quella concezione. Non è una contraddizione; questo caso è simile.

Il nobile padre Nagarjuna, suo figlio spirituale Aryadeva e i due maestri [Buddhapalita e Ciandrakirti] fanno precedere le loro confutazioni da queste parole: “Se le cose esistessero intrinsecamente”, “Se le cose esistessero essenzialmente”, “Se le cose esistessero per via del loro carattere intrinseco”, e “Se le cose esistessero sostanzialmente”. Dovresti capire che la natura intrinseca e così via, menzionate in quei testi, è come indicata sopra. [664] Inoltre, dovresti comprendere che le parole indicanti che quelle varie cose non esistono, significano che esse non esistono nel modo in cui sono concepite dall’ignoranza.
(2)) Quando aggiungere qualificazioni agli altri oggetti di negazione.

Quando dici che le cose totalmente non esistenti, come le corna di un coniglio ed il figlio di una donna sterile, non esistono, non hai bisogno di aggiungere una qualificazione tipo “intrinsecamente”. Similmente, ci sono cose che, benché esistenti tra gli oggetti di conoscenza, esistono in certi momenti e luoghi e non esistono in altri momenti e luoghi. Quando dici che queste non esistono in un particolare tempo o luogo, non c’è bisogno neanche (in questo caso) di aggiungere quella qualificazione. Inoltre, nel confutare i costrutti immaginari delle asserzioni uniche (specifiche?) degli essenzialisti buddhisti e non buddhisti, cose che i Madhyamika non accettano come convenzionalmente esistenti, non c’è bisogno di nuovo di aggiungere agli oggetti la qualificazione “essenzialmente” o “intrinsecamente”, eccetto che nella situazione occasionale in cui dovresti aggiungerla, tenendo conto della prospettiva degli oppositori. Questo perché quei proponenti di dogmi hanno già asserito l’esistenza essenziale di quegli oggetti.

{216} In qualsiasi altro caso, in cui i Madhyamika postulano convenzionalmente l’oggetto, se tralasci di aggiungere una qualificazione quando lo confuti, allora le idee sbagliate che adduci saranno applicate del pari alla tua stessa critica, e quindi si tratterà solo di una simulazione di confutazione. Perciò deve proprio essere aggiunta.

Inoltre, come spiegato in precedenza, né una coscienza razionale che analizzi se qualcosa esista intrinsecamente, né una cognizione valida convenzionale possono contraddire ciò che i Madhyamika postulano convenzionalmente. Infatti, se l’una o l’altra lo facessero, sarebbe totalmente improponibile fare la distinzione (tra le due posizioni seguenti): che noi non asseriamo convenzionalmente le cose come un creatore divino e tuttavia asseriamo le forme, i suoni e cose simili. Quindi non ci sarebbe modo di fare presentazioni del mondano o del sovramondano, tipo: “Questo è il sentiero, questo non è il sentiero”, oppure: “Questo dogma è corretto; quello non è corretto”. [665] Di conseguenza, la caratteristica distintiva secondo cui tutte le presentazioni dell’esistenza ciclica e del nirvana sono difendibili all’interno della vacuità di esistenza intrinseca, sarebbe impossibile.

Per un filosofo abile, è ridicolo pretendere che qualcosa sia confutata anche se tali cognizioni valide non la contraddicono. Perciò, quando affermate che confutate i fenomeni tipo le forme, dovreste essere sicuri di aggiungere una frase qualificativa. Il Commentario sulle “Quattrocento Stanze” di Ciandrakirti, ed il Commentario sulle “Sessanta Stanze di Ragionamento”, molto spesso aggiungono una frase qualificativa quando confutano l’oggetto che deve essere negato. Tali frasi appaiono frequentemente nel Trattato Fondamentale di Nagarjuna, nel Commentario di Buddhapalita sul “Trattato Fondamentale”, in Chiare Parole, di Ciandrakirti, nel Commentario sulla “Via di Mezzo” insieme a Spiegazioni del Commentario sulla “Via di Mezzo”. Dunque, quegli autori consideravano la ripetizione di frasi qualificative come un’eccessiva verbosità, e pensavano che il significato di averle aggiunte in certi punti sarebbe stato facilmente compreso anche quando non lo facevano. Voi dovreste aggiungerle, anche dove loro non lo fecero, perché non c’è la minima differenza tra i posti in cui le aggiunsero ed i posti in cui non le aggiunsero.

