Ven. Tulku Ghiatso: Powa, la trasferenza della coscienza nella Terra Pura di Amitabha.
Per ricevere questi insegnamenti della dottrina profonda dovremmo generare una corretta motivazione, cioè prendere rifugio e sviluppare l’attitudine di bodhicitta, o mente dell’illuminazione.
Lama Tzong Khapa insegna che tutti gli aspetti contenuti nelle grandi scritture del Dharma di Buddha che costituiscono il corpo del sentiero graduale verso l’illuminazione sono rivolti ai tre tipi di individui: quelli che hanno uno scopo inferiore, intermedio e superiore. Quindi, dovremmo contemplare i vari aspetti meditativi relativi a questi tre tipi di individui.
In sostanza, l’individuo di scopo inferiore contempla le inevitabili sofferenze e disagi che trovano esperienza in una sfortunata rinascita. Sviluppando un senso di timore e paura verso tale rinascita, l’individuo di scopo inferiore decide di adottare la pratica che costituisce l’antidoto alle rinascite sfortunate. Essa consiste nell’osservare una corretta moralità e nel fare estese preghiere per poter rinascere nei reami superiori. L’individuo di scopo inferiore prende rifugio nei Tre Gioielli proprio con questo tipo di proposito.
L’individuo di scopo intermedio, invece, estende e approfondisce la sua contemplazione, consapevole della realtà di sofferenza che pervade tutta l’esistenza ciclica. Egli comprende che, dagli inferni fino alla vetta del samsara, non vi è alcun luogo che non sia pervaso dalla sofferenza e dal disagio e quindi si determina a una “emersione” definitiva, a un’emancipazione irreversibile da questo stato di sofferenza caratteristico dell’esistenza ciclica. Si prefigge quindi di acquisire lo stato del nirvana, della liberazione individuale, in cui diverrà un distruttore del nemico (o arhat). A questo scopo, adotta delle tecniche meditative quali ad esempio la contemplazione dei 16 attributi delle Quattro Nobili Verità o la contemplazione dei vari processi d’involuzione ed evoluzione dei dodici anelli del sorgere dipendente. In seguito, egli genera la mente che realizza la realtà ultima dei fenomeni e in questo modo riesce a uscire completamente dall’esistenza ciclica. Un simile individuo prende rifugio nei Tre gioielli con l’attitudine di riuscire ad acquisire uno stato di liberazione irreversibile dalla sofferenza.
Se invece ci riferiamo all’ambito del grande veicolo, allora generiamo quell’attitudine che abbraccia tutti gli esseri senzienti nostre madri e sviluppiamo la motivazione della completa illuminazione, cioè il proposito di liberare tutti gli esseri dalle sofferenze dell’esistenza ciclica. Ci determiniamo quindi a ottenere l’onniscienza che useremo in seguito quale metodo specifico per poter far raggiungere la liberazione a tutti gli innumerevoli esseri senzienti nostre madri. Una volta generata la mente dell’illuminazione, l’individuo di scopo superiore si impegna a praticare metodi quali le 6 perfezioni e ad acquisire le raccolte di meriti e di saggezza sufficienti per ottenere lo stato di completa illuminazione.
In breve, per ricevere l’insegnamento del Powa dovremmo gradualmente raffinare la nostra mente utilizzando quei metodi meditativi che ci condurranno alla completa e perfetta mente dell’illuminazione, cioè l’attitudine altruistica che desidera condurre anche tutti gli altri esseri a un simile stato.
Al fine di sviluppare una mente che consideri terrificante l’eventualità di una rinascita nei reami inferiori e che porti alla determinazione di volerla evitare, dovremmo conoscere perfettamente quali siano le sofferenze specifiche e peculiari di questi reami. Esse vengono illustrate da Lama Tzong Khapa nei sentieri graduali brevi, medi ed estesi.
I tre reami inferiori sono la rinascita nei reami degli inferni, degli spiriti famelici e degli animali. Per quanto riguarda la rinascita negli inferni, indicata come lo stato in cui la sofferenza è più profonda e pervasiva, è detto che coloro che maturano il karma per rinascere in questi luoghi vi vengono spinti da negatività molto gravi e profonde. Perciò, il risultato di un simile karma è straziante e la sofferenza è molto acuta essendo essa inseparabile dall’essere che ha compiuto l’azione. Per fare un esempio, se per noi è già così intollerabile anche il solo fatto di venire bruciati dalla punta di un incenso e dalla sua microscopica brace che cosa dovremmo dire della sofferenza degli stati infernali? Come quella degli otto inferni caldi, dove troviamo vari livelli e gradazioni di sofferenza e in cui gli esseri sono completamente inseparabili dalla sofferenza derivante da un intenso, indicibile calore, tanto che l’essere rinato in un questo tipo di inferno è inseparabile dal fuoco, e per un lunghissimo periodo di tempo è come se fosse egli stesso una fiamma vivente. O come gli inferni freddi, dove la sofferenza è altrettanto profonda e incessante; o gli inferni circostanziali e quelli temporali, in cui le varie sofferenze dovute ai diversi tipi di tortura sono anch’esse indicibili. Tutto questo viene descritto per far comprendere quanto possa essere intollerabile una eventuale rinascita nei reami inferiori degli inferni.
Per quanto riguarda il regno degli spiriti affamati, si parla di due tipi di spiriti affamati: coloro che hanno ostruzioni interne e coloro che hanno ostruzioni esterne. Gli spiriti affamati che subiscono le ostruzioni interne hanno un karma che matura nel trasformare qualsiasi cibo o bevanda che possa essere ingerito in sostanze velenose, o che danneggiano il corpo, o che si trasformano in fuoco o in armi taglienti, mentre gli spiriti affamati che subiscono le oscurazioni esterne più semplicemente non trovano cibo e bevande e quindi la base comune di questi spiriti affamati è il fatto di soffrire fame e sete. Questa sofferenza si protrae per un periodo di tempo lunghissimo, addirittura per eoni, per tutto il tempo in cui un grave karma negativo si esaurisce.
Per quanto riguarda le sofferenze degli animali, esse sono più evidenti poiché fanno parte delle nostre esperienze visive. Gli animali soffrono principalmente di una oscurazione, di una confusione che non li rende acuti intellettualmente e sono quindi incapaci di poter promuovere un benessere definitivo della loro situazione. Essi sono in realtà guidati da istinti che li fanno soffrire perché si cibano l’uno dell’altro o perché sono continuamente terrorizzati l’uno dell’altro, o perché sono privi di cibo oppure temono di diventare cibo di un altro, e così via.
Queste sono in breve le possibili sofferenze che potremmo sperimentare nel caso in cui rinascessimo nei reami inferiori.
Per quanto riguarda invece i reami superiori, quali ad esempio quelli degli esseri umani, dei deva o degli asura, troviamo che le sofferenze sono meno evidenti dei disagi che caratterizzano l’esistenza ciclica. Nel caso degli esseri umani, le sofferenze possono essere classificate in tanti modi, come ad esempio la sofferenza della nascita, della malattia, della vecchiaia e della morte. Ve ne sono altre quattro, specifiche del reame umano, come la separazione da cose piacevoli, l’unione con cose spiacevoli, il ricercare ma non ottenere ciò che si desidera e il possedere un corpo che è fonte di disagio.
Anche i deva, che costituiscono il picco di questa esistenza ciclica nel reame del desiderio e sperimentano una beatitudine e una vita imbevuta di grandi delizie e felicità devono, nonostante ciò, soffrire a causa di quelli che vengono chiamati “i segni prossimi alla morte”. Ciò avviene quando, per un certo periodo di tempo prima della morte, appaiono i segni di una morte certa che si contrappone violentemente con il tipo di vita che hanno vissuto fino a quel momento: i fiori che portavano al collo cominciano a sfiorire, i loro poteri cominciano a diminuire, la luce che si emanava dai loro corpi nell’arco di tutta una lunghissima vita comincia a sparire e per finire avviene un graduale decadimento di tutte le caratteristiche divine che li hanno contraddistinti fino a quel momento. Tutto ciò provoca una grande sofferenza dovuta anche al fatto di avere la capacità di percepire la prossima vita poiché gli esseri divini possiedono la chiaroveggenza che forse non hanno mai sfruttato fino a quel momento e che invece, quando si rendono conto dell’imminente trapasso, indica loro la rinascita futura e la sofferenza in cui dovranno cadere.
Per quanto riguarda gli asura, che sono i semidei o i titani, essi nel loro regno sostanzialmente sperimentano una forte gelosia. A causa di ciò, sono in continuo conflitto con i deva poiché sono privi di tutte le delizie godute da questi ultimi, appartenenti a un livello di rinascita superiore.
Quindi, in realtà, per quanto sia possibile accedere anche ai livelli superiori del regno del desiderio, come quello della forma e della non-forma in cui i deva che vi dimorano non sperimentano evidenti sofferenze ma comunque soffrono per essere vincolati a questa esistenza ciclica a causa delle afflizioni e del karma che, una volta maturato o esaurito, li farà ricadere senza controllo nei vari livelli del reame del desiderio, vedete che, dall’abisso più profondo alla vetta dell’esistenza ciclica, non vi è alcun luogo in cui non sia possibile sperimentare un certo tipo di disagio, un certo tipo di limitatezza o di sofferenza circostanziale dell’esistenza ciclica.
L’esistenza ciclica è permeata da una continua e incessante sofferenza e per poter eliminare gli svantaggi di tale esistenza dobbiamo affidarci agli esseri illuminati le cui caratteristiche fungono da completa ed efficace protezione da queste sofferenze. In particolare, ora ci riferiamo ad Amitabha.
Amitabha dimora nella Terra pura in direzione ovest, e la sua Terra è libera dagli stati di sofferenza dell’esistenza ciclica quindi in essa si ha la possibilità di rinascere e praticare senza gli svantaggi che sono propri del samsara.
Per generare l’aspirazione a rinascere nella Terra pura di completa gioia di Amitabha è opportuno conoscerne le caratteristiche. Essa è situata a ovest e non è un luogo ordinario ma è costituita da un suolo morbido come il palmo di un bambino. Camminare sul suo terreno equivale a camminare su di un tappeto elastico, morbido al tatto e che riprende la sua forma originaria una volta cessata la pressione del peso corporeo. È un suolo cosparso di polvere d’oro, che ha l’apparenza di lapislazzuli e la cui entità è luce. Il luogo è un paradiso: vi sono prati e alberi e ciascuno di questi alberi è costituito da pietre preziose. Il tronco, la radice e i rami di questi alberi sono costituiti da materiali preziosi come pure le foglie e i frutti che sono ad esempio di rubino, diamante e smeraldo e non di materiali deteriorabili caratteristici dell’esistenza ciclica.
Poiché la pratica che faremo è una pratica di trasferenza della coscienza verso la Terra pura dovremmo conoscere, quale oggetto della nostra meditazione, la Terra pura nella quale ci trasferiremo. Ecco perché si descrive questo paradiso nei suoi dettagli: proprio perché sia più facile dirigerci o orientarci verso un simile luogo. L’essere che rinasce in questa Terra pura gode di continue felicità e beatitudini molto intense ed è privo di problemi quali i difetti mentali o di disagi fisici. Inoltre, l’essere che vi rinasce grazie alla pratica della trasferenza della coscienza, rinasce in un loto che si sta schiudendo e che si trova davanti ad Amitabha, seduto su di un trono ingioiellato sorretto da dei leoni. Su questo trono vi è un loto completamente sbocciato e aperto al cui interno è seduto Buddha Amitabha. Buddha Amitabha appare in vari tipi di forme ma in questo caso è nella forma più conosciuta: è di colore rosso, con un volto e due braccia, seduto nella posizione del vajra e tiene le due mani nel mudra dell’equilibrio meditativo sulle quali vi è una ciotola ricolma d’amrita dell’immortalità.
In questa terra, chiamata in sanscrito Sukavati, o Terra di completa gioia, non esistono gli usuali disagi e difficoltà che invece caratterizzano l’esistenza samsarica come per esempio quelle che vengono chiamate le 8 condizioni di non libertà che normalmente affliggono gli esseri umani e li privano della possibilità di poter praticare con efficacia il Dharma. Non essendoci queste 8 condizioni sfavorevoli vi sono due risultati sia dal punto di vista interno, personale, che dal punto di vista esterno o altrui. Tutto è assolutamente perfetto affinché la persona possa praticare, dedicare tutto il suo tempo per ottenere l’illuminazione, poiché le condizioni interne come le afflizioni mentali, le malattie e ogni tipo di menomazioni, come quelle di organi sensoriali, non sono presenti. Inoltre, non sono presenti interferenze di tipo geografico, culturale e climatico che possono ostacolare la pratica del Dharma. In breve, nella Terra pura di Sukavati si ha l’opportunità di rinascere liberi da tutte queste condizioni e di praticare in presenza di Buddha Amitabha.
Un’altra particolarità dovuta al fatto di rinascere dove risiede Amitabha è il fatto che uno dei più grandi ostacoli alla pratica, cioè la morte, non esiste. Ora come ora la nostra morte in quanto esseri ordinari è completamente fuori dal nostro dominio ma è indotta dal karma e dalle afflizioni mentali. In sostanza, quando si esaurisce il karma di rinascere nel regno umano il risultato che ne deriva è quello di abbandonare questa esistenza e quindi di morire. Questo processo è completamente estraneo al nostro controllo e ciò implica un grosso ostacolo per la nostra pratica, perché non siamo in grado di prevedere il momento in cui dovremo abbandonare questa esistenza. A causa di ciò, non sappiamo per quanto tempo potremo praticare e, d’altro canto, anche nel caso che potessimo prevedere il momento della morte, non saremmo in grado di fare qualcosa, di evitarlo, perché il risultato del karma non è evitabile, non è possibile fare qualcosa per evitare tale morte. Ma nel momento in cui rinasciamo nella terra pura di Sukavati non esiste una morte dovuta al karma e alle afflizioni. La nostra rinascita in questo luogo non è dovuta a questi due fattori e, d’altro canto, anche se dovessimo abbandonare Sukavati a causa della nostra morte ciò non sarebbe dovuto al karma e alle afflizioni. L’unico modo per poter cessare di esistere in Sukavati sarebbe dovuto alla forza delle preghiere: così come la nostra rinascita nella Terra pura di Amitabha è dovuta alla pratica e alle preghiere ad essa collegate così pure l’eventuale abbandono della Terra pura di Sukavati è dovuta alla nostra intenzione.
Se ad esempio volessimo promuovere delle attività illuminate per cui dovessimo ipoteticamente abbandonare Sukavati per emanarci in qualche altro luogo, allora potremmo lasciare Sukavati solo grazie alla nostra intenzione, alla nostra chiara volontà di morire. Non c’è nessun’ altra possibilità di “morire”: se siamo in Sukavati potremo morire con controllo, se siamo esseri umani ordinari invece saremo senza controllo.
Un’altra sublime particolarità della rinascita in Sukavati è il fatto che coloro che vi rinascono non hanno un corpo fisico materiale come il nostro ma sono costituiti da un corpo mentale. Viene chiamato “corpo mentale” perché è di un’essenza molto più raffinata di quella che costituisce il nostro fisico e questa sua essenza è priva degli svantaggi derivanti dal possedere un corpo materiale. Il corpo mentale non si ammala, non sperimenta sofferenza fisica e non invecchia, quindi non ha i vari svantaggi propri del corpo fisico dell’esistenza ciclica. In Sukavati non c’è nemmeno il suono del dolore, nel dizionario non c’è neanche il vocabolo dolore, sofferenza, disagio.
In questa Terra pura vi è la possibilità di praticare il Dharma ed emanciparsi dalla sofferenza fino a raggiungere l’illuminazione in un modo totalmente privo di ostacoli, perché non esistono gli svantaggi propri di una reincarnazione come la nostra.
