Sua Santità Dilgo Khyentse Rinpoche: Un’indagine sulla mente

Sua Santità Dilgo Khyentse Rinpoche: Meditare sui Quattro Sigilli è come meditare sul significato di moltissimi sutra.

Dilgo Khyentse Rinpoche: Un’indagine sulla mente

Pubblichiamo qui per la prima volta questo commentario di uno dei più grandi maestri Tibetani del 20° secolo, Dilgo Khyentse Rinpoche, pubblicato in: The Collected Works of Dilgo Khyentse Rinpoche (Shambhala, 2010).

Il seguente insegnamento è una spiegazione del modo di esaminare la mente secondo un testo scritto da Lama Mipham, intitolato: “La Ruota dell’indagine e della meditazione che purifica totalmente l’attività mentale”.

Perché questo insegnamento è chiamato “la Ruota dell’indagine”?

Perché proprio come una ruota gira continuamente, così abbiamo bisogno di indagare costantemente la vera natura delle cose. Questa costante indagine eliminerà i pensieri illusori e ci porterà a una conoscenza della vera natura della mente. Come facciamo ad indagare la natura della mente e la radice dell’illusione samsarica? L’esatta radice dell’illusione è il pensiero “Io”, l’abitudine ad afferrarci alla nozione di un “sé”. Questo concetto è semplicemente dovuto ad una mancanza d’analisi.

