S. E. Mindrolling Jetsün Khandro Rinpoche: La nostra vera natura
Siamo molto orgogliosi in quanto essere umani e ci consideriamo le creature viventi più intelligenti ed evolute del pianeta. Eppure, con tutte le nostre qualità e doti, non riusciamo a trovare né felicità né pace. Incapaci di realizzare il nostro vero potenziale, permettiamo che la vita ci scivoli via, quando potrebbe invece essere di enorme beneficio per noi stessi e per gli altri. Qual è l’ostacolo all’altruismo, alla compassione e all’amorevolezza verso tutti gli esseri senzienti? Perché le nostre convinzioni e il nostro modo di essere diventano barriere a una comunicazione umana sincera? E perché viviamo perennemente in bilico tra speranza e paura, senza il buon senso di fare qualcosa al riguardo? Dobbiamo davvero pensarci su.
Nella tradizione buddhista, si dice che ottenere una rinascita umana sia un evento che si verifica raramente, quanto una tartaruga cieca che, affiorando in un vasto oceano una volta ogni cento anni, riesce a infilare la testa in un giogo di legno, sballottato dalle onde sulla superficie dell’acqua. Un’analogia più contemporanea potrebbe essere la probabilità che un pisello, caduto non si sa come da un aereo, vada a conficcarsi sulla punta di uno spillo che qualcuno, a terra, sta tenendo in mano. Questa è la misura della rarità, e quindi della preziosità, di una rinascita umana. Con la rinascita umana otteniamo una preziosa opportunità: l’opportunità di raggiungere l’illuminazione, o realizzazione, in questa vita. Questa opportunità è il risultato di aspirazioni fatte nel corso di innumerevoli vite precedenti.
Dal punto di vista buddhista, quando queste aspirazioni maturano e incontrano le giuste condizioni e i giusti insegnanti, possiamo entrare nel sentiero della pratica e raggiungere l’illuminazione. Affinché queste rare circostanze si realizzino, dobbiamo prima capire il nostro rapporto con il sentiero.
Gli esseri umani sono irresistibilmente attratti da ciò che è complesso. Se già è un’impresa guadagnarsi da vivere, raggiungere l’illuminazione deve essere qualcosa di molto difficile, misterioso e complicato. L’idea di comprendere dove effettivamente ci portano gli insegnamenti non ci sfiora nemmeno. Eppure, quando entriamo nel sentiero della pratica, dobbiamo sapere dove ci condurrà; dobbiamo intraprendere il cammino spirituale con gli occhi ben aperti. Dal punto di vista ultimo e fin dall’inizio, stiamo parlando di raggiungere l’illuminazione, che è semplicemente la natura innata di tutti gli esseri senzienti.
“Illuminazione” non significa diventare qualcosa o qualcun altro. È il riconoscimento della nostra natura umana intrinseca, che è verità assoluta. Questa vera natura assoluta si chiama “natura di buddha”. Il termine buddha, dal sanscrito tathat o tathagata, significa “andato oltre”, andare oltre una condizione di ignoranza per diventare completamente inseparabili dalla verità assoluta, che è la nostra vera essenza. Questo è il significato del buddhismo e l’obiettivo principale della nostra comprensione e della nostra pratica.
L’illuminazione ha molti nomi: verità assoluta, nirvana, liberazione, libertà dalla sofferenza, libertà dall’ignoranza, mente di buddha, vera natura della mente, essenza fondamentale, tathagatagarbha, sugatagarbha, “così com’è”, saggezza primordiale, vacuità e luminosità, beatitudine e vacuità, saggezza e compassione. Tutti questi termini si riferiscono alla realizzazione finale. Questa è la fruizione che porta gli esseri senzienti dallo stato di ignoranza alla completa libertà. E questa è la nostra aspirazione, quando iniziamo a praticare. Non dovremmo mai perdere di vista questo aspetto: quando la fruizione è veramente compresa, il terreno su cui ci troviamo e il sentiero che percorriamo deve essere mantenuto con la stessa comprensione.