I praticanti che rinascono in Sukavati possono godere quindi di innumerevoli vantaggi, fra cui il fatto di possedere dei poteri psichici propri del corpo mentale, dello stato che si sta sperimentando. Uno di questi poteri viene chiamato “emanazioni magiche”, e dà la possibilità di poter viaggiare in innumerevoli terre pure di Buddha in un periodo di tempo molto breve. Colui che rinasce in questa Terra pura ha la possibilità, in ogni istante, di poter viaggiare in innumerevoli altre terre pure di buddha per ricevere insegnamenti da tutti i buddha che dimorano individualmente in ciascuna di esse. Questa è una delle capacità di cui è dotato l’essere che rinasce in Sukavati.
Inoltre, questo essere è dotato di chiaroveggenza e ha la possibilità di poter vedere e fare cose che per un essere ordinario sono completamente impossibili, completamente insondabili. L’essere ordinario non ha la possibilità di poter investigare gli eventi futuri o passati di cui non può sperimentare direttamente la realtà, mentre l’essere che rinasce in Sukavati può vedere direttamente e per un periodo di tempo molto esteso non solo le sue ma anche le rinascite passate e future di molti altri esseri. Egli è in grado di vedere moltissime rinascite passate e future.
Un’altra capacità che si acquisisce in questa terra è quella che viene chiamata l’”occhio divino”. L’occhio divino è un tipo di chiaroveggenza che consiste nella possibilità di vedere fisicamente degli eventi molto lontani. Si ha quindi la possibilità di poter vedere a distanze molto grandi: ad esempio, io in questo momento non so che cosa stia succedendo, se negli Stati Uniti Sua Santità stia dando qualche insegnamento o altro. Se avessi invece questo tipo di chiaroveggenza, chiamato occhio divino, potrei vedere direttamente, come se fossi presente e nonostante la distanza di migliaia di chilometri. Il potere dell’occhio divino è in grado di vedere i fenomeni grossolani e anche quelli sottili per distanze di migliaia e migliaia di mondi. È come una specie di binocolo che può vedere a grandissime distanze.
Un’altra capacità è l’“udito divino”. Anche questo potere fa parte delle 6 chiaroveggenze. Abbiamo parlato di emanazioni magiche, occhio divino o vista divina, adesso parliamo dell’udito divino.
Così come l’occhio divino è la capacità fisica di poter vedere oggetti grossolani e sottili ad enormi distanze, l’udito divino corrisponde alla possibilità di poter udire suoni grossolani e sottili a distanze molto grandi. Questo significa che si ha la possibilità di udire direttamente gli insegnamenti dati in tutte le terre pure dei buddha che si trovano a distanze per noi inimmaginabili. Si tratta quindi di una condizione che non appartiene all’essere umano ordinario, che non è neppure in grado di udire quello che succede a pochi metri di distanza da lui. Quando si possiede tale udito divino si ha quindi la possibilità di udire tutti i suoni, anche quelli più sottili, emessi a distanze grandissime.
Un altro tipo di chiaroveggenza è quella che viene chiamata la “conoscenza delle menti degli altri esseri”. Colui che rinasce nella terra di Sukavati ha la perfetta conoscenza dei diversi eventi mentali e facoltà proprie di ciascun essere senziente, e corrisponde a ciò che normalmente intendiamo per chiaroveggenza. L’essere che rinasce in Sukavati ha la completa e chiara conoscenza degli eventi psichici di ogni singolo essere senziente e questo significa che può veramente comprendere i livelli mentali di ciascun essere, da un essere ordinario fino alle dinamiche mentali degli esseri superiori.
Quando parliamo di emanazioni magiche, della possibilità per la persona che rinasce in Sukavati di potersi recare in qualsiasi Terra pura, dobbiamo comprendere il grande vantaggio che si ottiene con questo potere, perché si ha la possibilità di incontrare tutti i buddha, tutti gli esseri superiori che dimorano in questi luoghi. Attraverso le emanazioni magiche si possono diffondere in un solo istante e simultaneamente molteplici corpi da inviare nelle terre pure per fare offerte e ricevere insegnamenti da tutti i buddha.
Un essere di questo tipo non ha bisogno di cibarsi di sostanze organiche o di altro cibo grossolano che per un essere ordinario invece è vitale. Per un simile essere la sussistenza è assicurata dal suo stesso stato, dal godere cioè di un corpo mentale. Solo grazie alla beatitudine indotta dal particolare stato psicofisico egli è completamente appagato, soddisfatto e non ha bisogno di nutrirsi con cibo più grossolano.
Questa è in breve una descrizione delle varie qualità della terra pura di Sukavati e della rinascita in questo luogo. Nonostante sia molto breve, essa vi consente di comprendere quali sublimi esperienze e poteri si possano ottenere se si ha la possibilità di rinascere in tale stato.
Ora leggeremo una preghiera che viene chiamata La preghiera per rinascere nella Terra pura della beatitudinee che è stata scritta da Lama Tzong Khapa. Nel testo vi è la completa descrizione delle eccellenti qualità di questa Terra pura e delle specifiche realizzazioni di coloro che rinascono in tali luoghi e che sono molto simili a quelle dei distruttori del nemico, degli uditori e dei realizzatori solitari che potevano sviluppare emanazioni magiche, viaggiare per grandissime distanze in tempi molto brevi ed erano dotati di poteri psichici mentali che consentivano loro di emanciparsi dalla sofferenza e aiutare gli altri a fare altrettanto.
Oltre alle varie capacità di esseri che stanno percorrendo il sentiero interiore come ad esempio gli uditori e i realizzatori solitari, il bodhisattva ha inoltre altre grandi qualità, come la chiara saggezza e tutta l’accumulazione di meriti relativi all’aspetto vasto del sentiero. Il testo dice: “Possa ottenere la vasta saggezza che mi rende capace di discriminare tra ciò che deve essere sviluppato e ciò che deve essere abbandonato, oppure la chiara saggezza che è capace di discriminare i dettagli sottili delle afflizioni mentali e delle pure virtù, così come esse sono, non mescolandole ma tenendole separate”.
In questa Terra pura siamo circondati da praticanti che hanno completato il loro sentiero interiore e hanno ottenuto lo stato della completa liberazione e siamo anche circondati dai bodhisattva che hanno ulteriori capacità e ci troviamo inoltre al cospetto di Buddha Amitabha.
Buddha Amitabha significa Buddha della Luce infinita perché il suo corpo, che è di colore rosso, in questa particolare emanazione è frutto della sua passata accumulazione di meriti e saggezza. Quindi, a causa del fatto che Buddha Amitabha ha, come risultato delle sue pratiche, questo corpo che emana luce e che placa le varie sofferenze degli esseri senzienti, viene denominato Buddha della Luce infinita.
Invece, la sua emanazione nel corpo di Completa gioia viene chiamata Amitayus che significa Immortale. Mentre Buddha Amitabha è il Buddha della Luce infinita Amitayus è il Buddha della Vita infinita o dell’Immortalità. Egli viene così chiamato perché il suo stato è di completa indistruttibilità e attraverso la sua pratica si ottiene appunto lo stesso stato di completa immortalità. Questa è la ragione per la quale etimologicamente Amitayus significa Buddha della Vita infinita.
In molte preghiere, Buddha Amitabha viene comparato a un protettore dagli infiniti raggi di luce e viene definito come il Supremo protettore con lo stesso valore e importanza della Luna e del Sole che circondano il monte Meru. Nella metafisica buddhista il centro fondamentale nel quale orbitano tutti gli altri elementi dell’universo buddhista è il monte Meru che a destra e sinistra è accompagnato dai globi del sole e della luna che illuminano tutto l’universo. Buddha Amitabha viene paragonato ad essi perché, grazie alla luce emanata dal suo corpo, egli ha la qualità di illuminare il mondo e placare le varie sofferenze tipiche dell’esistenza ciclica.
Nella preghiera a Buddha Amitabha si dice: “Possa io ricordarti continuamente” perché il fatto di ricordarsi continuamente di un oggetto così potente come Buddha Amitabha ci fa avvicinare alla rinascita in questa Terra pura e al suo stesso stato e dà la possibilità di aspirare ad essere al cospetto di questo Salvatore e a poter ottenere la completa illuminazione.
La preghiera per la rinascita in questa Terra pura descrive le qualità di corpo, parola e mente di Amitabha al fine di farci generare l’aspirazione di avvicinarci a tali qualità e alla natura di questo buddha particolare.
Oltre alla contemplazione di quelle che sono le qualità di corpo, parola e mente di Buddha Amitabha, nella preghiera si genera il desiderio di essere al cospetto di un tale buddha e di poter compiere offerte inimmaginabili per poter accumulare meriti così da non venir mai separati, nelle vite future, da tale emanazione.
Tutto questo è espresso nella sadhana che dovremmo recitare dopo aver preso l’iniziazione. Prima troviamo la presa di rifugio: “Nel Guru radice, nelle Divinità, nei Buddha perfetti, nel santo Dharma, negli Esseri Arya e nel Protettore della Luce Infinita – che è appunto Amitabha – io prendo rifugio”. Segue poi la generazione della mente, e questa sostanzialmente è la pratica che si dovrà compiere una volta che si sarà al cospetto di Buddha Amitabha tramite l’iniziazione che avrà luogo domani. La generazione della mente, o bodhicitta, non è altro che la porta di accesso per il sentiero del Grande Veicolo.
È detto che ogni preghiera indirizzata a Buddha Amitabha viene esaudita. In seguito, si fanno preghiere per poter ottenere tutte le varie realizzazioni e i vari livelli del sentiero Mahayana per poter compiere il massimo beneficio di tutti gli esseri senzienti.
Questi insegnamenti costituiscono la pratica preliminare al permesso susseguente, o iniziazione di Amitabha, che verrà conferito domani. Dovreste pensare alle grandi qualità insite nel rinascere in una terra pura, perché nel momento in cui si rinasce in una terra pura di questo tipo allora non si sperimenteranno mai più le varie sofferenze peculiari all’esistenza ciclica come la nascita, la malattia, la vecchiaia e la morte ed essendone completamente liberi si avrà la possibilità di praticare facilmente il Dharma e si sarà sostenuti da condizioni molto vantaggiose.
Per ricevere questo commentario del Dharma profondo dovremmo correggere la nostra motivazione e indirizzarla al raggiungimento della completa illuminazione per il beneficio di tutti gli esseri senzienti. Il desiderio che aspira a raggiungere la completa illuminazione è l’entità della mente convenzionale o della mente dell’aspirazione ed è il tipo di attitudine che dovremmo generare ora.
Per quanto riguarda il contenuto dell’insegnamento che riceveremo oggi si tratta del commentario sul Powa, o sulla trasferenza della coscienza. La trasferenza della coscienza ha un proposito ben chiaro, che è quello di poter evitare la rinascita nei reami inferiori e di proiettarsi nella situazione ottimale per praticare il dharma fino al completo stato dell’illuminazione. La trasferenza della coscienza di cui trattiamo oggi è relativa alla trasferenza nella Terra pura di Sukavati, il luogo in cui dimora Amitabha, il Buddha della Luce infinita .
Per poter rinascere in questa Terra pura ci sono quattro tipi di cause:
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l’aspirazione a rinascere nella Terra pura di Sukavati;
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una grande accumulazione di meriti e saggezza;
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un’attitudine altruistica che desidera liberare tutti gli esseri dalla sofferenza;
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l’indirizzare tutte le accumulazioni virtuose per rinascere nella terra pura di Amitabha.
Come abbiamo detto ieri, vi sono diverse qualità implicite nella Terra pura di Sukavati le più significative delle quali sono le 5 chiaroveggenze. Quindi, colui che dimora o rinasce in questo luogo, non sperimenterà più alcun tipo di sofferenza grossolana dovuta al possedere un corpo grossolano perché egli rinasce con un corpo mentale e inoltre, essendo dotato di un simile corpo, è anche dotato di poteri psichici, come ad esempio le 5 chiaroveggenze chiamate i 5 occhi.
In realtà, le chiaroveggenze sono 6:
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le emanazioni magiche;
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la vista divina;
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l’orecchio divino;
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il ricordo delle vite passate;
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la conoscenza delle menti degli altri esseri;
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l’esaurimento delle contaminazioni.
L’ultima, in questo caso, non è presente, quindi ci sono solamente 5 tipi di chiaroveggenze. Colui che rinasce nella Terra pura di Sukavati ha la possibilità di potersi emanare in innumerevoli forme e di poter viaggiare in innumerevoli terre di buddha a grandissima distanza; quando si possiede la vista divina si ha la possibilità di vedere a distanze di centinaia di migliaia di miglia, e colui che ne è dotato può vedere i fenomeni fisici e sottili; con l’orecchio divino si ha la capacità di poter percepire suoni sottili e grossolani a distanze anche queste veramente molto grandi. In questo modo si possono vedere i buddha che dimorano nelle altre terre pure e si possono udire i loro insegnamenti.
Un altro potere è la capacità di ricordare le vite passate e quindi si ha la completa conoscenza delle proprie vite passate e future e anche le vite passate e future altrui, e si ha inoltre la conoscenza delle menti degli altri esseri, cioè la completa consapevolezza degli eventi psichici e dei livelli spirituali degli altri esseri.
Ora passiamo al commentario della sadhana di Buddha Amitabha che avete a disposizione e che dovrete usare nel ritiro. Inizieremo con la presa di Rifugio e la generazione della mente.
“Prendo rifugio nei guru radice, le guide supreme che conducono alla liberazione, coloro che possiedono la fortuna.” Dovremmo pensare che il guru radice è nella sua essenza della stessa qualità di Buddha Amitabha e per questo motivo viene indicata come guida suprema poiché è, fra tutti, la sintesi delle qualità degli esseri illuminati ed è colui che ha più efficacia nel condurre tutti gli esseri alla liberazione.
Per Guru Radice si intendono tutti quei Lama, sia diretti che indiretti, dai quali si è ricevuto questo insegnamento.
Per quanto riguarda i Lama indiretti, si intendono i Lama che non abbiamo potuto incontrare direttamente, come per esempio Lama Tzong Khapa o Pancen Lobsang Ghialtsen, detentori del lignaggio di questo insegnamento e i Lama diretti sono i Maestri dai quali abbiamo ricevuto questi insegnamenti. Nel mio caso, io ho ricevuto questo insegnamento da Sua Santità il Dalai Lama che ritengo essere il mio guru radice.
In seguito dice: “Prendo rifugio nelle assemblee di divinità, gli yidam, le basi che senza eccezioni fanno sorgere le realizzazioni supreme. “ Questo verso significa che le divinità di meditazione e la pratica relativa a questi yidam sono le sorgenti di tutti i possibili ottenimenti.
“Prendo rifugio nei maestri perfetti, gli insuperabili che hanno completato perfettamente i due scopi.” I due scopi sono lo scopo proprio e lo scopo altrui e significa che questi maestri insuperabili che hanno raggiunto lo stato di completa illuminazione lo hanno fatto attraverso l’accumulazione delle due raccolte di meriti e di saggezza, e questo è appunto il primo dei tre oggetti di rifugio, il Buddha.
“Prendo rifugio nei Santi Dharma non ingannevoli, i metodi che distruggendo le due ostruzioni danno magnificenza alla pacificazione.” Qui ci si rivolge alla dottrina che è non ingannevole e ci si riferisce a quello che è l’oggetto di rifugio Dharma, il vero sentiero e la vera cessazione, che sono appunto uno il metodo e l’altro il risultato attraverso i quali si eliminano le due ostruzioni. Le due ostruzioni sono l’ostruzione alla liberazione e l’ostruzione alla conoscenza cioè all’onniscienza e “danno magnificenza alla pacificazione” significa che la vera cessazione è la pacificazione di tutti i rispettivi oggetti di abbandono e il Dharma è riferibile appunto a questo stato ultimo di completa separazione da tutti gli oggetti di abbandono.