Non c’è nessuna cosa come un sé autonomo veramente esistente. Noi costruiamo questo concetto nello stesso modo in cui costruiamo tutti gli altri pensieri. Quindi dopo aver costruito più volte questo sé, e aver utilizzata questa nostra invenzione, esso sembra esistere realmente come entità distinta. Una volta che questo pensiero si è profondamente radicato, pretendiamo che questo sé sia felice e soddisfatto, si goda ricchezza e piaceri. Se potesse essere al centro dell’universo sarebbe questa la cosa migliore. Questo atteggiamento è il reale fondamento del nostro vagare intorno al samsara. Noi associamo il sé con il nostro corpo, il nostro nome, la nostra mente. Se tuttavia lo esaminiamo attentamente la prima cosa che troviamo è che il sé è un prodotto della mente. Quindi vi prego esaminate questa mente che è responsabile di una così stretta identificazione con il sé. In breve, possiamo dire che la mente consiste dei pensieri del passato, del presente e del futuro. I nostri pensieri del passato sono paragonabili a un vaso andato in frantumi o a un cadavere; non è rimasto assolutamente nulla del vaso o di una persona un tempo vivente, se non la memoria. Ad esempio, prendi i pensieri che hai avuto sin dalla mattina. C’è una traccia di loro a cui puoi afferrarti o indicare? Non rimane nulla, ma puoi ricordarli. Che dire dei pensieri del presente? In questo momento, ad esempio, pensi di leggere le istruzioni del maestro e poni loro attenzione. Questo provoca una gran quantità di altri pensieri nella tua mente. Ma puoi indicare un posto preciso in cui si situano questi pensieri? Osserva se, nella tua esperienza, puoi trovare una ubicazione ai tuoi pensieri del presente. Osserva dapprima il corpo: si trovano nella tua testa, nel cervello, o nel torace? Sono sulla tua pelle, nelle ossa, nell’intestino, o in un’altra parte del corpo? Più osservi, meno sarai capace di trovare un’ubicazione ai tuoi pensieri del presente. Che dire della natura del pensiero stesso? Se la mente esistesse veramente, se fosse qualcosa che potessimo vedere o sentire, certamente saremo capaci di definirla in qualche modo. Ma non è questa la situazione. Esaminiamo un singolo pensiero che credi esista. Proprio ora, per esempio stai leggendo queste parole e ne comprendi il significato. Così c’è in definitiva una mente che è consapevole di qualcosa. Ma se questa mente esistesse avrebbe sicuramente alcune caratteristiche. Un oggetto lo osserviamo, ha un colore, una forma, una certa struttura. Ma la mente è gialla bianca o nera? È rotonda, oblunga od asimmetrica? Una persona alta ha una mente grande? Una persona piccola ha una mente piccola? La mente assomiglia ad un uccello, un gatto o ad altro animale selvatico? È diffusa come una nuvola? La mente ha nel tempo presente caratteristiche tangibili che potete definire? Quando conduci una tale indagine, non importa quanto a lungo lavori con questo, non sarai in grado di definire le caratteristiche della tua mente. Ora cerca di esaminare i tuoi pensieri futuri. Conosci quali pensieri passeranno per la mente da ora fino a domani? Non c’è modo per nessuno di anticipare i pensieri che ancora non sono sorti. Quindi, sia che consideriamo i pensieri del passato, del presente o del futuro, non c’è nulla che possiamo definire essere un’entità della mente. Se prendiamo cento grani e li infiliamo, noi chiamiamo questo “mala”, ma se improvvisamente rimuoviamo il filo, i grani si spargono e non c’è più la mala. Mala è semplicemente un nome, che attacchiamo ad una raccolta di oggetti probabili che rimangono connessi per un certo tempo. Allo stesso modo, i pensieri del passato, presente e futuro, appaiono essere legati insieme e noi chiamiamo questa apparenza la “mente”. Di fatto, non esiste una tale entità. I pensieri del passato non esistono più di tanto, mentre i pensieri del presente sembrano esistere ora. Come possono il non esistente e l’esistente riunirsi in un’entità? Esistenza e non esistenza non hanno nulla in comune. Immagina di tentare di usare un corno bovino, che è un oggetto reale insieme a un corno di coniglio che è irreale. Benché, il corno di coniglio abbia un tipo di esistenza immaginaria, è radicalmente differente per natura dal corno reale ed essi non possono essere contenuti in una singola entità. Lo stesso ragionamento si applica ai pensieri del futuro. Come possono il presente che si sta manifestando ora e il futuro che non è ancora sorto entrare in contatto l’uno con l’altro? Ora l’unica cosa che rimane è la mente presente. Vedete un po’ se ha un’esistenza tangibile. Certamente ha una sua presenza. Per esempio qualcuno giunge di mattina al monastero pensando ”Ci saranno insegnamenti questo pomeriggio e io aspetterò”. A causa di questo pensiero quando arriva il pomeriggio la persona riceve l’insegnamento. Quindi, nel momento in cui un pensiero sorge, esso ha il potere di farci agire. Sembra abbia una sua esistenza. Ma quale tipo di esistenza? La nostra credenza in un continuum mentale sorge dal fatto che non possiamo percepire istanti estremamente brevi di coscienza che si seguono in rapida successione. Se un ago viene spinto rapidamente e con forza contro un insieme di sessanta fogli ci sembra come se l’ago li bucasse tutti in una volta. In realtà, l’ago trapassa i fogli uno ad uno. Si dice che per il tempo di uno schiocco di dita almeno sessanta pensieri si formano nella tua mente. I processi della mente sono fondamentalmente composti di piccoli istanti di pensieri che sembrano essere continui, ma solo perché non vediamo i movimenti di questi pensieri istantanei. Se guardiamo la luna e pressiamo i nostri occhi con le dita noi vediamo due lune. Queste due lune sicuramente appaiono, ma esse non possiedono una vera esistenza. Allo stesso modo, tramite il potere dell’illusione, la mente appare in molti modi e noi erroneamente pensiamo a essa come ad un’entità. Tutti noi possiamo affermare che la mente si manifesta e allo stesso tempo è inafferrabile. Quando mangi un boccone di cibo delizioso la tua mente diventa felice. Se qualcuno viene e ti dà del ladro subito scatti in piedi. Quindi, da una parte la mente percepisce il mondo e vi reagisce. D’altra parte se osserviamo la mente non possiamo trovare nulla di tangibile. La mente è qualcosa che appare, tuttavia è priva di vera esistenza: si manifesta in una maniera illusoria. Lo stesso è vero riguardo i nostri concetti di sé e di corpo. La nostra nozione di corpo fisico come un’entità unificata non può reggere ad un’analisi dettagliata. Se tagliamo il corpo in pezzi e mettiamo la pelle da una parte, le ossa da un’altra, e gli organi da qualche altra parte, non lasceremo più nulla di quello che chiamavamo il corpo. Mettendo assieme dei pali di legno e dei pezzi di stoffa e sistemandoli in un certo modo, creiamo qualcosa che chiamiamo “tenda”. Se poi sottraiamo qualche palo di legno tutto quanto collasserà. Allo stesso modo il corpo è semplicemente un nome, una raccolta di cose che rimangono insieme per un certo periodo di tempo. Di fatto non c’è una cosa come il corpo, c’è solo un concetto. Possiamo inoltre fare questa indagine osservando attentamente parti separate: la pelle, le ossa, il sangue. Possiamo ridurle in parti sempre più fini, finché non rimane nulla che possa essere chiamato pelle o ossa. Similmente possiamo ostinarci ad analizzare ogni concetto finché ogni entità illusoria come il corpo si dissolve nel nulla. Nel momento presente, ci sono combinazioni di parti differenti del nostro corpo e mente e mentre viviamo queste parti rimangono insieme. Ma, anche se la mente è impossibile da localizzare negli occhi o nel cervello, essa possiede la facoltà di conoscere. Quando vediamo con i nostri occhi, gustiamo con la lingua e sentiamo con le mani, ciò è possibile unicamente per la profonda associazione tra corpo e mente. Inoltre la mente non è in alcun modo una parte integrale del corpo. Essa non risiede nel corpo e non possiede un’esistenza intrinseca. Al tempo della morte la coscienza entra nello stato intermedio (bardo) ed il corpo è lasciato dietro come cadavere. In quel momento il corpo non potrà vedere né sentire, né potrà reagire ad eventi con piacere o dispiacere. Una volta separati mente e corpo, non ci sarà più traccia delle facoltà mentali nel corpo. Inoltre identificandoci col nostro corpo o con la nostra mente, ci aggrappiamo fortemente al nostro nome, poiché associamo il nostro sé o ego con questo. E’ facile riconoscere che non c’è nulla che riporti a questo. Ad es., se chiamiamo qualcuno John, questo ha un forte effetto si di noi. Ma questo nome è semplicemente un assemblaggio di lettere. Se separiamo queste lettere: J.o.h.n – esse non evocheranno più il nostro nome e non ci identificheremo con esso o reagiremo ad esso. Abbiamo visto che le tre cose principali con cui noi identifichiamo il nostro sé o ego sono il nostro corpo, la nostra mente e il nostro nome. Ma nessuna di queste tre fornisce una base per la dimora di una entità ”sé”. Il sé o ego è un vago concetto. L’Identificazione con l’ego fa iniziare il processo dell’illusione e della sofferenza. Dal credere nell’esistenza del sé, passiamo al pensiero di “Io” “mio”, il mio corpo i miei vestiti, la mia casa, i miei familiari, i miei amici, i miei nemici. Creiamo una divisione fondamentale tra “Io“ ed il resto del mondo. Da questa divisione viene l’impulso di aggrapparsi a qualsiasi cosa sperimentiamo come piacevole o utile al sé. O, al contrario, sentiamo avversione verso qualsiasi cosa od essere che ci minacci o dispiaccia al sé. Tutti questi attaccamenti sorgono a causa dell’attaccamento all’”Io”. Così manteniamo un continuum di confusione ed ignoranza fondamentale. Pensiamo che ci sia un ego quando non vi è nulla, pensiamo ci sia un corpo quando non c’è nessuna entità “corpo”, di per sé esistente, e pensiamo al nostro nome come potesse avere una vera esistenza di suo quando non esiste una tale entità. Credere nella vera esistenza delle cose, che sono invece prive di realtà intrinseca, è la vera essenza dell’ignoranza.