Inoltre, loro aggiungono frequentemente la qualificazione dell’analisi, dicendo: “Quando analizzato, esso (oggetto) non esiste”. Come spiegato sopra, ciò significa che se qualcosa esistesse essenzialmente, dovrebbe essere trovato dalla coscienza ragionante che analizza il modo in cui esiste; tuttavia, non lo si trova e, perciò, un oggetto essenzialmente esistente non esiste. Dovreste, quindi, realizzare che questo equivale a dire: “Esso non esiste essenzialmente o intrinsecamente”. Infatti, è come dice il Commentario sulle “Quattrocento Stanze”, di Ciandrakirti:

{217} Dal momento che sono ingannevoli, come la ruota (tracciata) da un tizzone ardente, un’emanazione o cose analoghe, queste cose diventano non-cose. Se non lo fossero, allora, sottoposte a severa analisi razionale, la loro essenza sarebbe osservabile molto chiaramente, come nel caso di un orafo che analizza l’oro. Tuttavia, le loro cause sono rigorosamente erronee, così che quando il fuoco dell’analisi le brucia, non possono essere nient’altro che senza essenza. [666]

(3)) Se aggiungere o no la qualificazione “ultimo” all’oggetto di negazione

È del tutto irragionevole sostenere che aggiungere la qualificazione “ultimo” all’oggetto di negazione sia la procedura esclusiva della Madhyamaka Svatantrika. Spiegazioni del Commentario sulla “Via di Mezzo”, di Ciandrakirti, cita il Sutra della Perfezione della Saggezza [in Venticinquemila Righe (Panca-vimsatisaha-srika-prajnaparamita)]:

Venerabile Subhuti, non c’è conseguimento n é chiara conoscenza? È così?” Subhuti rispose: “Venerabile Sariputra, conseguimento e chiara conoscenza esistono come convenzioni del mondo. Anche i ‘vincitori della corrente’, ‘quelli che tornano una sola volta’, ‘quelli che non ritornano’, gli arhat, i pratyeka-buddha ed i bodhisattva esistono come convenzioni del mondo. In senso ultimo, tuttavia, non c’è conseguimento né chiara conoscenza”.

Spiegazione del Commentario sulla “Via di Mezzo, di Ciandrakirti, dice che dovresti seguire questa affermazione. Sostieni che questo è un sutra Svatantrika? È evidente che c’è una grande quantità di casi del genere, in cui i sutra definitivi aggiungono la qualificazione “ultimo”. Anche Settanta Stanze sulla Vacuità Sunyata-saptati di Nagarjuna, dice:

Mediante la forza della convenzione mondana,
E non mediante la forza della realtà,
Il Buddha parlò di durata, produzione e cessazione;
Di esistenza e non-esistenza; di ciò che è basso, mediocre, o supremo.

Anche la Preziosa Ghirlanda https://www.sangye.it/altro/?p=2788 di Nagarjuna dice:
Si dice che tanto il sé che ciò che appartiene al sé esistano.

Essi non esistono in senso ultimo.

Anche:

Come può qualcosa essere vero

Quando il seme che lo produce è falso?

{218} Anche:

Similmente, produzione e disintegrazione

Appaiono in questo mondo illusorio,
Ma in senso ultimo non c’è produzione
E non c’è disintegrazione.

Così, tali testi fanno spesso affermazioni in cui aggiungono “in senso ultimo”, “veramente”, o “in realtà” alla negazione; anche quando non li aggiungono, con molta frequenza aggiungono una qualificazione per cui qualcosa “non esiste essenzialmente”, “non esiste intrinsecamente”, o “non esiste per via di un suo carattere intrinseco”. [667]

Anche il Commentario di Buddhapalita sul “Trattato Fondamentale” dice:

Trattato Fondamentale di Nagarjuna:

Gli insegnamenti dati dai Buddha Poggiano interamente sulle due verità

Le verità convenzionali del mondo
E le verità ultime.

Per cui, con la verità della convenzione mondana, tu dici: “Il vaso esiste”, o “La stuoia di bambù esiste”, e con lo stesso senso convenzionale indichi che essi sono impermanenti, “Il vaso si è rotto”, “La stuoia di bambù è bruciata”. Quando cominci a contemplare la realtà, i vasi e le stuoie di bambù sono insostenibili in quanto sono oggetti imputati in modo dipendente. In tal caso, come può essere accettabile considerarli rotti o bruciati?

Inoltre, mediante la forza delle convenzioni mondane, tu fai notare perfino l’impermanenza del Tathagata: “Il Tathagata è diventato vecchio”, e “Il Tathagata è andato oltre il dolore”. Quando contempli l’ultimo, perfino il Tathagata è insostenibile; in tal caso, come può essere sostenibile il suo invecchiamento ed il suo passaggio oltre il dolore?

Anche il maestro Ciandrakirti dice che egli confuta la vera produzione, ma non confuta la mera produzione. Il suo Commentario sulle “Sessanta Stanze di Ragionamento” dice:

Noi non proponiamo che la percezione (l’apprendere) di un riflesso, prodotto in modo dipendente e visto strettamente come falso, non sia prodotta in alcun modo. Tuttavia, diciamo che non avviene nei termini della natura e proponiamo che non è prodotta in quel senso. Cos’è la natura nei cui termini diciamo che non è prodotta? Una natura che puoi chiaramente considerare come una verità. Comunque, non è che non sia prodotta come qualcosa di falso, perché asseriamo che sorge come quello in modo dipendente.