L’ altro oggetto di rifugio è il Sangha e qui dice: “Prendo rifugio nell’Assemblea degli esseri arya dei tre veicoli che non cambiano la loro aspirazione continua alla virtù”, significa che quando parliamo di esseri arya ci stiamo riferendo a degli esseri nobili in contrapposizione agli esseri ordinari che non hanno una diretta realizzazione della vacuità. Gli esseri arya sono coloro che hanno ottenuto il sentiero nobile o la diretta realizzazione della vacuità e appartengono a tre veicoli differenti. Possiamo identificare tre veicoli che sono: il veicolo degli Uditori, il veicolo dei Realizzatori Solitari e il veicolo dei Bodhisattva e di conseguenza gli esseri arya sono gli Arya Uditori, gli Arya Realizzatori solitari e gli Arya Mahayana o Arya Bodhisattva. Essi non cambiano la loro aspirazione continua alla virtù perché in realtà il termine Sangha significa appunto coloro che aspirano continuamente alla virtù.
“Rivolgo richiesta di rifugio sino alla completa illuminazione al Protettore che è la Luce infinita Amitabha, cioè il supremo rifugio speciale.” Amitabha viene chiamato il supremo rifugio speciale perché viene considerato come l’apice di tutti gli esseri illuminati; viene chiamato il Protettore della Luce infinita poiché è una trasformazione di Amitayus, che viene chiamato il Protettore della Vita infinita. La ragione per la quale Amitayus viene considerato il Protettore della Vita infinita è perché gli esseri ordinari che sono coinvolti nell’esistenza ciclica devono sperimentare lo svantaggio di una morte. Nel momento in cui dimoriamo nell’esistenza ciclica dobbiamo soffrire dell’inevitabilità del decesso, mentre in una Terra pura, come ad esempio nella Terra pura di Sukavati, non c’è questo problema. Quindi, Buddha Amitayus viene chiamato Vita infinita per il fatto che nella sua Terra pura c’è una continuità di esistenza, c’è una costante benedizione della forza vitale, e Amitabha, che è una sua trasformazione, viene chiamato Protettore della Luce infinita poiché il suo corpo emana luce in tutti i reami dell’universo con il fine di illuminare, di chiarire e di eliminare l’ignoranza e l’oscurità di tutti gli esseri senzienti.
Nella sadhana si rivolgono richieste di Rifugio fino alla suprema illuminazione e questo vuol dire che si assume Buddha Amitabha come principale oggetto di rifugio non solo ora ma fino alla completa illuminazione. Buddha Amitabha quindi ci accompagnerà fino al raggiungimento del nostro obiettivo che è l’ottenimento della completa buddhità per il beneficio di tutti gli esseri senzienti.
“Avendo perfettamente completato il sentiero veloce, la pratica della trasferenza, possano tutti i migratori ottenere quello stato.” Per sentiero veloce si intende il sentiero del tantra, il quale viene definito come un sentiero veloce poiché il suo risultato, che è il risultato della completa unificazione chiamato lo stato di unificazione dei sette punti e che è l’interpretazione tantrica dello stato di buddha, è ottenuto in un modo molto veloce perché è possibile ottenerlo in un periodo di diciassette vite, oppure tre vite, oppure una vita, oppure tre anni, quindi il rapporto fra il risultato e il tempo per raggiungerlo è molto più vantaggioso rispetto al del sentiero delle Paramita.
Segue la generazione della mente, seguita dalla meditazione sulle quattro incommensurabili che sono: l’incommensurabile equanimità, l’incommensurabile amore, l’incommensurabile compassione e l’incommensurabile gioia.
Una volta meditato su questi aspetti, facciamo l’invito a Buddha Amitabha. “Sulla cima del mio capo, su di un trono di leoni, loto e luna…” sta a significare che a circa quattro dita dalla cima del nostro capo dovremmo visualizzare un trono sostenuto da otto leoni, due leoni per ogni lato, e questi leoni sorreggono un trono ingioiellato. La ragione per la quale vengono visualizzati i leoni è perché essi simboleggiano uno dei poteri che solamente un buddha possiede, relativo alle otto mancanze di paura. Questa qualità fa parte dei poteri speciali, chiamati le sedici qualità incondivisibili di un buddha. La ragione per la quale viene usato il leone per simboleggiare le otto mancanze di paura è perché, tra tutti gli animali, il leone è il sovrano perché ha un aspetto di tale imponenza e sicurezza che è propria dell’animale privo di nemici o di avversari.
Il loto invece simboleggia la purezza della mente di emersione definitiva o rinuncia. Il loto è un fiore che ha la proprietà di nascere da un luogo sporco e paludoso, come un acquitrino, o dal fango, e quando sboccia è privo delle macchie del luogo da cui deriva, quindi non è macchiato dal fango, esattamente come l’attitudine di emersione definitiva o rinuncia è completamente priva delle macchie dello stato da cui emerge, che è l’esistenza ciclica. Perciò, la purezza del loto simboleggia lo stato immacolato dell’emersione definitiva.
Sopra il loto vi è una luna, che rappresenta la mente dell’illuminazione o di bodhicitta (mentre il sole simboleggia la mente di saggezza).Sopra questo disco di luna, collocato all’interno del loto, che a sua volta è sopra il trono sostenuto dagli 8 leoni appare un sillaba HRI di colore rosso, che è una manifestazione del potere di conoscenza e compassione di tutti i vittoriosi, dei conquistatori, cioè dei buddha che sono vittoriosi sui demoni dei difetti mentali e del karma. Essi vengono normalmente definiti vittoriosi poiché possiedono conoscenza, compassione e potere infinito. Quando parliamo di conoscenza stiamo riferendoci alla saggezza che realizza tutti i fenomeni, mentre la compassione è la piena manifestazione della potenzialità della mente dell’illuminazione insita negli esseri senzienti che trova la sua completezza in un vittorioso. Il potere invece, anche se qui non è nominato, è l’abilità che i vittoriosi hanno di utilizzare tutti i mezzi per manifestarsi per il beneficio di tutti gli esseri senzienti. La HRI rossa che appare al centro della luna è in realtà la sintesi di tutte queste varie qualità di conoscenza, compassione e anche forza o potere.
La HRI rossa, sillaba seme di Buddha Amitabha, si trasforma sciogliendosi e apparendo come Amitabha, il Supremo protettore non ingannevole. Come abbiamo detto in precedenza, egli si manifesta con un corpo di colore rosso, le due mani sono nel mudra della meditazione e tengono una ciotola ricolma di amrita immortale sopra la quale vi è la sillaba HRI rossa. È al centro di una massa di luce radiante che si emana dal suo corpo ed è seduto con le due gambe nella posizione del vajra, e i suoi tre posti sono marcati dalle tre sillabe.
La posizione del vajra (o vajra asana) non è quella che usualmente usiamo noi sedendo a gambe incrociate ma è quella in cui i dorsi delle due gambe sono appoggiati sull’interno delle cosce opposte ed è la posizione in cui normalmente sono dipinti i buddha nelle loro differenti raffigurazioni.
I tre posti sono il capo, la gola e il cuore e sono marcati dalle tre sillabe OM AH HUM.
Dovremmo quindi visualizzare che dalla sillaba HUM, al cuore di Amitabha seduto sul nostro caposi emanano dei raggi di luce che vanno verso le Terre pure della grande beatitudine del protettore Amitabha. In realtà, si dirigono verso le dieci direzioni, quindi vanno in tutte le Terre pure, che sono infinite, ma qui viene menzionata in particolare Sukavati, la Terra pura in cui dimora questo Buddha. I raggi di luce invitano Buddha Amitabha, che è circondato da tutto il supremo rifugio. Egli dunque non giunge da solo, ma circondato da un’assemblea di altri buddha ed esseri illuminati, quindi con lui c’è un seguito infinito di esseri illuminati che giungono tutti insieme prima nello spazio sopra il capo di Buddha Amitabha e poi si assorbono in Amitabha stesso.
Dopo aver così meditato, facciamo la pratica dei sette rami e l’offerta del mandala.
Nella pratica dei sette rami vi è il ramo della prostrazione, il ramo delle offerte, il ramo della confessione, il ramo del rigioire, il ramo della supplica di rimanere, il ramo della supplica di girare la ruota del Dharma e la dedica. Tutto questo è detto nei versi che costituiscono la pratica. “Mi prostro con il corpo, la parola e la mente con grande rispetto al Protettore Amitabha che è la luce del mondo” questo verso si riferisce alle prostrazioni.
“Offro senza eccezione le offerte reali e quelle preparate dalla mente.
Confesso tutte le negatività e le cadute accumulate da tempo senza inizio.
Gioisco per tutte le virtù degli esseri ordinari e degli arya.
Rivolgo la supplica di rimanere in modo eccelso finchè il samsara non sarà vuoto.
Ti prego di far girare la ruota del Dharma per i trasmigratori.
Dedico tutte le virtù mie e degli altri alla suprema illuminazione.”
L’ultimo verso significa che se durante la recitazione meditate i vari significati insiti nei versi allora state effettivamente applicando la pratica dei sette rami.
Con il verso: “Avendo generato con consapevolezza un prezioso mandala composto dai sette preziosi – il monte Meru, i quattro continenti, il sole e la luna – e una massa di offerte di Samantabhadra li offro ad Amitabha” si sta offrendo l’aggregato dell’universo che, secondo la metafisica buddhista, è in questo caso rappresentato da un mandala, cioè da un cerchio in cui sono presenti sette elementi, che vengono chiamati sette preziosi. Il monte Meru è il primo, poi vi sono i 4 continenti, il sole e la luna, che sommati fanno sette elementi. Questo tipo di mandala è la sintesi di offerte del mandala più estese, che possono essere composti da ventitré, venticinque o trentasei cumuli. Comunque, in questi sette cumuli, o sette preziosi, sono contenuti tutti gli elementi importanti dell’universo e dovremmo pensare di offrire effettivamente tutti questi elementi costitutivi del mandala dell’universo.
Quando si nomina la massa di offerte di Samanthabadra, lo si fa perché Samanthabadra era un bodhisattva particolarmente esperto nelle offerte, riuscendo a combinare vaste estensioni di offerte con la realizzazione diretta della mancanza di esistenza delle tre sfere. Quindi, con questo verso dovremmo emulare la sua pratica che era quella di creare delle innumerevoli offerte immaginate. Qui l’oggetto dell’offerta è Amitabha e dobbiamo pensare di offrire questo mandala costituito dai 7 elementi con l’aggiunta di nuvole d’offerte simili a quelle eseguite da Samanthabadra e i nostri meriti passati, presenti e futuri.
L’ultimo verso è quello in cui, una volta fatte le offerte, Buddha Amitabha le accetta non per necessità ma per compassione, cioè per il desiderio di farci accumulare meriti e quando queste offerte vengono accettate richiediamo le sue benedizioni.
Ci sono delle visualizzazioni sul canale centrale e sui canali laterali che cercherò di spiegarvi in modo conciso ma completo.
Per quanto riguarda le richieste, c’è una specifica preghiera da rivolgere a Buddha Amitabha che non è presente in questo testo ma che vi spiegherò io. Questa preghiera è quella relativa alla recitazione del suo nome e dice: “Nel Buddha Amitabha, il completo distruttore del nemico, andato al di là, perfettamente e completamente illuminato, prendo rifugio e mi prostro”.
Se stiamo facendo il ritiro e facciamo quattro sessioni al giorno sarebbe opportuno riuscire a completare la recitazione di diecimila di questi mantra del nome di Amitabha mentre il mantra OM AMITABHA HRI SOHA dovrebbe essere recitato dieci milioni di volte. Si dovrebbe riuscire a farli tutti , ma nel caso non sia possibile allora si possono recitare centomila mantra e diecimila mantra del nome. Se si ha la capacità si dovrebbero fare centomila recitazioni del nome e dieci milioni di mantra, comunque la cosa principale durante la pratica è quella di avere una fede univoca in Buddha Amitabha e quindi fare richieste e recitare il mantra con l’aspirazione di rinascere nella sua Terra pura.
Quando si fa il ritiro di Akshobia del tantra di Guya Samaja ci sono trentadue Divinità nel suo seguito che è costituito dalla divinità principale del mandala, Guya Samaja padre e madre. Il ritiro viene eseguito con la recitazione di centomila mantra del padre e centomila mantra della madre e poi diecimila mantra per ognuna delle altre trenta divinità. Anche Yamantaka, cioè Vajrabairava Eroe Solitario, ha il mantra dell’azione che deve essere recitato per centomila volte, e poi c’è il mantra dell’essenza e il mantra radice che a loro volta devono essere recitati per diecimila volte ognuno. Invece, nel caso di Vajrabairava con tredici divinità, dobbiamo recitare il mantra di ognuna delle tredici Divinità per diecimila volte.
A seconda del numero delle sessioni che farete, dovrete recitare i mantra come vi ho spiegato e poi, al termine della recitazione del mantra e in ogni sessione dovreste concludere con la recitazione del mantra delle cento sillabe di Vajrasattva o anche Padmasattva, che è l’essere di purificazione della famiglia del loto e che perciò, in questo caso, sarebbe più indicato. Nel caso invece che si utilizzi Vajra Heruka egli è in connessione con il Tantra di Chakrasamvara. Comunque, Vajrasattva è quello più usato.
Poiché la descrizione del corpo psicofisico non è presente nel testo, ve la descriverò io stesso perché è importante che la conosciate. Dovreste visualizzare il vostro corpo come vuoto e il canale centrale, chiamato Susciuma, di uno spessore largo un po’ meno di un dito. Questo canale è completamente dritto, passa verticalmente davanti alla colonna vertebrale e la sua apertura superiore è all’imboccatura della fontanella, all’apertura del cranio. L’apertura inferiore è a circa quattro dita sotto l’ombelico e il suo colore è bluastro esternamente e bianco internamente.
A destra, adiacente al canale centrale o Susciuma, troviamo Ida, di colore rosso. La parte superiore inizia alla narice destra e si arcua seguendo la curvatura del cranio e scendendo poi parallelamente al canale centrale fino alla parte inferiore.
Alla sinistra del canale centrale abbiamo Pingala, di colore bianco, che come Ida è adiacente al canale centrale e inizia alla narice sinistra, si arcua seguendo la curvatura del cranio e scende parallelamente al canale centrale che è in basso a quattro dita sotto l’ombelico.
Dovremmo pensare in realtà che se il Susciuma si conclude a quattro dita sotto l’ombelico Ida e Pingala proseguono leggermente, essendo un po’ più lunghe del canale centrale.
Siccome stiamo descrivendo la respirazione in nove cicli, dovremmo visualizzare che questi canali laterali sono più lunghi del canale centrale, come abbiamo detto, e che alla loro terminazione si arcuano entrambi ed entrano nel canale centrale.
Iniziamo con la narice sinistra, quindi inspiriamo pensando che il vento, il prana, entra nel canale di sinistra, che è il canale di colore bianco, e lo percorre. In questo caso, durante la respirazione nei canali laterali, le due terminazioni inferiori laterali non defluiscono nel canale centrale, ma defluiscono una nell’altra, quindi sono collegati uno all’altro e questo avviene quindi per sei cicli di respirazione (un ciclo, ossia inspirazione ed espirazione).
Il vento o prana che entra nel canale di sinistra scende ed entra nel canale di destra e poi risale nel canale di destra ed esce dalla narice destra. L’inspirazione avviene con la narice sinistra e l’espirazione con la narice destra.