Così questi tre processi – ignoranza, attaccamento ed avversione – sono i tre veleni radice responsabili dell’illusione e della sofferenza samsarica. Se esaminiamo queste cose da sole, la loro vera natura è semplicemente vuota di vera esistenza o d’esistenza intrinseca. Se esaminiamo queste cose in sé, la loro vera natura è semplicemente priva di vera esistenza. Ma dobbiamo sperimentare direttamente se questa è vera o no, e per questo bisogna esaminare al natura della propria mente, corpo e nome. Se tu realmente osservi e non riesci a trovare qualcosa, sei obbligato a riconoscere la natura vuota dei fenomeni. In tal modo tu definitivamente raggiungi una completa realizzazione della vacuità e puoi chiaramente comprendere come la radice del samsara ha preso piede. È molto importante praticare per intraprendere un’indagine di sé stessi.

Commentario ai Versi

NAMO, MANJUSHRI YE

Il testo comincia nel rendere omaggio a Manjushri, la manifestazione ultima della saggezza. Molti grandi maestri, compreso Jamyang Khyentse Wangpo e Lama Mipham, ebbero visioni di Manjushri.

Tutti i problemi esistenti nel mondo

Sono creati dai disturbi nella tua mente

Una attitudine errata è una causa per i kleshas,

Eppure la struttura dei tuoi pensieri può essere purificata.