{219} In questo modo, egli non confuta la produzione che è falsa, come un’illusione; egli confuta la vera produzione. Dice che non è contraddittorio essere prodotto in modo dipendente e non prodotto intrinsecamente. Quello stesso testo dice:

Perciò, in questo modo produzione e non-produzione hanno uno ambito differente, quindi come possono contraddirsi l’un l’altra? [668]

Anche:

Noi sosteniamo che le cose prodotte dipendentemente sono, come i riflessi, non prodotte intrinsecamente. Stando così le cose, come può la vostra obiezione avere una possibilità?

Egli dice questo in risposta ad un’obiezione secondo cui è contraddittorio per qualcosa essere prodotta in modo dipendente e tuttavia non (essere) prodotta intrinsecamente. Anche il Commentario sulla “Via di Mezzo” di Ciandrakirti, dice:

Perciò, mediante tale processo dovreste comprendere che, dal punto di vista primordiale,

In realtà le cose non sono prodotte, ma sono prodotte nel mondo.
In questo modo egli aggiunge la qualificazione “in realtà” a “non prodotte”.

Anche il Commentario sulla “Via di Mezzo” dice:

Proprio come queste cose, vasi e simili, non esistono in realtà
Ma esistono nei termini di ciò che il mondo comprende,
Così è per tutte le cose.
Perciò, non ne consegue che esse sono come il figlio di una donna sterile.

Così egli dice che tutte le cose interne ed esterne non esistono in realtà, ma esi- stono convenzionalmente. Per cui, egli non omette la qualificazione “in senso ultimo” nella negazione.

In breve, se non accetti in alcun modo l’aggiunta della qualificazione “in senso ultimo” alla negazione, allora non avrai modo di distinguere le due verità, e non sarai in grado di dire: “In senso ultimo, è così e così; convenzionalmente, è così e così”. Non c’è spiegazione di un tale Madhyamaka in alcun luogo, perciò è semplicemente un’idea sbagliata.

Chiare Parole, di Ciandrakirti, confuta l’aggiunta della qualificazione “in senso ultimo” alla negazione nel contesto del confutare la produzione da sé, non nel contesto del confutare la mera produzione. Questo è molto chiaro in quel commentario. Anche, come dice Spiegazione del Commentario della “Via di Mezzo”, di Ciandrakirti:

{220} Il maestro Nagarjuna confuta la produzione da sé in generale, senza usare una qualificazione, dicendo: “Non c’è produzione da sé”. C’è qualcuno [i.e. Bhavaviveka] che usa la qualificazione: “Le cose sono non prodotte da sé in senso ultimo per via dell’esistere, come un essere vivente”. Io penso che questo uso della qualificazione “in senso ultimo” sia senza senso.

Di conseguenza, noi non distinguiamo la Madhyamaka-Svatantrika dalla Madhyamaka-Prasangika sulla base dell’aggiunta o meno della qualificazione “in senso ultimo” alla negazione. [669] Esse differiscono, piuttosto, nel confutare o meno l’esistenza essenziale o intrinseca dal punto di vista convenzionale. Pertanto, quando confutano l’esistenza essenziale o intrinseca dei fenomeni interni ed esterni, i Prasangika dicono che non è necessario aggiungere nuove qualificazioni come “in senso ultimo”, “in realtà”, o “veramente”. Questo perché, se ci fosse esistenza essenziale o intrinseca, dovrebbe essere stabilita come un ultimo, ecc.. Gli Svatantrika dicono che se non aggiungi ad esse “ultimoo qualcosa del genere, allora non possono essere confutate; così aggiungono “in senso ultimo”, “in realtà”, o “veramente”. Tuttavia, né l’uno né l’altro sistema Madhyamaka asserisce che si possano confutare [le cose esistenti convenzionalmente, come] la produzione, la cessazione, la schiavitù, la liberazione e così via senza aggiungere qualche qualificazione come “in senso ultimo” o “essenzialmente”.

Qual è il significato di “non esiste in senso ultimo” (don dam par med pa)? Ecco, “oggetto” (don) significa qualcosa di conoscibile e “il più alto” (dam pa) significa supremo; un “ultimo” (don dam) è un locus (lat.) comune a entrambi. (Messo) in un altro modo, “il più alto” si riferisce alla sublime saggezza non concettuale e l’ultimo è l’oggetto del più alto (don dam), perché è l’oggetto o il dominio (campo, sfera) di quello. In un altro modo ancora, è chiamata ultima la saggezza concordante con la sublime saggezza non-concettuale che conosce direttamente l’ultimo.