Dovremmo fare i primi tre cicli iniziando dalla narice sinistra per tre volte di seguito, cioè il prana, in forma di luce, entra attraverso la narice sinistra, scende nel canale di sinistra, entra nel canale di destra e quindi illumina tutto il canale di destra eliminando tutte le varie interferenze. Perciò, a poco a poco attraverso le tre respirazioni, il canale di destragradualmente si pulisce, fino a che, con la terza espirazione, non è completamente limpido.
Quindi, dobbiamo ripetere la stessa operazione utilizzando la narice destra come primo veicolo: il prana, in forma di luce, entra nella narice di destra, di colore rosso, entra nella narice di destra, scende lungo il canale destro e viene convogliato nel canale di sinistra dove, risalendo, il prana lo ripulisce gradualmente durante i tre cicli di respirazione fino a liberarlo completamente da qualsiasi tipo di ostruzione. Pensiamo che tutti i vari errori e difetti di questo canale sono completamente eliminati e appare completamente limpido, e questo deve essere fatto con un ciclo di tre respirazioni.
Quindi dei nove cicli, sei sono già finiti.
Per gli ultimi tre cicli, dovremmo pensare che i due canali di destra e di sinistra Ida e Pingala si immettono, un po’ più in giù dell’ombelico, nel canale centrale. In questo caso il prana entra da entrambe le due narici, discende lungo i due canali laterali e poi si immette e risale lungo il canale centrale. Così, come avevamo fatto per gli altri due canali pensiamo che con questa sua ascesa il prana, in forma di luce, illumina il canale centrale eliminando ogni tipo d’impurità.
In generale, il nostro corpo psicofisico non è fatto in questo modo. Nel nostro corpo, il prana che entra nei due canali di destra e di sinistra alimenta l’attaccamento e l’odio ed essi non scorrono perfettamente liberi e paralleli, non sono adiacenti al canale centrale in un modo retto, ma scorrono paralleli fino a che, in concomitanza con le varie porte dei chakra, non si annodano al canale centrale e annodandosi provocano una strozzatura del canale centrale che in questo modo non ha nessun vento. Il prana quindi in genere non scorre nel canale centrale ma solamente nei canali laterali, ma in questa pratica il canale centrale è visualizzato come libero da questi nodi, è visualizzato come una cannuccia completamente libera da queste ostruzioni.
Durante la pratica del powa, dopo che abbiamo svolto la respirazione in 9 cicli con il fine di poter purificare le interferenze per poter rendere operativi, funzionali, questi canali durante la pratica, non visualizziamo i due canali laterali e immaginiamo soltanto che sia presente il Susciuma.
Questo Susciuma, o canale centrale, termina in alto all’altezza della fontanella e in basso all’ombelico ed è proprio in questo punto, all’ombelico, che dovremmo visualizzare noi stessi, la nostra mente nella forma di una goccia bianca, di un ti-gle bianco cioè di una sferetta di luce bianca che è all’interno del canale centrale e all’altezza dell’ombelico. Sopra il nostro capo dovremmo invece visualizzare che c’ è Buddha Amitabha, e se guardassimo dentro il canale centrale, come si guarda dalla tromba delle scale, in alto, dove dovrebbe esserci il lucernaio, dovremmo vedere Buddha Amitabha e il nostro proposito sarebbe quello di entrare nel suo cuore, cioè di renderci inseparabili dal suo cuore.
Le richieste sono quelle presenti nel testo: “Protettore Amitabha, guida suprema che conduci verso la terra della liberazione, ti rivolgo la supplica affinché la suprema medicina che distrugge ogni sofferenza e malattia, risplenda come il giorno eliminando l’oscurità dell’ignoranza.”
In questa supplica si parla di eliminare l’oscurità dell’ignoranza e quando si parla di ignoranza ci si riferisce a due tipi di oscurazione, l’oscurazione alla liberazione e quella all’onniscienza. Esattamente come la luce del giorno elimina l’oscurità, così la saggezza, il corpo di Buddha Amitabha che è il Buddha della Luce infinita, elimina l’oscurità dell’ignoranza e la sofferenza che da essa deriva. La suprema medicina che distrugge ogni sofferenza e malattia sono in sostanza le qualità illuminate di Buddha Amitabha. Buddha Amitabha in realtà è colui che, attraverso la sua attività, elimina i 404 tipi di sofferenza e malattie. È anche colui che distrugge gli 84.000 tipi di afflizioni mentali quindi è la cura per tutti i tipi di malattie così come colui che elimina ogni tipo di oscurità o afflizione mentale.
“… guida suprema che conduci verso la terra pura della liberazione…”, così come per poter attraversare l’oceano e per poter arrivare alla terra promessa, che in questo caso è la terra della liberazione, abbiamo bisogno di un’imbarcazione e di un abile capitano, in questo caso Buddha Amitabha viene identificato come la guida migliore per ottenere la terra di completa emancipazione dalla sofferenza e a tale guida ci si prostra.
“Io e tutte le vecchie madri trasmigratici, senza eccezione, ti chiediamo di recidere il nostro tormento, di liberarci dal terrore per le migrazioni inferiori e quindi di guidarci con il gancio dei raggi di luce della tua compassione alla sfera suprema di Sukavati.
La sfera pura di Sukavati rappresenta il modo in cui possiamo liberarci dalla paura delle migrazioni inferiori, la trasferenza della coscienza nella Terra pura di Sukavati è un rimedio per non cadere in queste esistenze sfortunate. Ciò avviene essendo aggangiati dalla luce di compassione di Buddha Amitabha. Quando vogliamo sollevare qualcosa abbiamo bisogno di un anello, di una forma in cui ciò che serve per sollevare possa aggangiarsi per alzare l’oggetto in questione. Se, ad esempio, dobbiamo sollevare un contenitore, dobbiamo avere qualcosa che abbia la forma di un gancio per poterlo alzare, altrimenti risulta molto difficile poterlo fare. Per quale motivo la compassione di Buddha Amitabha viene illustrata con un gancio? Perché ha la possibilità di agganciare gli esseri e poterli condurre allo stato di completa liberazione. Quindi, quello che facciamo è richiedere a Buddha Amitabha di agganciare noi e tutti gli altri esseri e di portarci alla sfera suprema della Terra pura di Sukavati, evitando così le migrazioni inferiori.
Le richieste sono: “Al protettore Amitabha, vera essenza dei tre Rari e Supremi non ingannevoli, grande eroe che libera dalla paura delle migrazioni inferiori, guida suprema che conduce alla sfera della purezza, a te mi rivolgo.”
Il protettore Amitabha viene identificato come la sintesi dei tre rari e supremi che sono Buddha, Dharma e Sangha, i tre gioielli di rifugio non ingannevoli perché hanno la qualità di avere una mente completamente priva di inganno. “Grande eroe che libera dalle paure delle migrazioni inferiori” sta a significare che così come nella vita comune colui che libera dalle paure e le conquiste viene considerato un eroe, Buddha Amitabha, che ha la funzione di liberare dalle paure delle esistenze inferiori, è denominato eroe. Viene inoltre denominato “Guida Suprema che conduce alla sfera della purezza” perché così come abbiamo bisogno di un condottiero o di un capitano che ci faccia approdare sani e salvi in un determinato luogo analogamente Amitabha ha la capacità di condurci in modo sicuro e non ingannevole alla sfera della purezza, all’entità ultima della liberazione. A tale oggetto supremo sono rivolte queste suppliche e la supplica di essere protetto dalla paura di Yama, colui che taglia la vita. Yama rappresenta il signore della morte, colui che recide la forza della vita. Abbiamo la supplica per oltrepassare le tortuosità dello stadio intermedio terrifico che sta a significare che la pratica di Buddha Amitabha funziona come se fosse un faro durante il periodo intermedio fra la morte e la vita successiva, e la supplica per liberarci dal precipizio dell’insopportabile migrazione sfortunata significa che attraverso la pratica di Buddha Amitabha ci si libera dalle sofferenze e dai disagi sperimentabili nei tre reami inferiori. Segue la supplica di guidarci nella Suprema sfera di Sukavati, dove il testo dice: “concedetemi la benedizione ispiratrice, lo stato di buddha che è l’obiettivo finale.”
DOMANDE E RISPOSTE
D. Rinpoce ha detto che quando si fa il ritiro bisogna recitare un mantra e il nome di Buddha Amitabha.
R. Prima della recitazione del mantra bisogna recitare il nome di Buddha Amitabha, cosa che non compare nella sadhana.
La recitazione del nome è la seguente:
“Nel Buddha Amitabha, il completo distruttore del nemico, andato al di là, perfettamente e completamente illuminato, prendo rifugio e mi prostro”.
Lo potete recitare in tibetano, italiano o sanscrito. E questo sarebbe il nome da recitare 10.000 volte.
Il mantra di Amitabha è:
OM AMITABHA HRI SOHA
D. Qual è il colore del canale susciuma?
R. Fuori è bluastro e dentro biancastro
D. Dopo aver fatto il ritiro del powa si ritorna ad avere le oscurazioni?
R. Sì certo, ma dipende molto dalla propria mente. Ciò significa che, oltre al potere della concentrazione e della saggezza bisogna sviluppare una completa confidenza nel fatto che il metodo di Amitabha è efficace, che quindi Amitabha è in grado di poter purificare le nostre contaminazioni e oscurazioni. In questo caso è possibile che la pratica abbia un totale successo e nel caso invece che ci sia una mente che dubita, che crede solo parzialmente all’efficacia della pratica, allora il risultato sarà anch’esso parziale.
Si deve cercare di fare in modo di non dover più accumulare oscurazioni altrimenti sarebbe come pulire un luogo per poi tornare a sporcarlo di nuovo e ciò comunque dipende dal proprio addestramento.
Il punto non è se si riesca o non si riesca a purificare le oscurazioni, perché il karma negativo si può purificare. Il punto è che continuiamo a porre nuove oscurazioni quindi diventa un po’ difficile, dal punto di vista dell’accumulazione, eliminare tutto perché anche se si riesce ad eliminare qualche oscurazione immediatamente dopo se ne pongono delle nuove.
D. Domanda sulla posizione del corpo.
R. La posizione eretta del corpo corrisponde alla esigenza di far circolare il prana in modo fluido, e alla circolazione corretta del prana corrisponde la correttezza della propria mente. Quindi, se il corpo è piegato in modo sbagliato allora la conseguenza sarà una mente non chiara, per il fatto che il prana non sta scorrendo in un modo corretto.
D. Domanda sui canali e i chakra.
R. Io non li ho mai visti, perciò non so bene come si annodino. In ogni caso, l’annodarsi di questi canali laterali al canale centrale è ciò che impedisce al prana di circolare nel canale centrale. D’altro canto, questi nodi dipendono dal fatto che ci sono i difetti mentali, che sono in realtà l’espressione dell’annodarsi dei canali laterali nel canale centrale, e anche ciò che induce i canali laterali ad annodarsi. Io non so come siano annodati, comunque essi si annodano e poi tornano nella loro posizione. È solo nel tantra di Kalachacra che si annodano e poi tornano in posizione differente, negli altri tantra questo non succede. Ci sono particolari momenti in cui anche gli esseri ordinari che non fanno pratiche hanno dei venti che entrano nel canale centrale. Questo avviene durante le eclissi lunari e solari, in cui si verificano determinate condizioni astrologiche o energetiche a causa delle quali, anche involontariamente, i venti entrano e scorrono lungo il canale centrale.
Comunque, tenete presente che la propria pratica va migliorando con la familiarità. Dovete praticare con lungimiranza, senza aspettare di avere risultati n è afferrarvi con orgoglio se avete qualche risultato. La pratica, così come il ricevere iniziazioni o insegnamenti, è come indossare i vestiti durante l’inverno: non sono mai a sufficienza, più se ne indossano e meglio è. Ci sono particolari periodi durante l’anno nei quali si verifica un incremento dei risultati karmici, ad esempio nel periodo del Sakadawa, che corrisponde al mese in cui Buddha è nato, si è illuminato, è entrato nel Paranirvana e che normalmente si festeggia nel quarto mese tibetano, corrispondente al nostro quinto mese dell’anno cioè maggio. Durante questo periodo le azioni negative, così come quelle positive, hanno un incremento esponenziale, cioè qualsiasi azione positiva o negativa venga fatta, per quanto piccola essa sia, si moltiplicata per 100.000 volte, ha un incremento maggiore rispetto a un altro periodo, quindi in simili circostanze bisogna essere particolarmente virtuosi e attenti a quello che si fa.
Ora, come sempre, dovremmo correggere la nostra motivazione.
Quando generiamo la presa di rifugio e la mente dell’illuminazione dovremmo dirigere la nostra mente verso i tre gioielli di rifugio. I tre gioielli sono: il gioiello Buddha che ha completato il sentiero alla perfezione e la purificazione di tutte le oscurazioni; il gioiello Dharma che è il vero sentiero e la vera cessazione, ciò è il sentiero e il risultato quale separazione da queste oscurazioni; il gioiello Sangha che è la comunità di esseri che vedono direttamente la realtà ultima e che quindi hanno i metodi abili per poter condurre gli esseri allo stato di liberazione. Verso questi 3 Gioielli, o 3 oggetti di rifugio, ci deve essere la motivazione di evitare le rinascite sfortunate, o realizzare la completa liberazione dalla sofferenza intesa come esistenza ciclica, o la completa illuminazione per il beneficio di tutti gli esseri senzienti. Quindi, a supporto del rifugio nei 3 Gioielli, e fra tutte le motivazioni, ci deve essere quella più sublime, cioè di determinarsi a raggiungere la completa illuminazione per il beneficio degli altri.
Per quanto riguarda il commentario che abbiamo sospeso ieri, stiamo esaminando la sadhana di Amitabha sul Powa. Una volta che abbiamo fatto la richiesta, per quanto riguarda la visualizzazione della trasferenza effettiva dobbiamo compiere tre tipi di disciminazioni e cioè: l’accertamento della propria mente, l’accertamento del canale centrale e l’accertamento del cuore del signore del loto che è appunto Amitabha.
Per quanto riguarda la visualizzazione della trasferenza effettiva dovremmo visualizzare il canale centrale, come avevamo descritto ieri relativamente alla respirazione in 9 cicli ma senza i 2 canali laterali di destra e sinistra IDA e PINGALA. Quindi visualizziamo solo il SUSCIUMA e poiché stiamo parlando di una trasferenza della coscienza, cioè un metodo utilizzato nel momento della morte, quando si hanno i segni ormai certi dell’approssimarsi del decesso, allora la persona che si è precedentemente addestrata in questa pratica può trasferire la propria coscienza in un reame superiore, come Sukavati, la Terra pura di Amitabha. Bisogna visualizzare che la nostra coscienza o mente più sottile, quella che si trasferirà in una vita successiva, è nell’aspetto di una sferetta di luce bianca situata al chakra dell’ombelico. Il proposito è quello di far viaggiare la sferetta di luce, che è la nostra coscienza e in cui siamo identificati, attraverso il canale centrale, farla salire nel canale centrale fino a trasferirsi nel cuore di Buddha Amitabha che è seduto sulla cima del nostro capo. Questo è un metodo per evitare che gli esseri ordinari, al momento della loro morte, debbano rinascere in reami inferiori perché, se parliamo di esseri superiori, allora non vi è più il problema di dover evitare rinascite inferiori, in quanto si ha il pieno controllo delle proprie migrazioni future mentre, se ci riferiamo agli esseri ordinari allora, per evitare tale rischio, si opera questa trasferenza della coscienza.