Come abbiamo visto, la reale radice del samsara è il concetto di sé e la nostra abitudine ad afferrarci od identificarci con un ego. La principale base primaria per l’attaccamento alla nozione di sé è l’aggregato della forma: questo è il corpo. Quando questo corpo affronta varie esperienze e percepiamo alcune cose come piacevoli: inevitabilmente le desideriamo. Altre sono percepite come spiacevoli e vogliamo abbandonarle. Questo corrisponde al secondo aggregato, la sensazione. Il terzo aggregato è il discernimento o discriminazione. Cominciamo a discriminare tra ciò che è piacevole e ciò che è spiacevole. Il quarto aggregato è l’impulso. Una volta che abbiamo identificato qualcosa come piacevole sorge il desiderio per esso. Al tempo stesso, vogliamo abbandonare tutto ciò che è spiacevole e cerchiamo di farlo in vari modi. Ciò che realmente sperimentiamo, le risultanti sensazioni di soddisfazione o infelicità, è la coscienza, il quinto aggregato. La coscienza stessa ha cinque aspetti correlati al vedere, udire, gustare, toccare e coscienza mentale. Prima dei cinque aspetti e sempre sottostante, c’è una vaga consapevolezza di base che corrisponde ad una vaga percezione del mondo esterno e dell’esistenza, una consapevolezza che “c’è un mondo lì fuori”. È alla riunione di tutti i cinque aggregati che colleghiamo la nozione di un sé. Di conseguenza gli aggregati sono intimamente legati con la sofferenza. Tuttavia, quando cerchiamo di indagare questi differenti elementi uno alla volta non resistono all’analisi. Essi non hanno forma, colore, localizzazione. Non riusciamo a determinare dove sono, da dove provengono, dove vanno. In nessun caso costituiscono entità autonome. In realtà la nozione di sé che colleghiamo agli aggregati è una semplice costruzione mentale, una etichetta messa su qualcosa che non esiste. Persone che indossano lenti colorate o soffrono di un qualche difetto visivo, vedranno una conchiglia bianca come gialla, anche se non è stata mai qualcosa di simile a questo se non bianca. Allo stesso modo la nostra mente illusoria attribuisce realtà a qualcosa che è assolutamente inesistente. Questa è ciò che chiamiamo ignoranza, non riconoscendo la natura vuota dei fenomeni e dando per scontato che i fenomeni posseggono la qualità di vera esistenza anche se di fatto ne sono privi. Con l’ignoranza sorge attaccamento a tutto ciò che è piacevole per l’ego così come odio e la repulsione per ciò che è spiacevole. In tal modo i tre veleni – ignoranza, attaccamento ed avversione – vengono in essere. Sotto l’influenza dei tre veleni, la mente diventa come un servitore che corre qui e là. Così si costruisce la sofferenza nel samsara. Essa deriva tutta da una perdita di discernimento e distorsione percettiva della natura dei fenomeni. A causa di questa distorsione alcuni percepiscono il samsara come un luogo abbastanza felice. Non realizzano che è pervaso di sofferenza. Immaginano il corpo come un qualcosa di straordinariamente bello e desiderabile ma quando lo indagano non lo vedono come composto di sostanze contaminate. In questo modo errato di vedere le cose, scambiamo la sofferenza per felicità. E percepiamo il mondo impermanente come permanente. Siamo così vittime di concezioni errate: credere che i fenomeni siano puri sebbene siano solo sofferenza mal interpretata come felicità, considerare i fenomeni come permanenti sebbene siano transitori, immaginare ci sia un sé che dimori al loro centro quando non c’è nulla che può essere trovato. Queste concezioni sono la radice degli stati mentali dolorosi, i klesha. Per contrastarli dobbiamo stabilizzare la natura vuota delle otto consapevolezze, dei cinque aggregati, dei cinque elementi e di tutti i fenomeni, sì che possiamo percepire correttamente la loro vera natura che è priva di esistenza intrinseca. Ci sono modi differenti di pervenire a tale conclusione e sperimentarla direttamente. Possiamo intraprendere un intero corso di studi, riflessione e meditazione che ci fa sorgere una chiara conoscenza della verità relativa e assoluta. Oppure possiamo apprenderla direttamente attraverso una pratica contemplativa e riconoscere tramite la propria esperienza la natura simile al sogno dei fenomeni, che è la via degli yogi. Questi insegnamenti ci aiutano a progredire in entrambe le direzioni tramite una indagine logica della mente e tramite l’esperienza e 9 l’integrazione del risultato di questa indagine con la meditazione. Qui seguono tre sezioni: (1) come meditare, (2) la valutazione del progredire, (3) il significato della pratica. Come meditare