[il Cuore della Via di Mezzo Madhyamaka-hrdaya di Bhavaviveka] dice: La terra e così via

Non sono elementi in senso ultimo.
Commentando questo, il suo
Sfolgorio di Ragioni Tarka-jvala dice:

Riguardo al termine “ultimo” (tib. don dam pa, scr. paramartha), è un “oggetto” (tib. don, scr. artha) poiché è qualcosa da conoscere, è sinonimo di “qualcosa da esaminare” e “qualcosa da comprendere”. “Il più alto” (tib. dam pa, scr. parama) è un termine che significa “supremo”. Uniti nel composto “oggetto più alto” (tib. don dam, scr. paramartha), questo significa che, dato che la vacuità è un oggetto ed anche il più alto, essa è l’ ”ultimo.

{221} In un altro modo, ultimo significa “oggetto del più alto” (tib. dam pa’i don, scr. paramasya artha). Poiché la vacuità è l’oggetto del più alto, una sublime saggezza non concettuale, essa è l’ultimo.

In un altro modo, significa ciò che è “concordante con l’ultimo”. Poiché quell’ultimo esiste per una saggezza che è concordante con la conoscenza diretta dell’ultimo, si dice che è concordante con l’ultimo. [670]

Quando dicono che qualcosa “non esiste in senso ultimo” o “è non-esistente in senso ultimo”, ciò ha l’ultimo di questi tre significati, perché quello stesso testo dice:
Dubbio: Lultimo è al di là di tutte le consapevolezze, ma la confutazione di un’essenza delle cose è nel regno delle lettere. Così, per quella ragione, non sarebbe [forse] non-esistente la confutazione?

Risposta: Ci sono due tipi di ultimo. Uno di questi opera senza attività concettuale; è sovramondano, senza macchia e senza elaborazioni. Il secondo opera con l’attività concettuale ed è concordante con le collezioni di meriti e saggezza; esso è chiamato “sublime saggezza nel mondo” ed implica elaborazioni. Qui noi riteniamo che quest’ultimo sia il qualificatore nella tesi: “non esiste in senso ultimo”; perciò non c’è errore di visione.

Prendi questo come se si riferisse alla saggezza basata sullo studio e la riflessione che analizza correttamente la realtà ed alle coscienze al di sopra di quella; non si riferisce solo alla condizione post-equilibrio di un nobile essere.

Anche Delucidazione della Via di Mezzo Madhyamakaloka di Kamalasila, dice:

Il significato di un’affermazione come: “La produzione non esiste in senso ultimo” è il seguente: tutte le coscienze che sorgono dallo studio, dalla riflessione e dalla meditazione sulla realtà sono soggetti precisi. Perciò essi sono chiamati “ultimoin quanto sono il non plus ultra (l’ultimo) di quelle coscienze. Essi differiscono secondo il lavorare direttamente o indirettamente, ma la forza del loro pensiero fa comprendere che tutte quelle cose sono strettamente non prodotte. Quindi, noi spieghiamo la frase: “La produzione non esiste in senso ultimo” nel senso che la conoscenza della realtà non stabilisce che queste cose sono prodotte.

Ciò pare accordarsi con ciò che è affermato [in Sfolgorio di Ragioni, di Bhavaviveka]. Anche il Commentario sui Punti Difficili dell’ “Ornamento per la Via di Mezzo,” [di Santaraksita] (Madhyamakalamkara-panjika) dice:

Alla domanda: “In che modo le cose non esistono intrinsecamente?”, Santaraksita rispose: “In realtà”. [671] Il termine “realtà” si riferisce allo status delle cose proprio come esse sono, qualcosa che è {222} conosciuto per inferenza basata sui fatti. Questo equivale a dire che le cose sono vuote quando le analizzi proprio come esse sono. Ciò spiega la frase “in realtà”, “in senso ultimo”, e così via.

In un’altra accezione, i termini come “realtà” possono riferirsi solo alla conoscenza della realtà, perché quello è ciò che essa osserva. La conoscenza della realtà, conoscenza non convenzionale, procura la comprensione che ci consente di dire che le cose non esistono intrinsecamente.

Sia la Lampada per il “Trattato Fondamentale” [di Nagarjuna] Prajna-pradipa-mula-madhyamaka-vrtti, di Bhavaviveka, che il suo Sfolgorio di Ragioni aggiungono spesso qualificazioni come “in realtà” all’assenza di esistenza intrinseca. In particolare, Lampada per il “Trattato Fondamentale, commentando il quindicesimo capitolo del Trattato Fondamentale, dice:

Obiezione: Se le cose non hanno essenza, come fanno a essere cose? Se sono cose, allora non sono senza essenza. Perciò voi avete la superstizione di negare erroneamente gli oggetti con le stesse parole incluse nella vostra tesi.

L’obiezione è che all’interno della tesi: ”Le cose non hanno essenza”, Bhavaviveka contraddice le sue stesse parole. In quello stesso testo egli risponde:

Noi non sosteniamo che le cose abbiano essenza in senso ultimo e dunque avanziamo la tesi della mancanza di essenza. Quindi, per tale ragione non neghiamo sbagliando l’oggetto della nostra tesi. Per cui, dal momento che questo non è un caso in cui il significato della ragione non è stabilito, noi non siamo in errore.