Il modo di addestrarsi è quello di visualizzare la sferetta di luce, che è la nostra coscienza, all’ombelico e fare richieste e suppliche a Buddha Amitabha per poter essere guidati nella Terra pura di Sukavati e rinascere al suo cospetto. Quando abbiamo fatto queste richieste, la sfera di luce sale, piano e lentamente, all’interno del canale centrale e arriva fino al cuore, dove ci fermiamo e rivolgiamo il nostro sguardo e la nostra attenzione mentale per rinascere ed essere trasferiti nel cuore di Buddha Amitabha che siede sulla cima del nostro capo. Dovremmo perciò fare ulteriori richieste e suppliche a Buddha Amitabha per poter rinascere nella sua Terra pura e con questa intenzione dovremmo visualizzarci nella forma della sferetta di luce che dal cuore lentamente sale e arriva al chakra della gola. Poi, dal chakra della gola dovremmo osservare ancora in alto, dove si trova Buddha Amitabha seduto sulla cima del nostro capo.
Dal chakra del capo, invece di entrare nel cuore di Buddha Amitabha, la pratica si conclude ridiscendendo alla gola, al cuore e all’ombelico. Dovremmo addestrarci in questo modo.
Il motivo per cui pratichiamo la trasferenza della coscienza è quello di evitare le rinascite sfortunate e, in quanto esseri ordinari, orientarci verso rinascite superiori.
Quando parliamo di rinascite superiori intendiamo gli esseri umani, i deva e gli asura; mentre se parliamo di rinascite inferiori ci riferiamo agli esseri infernali, agli spiriti affamati e agli animali e sono precisamente queste ultime 3 rinascite che dovremmo evitare mentre dovremmo ricercare le prime 3. In questo caso, la trasferenza della coscienza è praticata per poter ottenere delle rinascite in reami che sono ancora più elevati, come le diverse Terre pure dei buddha caratterizzate da quelle che vengono chiamate le 3 Purezze.
Le 3 purezze sono:
-
la purezza dell’aspetto o dell’apparenza, poiché si è generati o si rinasce con un corpo mentale dotato di tutte le qualificazioni pure, non contaminate,
-
la purezza dell’ambiente, cioè l’ambiente in cui si vive è puro come il proprio corpo,
-
la purezza delle azioni, che significa che le nostre attività sono incontaminate.
La rinascita in una delle Terre pure di questi vari buddha è dunque accomunata dall’avere queste 3 purezze.
Vi sono differenti Terre pure: Amitabha risiede in Sukavati che si trova a occidente. Maitreya invece risiede nella Terra della gioia, chiamata Tuscita, o Terra delle 100 divinità, e più specificamente in una regione di Tuscita chiamata IGACIOTIN che significa la Terra della dottrina e della delizia mentale. Lama Tzong Khapa stesso risiede in questa Terra pura. OGYMIN è un’altra Terra pura dove risiedono i corpi di completa gioia dei buddha. Ciò che associa tutte queste terre pure è il fatto che i Buddha sono presenti nel loro aspetto di corpo di completo godimento e sono circondati da un seguito di bodhisattva, come ad esempio del decimo terreno, e gli esseri che rinascono in questi luoghi possono ricevere insegnamenti e praticare senza essere condizionati dai loro difetti fisici e mentali che normalmente ostacolano la pratica dell’essere ordinario.
Per poter rinascere in simili Terre pure si deve non solamente praticare la trasferenza della coscienza, ma avere la combinazione di pratiche virtuose come l’accumulazione di meriti e la purificazione. Una delle cause per rinascere in questa Terra pura è la pratica dei 3 principali aspetti del sentiero accompagnata dall’accumulazione di meriti e purificazione.
Per quanto riguarda la trasferenza della coscienza, nella visualizzazione effettiva dovremmo pensare a Buddha Amitabha sulla cima del nostro capo. “Così, dopo aver rivolto con intensa devozione e rispetto delle richieste a Buddha Amitabha, dal cuore del protettore si emanano raggi di luce a forma di gancio che uncinano il pallino bianco luminoso con cui mi sono identificato”, questo significa che prima di operare la visualizzazione in cui la nostra mente, nella forma di una sferetta di luce, sale per il canale centrale, dobbiamo rivolgere una preghiera a Buddha Amitabha per poter rinascere nella Terra pura di Sukavati. Questo è ciò che si intende quando si rivolgono richieste con intensa devozione e rispetto. Ci deve essere una forte aspirazione a rinascere nella Terra pura di Sukavati e questo si dovrebbe riflettere in una forte intenzione a voler rinascere in quel luogo, tramite una supplica, una richiesta, un’intensa devozione, cioè ci deve essere un’espressione di forte desiderio.
Come conseguenza della richiesta, dovremmo pensare che dal cuore di Buddha Amitabha si irradia un raggio di luce rossa, un raggio di luce particolare, perché avrà la funzione di attirarci lungo il canale centrale verso l’alto, per farci uscire dal nostro corpo grossolano e andare nel cuore di Buddha Amitabha, che in realtà non è altro che la Terra pura di Sukavati. Questo raggio di luce è visualizzato sotto forma di gancio o di uncino e, soprattutto, la sua funzione è quella di attirarci verso l’alto. A questo punto il raggio di luce tocca la sferetta di luce bianca, in cui noi ci siamo identificati e che rappresenta la nostra coscienza più sottile, quella che si trasmetterà da questa vita alla vita futura e, mentre la aggancia, dovremmo sentire che siamo attirati verso l’alto, verso l’apertura al capo e oltre. In breve, questo raggio di luce ha la potenzialità di attirarci verso la terra pura di Sukavati.
In questo caso dobbiamo spingere fortemente verso l’alto pensando di essere attirati nel cuore del protettore
Quando terminiamo la pratica della trasferenza della coscienza, facciamo le preghiere conclusive: “Quando sorgono i segni della morte prematura in un periodo inappropriato, in quel momento, avendo visto chiaramente il corpo del Protettore Amitayus possa ottenere velocemente il Siddhi dell’immortalità e distruggere con coraggio il signore della morte. Quando sorge il momento dell’estinzione della potenzialità della vita, avendo chiaramente visto di fronte ai miei occhi Amitabha circondato da una oceanica congregazione di seguito, possa la mia mente riempirsi di fede e compassione.” Questo significa che quando pratichiamo la trasferenza della coscienza, essa è associata con una divinità di lunga vita, quindi i possibili svantaggi che si hanno nel praticare ripetutamente la separazione della coscienza dal corpo, vengono sopperiti dal fatto che la recitazione del mantra della divinità, in questo caso una divinità di lunga vita, recupera quelle forze di vita che si sono perse.
In seguito: “Non appena sorgono le apparenze dello stato intermedio gli 8 figli del Vittorioso mi mostrino il sentiero privo di errori. Essendo rinato in Sukavati possa guidare, tramite emanazioni, tutti i trasmigratori del mondo impuro. Quindi, quando io stesso diverrò un buddha perfetto, possano i miei atti di corpo, parola e mente, il seguito, il corpo e la lunghezza della vita e la Terra pura diventare per me e per tutti gli altri esseri esattamente come quelli.” I primi versi si riferiscono al fatto che, nel caso in cui non si riesca a operare in modo effettivo la trasferenza della coscienza e che quindi appaiano i primi momenti dello stadio intermedio, allora si richiede agli 8 figli del Vittorioso cioè gli 8 tipi di bodhisattva che appaiono nello stadio intermedio, che ci mostrino il sentiero privo di errori. Se invece si rinasce nella Terra pura di Amitabha, si fa richieste per poter praticare e ottenere lo stato di completa illuminazione e per potersi emanare in maniera da essere in grado di beneficare tutti i trasmigratori del mondo impuro. E una volta ottenuto lo stato di completa buddhità si fanno richieste affinché le proprie attività di corpo, parola e mente, la continuità e la lunghezza della vita possano essere esattamente come quelli di un essere illuminato.
Come vedete, in questa preghiera non solo è incluso il fatto di rinascere nella terra pura di Sukavati, ma vi è anche quello di poter ottenere la completa illuminazione; in altre parole, la trasferenza della coscienza non è solo un metodo per evitare la possibile rinascita ordinaria dovuta al karma e alle afflizioni nei 3 reami inferiori, ma vi è anche il proposito di poter acquisire una condizione che, ben lungi dall’essere una situazione limitata come la nostra, dia la possibilità di poter praticare il Dharma in un modo completamente indisturbato e quindi abbia la potenzialità di poterci condurre allo stato di completa Buddhità per poter beneficare tutti gli esseri senzienti nostre madri attraverso le nostre attività illuminate.
Questo è il proposito espresso in questa preghiera che dovreste avere ben chiaro.
La pratica del Powa è tutta qui.
Se avete delle domande volentieri potremo chiarire i punti meno chiari.
Domande e Risposte
D. Vorrei avere dei chiarimenti rispetto alla pratica della visualizzazione e la parte in cui bisognerebbe recitare HIC. Vorrei cioè sapere se bisogna farlo con il vaso oppure no. E un’altra domanda è se si può fare questa pratica per gli altri esseri.
R. Per quanto riguarda fare il Powa per se stessi o per gli altri in realtà la meditazione è la stessa, nel senso che se la persona che sta morendo è un’altra persona allora il powa che viene eseguito è quello di pensare che sulla cima del capo di questa persona ci sia Buddha Amitabha , il quale irradia un raggio di luce che entra nel canale centrale della persona per cui si fa la visualizzazione e al cui ombelico vi è la coscienza identificata con la sferetta di luce. Come nella pratica che abbiamo spiegato, la sferetta di luce della persona che sta morendo viene spinta al cuore, poi dal cuore viene spinta alla gola, dalla gola viene spinta al capo e poi viene sospinta verso l’alto, facendola uscire dal corpo e trasferendola al cuore di Bubbha Amitabha. Questa è la causa per rinascere nella Terra pura di Sukavati.
Per quanto riguarda il modo, è esattamente come è stato descritto nel testo, cioè dovremmo visualizzare che Buddha Amitabha emana un raggio di luce, il quale ha la funzione o la capacità di poter agganciare, o attirare, la sferetta di luce che è la nostra coscienza. L‘attira verso l’alto, quindi la sferetta di luce sale lentamente verso il cuore, poi dal cuore di nuovo compiamo le nostre suppliche, le richieste, e di nuovo la sferetta di luce viene attirata verso l’alto dove giunge alla gola, giunta alla gola di nuovo si fanno suppliche e richieste e quindi di nuovo la nostra attenzione è rivolta verso Buddha Amitabha che attira la coscienza nella forma della sferetta di luce, verso il capo e a questo punto troviamo la differenza, perché non pronunciamo la sillaba PHET. La sillaba PHET infatti si pronuncia quando staremo effettivamente praticando la trasferenza della coscienza e la visualizzazione sarà quella di uscire dal proprio corpo e di entrare nel cuore di Buddha Amitabha.
Durante il ritiro, quando pratichiamo per poter acquisire padronanza nella pratica, allora, quando arriviamo al chakra del capo pronunciamo la sillaba KHA e con questa sillaba visualizziamo di ridiscendere nel canale centrale e ritornare all’ombelico. Questo perché? Perché se facessimo tutto il processo della visualizzazione completa con la fuoriuscita della coscienza dal corpo, poiché questo effettivamente induce la separazione della coscienza dall’aggregato della forma, cioè del corpo, e ciò potrebbe creare dei problemi, provocare anche degli scompensi fisici e in qualche modo potrebbe essere una causa di riduzione della lunghezza della vita, è meglio che ci si fermi quando si è al chakra del capo e poi si ridiscenda per evitare simili problemi.
I miei consigli su come distribuire le varie sessioni per il ritiro sono i seguenti: se fate quattro sessioni quotidiane, dovreste utilizzare la sadhana in questo modo: la sessione del mattino cominciate con la presa del rifugio, la generazione della mente, la meditazione delle 4 incommensurabili, l’invito a Buddha Amitabha e arrivate al punto prima delle richieste, dove c’è l’offerta del mandala. Alla fine, inserite la recitazione del nome di Amitabha “Nel Buddha Amitabha, il completo distruttore del nemico, andato al di là, perfettamente e completamente illuminato, prendo rifugio e mi prostro” che bisogna recitare diecimila volte, e poi recitate il mantra OM AMITABHA HRI SOHA per centomila volte.
Per cui calcolate che avrete sette giorni, quattro sessioni al giorno o quante deciderete di farne e dovrete distribuire la recitazione in modo da esaurirla in sette giorni. Quindi, è qui che potete fermarvi a recitare il mantra e il nome, per una, due, tre ore, quello che volete, per poter finire in tempo.
Quando avete finito la recitazione passate alle richieste.
Poi, passate alla visualizzazione della trasferenza effettiva. Con la prima HIC dovete pensare che la sfera di luce sale al cuore, fate le richieste e con la recitazione di HIC la sfera di luce sale alla gola, fate nuovamente le richieste e recitate HIC e salite al capo. Da lì, con la sillaba KHA, la sferetta di luce scende. (Questa visualizzazione va fatta una sola volta per sessione)
Tenete presente però che prima dovete recitare il nome e il mantra.
Poi, potete passare alle preghiere conclusive.
Di solito, quando si fanno dei ritiri molto elaborati, c’è un modo di differenziare le sessioni, ma poiché questa è una sadhana molto facile sarebbe bene che ogni sessione la faceste tutta.
Ricordatevi anche che ieri vi ho detto di fare la purificazione dei tre canali. Questa purificazione non è presente nella sadhana. Essa viene eseguita attraverso la meditazione in nove cicli, in cui si visualizza il canale centrale e quelli laterali e in cui si purificano prima i canali laterali e poi quello centrale. Deve essere presente in ogni sessione, perché aiuta ad avere successo nella pratica, altrimenti non potete avere i risultati desiderati.
Quindi, dovreste arrivare fino all’offerta del mandala, poi recitare il nome e il mantra, dopo di che fare la recitazione di Vajrasattva per sette o ventuno volte, poi la pratica della respirazione in 9 cicli, le richieste, e quindi passare alla visualizzazione della trasferenza della coscienza effettiva. Tutto questo in ogni sessione.
D. L’ascesa del ti-gle verso i chakra superiori deve essere accompagnato anche dall’inspirazione e dall’espirazione?
R. In generale, durante la visualizzazione e cioè quando visualizziamo che Buddha Amitabha emana il raggio di luce rosso che aggancia la nostra coscienza nella forma della sferetta di luce, situata al chakra dell’ombelico, si dovrebbe meditare trattenendo il respiro, cioè si opera la meditazione del vaso e si trattiene il respiro. Durante la recitazione dei vari HIC, e soprattutto della visualizzazione del ti-gle bianco, cioè della goccia bianca, che ascende nel canale centrale, si dovrebbe cercare di mantenere la visualizzazione e trattenere il respiro. Quindi, la pratica dovrebbe essere compiuta con la meditazione del vaso e questo naturalmente per il periodo in cui il ti-gle bianco ascende dall’ombelico al cuore, dal cuore alla gola e dalla gola al capo. Naturalmente, questa è una pratica che all’inizio può risultare magari difficile però la meditazione e la visualizzazione diventano sempre più facili con l’esercizio.
D. Per una persona ordinaria che sta morendo si può trasmettere nell’orecchio questa pratica una volta ricevuta?
R. Il punto è che può essere di beneficio ma non è il fine di questa pratica. Il fine di questa pratica è quello di potersi addestrare per essere in grado, al momento della propria morte, di poterla eseguire. Quindi, non c’ è la possibilità di istruire improvvisamente una persona che sta morendo. Di sicuro ci sono delle cose che si possono dire e che sono di beneficio per la persona morente ma dargli in quel momento l’istruzione su cui meditare non è proprio il fine di questa pratica.
Ci sono altre cose che possono essere fatte per una persona che sta morendo, ci sono determinati testi e mantra da recitare ma non è il fine di questa pratica.
D. Durante la salita nel canale centrale si verificano particolari sensazioni fisiche e mentali? Se sì, quali sono quelle eventualmente non corrette, quelle che si devono abbandonare, come sensazioni di luce o di beatitudine o simili? Sono da tenere in considerazione o sono da evitare?