Per cominciare visualizza nello spazio sopra la tua testa il Buddha Shakyamuni che irradia luce infinita in tutte le direzioni. Quindi generiamo una forte e fervida devozione supplicando: Possa tu benedirmi sì che possa diventare capace di riconoscere la natura impura dei fenomeni ordinari che sono impregnati di sofferenza, impermanenza e privi di ogni genere di sé. Quindi visualizziamo raggi di differenti colori che si emanano dal Buddha benedicendo le nostre menti affinché una tale conoscenza possa sorgere nel nostro essere. Immaginate qualcuno che si agita nel suo intenso attaccamento. E consideratelo ora vividamente presente davanti a voi. Per la reale indagine selezioniamo l’oggetto per cui sentiamo un forte attaccamento, che può essere sia una persona sia un oggetto prezioso verso cui sentiamo un forte attaccamento. Separate questa persona nei cinque componenti skandha. E cominciate l’indagine del corpo fisico. Andiamo ad esaminare questo oggetto. Se cominciamo ad esaminare un corpo umano a cui noi siamo attaccati, comprendiamo che esso è fatto di cinque aggregati (skandha): forma, sensazione discernimento, impulso e coscienza. Il primo aggregato, l’aggregato della forma, è il fondamento degli altri quattro. Proprio come la terra è il terreno che supporta tutte le montagne, foreste e laghi su di essa. Ci sono diversi aspetti, riguardo l’aggregato della forma, ma ora indagheremo l’unico correlato al corpo umano. E’ perché ci aggrappiamo all’entità del corpo che perfino una puntura di minuscola spina ci rende sventurati. Quando c’è una tiepida luce solare lì fuori ci sentiamo confortati è il corpo è soddisfatto. Siamo costantemente preoccupati del benessere e del fascino del proprio corpo e lo trattiamo come la cosa più preziosa.

L’attaccamento al corpo è la ragione che ci fa fare esperienza di ciò che è piacevole e spiacevole. Per sradicare tale attaccamento dobbiamo esaminare ciò di cui è fatto il corpo. Immaginate come un chirurgo taglia un corpo aprendolo e separate tutti i suoi maggiori componenti: il sangue, i muscoli, le ossa, il grasso, i cinque principali organi interni, i quattro arti. Il corpo contiene anche vari fluidi e escrementi. All’interno del corpo si dice ci siano 84 mila differenti generi tra vermi, batteri e altre forme microscopiche di vita. Inoltre ci sono 84 mila peli sul corpo, 32 denti, unghie, piedi, e mani. Se consideriamo separatamente queste componenti nessuna singolarmente appare pura o incontaminata. Prese una per una queste componenti non sono propriamente attraenti. L’intero corpo e semplicemente una raccolta di parti ripugnanti, formate dai cinque elementi. La parte carnosa corrisponde all’elemento terra, il sangue e altri fluidi corrispondono all’elemento acqua, il respiro all’elemento aria, il calore del nostro corpo all’elemento fuoco, e gli spazi vuoti all’interno del corpo corrispondono all’elemento spazio. Una modalità fondamentale per ridurre o eliminare l’attaccamento al corpo è di esaminare le varie parti del corpo una alla volta. Se andiamo a prendere un pezzo di carne da un corpo e lo poniamo nelle mani di qualcuno la persona sentirà repulsione. Se guardiamo alla nostra pelle dall’esterno potrebbe essere attraente sia per il colore che per l’essere molto liscia. Ma quando la osserviamo dal punto di vista interno, i vasi sanguigni e il grasso attaccato ad essa non è molto attraente di per sé stessa. Se dividiamo la pelle in pezzi, fino a ridurla in minute cellule, molecole e atomi, a questo punto non c’è più nulla che può essere chiamato “pelle” che potrebbe costituire una entità indipendente. Perfino le particelle atomiche alla fine sono equivalenti all’energia e sono prive di esistenza intrinseca. Quando conduciamo un’indagine sul corpo umano, dove è finito l’oggetto del nostro attaccamento? Cosa ci è rimasto a cui attaccarci? Dovremmo mantenere una capacità di indagine sempre più minuziosa fino a raggiungere il punto dove non possiamo più trovare l’oggetto del nostro attaccamento. A quel punto l’attaccamento stesso si dissolve. Possiamo fare lo stesso tipo di indagine con le ossa e con il sangue. Ad ogni modo, man mano che andiamo più in profondità, il senso di attaccamento è obbligato a dissolversi. Allora realizzeremo che il corpo è fatto null’altro che di pensieri illusori messi assieme. Possiamo pensare che il corpo è molto bello e desiderabile, ma, se guardiamo ai suoi componenti, troviamo che non è niente altro che una raccolta di cose sgradevoli, una sorta di macchina ambulante. Allo stesso modo, se abbiamo a disposizione molte pietre possiamo costruire un muro solido. Ma, se togliamo le pietre una alla volta, perfino la denominazione “muro” può essere abbandonata. Talvolta appaiono delle bolle sulla superficie di una massa d’acqua. All’esterno appaiono simili a sfere con una qualche forma solida per il tempo che durano. Ma quando si rompono non rimane nulla. Similmente diamo per scontato che il corpo esiste quando in realtà, di per sé non esiste una cosa simile. Inevitabilmente giungiamo alla conclusione che il corpo non esiste veramente. In quel momento abbiamo riconosciuto la natura vuota del nostro corpo e della forma di tutte le apparenze. Quando giungiamo a questo stato di conoscenza semplicemente riposiamo per un certo tempo nell’equanimità di questo riconoscimento. Quando un pensiero sorge in questa condizione, ripetiamo la stessa indagine. Una volta che abbiamo compreso che questo corpo è vuoto di vera esistenza possiamo facilmente comprendere che lo stesso è con il nostro nome e con la mente fatta dei pensieri che attraversano la nostra coscienza. Nell’indagine della natura dei fenomeni ci sono Quattro Sigilli o punti principali che dovremmo comprendere: (1) tutte le cose sono composte, cioè sono una raccolta di più elementi invece di essere entità unitarie, (2) sono impermalenti, (3) sono associate a sofferenza, (4) sono prive di identità intrinseca. La natura composta dei fenomeni è spesso spiegata usando come esempio il tempo. Si può argomentare che poiché non può essere trovato un terreno comune tra i fenomeni del passato, del presente e del futuro essi non possono logicamente costituire un singolo fenomeno unitario.