Egli sostiene di non negare erroneamente le cose a causa del suo asserire che le cose mancano di essenza in senso ultimo; così è chiaro che asserisce che sarebbe un negare erroneo dire che esse mancano di essenza, ossia non esistono essenzialmente, dal punto di vista convenzionale. Quello stesso testo dice:

In senso ultimo, le cose interne mancano di essenza perché sono prodotte e anche perché questa affermazione distintiva del loro essere prodotte indica che esse sono dipendenti da ciò che è dipendente. Per esempio, sono come gli esseri umani, ecc., emanati da un mago illusionista. [672]

In tal modo, egli aggiunge con chiarezza la qualificazione “in senso ultimo” nella confutazione dell’esistenza intrinseca.

Riguardo a questo, tutti quei maestri sono d’accordo sul fatto che la non esistenza di qualcosa in senso ultimo significa che, quando una coscienza razionale che analizzi nel giusto modo il suo status ontologico la sottopone ad attento esame, quella coscienza non stabilisce la sua esistenza. Perciò, anche {223} i testi di Bhavaviveka, nel postulare le cose convenzionali, dicono di tali cose: “Senza l’impegno nell’analisi che concorda con la percezione della realtà…;” nel confutare l’esistenza intrinseca, spesso dicono: “… non esiste alla luce dell’analisi razionale”. Perciò queste affermazioni sono simili a quelle dei maestri precedenti.
Tuttavia, quei maestri non sono d’accordo su questo: se qualcosa che esiste essenzialmente debba o no essere considerato in grado di sopportare l’indagine accurata del suo
status ontologico da parte dell’analisi razionale. Come ho spiegato ampiamente sopra, i due maestri Buddhapalita e Ciandrakirti ritenevano che qualcosa che esiste essenzialmente dovesse necessariamente essere in grado di sopportare l’esame minuzioso condotto dall’analisi razionale della realtà, e quindi dovesse anche essere stabilito in senso ultimo.

Capitolo 18 Interpretazione errata della distinzione Svatantrika/Prasangika {225}

(2”) Se condurre la confutazione con la procedura Svatantrika o con la procedura Prasangika

(a)) Il significato di Svatantrika e Prasangika (1)) Confutazione delle posizioni degli altri

(a’)) Cosa credono gli altri
[(1’)) La prima interpretazione errata] [(2’)) La seconda interpretazione errata] [(3’)) La terza interpretazione errata] [(4’)) La quarta interpretazione errata] ***
(2”)
Se condurre la confutazione con la procedura Svatantrika o con la procedura Prasangika

Dovresti confutare l’oggetto di negazione con una procedura Svatantrika o con una procedura Prasangika? Questo (punto) ha due parti:

  1. Il significato di Svatantrika e Prasangika (Capitoli 18-21)

  2. Quale sistema seguire per sviluppare la visione filosofica corretta nella tua corrente mentale (Capitolo 21)

(a)) Il significato di Svatantrika e Prasangika

Non è chiaro che il commentario del maestro Buddhapalita costituisca un sistema Prasangika, distinguendo Prasangika da Svatantrika. {226} Ciò non ostante, considera il suo commentario sulle righe di apertura del Trattato Fondamentale:

Non c’è un senso in cui qualcosa

Sia mai stata prodotta
Da sé, da qualcos’altro,
Da entrambe, o senza una causa.

Qui egli nega i quattro tipi di produzione evidenziando i difetti (errori) degli altri sistemi. Il maestro Bhavaviveka lo confuta, sostenendo che le argomentazioni di Buddhapalita non hanno il potere di stabilire la sua stessa posizione o di sconfessare le posizioni degli altri. [673] Ora il maestro Ciandrakirti fa un ampio commento sul perché il sistema proprio di Buddhapalita non è affetto da tali difetti, e nel fare questo egli afferma che i Madhyamika dovrebbero far ricorso ad argomentazioni per reductio ad absurdum (prasanga), non ad argomentazioni autonome (svatantra), come metodo per instillare la visione Madhyamaka negli altri. In questo modo, Ciandrakirti delucida la posizione Prasangika tramite una confutazione dell’argomentazione autonoma.

Questa sezione sul come presentare tale distinzione Svatantrika/Prasangika ha due parti:

  1. La confutazione delle posizioni degli altri (Capitoli 18-19)

  2. Esporre la nostra posizione (Capitoli 20-21)

(1)) Confutazione delle posizioni degli altri Questa sezione ha due parti:

  1. Esporre ciò che credono gli altri

  2. Confutare quelle posizioni (Capitolo 19)

(a’)) Cosa credono gli altri

Ci sono stati molti modi di definire le argomentazioni per reductio e le argomentazioni autonome; chi potrebbe spiegarli tutti? Ecco perché metto a fuoco solo alcuni di essi.