R. Le sensazioni piacevoli non sono da eliminare
D. Volevo sapere se quando il ti-gle, la goccia, torna all’ombelico si deve fermare in ogni chakra? La respirazione, durante la discesa, immagino che sia dopo il vaso, quindi espirando. E per quanto riguarda i mantra, Rinpoce ieri ha detto che c’era l’opzione tra dieci milioni e diecimila e centomila, io immagino di essere in grado di fare solo 10.000 del nome e 100.000 del mantra. Ci può dire Rinpoce come fare nel caso in cui abbiamo solo una settimana?
R. Quando scende, il ti-gle deve fermarsi in ciascun chakra, quindi dal capo si ferma alla gola, dalla gola si ferma al cuore, dal cuore si ferma all’ombelico. Per quanto riguarda il numero di mantra, potete recitare 10.000 del nome e 100.000 del mantra.
D. Quando bisogna recitare Vajrasattva? Ieri aveva detto alla fine delle due recitazioni di mantra; è così?
R. Sì, è così, prima recitate il nome, poi il mantra, poi Vajrasattva.
Questo mantra si può recitare come minimo sette o ventuno volte in ogni sessione.
Amitabha è sanscrito, in tibetano è O-Pag-Me, in italiano è Buddha della Luce infinita.
La recitazione del suo nome in tibetano è:
CHOM DEN DAY, DESCHIN SHEGPA, DRA CHOMPA ,YANG DAG PAR , DZOG PAY, SANG GYAY, O PAG ME, LA,CHATSALO, CIO DO CHIAB SU CIO (per diecimila volte). La traduzione in italiano è già stata data.
Quelle che seguono sono precisazioni date privatamente da Tulku Ghiatso in preparazione del ritiro:
Si offre una torma a Buddha Amitabha che può essere bianca se si mangiano cibi bianchi, o di colore rossa se si mangiano cibi come la carne ecc.
Sull’altare devono essere fatte quattro file di offerte, tutte iniziano da sinistra verso destra.
Durante il powa, immagina che la tua mente esce dalla cima del capo, mentre gli altri otto orifizi devono essere immaginati chiusi, con delle sillabe seme estremamente solide che li tappano. Le otto porte o orifizi sono: orecchie, narici, bocca, naso, i due orifizi inferiori e l’ombelico.
Resta aperta solo la nona porta, chiamata la “porta d’oro”, che è l’orifizio sulla cima del capo.
La vagina viene sigillata con la sillaba HA e PHE’
Il pene viene sigillato con la sillaba OM e PHE’.
Il primo giorno di ritiro si fa la pratica del Ghettor e la prima sessione serale, senza contare i mantra. Poiché la pratica fa parte del tantra padre, i mantra vanno recitati tenendo la mala al cuore con la mano destra.
Per fare la purificazione degli errori, alla fine del ritiro è bene fare la puja a Dorje Khadro.
La nostra attitudine autogratificante, questo egoismo pensa sempre e solo al proprio benessere, alla propria felicità, ai propri interessi e non ha la minima considerazione per gli altri, non il minimo interesse di prendersi cura degli altri o di pensare agli altri esseri viventi.
E questa attitudine autogratificante, questo egoismo, vuole sempre essere al centro dell’attenzione, 24 ore su 24, senza sosta, sempre sempre sempre. È proprio per questa ragione che, se anche qualcuno ci ama, qualcuno cerca di aiutarci, vuole farci del bene, si preoccupa di fare in modo che noi possiamo avere ciò di cui abbiamo più bisogno, alle volte siamo così concentrati su noi stessi e sul nostro egoismo che non siamo in grado di apprezzare quello che riceviamo dagli altri.
Anzi, ci sentiamo comunque danneggiati e pensiamo che “vabbè, sì, mi sta aiutando, però non sta facendo abbastanza, non è abbastanza quello che sta facendo per aiutarmi”… E quindi anche questo diventa causa di problemi. Tutto questo perché? Perché abbiamo questa considerazione univoca verso noi stessi come l’essere più importante, ed è questa forma di egoismo che ci impedisce di vedere, di avere un interesse per gli altri.
Ancora un esempio: nella nostra vita, quando non stiamo bene, possiamo pensare che mio fratello, qualche amico – sebbene abbiano magari i loro problemi, abbiano la loro famiglia e le loro cose da fare e, nonostante questo, riescano a trovare del tempo per venire da noi, per cercare di aiutarci in qualche modo. Se noi siamo completamente sopraffatti da questo sentimento egoista, da questa attitudine autogratificante, sembra quasi che loro non facciano abbastanza. Perché?
Perché vorremmo che queste persone stessero di più con noi, che ci dessero più attenzioni, che ci dessero più cura e così via. E si arriva al punto non solo di non apprezzare quello che si riceve, ma anche a dire addirittura: ah no, vuol dire non ti interessa come sto, vuol dire non mi ami abbastanza, che non mi vuoi abbastanza bene, non sei altruista.
Quindi, questa attitudine autogratificante, questo egoismo, anziché darci la possibilità di apprezzare quello che si riceve, ci rende ancora più infelici, perché ci impedisce di vedere veramente come gli altri, in realtà, ci stiano aiutando, dandoci il loro tempo, sacrificando anche i loro interessi.
Questa cosa dovremmo cercare di vederla non soltanto quando stiamo male, come in questo esempio, ma dobbiamo cercare di notarla nella nostra vita quotidiana, nelle nostre attività, nei nostri momenti della vita, quando effettivamente ci sentiamo insoddisfatti di quello che gli altri fanno per noi; quindi cercate di applicarla con i vostri esempi, gli esempi della vostra vita quotidiana.
Dall’altro lato, invece, se voi non avete egoismo, anche se qualcuno vi visita per un brevissimo tempo o viene soltanto una volta, non avendo egoismo riuscirete a riconoscere che hanno dedicato del tempo per venirvi a trovare e generate questo sentimento di apprezzamento per quel che ricevete da queste persone, e in questo modo sentirete una profonda gioia nel cuore e felicità, e anche se sono venuti soltanto una volta. Questo fa sì che non sarete insoddisfatti e, non avendo insoddisfazione, allora questo farà sì che non si creino dei sentimenti negativi nei confronti gli altri e non ci siano conflitti; questa diventa proprio la base per aumentare l’armonia.
Quindi, se non c’è egoismo nella mente, se non c’è questa attitudine autogratificante, anche se ci criticano o indicano i nostri errori o ci brontolano e così via, o sono in disaccordo con noi, non c’è assolutamente alcun problema, semplicemente vediamo e riconosciamo che questo è un loro modo di vedere le cose e che non ci disturba minimamente. La nostra mente rimane comunque tranquilla pensando che hanno delle opinioni diverse, senza nessun problema. Non ci si sente danneggiati e, in questo modo, non sentendoci danneggiati o disturbati da questo atteggiamento, allora non ci sarà sofferenza nella nostra mente, non soffriremo e, in questo modo, non soffrendo, non sentendoci disturbati dagli altri, non si genereranno sentimenti negativi nei confronti di quella persona e saremo in grado di lasciare andare, lasciare che loro abbiamo la loro visione, le loro opinioni, le loro idee senza esserne influenzati, senza esserne influenzati in un modo negativo. Mentre invece, se abbiamo questa mente egoista, questa attitudine autogratificante, ci sentiamo irritati, disturbati da quello che fanno gli altri e quindi la mente soffre e cominciamo a generare dei sentimenti negativi verso quella persona. Cominciamo a sentire questa irritazione; questa irritazione poi diventa avversione; poi l’avversione diventa odio e quindi si scatenano poi tutta una serie di azioni negative che non portano ad alcun beneficio, né a noi stessi né agli altri.
Quindi, quando abbiamo questa attitudine autogratificante, questo egoismo molto forte, se anche qualcuno ci dice delle cose carine, ci fa delle lodi e apprezzamenti, quando siamo completamente concentrati su noi stessi e siamo così egoisti, la mente viene ugualmente disturbata perché si pensa: “ah, sta dicendo queste cose carine per qualche scopo”, e non siamo in grado di apprezzarle, non ce le dicono abbastanza bene e quindi c’è questa mente che è sempre insoddisfatta. Finché si mantiene questa attitudine autogratificante non si riuscirà mai ad avere soddisfazione perché la mente egoista vuole sempre di più, sempre di più, sempre di più… però, è sempre, sempre insoddisfatta, ed è difficile, appunto, trovare la soddisfazione con una mente così sopraffatta dall’egoismo, dall’attitudine autogratificante.
Se non si ha egoismo, se non si ha questa attitudine autogratificante, quando qualcuno ci critica o se qualcuno dice cose cattive nei nostri confronti, possiamo ascoltare, sentire quello che ci viene detto, ma poi siamo anche in grado di lasciar andare, di non sentire nessun sentimento negativo nei confronti di quella persona, semplicemente restiamo completamente non disturbati da quello che sentiamo. Al contrario, se abbiamo la mente sopraffatta dall’egoismo, da questa attitudine autogratificante, questo non ci permette di lasciare andare, non si è in grado di lasciare andare. Anzi, quando noi sentiamo qualcuno che ci critica o ci dice delle cose negative, ci sentiamo veramente colpiti e ci teniamo stretta questa cosa, la teniamo stretta, ce la ricordiamo per un’ora, due ore, una giornata, giorni, mesi, delle volte addirittura degli anni, non siamo in grado di lasciarla andare e così continuiamo a soffrire per quella cosa che ci è stata detta una volta, continuiamo a soffrire per tutto il periodo che la tratteniamo dentro di noi senza lasciarla andare.
Quindi, possiamo dire che di base tutti quanti i problemi, le difficoltà, i conflitti sono tutti causati dall’egoismo, dall’attitudine autogratificante, sempre e sempre. Non c’è nessun altro colpevole per tutti quanti i nostri problemi: è l’egoismo. Se invece non si ha l’egoismo, è completamente l’opposto: possiamo vivere insieme, senza conflitti, possiamo vivere in pace e possiamo vivere in pace e tranquillità anche con persone che hanno visioni e opinioni diverse. Invece, se c’è l’egoismo, anche se abbiamo le stesse idee politiche, le stesse idee religiose, se seguiamo anche gli stessi maestri, allo stesso modo, dal momento che c’è un qualche egoismo, una qualche attitudine autogratificante, questo diventa la causa per i conflitti, per avere delle divisioni e, appunto, dei problemi. Non c’è la possibilità di vivere in pace e in armonia proprio a causa dell’egoismo!
Quindi, avendo compreso tutti quanti i danni che sono causati dall’egoismo, con questo tipo di comprensione, con questa realizzazione metteremo tutto il nostro impegno per cercare di diminuirlo, fino ad eliminarlo completamente.
Poi, il terzo punto è quello di pensare ai vantaggi dell’attitudine, del pensiero di essere di beneficio per gli altri, così come l’agire effettivamente per beneficiare gli altri. Questo è detto anche nei testi dei grandi santi del passato come Nagarjuna e Shantideva, i quali dicono che tutte le felicità, dalla più piccola felicità fino all’illuminazione, vengono dal pensiero di voler aiutare gli altri.
Inoltre, anche dal punto di vista del karma, possiamo vedere che tutte quante le rinascite fortunate, le rinascite superiori, nel samsara, nell’esistenza ciclica, si possono ottenere proprio sulla base della pratica di aiutare gli altri in molti modi diversi, vengono proprio da questa attitudine di far sì che gli altri non soffrano, che non ricevano del danno, né fisico né mentale.
Quindi, il cercare di non danneggiare né con il corpo, né con la parola, né con la mente è basato sulla compassione, su questo desiderio che gli altri non soffrano. In questo modo, si cerca di evitare di danneggiare gli altri, insieme al desiderio di aiutare, perché si pratica appunto la moralità. Il fatto di aver ottenuto questa rinascita umana è il risultato di aver praticato la moralità nei confronti degli altri esseri viventi, ovvero di aver generato l’intenzione di non danneggiare né con il corpo, né con la parola, né con la mente, bensì con il desiderio che siano liberi dalla sofferenza. E, ancora, si è praticata la generosità. Uno dei punti dei risultati di aver questa rinascita umana è perché si è praticata la generosità nelle vite passate e quindi abbiamo dato, abbiamo offerto delle cose, abbiamo praticato la carità proprio per alleviare la sofferenza degli altri esseri. Anche questa è basata sul sentimento di compassione, su questa attitudine di prendersi cura degli altri e non essere sopraffatti dal proprio egoismo. E, ancora, abbiamo la salute, abbiamo la possibilità di vivere in ambienti favorevoli, di poter praticare, siamo circondati da persone che sono gentili, che sono amorevoli, e questo è il risultato di aver praticato la pazienza nelle vite passate avendo avuto il pensiero di aiutare gli altri, proprio con questa attitudine di non voler danneggiare gli altri né con la parola, né col corpo, né con la mente. Praticamente tutte queste gioie, tutte queste bellezze, tutte queste cose favorevoli che noi stiamo sperimentando adesso, sono proprio il risultato della compassione, dell’attitudine che si prende cura degli altri, dell’intenzione di essere di beneficio per gli altri.
Quindi Chandrakirti, il grande maestro Chandrakirti – che era uno dei grandi maestri saggi pandita di Nalanda ed era uno studente, un discepolo di Nagarjuna – che ha composto il testo Madhyamakavatara, il supplemento dedicato alla via di mezzo, qua, in questo testo, dice che gli Arhat o Distruttori del nemico vengono dal Buddha, ovvero gli Arhat sono diventati tali seguendo gli insegnamenti del Buddha e hanno ottenuto lo stato di Arhat. Il Buddha viene dai Bodhisattva, ovvero prima di essere un Buddha era un Bodhisattva, ha praticato il sentiero del Bodhisattva. E il Bodhisattva da dove viene? Il Bodhisattva viene da bodhicitta. Bodhicitta che è la mente altruistica di ottenere l’illuminazione per il beneficio di tutti quanti gli esseri senzienti; quindi bodhicitta viene dalla compassione, compassione che poi viene unificata alla saggezza che realizza la natura ultima dei fenomeni. Questo mostra che tutti quanti i vari livelli di felicità spirituale, di felicità interiore, di gioia e gratitudine che aumentano, tutti questi derivano, appunto, dalla compassione, dalla bodhicitta e dalla saggezza che realizza la vacuità. Quindi anche tutte quante le felicità, le felicità ultime sono il risultato di una tale compassione, della bodhicitta e questo parte proprio dal prendersi cura degli altri, dall’abbandonare questa attitudine autogratificante e prendersi cura degli altri esseri viventi, dal pensare alla felicità degli altri. Così, anche lo stato di Arhat alla fine deriva dai Buddha, i quali derivano dai Bodhisattva; e tutti quanti i diversi livelli di felicità spirituali derivano proprio dal prendersi cura degli altri esseri senzienti.
Quindi, avendo contemplato e riconosciuto tutti questi vantaggi che derivano dal prendersi cura degli altri esseri viventi, dal volere la felicità degli altri esseri viventi, possiamo cercare di coltivare questo forte desiderio, questa forte determinazione e risoluzione di lavorare per ottenere questo, per realizzarlo dentro di noi, finché diventi un qualcosa di spontaneo dentro di noi.
Una delle cose che dice spesso Lama Zopa Rinpoce, è che il primo momento in cui si comincia a pensare agli altri, al loro benessere e alla loro felicità, in quel momento comincia a splendere la felicità e la gioia nel cuore.