La natura di Buddha è la qualità del cuore di tutti gli esseri senzienti. È necessario riconoscere questa essenza fondamentale sia in noi stessi sia negli altri. La nostra natura fondamentale è libera dall’ignoranza, dall’attaccamento e dai giudizi concettuali. Non c’è spazio per le afflizioni mentali o la falsità nella verità assoluta. Poiché è inseparabile dalla saggezza e dalla compassione, non c’è spazio per il male, l’avidità, l’egoismo, l’ignoranza, la rabbia o l’attaccamento. Questa base intrinseca di bontà è innegabile.
Tutti gli esseri apprezzano le qualità di bontà, saggezza, compassione e gentilezza perché questa è la nostra natura fondamentale. Esserne intellettualmente consapevoli è una cosa, ma vivere in questa consapevolezza è un’altra.
La prima cosa che il Buddha ha insegnato dopo la sua illuminazione è stata la verità della sofferenza, la cui causa è l’ignoranza.
L’ignoranza ci impedisce di vedere e comprendere la natura composita delle nostre percezioni, tutte le forze fisiche e mentali che si intrecciano per creare questo mondo apparentemente solido. L’ignoranza porta all’attaccamento e al ciclo infinito di sofferenza chiamato “samsara”.
Il samsara, e tutte le sue sofferenze, iniziano quando invece di rimanere nella nostra natura fondamentale, ci lasciamo coinvolgere dall’attaccamento per le apparenze esterne.
Chiedetevi se è davvero necessario dare così tanta importanza a ciò che sorge dai nostri sensi. Possiamo sentire e capire queste esperienze, ma nessuna di esse è solida. Nel momento in cui diciamo “felicità”, per esempio, quel momento è già passato. Possiamo presumere che questa sia la stessa felicità di qualche istante precedente ma, a parte la mente che pensa in questo modo, niente rimane identico a se stesso. Potremmo passare una vita fissati su esperienze di felicità, rabbia, ignoranza, odio o gelosia. Per capire veramente la sofferenza, pensate alla grandezza e all’intensità della sofferenza causata dall’attaccamento. Ci sono molti modi di analizzarla.
Tutti noi abbiamo siamo passati attraverso difficoltà, dispiaceri e qualche tragedia. Abbiamo perso persone che ci erano molto care e vicine; ancora oggi, alcuni di noi soffrono di malattie molto dolorose o vivono in condizioni di precarietà. La maggior parte di noi ha comunque vissuto una vita confortevole, non toccata dalla nobile verità di sofferenza insegnata dal Buddha. Abbiamo visto ben poco della sofferenza nella sua totalità, che è ciò che “la sofferenza di tutti gli esseri senzienti” significa in realtà.
Ed è proprio perché abbiamo visto così poca sofferenza che non abbiamo ancora sviluppato una vera avversione per il samsara, che ci sembra un posto tutto sommato gradevole e attraente, con un sacco di spazio in cui vivere e divertirsi. Non ci fermiamo mai a considerare che tutti gli esseri senzienti vogliono la felicità e la libertà dalla sofferenza, proprio come noi. Questo tipo di egoismo miope e l’incapacità di comprendere la nostra interdipendenza è una manifestazione dell’ignoranza che crea il samsara.
Se avete qualche interesse o devozione per il sentiero della pratica, se avete la sensazione che sia veramente utile e di beneficio, allora dovete chiedervi: “Quanto ho davvero capito che cos’è la sofferenza?”
Lo scopo degli insegnamenti è aiutarci a vedere la profondità della sofferenza del mondo e la sua causa, l’ignoranza. L’ignoranza è l’unica, anche se invisibile, causa dell’infelicità. È l’unico ostacolo che impedisce alla semplice consapevolezza e alla genuina bontà e gentilezza umana di sbocciare senza limiti. Sotto forma di tendenze abituali, ci distrae e allontana dalla nostra natura fondamentale, che tuttavia rimane costante e completa, come la luminosità del sole.
S. E. Mindrolling Jetsün Khandro Rinpoche – Tradotto da This Preciuos Life – Tibetan Buddhist Teachings on the Path to Enlightenment