[(1’)) La prima interpretazione errata 470
Jayananda propugna la seguente posizione. Nel suo
Spiegazione del “Commentario [di Ciandrakirti] sulla Via di Mezzo” (Madhyamakavatara-tika), egli dice:

Domanda: Se ritieni che l’argomentazione per reductio ad absurdum sia un ragionamento sillogistico, allora lo stabilisce la cognizione valida? Se è così, sarebbe stabilito per entrambe le parti, perciò come puoi dire che è “ciò che asserisce l’altra parte?” Se non è così, allora, dal momento che {227} sarebbe fuori luogo per l’altra parte asserire ciò che non è stabilito, come puoi dire che si tratta di “ciò che l’altra parte asserisce?”

Risposta: Alcuni potrebbero rispondere: “Qualunque cosa la cognizione valida stabilisca, è stabilita per ambo le parti”, ma quello è precisamente ciò che noi non conosciamo. Quando una parte propone qualcosa come ragione probativa, anche se la cognizione valida può stabilirla per quella (parte) che propone il sillogismo, come può quella persona essere certa che la cognizione valida la stabilisca per l’altra parte? Dopo tutto, i particolari della mente di un’altra persona non sono oggetti né di percezione né di inferenza. E come puoi essere certo che la cognizione valida la stabilisca anche per te, perché è possibile che tu possa essere ingannato, dal momento che sei stato sotto l’influenza dell’erro- re per un tempo esageratamente lungo. Perciò, io accetto la natura delle cose per la forza derivante dal fatto che entrambi, il proponente e l’opponente, la accettano come valida. Quindi, io confuto le posizioni degli altri nei termini delle loro stesse asserzioni. [674]

Colui che propone un sillogismo qualsiasi non sa se gli antagonisti abbiano o no stabilito la ragione per se stessi per mezzo di una cognizione valida. Questo perché nessuno dei due tipi di cognizione valida [cognizione valida di tipo sensoriale e cognizione valida basata su una ragione] dà al proponente accesso a ciò che sta pensando l’antagonista. Non puoi essere certo che la cognizione valida stabilisca la ragione neanche per te stesso, perché anche quando determini che l’hai stabilita per mezzo di una cognizione valida, è possibile che tu sia stato ingannato. Perciò, dal momento che non ci sono ragioni stabilite in modo valido, il dibattito è fondato su ciò che le parti accettano come valido. Di conseguenza, è corretto confutare gli oppositori nei termini di ciò che essi accettano, anche se la cognizione valida non stabilisce alcunché per ambo le parti. Ecco come lo spiega.

E ancora, questo stesso (testo) Spiegazione del “Commentario [di Ciandrakirti] sulla ‘Via di Mezzo’ ” continua:

Secondo i sostenitori del ragionamento autonomo, ciò che fa di qualcosa una ragione probativa autonoma è il fatto che la cognizione valida stabilisca la pervasione tra la ragione ed il probandum (lat.: ciò che è da comprovare). Tuttavia, quella pervasione non è stabilita. Una cognizione valida che stabilisca una pervasione è o una percezione o un’inferenza. Prendiamole una alla volta.

Una percezione non può stabilire la pervasione. Tramite ciò che è percepito e ciò che non è percepito, puoi conoscere che c’è una necessaria relazione condizionale tra il fuoco ed il fumo in una cucina, così che se esiste uno, esisterà anche l’altro e se uno non esiste, non (esisterà) neppure l’altro. Tuttavia, puoi dedurre l’esistenza del fuoco dall’esistenza del fumo in tutti i luoghi.

{228} Né puoi usare l’inferenza per stabilire la pervasione, perché anche quella è limitata a certi campi (domìnii). Il dominio dell’inferenza non è universale, perché la conoscenza che qualcosa è impermanente, per esempio, sorgerà solo quando c’è una ragione concernente il probandum e non in tutti i luoghi ed i tempi. Perciò, la pervasione è stabilita solo per via di ciò che il mondo accetta e non per mezzo di una cognizione valida. Di conseguenza, come può essere sbagliato usare il ragionamento sillogistico per reductio per confutare l’opposizione?