Dal preciso momento in cui cominciate a pensare agli altri, proprio da quel momento cominciate a creare le cause per la vostra felicità, fino all’illuminazione. E così, avrete la felicità in tutta la vostra vita, avrete la felicità, la gioia, la pace, la tranquillità, la serenità e avrete una mente soddisfatta e sempre in pace; da quel preciso istante comincia questo tipo di felicità che diventa continuativa fino all’illuminazione, di vita in vita.
Adesso siamo arrivati al quarto punto: quello di scambiare se stessi con gli altri
Che cosa vuol dire questo? Che dopo aver contemplato i due punti precedenti, ovvero aver meditato sugli svantaggi dell’egoismo, dell’attitudine autogratificante, dopo aver contemplato e meditato, invece, sui vantaggi e i benefici che derivano dal prendersi cura degli altri, naturalmente sorge questo quarto punto, che è quello di scambiare se stessi con gli altri. Che cosa vuol dire? Bisogna cambiare la nostra attitudine mentale: anziché prendersi cura di se stessi, prendersi cura degli altri, ovvero cambiare la nostra attitudine mentale. Anziché avere noi stessi al centro dell’attenzione, avere gli altri al centro dell’attenzione. Questo è scambiare se stessi con gli altri.
E come dice Shantideva nel Bodhisattvacharyavatara, la “Guida allo stile di vita del Bodhisattva”, se uno non cambia questa attitudine mentale non c’è l’illuminazione, non ci sarà neanche la felicità nel samsara, non ci sarà la possibilità di avere gioia. Inoltre, non saremo in grado di ottenere l’illuminazione senza far sorgere questa attitudine di prendersi cura degli altri piuttosto che di noi stessi.
Al momento noi abbiamo l’attitudine che NOI siamo più importanti degli altri, e gli altri decisamente sono meno importanti di noi. E, appunto, sulla base di questo pensiero che noi siamo più importanti degli altri, ci dimentichiamo e non ci prendiamo cura degli altri esseri e pensiamo solo a noi.
Quindi, è importante cercare di cambiare questa attitudine mentale, riconoscere che, effettivamente, se noi cambiamo la nostra attitudine mentale e ci prendiamo cura degli altri, questo produce il considerare gli altri più importanti di noi. Inoltre, pensare agli altri, diventerà una causa per la nostra felicità, a livello immediato, e anche felicità per gli altri. Questo ridurrà l’infelicità e l’insoddisfazione per noi, mentre se invece continuiamo a prenderci cura soltanto di noi stessi, questo diventerà causa di infelicità per noi stessi e per gli altri. Quindi, riconoscendo questo, dobbiamo cercare di impegnarci, di sforzarci al massimo per cambiare questa attitudine e pensare al benessere degli altri, cioè cambiare l’attitudine mentale.
Per cambiare la nostra attitudine mentale, una delle tecniche o uno dei metodi da utilizzare per fare questo è la famosa pratica del tong len, ovvero del prendere e del dare.
Normalmente, non siamo molto preoccupati se gli altri soffrono, non ci tocca particolarmente se gli altri soffrono; oppure possiamo vedere che gli altri soffrono e ci dispiace un poco, ma cerchiamo assolutamente di evitare di soffrire noi stessi, cerchiamo di evitare qualsiasi tipo di sofferenza per noi stessi. Invece, con la pratica del tong len, non solo cerchiamo di sviluppare il coraggio di essere in grado di accettare i problemi e le sofferenze che noi stessi sperimentiamo nel corso della nostra vita, ma ci addestriamo anche a cambiare questa attitudine e quindi ad assumere su di noi anche le sofferenze degli altri, i problemi degli altri; quindi è un modo per togliere la sofferenza agli altri esseri viventi. Poi, ancora, cerchiamo sempre di ottenere la nostra felicità e quando abbiamo del benessere, degli agi, delle situazioni favorevoli, cerchiamo sempre di tenerli per noi stessi e siamo contenti di quello che stiamo sperimentando, della gioia, del benessere e facciamo fatica a condividerlo con gli altri. Invece qua, con la pratica del tong len, quello che si fa nel dare – per l’appunto questa pratica si chiama del prendere e dare – è proprio quello di condividere con gli altri il nostro benessere, le nostre virtù, la nostra felicità, tutte quante le cose positive che abbiamo, pensare di darle agli altri. Così, coltivando questa attitudine mentale di prendere la sofferenza e di dare tutto quanto il nostro benessere, tutte le virtù agli altri, in questo modo coltiviamo l’amorevole gentilezza e compassione dentro di noi, fino ad arrivare poi al massimo risultato che ci porterà all’illuminazione, alla compassione ultima, che è appunto quella dell’illuminazione. La pratica del tong len, o la pratica del prendere e dare è una pratica molto molto potente, ed è una pratica per coltivare, per sviluppare l’amorevole gentilezza e la compassione. Non solo: è una pratica molto potente perché ci aiuta a trasformare le difficoltà e i problemi che noi abbiamo nella nostra esistenza, nella nostra vita. Quelle cose che chiamiamo difficoltà, che noi incontriamo quotidianamente, possiamo trasformarle in qualche cosa di positivo, ovvero utilizziamo tutte queste difficoltà, tutti questi problemi nel sentiero per l’illuminazione, ovvero diventano un aiuto per praticare il sentiero verso l’illuminazione, cioè per ottenere l’illuminazione. Finché siamo nel samsara, la sofferenza è qualcosa di inevitabile, per cui se noi cerchiamo di lottare per evitare qualcosa che è inevitabile, soffriremo ancora di più.
Non c’è la possibilità di non soffrire. Perché non ci riusciamo?
Se qualcosa è inevitabile è impossibile evitarlo. Quindi, anziché cercare di evitare ciò che è inevitabile, impariamo ad abbracciare queste sofferenze, questi problemi, impariamo ad accettarli e abbracciarli, quindi utilizzarli proprio nel progresso del sentiero. Allora queste sofferenze, queste difficoltà, non saranno così insopportabili e diventeranno qualche cosa che ci farà sentire più leggeri dentro. Per l’appunto, il tong len è un metodo per abbracciare la sofferenza, per abbracciare i problemi, e questa sofferenza e questi problemi diminuiranno, sentiremo meno sofferenza nello sperimentare queste varie difficoltà che possiamo incontrare nella nostra esistenza.
La pratica del tong len è una pratica molto potente per guarire i nostri sentimenti negativi o le attitudini mentali negative che abbiamo nei confronti degli altri, le nostre visioni errate nei confronti di altre persone che possiamo considerare estremamente negative e con le quali abbiamo dei problemi di relazione. Se, invece, pratichiamo il tong len pensando ai problemi che ha quella persona, a tutte le difficoltà che ha quella persona e cominciamo a generare il desiderio che sia libera da queste sofferenze e così via, questo diventa veramente un modo per guarire dai sentimenti negativi che abbiamo nei confronti degli altri.
Questa pratica del tong len e una pratica molto molto potente che può aiutare a risolvere i problemi, ad ammorbidire e rendere meno tesa la mente. A questo proposito mi viene in mente una storia: ho un’amica a Santa Fe, nel New Mexico, che aveva dei momenti molto difficili con il marito e stava attraversando il divorzio. Avevano veramente molti problemi perché non andavano per niente d’accordo e c’era di mezzo anche il benessere dei loro figli. In quel periodo a Santa Fe erano arrivati i monaci per costruire un mandala e lei ha chiesto a un monaco, il più anziano del gruppo, se potesse suggerirle una pratica da fare proprio per poter affrontare più serenamente questo periodo. Questo monaco le ha consigliato di fare la pratica del tong len e lei ha cominciato: ha cominciato a praticare il tong len, ha cominciato a vedere i problemi del suo marito, a vederlo da un’altra prospettiva, ha continuato a meditare in questo modo e piano piano la sua mente si è addolcita si è calmata e, anziché vedere soltanto i suoi problemi, ha cominciato a vedere anche i problemi del marito e piano piano la loro comunicazione è migliorata, il modo di comunicare tra di loro è migliorato, fino al punto che adesso hanno una buona comunicazione, anche se non sono insieme. Sono comunque riusciti a costruire una relazione tale che i figli, anche nel crescere, non hanno sofferto di questa separazione, e questo grazie alla pratica del tong len che lei aveva fatto. Quindi lei ha parlato con me dicendo che si sentiva veramente molto grata per questa pratica e soprattutto al monaco che le aveva suggerito di impegnarsi in questa pratica di meditazione.
Naturalmente questa pratica è da fare, in modo particolare, quando abbiamo dei problemi, quando sperimentiamo delle difficoltà, quando sperimentiamo dei dolori, situazioni difficili, situazioni di rapporti con gli atri, problemi di relazioni.
In qualsiasi tipo di difficoltà o di problema che noi sperimentiamo nella nostra esistenza possiamo utilizzare questa pratica.
La prima parte di questa meditazione è proprio quella di pensare che, esattamente come noi, ci sono innumerevoli altre persone che stanno sperimentando esattamente le stesse difficoltà, gli stessi problemi che noi abbiamo, gli stessi dolori, le stesse sofferenze che noi stessi stiamo sperimentiamo.
Addirittura, possiamo pensare che non solo ci sono tantissime altre persone che stanno vivendo le stesse cose che noi stiamo sperimentando, ma anche che possono fare esperienze molto peggiori delle nostre: una malattia, un problema di relazione, una qualsiasi difficoltà.
Possiamo pensare: “esattamente come me, anche innumerevoli altre persone stanno sperimentando le stesse identiche cose o anche peggio“. Quindi, in questo modo, sviluppiamo questo sentimento di riconoscere, appunto, che anche gli altri stanno sperimentando questi dolori, queste sofferenze, queste difficoltà. In quel momento la mente si allenta, ovvero quando si comincia a pensare agli altri, e, su questa base, considerando tutte le persone che stanno sperimentando tutti questi dolori, generiamo infinita compassione pensando: possano essere liberi da tutti questi problemi e io stesso mi assumo la responsabilità di aiutarli.
Per cui, quando inspiriamo, prendiamo, inspiriamo dentro di noi tutti i problemi di tutte queste persone, pensiamo che queste vengono liberate, che tutti i problemi di relazione, malattie e altre cose vengono dentro di noi, nell’aspetto di una nuvola nera, la quale va a colpire quella che è la nostra attitudine autogratificante, il nostro egoismo – che possiamo visualizzare all’altezza del cuore, nel nostro petto, come una palla nera – e nel momento in cui tutti questi problemi, tutte queste difficoltà, tutte queste sofferenze vanno a colpire l’attitudine autogratificante, la disintegrano, la dissolvono, la fanno sciogliere completamente.
In questo modo cominciamo a sperimentare l’amorevole gentilezza, la compassione che ci pervade completamente. Quindi, sempre con il respiro – in fase di espirazione – pensiamo di dare a tutte queste persone che abbiamo visualizzato, che avevano questi problemi, tutte quante le nostre virtù, tutto il nostro benessere, tutti i nostri possedimenti, tutte le cause di felicità. E la compassione che abbiamo generato dentro di noi la diamo nell’aspetto di luce agli altri esseri viventi che, quando vengono toccati da questa luce, in quel momento sperimentano tutto quello che desiderano, sperimentano l’eliminazione di tutti quanti i problemi, fino allo stato dell’illuminazione. Questo è, appunto, il modo di praticare: prendere la sofferenza degli altri e darla all’attitudine autogratificante – che è la causa di tutti quanti i problemi – la quale viene disintegrata dai problemi stessi. Così possiamo sperimentare l’amorevole gentilezza, la compassione che possiamo dare agli altri. Questo è il modo di praticare il prendere e il dare.
Quindi, possiamo fare questa meditazione del prendere e del dare, questa meditazione del tong len non soltanto quando abbiamo delle malattie fisiche, o quando abbiamo dei problemi di relazione, o problemi che sperimentiamo quotidianamente, ma possiamo anche utilizzare questo tipo di meditazione quando abbiamo delle emozioni distruttive come, per esempio, la rabbia, il rancore, l’avversione. Sappiamo che queste sono molto negative e che causano dei danni incredibili dentro di noi, non ci sentiamo felici, siamo veramente scontenti e insoddisfatti. Quando abbiamo la consapevolezza che arrabbiarci è una cosa negativa e distruttiva per noi stessi, proprio per questo, quando succede che ci arrabbiamo ed esplodiamo – ed è una cosa che è successa e non possiamo fare assolutamente niente per tornare indietro, perché ormai è già successa – delle volte avviene che ci arrabbiamo ancora di più perché non siamo riusciti a non arrabbiarci e, quindi, non facciamo altro che aumentare e continuare a incrementare questa sofferenza che è causata dalla rabbia.
Quindi, a questo punto, dobbiamo cercare di vedere, di analizzare anche in questo caso che, esattamente come noi, anche innumerevoli altre persone stanno provando gli stessi tipi di esperienze. Cerchiamo di sentire il dolore che sperimentano gli altri a causa del rancore, a causa della rabbia e cerchiamo di sentirci vicini a questi, cerchiamo di sviluppare il desiderio di aiutarli a essere liberi da questa sofferenza. Quindi, il modo di meditare è proprio quello sentirsi vicini a queste persone che, esattamente come noi, hanno gli stessi tipi di sentimenti di rabbia, rancore o qualsiasi altra emozione distruttiva. Pensiamo che, mentre inspiriamo, prendiamo dentro di noi – proprio come un aspirapolvere che aspira tutto quanto – aspiriamo dalle altre persone tutti i problemi, tutte le sofferenze causate dalle emozioni distruttive (in particolare dalla rabbia) e immaginiamo che queste entrino dentro di noi come una nuvola nera, come un’energia nera che entra dentro di noi e va a colpire l’attitudine autogratificante, l’egoismo che abbiamo visualizzato all’altezza del cuore come una palla, un punto completamente nero. Quindi, quando questa energia nera va a colpire questa attitudine autogratificante, questa si scioglie completamente, si dissolve completamente e, piano piano, sperimentiamo l’amorevole gentilezza, la compassione che ci pervadono completamente. Quindi, con l’espirazione diamo agli altri tutte quante le nostre virtù, tutte quante le nostre qualità. In particolare, pensiamo di dare agli altri l’amorevole gentilezza, la calma, la tranquillità, la pace, l’amore, la compassione nell’aspetto di luce. In pratica emaniamo l’energia di guarigione per tutte queste attitudini ed emozioni distruttive. In questo modo, praticando in questo modo, piano piano riusciremo ad eliminare la nostra rabbia e anche essere in grado di aiutare gli altri.
Per avere successo in questa pratica, ovvero affinché sia efficace questa pratica, dobbiamo assolutamente praticarla tutti i giorni. La pratica diventa più forte, diventa più efficace se viene fatta quotidianamente. Se, invece, la facciamo soltanto quando abbiamo dei problemi, soltanto quando ci sono delle situazioni difficili, allora forse non sarà così efficace perché non abbiamo addestrato la nostra mente in questo processo. Invece, facendola quotidianamente, una vota che ci troviamo a dover affrontare un problema, a dover affrontare una situazione difficile, adottare questa pratica sarà di sicuro più efficace se abbiamo familiarità con questa pratica.
Allora, spesso il problema è che non sappiamo esattamente come cominciare.
Da dove cominciamo la pratica?
Il punto da dove cominciare è che possiamo iniziare a fare questa pratica dapprima con le persone con le quali è più facile praticare l’amorevole gentilezza e la compassione. Quindi, possiamo fare questa pratica con le persone che ci sono vicine, i nostri cari, i membri della nostra famiglia, i nostri amici. Pensiamo di alleviare la loro sofferenza e dare loro amore e compassione. Poi, una volta che ci siamo addestrati con le persone che sentiamo più vicine – che possono essere anche i nostri animali domestici o comunque degli esseri che sono vicini a noi –, poi possiamo fare questa pratica con le persone verso le quali non abbiamo particolare compassione, nel senso che non li conosciamo, persone che sono estranee verso cui non abbiamo né sentimenti di attrazione, né sentimenti di avversione, cioè le persone che ci sono indifferenti. Poi, dopo aver addestrato la mente con queste, cerchiamo di addestrare la nostra mente con le persone che consideriamo nostre nemiche, cerchiamo di addestrarci meditando su queste persone pensando ai loro problemi e così via. Dopo esserci addestrati con questi tre tipi di persone, piano piano possiamo allargare questa meditazione verso tutti quanti gli esseri viventi, tutti quanti gli esseri senzienti, così, in questo modo, piano piano riusciremo a pensare a tutti quanti gli esseri viventi dell’universo, dell’esistenza ciclica.