Perciò, se le cognizioni valide stabilissero le pervasioni, come la presenza del fuoco ovunque ci sia fumo o l’impermanenza di tutto ciò che è prodotto, allora le argomentazioni autonome sarebbero accettabili, ma non lo sono. [675] Se le cognizioni valide stabilissero le pervasioni, allora le pervasioni concernenti l’esistenza del fuoco ovunque ci sia del fumo e l’impermanenza ovunque ci sia produzione dovrebbero essere stabilite in tutti i luoghi ed i tempi. Tuttavia, dal momento che la percezione e l’inferenza stabiliscono quelle pervasioni solo in relazione a campi (dominii) specifici, come le cucine ed i vasi, la sfera di quelle pervasioni è limitata. Perciò, la mera accettazione e la cognizione non valida devono stabilire anche le pervasioni. Questo è ciò che dice Jayananda. Evidentemente egli crede che se una prova usa una ragione per la quale la cognizione valida ha stabilito i tre criteri, allora è un’argomentazione autonoma; se una prova è costruita solo sulla base del fatto che le parti accettano la soddisfazione dei tre criteri, è allora un’argomentazione per reductio. (I tre criteri (tshul gsum) di un segno corretto. Nella logica Buddhista, una ragione corretta deve rispondere a tre criteri: (1) la presenza della ragione nel soggetto, od il suo sostenerlo. Questa è la “premessa minore” di un sillogismo. Dei due tipi di pervasione, la pervasione diretta è la premessa maggiore e la contro-pervasione è il suo antitetico, che corrisponde alla premessa minore; (2) la pervasione diretta, che corrisponde alla premessa maggiore; e (3) la pervasione inversa, che corrisponde all’antitetico della premessa maggiore. Come un esempio di un seguace di Jayananda che sostiene questo punto di vista, ‘Jam-dbyangs-bzhad- pa (mChan, 473.4) menziona il traduttore Khu mDo-sde-‘bar (Do-de-bar), un insegnante del Madhyamaka che aveva la sua fioritura nella seconda metà del secolo XI.)

[(2’)) La seconda interpretazione errata

Alcuni traduttori, studenti di quell’erudito [Jayananda], dibattono nel modo seguente: i Madhyamika non hanno tesi proprie. Confutano solo ciò che credono gli altri. Dal momento che non c’è accordo sugli elementi di un sillogismo, ossia, non è accettato da entrambe le parti, le argomentazioni autonome non sono sostenibili. Il solo risultato dell’analisi ragionata è che gli altri abbandonano i loro dogmi. A parte questo, dal momento che i Madhyamika non hanno credenze proprie, il sillogismo autonomo non dovrebbe essere usato in tutte le circostanze. Perciò, sono ammissibili solo le argomentazioni per reductio. In verità, dal momento che queste argomentazioni per reductio che stabiliscono una posizione positiva derivano in definitiva dai sillogismi autonomi, sono ammissibili solo le reductio che negano le posizioni degli oppositori. Dal momento che quest’ultimo tipo di reductio è una reductio in cui sia la ragione che la pervasione sono meramente accettate da ambo le parti o derivate dalle mere asserzioni delle parti, la cognizione valida corretta non stabilisce la ragione e la pervasione. È sulla base di tale reductio che essi eliminano le affermazioni e le elaborazioni degli altri, e fanno questo con quattro tipi di argomentazioni.

{229} Di questi, l’“argomentazione per reductio esprimente una contraddizione” si svolge come segue. Gli oppositori, per esempio, accettano che la produzione sia finalizzata e finita e credono anche che le cose si producano da sé. Ma se una cosa è prodotta da sé, dato che ciò significherebbe che qualcosa di già esistente viene prodotta, la produzione sarebbe senza scopo e senza fine, e sarebbe scorretto ritenere che sia finalizzata e finita. Se accettano questo, è per loro scorretto accettare che le cose siano prodotte da se stesse. Quando si assommano in questo modo le contraddizioni, il solo risultato è che gli oppositori le capiscono e abbandonano questo dogma. [676]

L’inferenza basata su ciò che accettano gli altri” confuta l’oppositore usando un soggetto, una ragione e così via, che sono accettati da quell’oppositore. Per esempio, la pianticella che tu accetti come auto-prodotta, non è prodotta da se stessa perché è il suo vero sé. Anche se i Madhyamika affermano che non è prodotta da sé, questa è puramente una confutazione della pretesa altrui che le cose sorgano da se stesse; non stabilisce per gli stessi Madhyamika la non- esistenza della produzione da sé, e perciò i Madhyamika non hanno tesi.

L’argomentazione chiamata “la somiglianza della ragione probativa e del probandum” (i.e. ciò che è da dimostrare) implica il mostrare come nessuno degli esempi o dei segni, che gli oppositori espongono per comprovare la loro posizione, possa dimostrarsi rilevante per quella posizione.

L’“argomentazione da parallelismo o ragioni simili” implica parallelismo tra le ragioni indistinguibili, tipo che se accetti uno, tu accetti l’altro.

Obiezioni: Bene; allora, tu credi o non credi a tali confutazioni di ciò che l’antagonista accetta? Se sì, allora ciò di per sé costituisce la tua tesi e ci sarebbe una ragione autonoma che prova quella posizione. Se no, non ha senso che tu offra argomentazioni che confutano ciò che l’altra parte accetta.

Risposta dei seguaci di Jayananda: Quando analizzi l’ultimo, se accetti un predicato come “manca di esistenza intrinseca” o “non è prodotto”, allora devi accettare le tesi e le ragioni autonome. Tuttavia, dal momento che non accettiamo tali predicati, non siamo in errore. Se il semplice credere in qualcosa significa che hai una tesi, allora ciascuno avrebbe tesi su tutto.

Ecco come spiegano la loro posizione [i seguaci di Jayananda]. Evidentemente credono che, anche se per parte loro non hanno alcunché da provare, sia possibile a loro meramente confutare le posizioni altrui; che anche se hanno delle credenze, non hanno delle tesi; e di {230} non avere posizioni proprie, evitando tesi come l’assenza di esistenza intrinseca nell’analizzare l’ultimo. Apparentemente, essi considerano come Svatantrika coloro che non credono che ci sia proprio niente che possa essere asserito e che perciò, nell’analizzare l’ultimo, asseriscono il predicato “manca di natura intrinseca” e stabiliscono quella come propria posizione. Considerano come Prasangika quelli che non asseriscono tali predicati, ma si impegnano solo nella confutazione di ciò che accettano gli altri.

[(3’)) La terza interpretazione errata]475 [677]

Secondo quelli che oggi si considerano Madhyamika Prasangika, non c’è nulla da accettare neppure convenzionalmente nel proprio sistema, né rispetto all’ultimo né rispetto al convenzionale. Se hai una tesi del genere, devi allora accettare gli esempi e le ragioni che la comprovano, ed in tal caso sei uno Svatantrika. Perciò, i Prasangika non hanno per nulla un loro sistema. Per questo, Confutazione delle Obiezioni, di Nagarjuna, afferma:

Se io avessi una qualsiasi tesi,
Soffrirei allora per quel difetto (errore),

Ma poiché non ho tesi,
Solo io sono senza difetti.

Se le percezioni sensoriali e così via,
Potessero effettivamente percepire qualcosa
Ci sarebbe in quel caso qualcosa da provare o da confutare.
Ma poiché non (percepiscono effettivamente), io non posso essere trovato in fallo.
Anche
Sessanta Stanze di Ragionamento, di Nagarjuna, dice:

I Mahatma non hanno posizioni,
Non hanno argomentazioni,
Come possono coloro che non hanno posizioni loro stessi

Avere posizioni di fronte ad altri?

Anche Quattrocento Stanze, di Aryadeva, dice:

Indipendentemente da quanto ci provi

Non puoi mai contraddire

Quelli che non hanno posizione

Rispetto all’esistenza, alla non-esistenza o ad entrambe.
Tutte queste sono sorgenti che mostrano che un Madhyamika non ha posizione

o tesi. Chiare Parole afferma:
Se sei un Madhyamika, non è corretto formulare un’argomentazione autonoma, perché noi non accettiamo le posizioni degli altri. Ed anche:

{231} L’opposto della conseguenza assurda in una reductio spetta all’oppositore, ma non a noi, perché noi non abbiamo tesi.

Anche il Commentario sulla “Via di Mezzo”, di Ciandrakirti, afferma:

Una confutazione opera forse per confutare contattando ciò che confuta?

Oppure confuta senza creare un contatto?
Questo problema è inevitabile per coloro che hanno posizioni,
Ma dal momento che io non ne ho, questa argomentazione per reductio non mi riguarda.

Questi passaggi affermano che, dato che i Madhyamika non hanno posizioni, quegli errori (difetti) non li riguardano. Pertanto, tutte le esposizioni Madhyamaka sono portate avanti solo nei termini della prospettiva dell’altra parte. [678] Infatti, come afferma il Commentario sulla “Via di Mezzo”, di Ciandrakirti:

Mentre voi accettate le entità dipendenti reali
Io non le accetto neppure convenzionalmente;
Per fare effetto (colpo), io dico che esse esistono anche se non (esistono).

Assumendo la prospettiva del mondo, io parlo di un sé.

Quel che più conta, Confutazione delle Obiezioni, di Nagarjuna, dice:

Dal momento che non c’è nulla da confutare,

Io non confuto alcunché.
Perciò, dicendo che io confuto qualcosa,
Tu mi insulti.

Perciò, non c’è una cosa come il normale confutare qualche altra posizione.

Questo è ciò che loro dicono.

[(4’)) La quarta interpretazione errata

Alcuni Madhyamika dei primi tempi, dotti Tibetani che seguono il maestro Ciandrakirti, dibattono in questo modo. Noi rifiutiamo completamente questi sistemi che pretendono che i Madhyamika non abbiano posizioni proprie, né valide cognizioni per stabilirle. Il nostro sistema è come segue. Noi confutiamo “le cognizioni valide basate sul fatto reale”, sia quelle percettive che quelle inferenziali, di coloro che propongono presentazioni della cognizione valida e degli oggetti che essa conosce nei termini del carattere intrinseco che può resistere all’analisi razionale. Accettando convenzionalmente, senza analisi, le cognizioni valide e gli oggetti conosciuti, con cui il mondo ha dimestichezza, noi Madhyamika dimostriamo che le cose mancano di vera esistenza con un sano ragionamento, facendo un’affermazione probativa all’oppositore. Anche così, noi non siamo Svatantrika, perché postuliamo la mancanza di vera esistenza per mezzo di cognizioni valide non analizzate, che sono familiari al mondo.