Quindi, per iniziare a meditare sulle varie sofferenze di tutti quanti gli esseri senzienti, si può cominciare a meditare pensando di fare questa pratica del tong len, cominciando a pensare agli esseri che stanno sperimentando le sofferenze più terribili, le sofferenze più atroci – come quelle degli inferni dei narak – e quindi pensare alle sofferenze di tutti quanti gli esseri senzienti che sono negli inferni. Poi, dopo aver meditato sul prendere le sofferenze degli esseri degli inferni, possiamo pensare alle sofferenze di tutti quanti gli esseri senzienti che sono rinati, come spiriti famelici, come preta. Poi ancora meditiamo sulle sofferenze di tutti quanti gli esseri senzienti che sono rinati come animali. Qui possiamo pensare a tutte le varie forme di sofferenza che sperimentano i vari animali, da quelli che vivono negli oceani a quelli che vivono sottoterra, sulla terra, nel cielo e così via. Poi, dopo, pensiamo a tutte quante le sofferenze che sperimentano gli esseri umani; e poi ancora le sofferenze che sperimentano i sura e gli asura. Così sono compresi tutti i sei reami dell’esistenza ciclica. Si comincia a fare questa pratica del prendere e dare, del tong len, cominciando con il prendere le sofferenze degli esseri senzienti che stanno sperimentando le sofferenze più atroci, più intense nell’esistenza ciclica partendo, appunto, dalle sofferenze che sperimentano gli esseri senzienti negli inferni.
Delle volte, per aiutarci nella nostra pratica, possiamo anche utilizzare delle immagini: per esempio possiamo vedere delle raffigurazioni degli inferni, oppure possiamo anche vedere delle foto, delle immagini che vengono mostrate in televisione o sui giornali, vediamo le immagini di bambini denutriti, vediamo le immagini degli immigrati, vediamo immagini di persone che sono nelle zone di guerra. Quando vediamo tutte queste immagini possiamo veramente generare amore e compassione nei confronti di queste persone che stanno sperimentando questi dolori. Queste diventano come un aiuto, un supporto per la nostra pratica, per generare, per coltivare l’amorevole gentilezza e la compassione perché, a volte, le immagini possono essere più efficaci, più forti per noi, per stimolarci proprio a sviluppare questi sentimenti di amorevole gentilezza nel nostro cuore.
E per far sì che questa pratica sia veramente efficace, è importante, quando la facciamo, essere assolutamente convinti, non aver alcun dubbio che effettivamente stiamo prendendo la sofferenza degli altri su di noi. Più noi siamo convinti, più abbiamo questa totale convinzione, più la pratica sarà veramente efficace. E quando noi facciamo questa pratica, se la vogliamo rendere ancora più profonda o la vogliamo fare ancora più estesa, possiamo pensare (quando prendiamo su di noi la sofferenza degli altri), di non prendere soltanto la sofferenza immediata che stanno sperimentando adesso, ma prendiamo su di noi anche tutte le potenzialità delle sofferenze che potrebbero sperimentare in futuro, tutte le potenzialità delle sofferenze e le cause delle sofferenze future, tutte quante le afflizioni che sono la causa della sofferenza e anche le impronte mentali negative che diventano, che causano sofferenza.
Poi, in termini di dare agli altri – non soltanto alleviamo la sofferenza immediata che stanno sperimentando – diamo loro esattamente tutto ciò che desiderano in quel momento, ovvero che si sentano bene. Inoltre, in quel momento, pensiamo anche di dare tutte quante le nostre virtù, tutte quante le nostre radici di virtù, diamo tutte quante le condizioni affinché possano praticare, affinché possano ottenere il nirvana e affinché possano ottenere, attraverso la pratica, l’illuminazione.
Domanda relativa all’auto flagellarsi, su questa tendenza, presente specialmente nella società occidentale, di sentirsi sempre in colpa, di non essere mai veramente soddisfatti di se stessi.
Questo sentimento di automortificarsi, o di sentirsi in colpa per le cose che succedono, è una cosa che si sente molto nella società occidentale. Probabilmente deriva proprio dal tipo di cultura che noi abbiamo. Un modo per contrapporsi a ciò è andare a meditare, contemplare quello di cui abbiamo parlato ieri, quello di cui abbiamo parlato oggi: pensare che la nostra natura ultima, la nostra natura fondamentale è amorevole gentilezza, è chiarezza. Quindi meditare, contemplare che questa è la nostra vera natura e che, praticamente, questa natura ultima di amorevole gentilezza e di chiarezza, questa natura di Buddha che noi abbiamo, è stata oscurata a livello culturale. Probabilmente, anche se uno non crede, anche se uno non è un praticante di qualche religione, comunque come retaggio culturale questo senso di colpa – che ci viene, forse, dal peccato originale, da tutte queste influenze che abbiamo ricevuto nell’educazione – anche se non si è praticato, in qualche modo ha contribuito, nella nostra cultura, a sviluppare questo sentimento di sentirsi in colpa, di mortificarsi, di non sentirsi abbastanza adeguati.
È quasi una colpa, invece, credere di avere delle qualità. La cosa importante è riconoscere la nostra natura fondamentale, la nostra natura fondamentale che è quella di amorevole gentilezza, riconoscerla, identificarsi con essa e farla manifesta nelle nostre attività e così via. Poi, in questa pratica del prendere su di noi la sofferenza degli altri, dobbiamo pensare che non è effettivamente contro di noi, ma che la indirizziamo contro l’egoismo, che è la causa dei problemi. Questo è veramente importante perché altrimenti possiamo pensare: ma come, sto già soffrendo e me ne prendo ancora? No, perché anche i problemi che stanno sperimentando gli altri esseri viventi sono a causa del loro egoismo; quindi, questa sofferenza la restituiamo all’egoismo.
Sono rimasto veramente molto scioccato, e anche sorpreso, da questo sentimento del senso di colpa che c’è in occidente, perché è una cosa che non riuscivo veramente a capire. Per farvi un esempio: una volta sono stato invitato a cena da un mio amico, però io in quel periodo non cenavo, era un periodo in cui avevo deciso di non cenare. Rientra nei voti monastici, per cui, per certi periodi, si segue questo voto di non cenare, non c’è assolutamente niente di strano. Io ho detto a quel mio amico: “ho veramente molto piacere di vederti, però io in questo periodo non ceno; ho piacere di vederti per cui vengo lo stesso a casa tua all’ora di cena, ma io non cenerò. Prendo qualcosa da bere, bevo qualche cosa insieme a voi mentre voi cenate, così stiamo insieme”. Veramente molto facile così. Dopo, questo mio amico mi ha detto che si è sentito tantissimo in colpa perché loro cenavano e io invece non ho mangiato nulla, ma ho bevuto soltanto. Lui non aveva fatto assolutamente niente di male, per quale motivo si è sentito in colpa?
Ne abbiamo anche ha parlato e quindi ho concluso che si è sentito in colpa per qualche cosa che non ha fatto assolutamente. Non ha fatto niente di male e si sente in colpa! Figuriamoci se uno fa qualcosa di male, anche poco: chissà come si sente in colpa! Per cui, lì ho capito veramente che è un qualcosa di integrato dentro la cultura e che non si può quasi separare, qualcosa che viene proprio dal tipo di educazione, di istruzione che noi riceviamo, che è proprio il nostro retaggio culturale che ci fa pensare in questo modo. Quindi, ho capito effettivamente che qua in Occidente c’è questa idea dell’essere in colpa anche per delle cose che non si sono fatte, per le quali non è successo nulla di male.
Perciò, come abbiamo detto, come enfatizzato in questo fine settimana, dobbiamo veramente avere questa consapevolezza che la nostra natura ultima è quella di amorevole gentilezza e di chiarezza. È chiaro che continuiamo a fare degli errori, non siamo ancora dei Buddha, ma è proprio per questo, proprio perché non siamo ancora dei Buddha che facciamo degli errori. Se fossimo già dei Buddha non faremo degli errori, per cui dobbiamo accettare quello che siamo, riconoscere che la nostra natura fondamentale è quella di amorevole gentilezza e che abbiamo la potenzialità di sviluppare tutte quante le qualità e di diventare dei Buddha.
Però, finché non saremo dei Buddha, continueremo a commettere degli errori.
Quindi, commettere errori è un qualcosa che noi dobbiamo accettare, perché fa parte della nostra natura. Finché non avremmo eliminato tutte quante le impronte mentali negative, continueremo a fare degli errori. Anche i Bodhisattva a livelli molto alti continuano a commettere errori, quindi è importante accettare quello che siamo, accettare la nostra condizione e quindi aspirare ad essere sempre più consapevoli della nostra natura di amorevole gentilezza e chiarezza cercando di svilupparla al massimo. Quindi, piano piano, saremo in grado anche noi di non fare errori, nel momento in cui saremo diventati dei Buddha.
Quindi, è veramente molto importante non prendersi le colpe, darsi addosso, mortificarsi e dire: è colpa mia, sempre IO IO IO. Se vogliamo incolpare qualcuno, dobbiamo incolpare la nostra attitudine autogratificante, incolpare il nostro egoismo. Fra tutte quante le varie emozioni che noi abbiamo, l’egoismo è soltanto una di quelle. Ma abbiamo tantissime altre emozioni che non sono emozioni distruttive, che sono emozioni sane come, appunto, l’amore, la compassione, la gentilezza, la pazienza e così via, e queste sono qualità che noi abbiamo, sono aspetti della nostra mente. Quindi, dobbiamo incolpare ciò che è la causa dei problemi, ovvero quelle che sono le emozioni distruttive, cioè che distruggono la nostra capacità di essere in contatto con gli aspetti positivi di noi stessi. Per cui non dobbiamo incolpare noi stessi per i nostri problemi, ma dobbiamo incolpare l’egoismo. Se dobbiamo incolpare qualcuno, non dobbiamo incolpare nessuno tranne quello che distrugge la nostra serenità.
Bisogna fare attenzione, a questo proposito, che quando si dice di prendersi cura degli altri e di considerare gli altri superiori a noi, o pensare che gli altri sono più importanti di noi, questo non vuol dire che dobbiamo sminuire noi stessi, che dobbiamo buttarci giù e quindi, sì, sminuire noi stessi. Noi dobbiamo avere una grande considerazioni di noi stessi, dobbiamo riconoscere le qualità e tutte quante le potenzialità che abbiamo e, allo stesso tempo, avendo una alta considerazione di noi stessi, pensare che anche gli altri sono importanti, ancora più di noi, perché sono molti di più. Se noi siamo importanti, altrettanto lo sono gli altri che sono ancora più numerosi di noi. Quindi, quando si dice di pensare agli altri come importanti, più importanti di noi, non è perché noi dobbiamo sminuirci, ma è proprio per cercare di considerare l’importanza degli altri in quanto essere tanti.
Domanda. Come fare, senza andare in affanno, visualizzare e inspirare, espirare e visualizzare?
Non è che noi dobbiamo inspirare e prendere tutto, e poi espirare e dare tutto. Il respiro è semplicemente uno strumento, e quando prendiamo ci focalizziamo di più sull’aspetto dell’inspirazione; inspiriamo, e poi quando espiriamo non diamo tanta importanza a quella parte di espirazione. Inspiriamo e pensiamo che prendiamo su di noi la sofferenza, quindi ci focalizziamo di più sull’aspetto del prendere.
Quando abbiamo effettivamente la convinzione che abbiamo preso tutte quante le sofferenze degli altri, le sentiamo, a quel punto le buttiamo contro l’egoismo, l’attitudine autogratificante. In quel momento, allora, possiamo pensare che si assorbono tutte le negatività nell’attitudine autogratificante e che la distruggono, che la sciolgono. Quando contempliamo su questa amorevole gentilezza, che finalmente può manifestarsi, e la sperimentiamo dentro di noi, a quel punto possiamo cominciare a focalizzarci, quando espiriamo, con il dare. Ma questo non vuol dire che smettiamo di inspirare, ma ci focalizziamo di più sull’aspetto dell’espirazione, cioè che con l’espirazione diamo.
Quindi il respiro è semplicemente uno strumento che ci aiuta nella visualizzazione, ma non è che dobbiamo fare tutto così in un colpo, altrimenti perdiamo lo scopo della meditazione.
Quindi, si può utilizzare il respiro con il prendere e il dare, ma non è che questa meditazione si deve fare soltanto con il respiro. Se uno vuole farla anche senza usare come strumento il respiro, lo può fare benissimo. Si utilizza il respiro perché è come uno strumento che ci può aiutare ad avere una maggiore sensazione di prendere, perché quando inspiriamo, l’inspirazione ci può dare un maggiore aiuto nel sentire che qualcosa entra dentro ed è un qualcosa per rafforzare la nostra meditazione. È proprio uno strumento di aiuto, di supporto, di sostegno alla nostra meditazione, così come quando noi espiriamo e possiamo pensare che noi stiamo espirando e stiamo dando agli altri l’energia positiva. È abbinata al respiro perché il respiro può essere uno strumento che noi possiamo utilizzare come sostegno nella nostra meditazione, per aiutarci a sentire meglio il prendere e il dare.
Quindi, meditando e sviluppando la consapevolezza della nostra natura di amorevole gentilezza, possiamo vedere che, effettivamente, anche se desideriamo tantissimo aiutare gli altri – vedendo loro sofferenza e così via – possiamo constatare che, effettivamente, nonostante abbiamo questo grande desiderio di aiutare gli altri, siamo molto limitati nel poter essere di aiuto agli altri in un modo efficace. Siamo molto limitati nell’aiutare gli altri, nelle nostre capacità, appunto, e siamo anche limitati nell’aiutare noi stessi a eliminare le sofferenze per ottenere ciò che desideriamo.
Contemplando questo, analizzando questo, possiamo effettivamente vedere che soltanto una volta che si ottiene lo stato di Buddha – cioè quando avremo la completa illuminazione – che allora potremo essere in grado di poter aiutare tutti quanti gli esseri senzienti in un modo efficace, in accordo alle varie predisposizioni di ogni essere vivente. E saremo anche in grado di aiutare senza alcun errore, utilizzando esattamente tutto ciò di cui hanno effettivamente bisogno per eliminare la sofferenza e le cause della sofferenza. Questa attitudine, questo desiderio di voler aiutare gli altri nel più breve tempo possibile ci stimola a generare, appunto, Bodhicitta che è l’attitudine o la mente altruistica dell’illuminazione, ovvero voler ottenere lo stato di Buddha nel più breve tempo possibile per poter essere di beneficio per tutti quanti gli esseri senzienti.
Praticando in un modo continuativo, l’amorevole gentilezza e così via, si arriverà a un punto in cui si avrà questa mente di amorevole gentilezza e compassione nei confronti degli altri. Questa sorgerà spontaneamente, senza sforzo; a quel punto si sarà ottenuta, si sarà realizzata la mente di Bodhicitta, avremo realizzato la mente di Bodhicitta e in quel momento entreremo nel sentiero del bodhisattva.
Questo insegnamento è stato conferito dal Ven. Tulku Ghiatso al Centro Terra di Unificazione Ewam di Firenze il 20 febbraio 2000.