Per esempio, come può esistere simultaneamente un pensiero del passato e del presente o perfino venire in contatto con tutti gli altri poiché i pensieri del passato non sono più presenti? Se il padre è deceduto come può lui avere un figlio? Similmente il momento presente non può avere alcun contatto reale col futuro nemmeno per un istante, altrimenti il presente diventerebbe il futuro o il futuro il presente. È come dire che un bambino che non è ancora nato è ora già qui. Lo stesso vale per i processi mentali. I nostri pensieri del passato sono come un cadavere e il pensiero del presente è come qualcosa che giunge ad esistere. Ma non può esserci nessun contatto tra qualcosa che è inesistente e qualcosa che intrinsecamente esiste. Inoltre non sappiamo quali pensieri avremo nei prossimi istanti. I pensieri del futuro non ancora sorti, perciò sono totalmente inesistenti. Il pensiero del presente possiede un qualche grado di realtà, sebbene non abbia esistenza intrinseca. In qualche modo appare ma non può avere alcun contatto con qualcosa che non è ancora nata. Così per l’impermanenza abbiamo il sentimento molto forte che il nostro corpo, la nostra mente, il nostro nome e il nostro ego siano tutti permanenti. Questo porta ad un forte attaccamento. Quindi è molto importante acquisire la certezza nel realizzare che tutti i fenomeni sono assolutamente transitori. È come quando un ladro è smascherato: tutti conoscono la sua identità, egli diventa completamente privo del suo potere di imbrogliare tutti, poiché tutti sono consapevoli della sua natura malefica. Il ladro non può più danneggiare nessuno. Allo stesso modo, se riconosciamo che tutto è impermanente – l’universo intero come pure i nostri pensieri – successivamente volgeremo le spalle agli oggetti del nostro attaccamento e abbracceremo il Dharma come la sola cosa che può realmente beneficiarci. Per ciò che riguarda la verità della sofferenza, dobbiamo riconoscere che la sofferenza è il fondamento di tutti i fenomeni appartenenti alla verità relativa. Tutto ciò che è collegato ai cinque aggregati è intimamente connesso con la sofferenza. Questo spiega perché l’attaccamento agli aggregati porta al sorgere dei cinque veleni mentali – odio, bramosia, illusione, orgoglio e gelosia – che in sé non fanno altro che causare sofferenza. Anche se possiamo godere di una qualche temporanea felicità nel samsara, una indagine accurata ci svela che abbiamo spesso raggiunto questa felicità a spese di altri o perfino danneggiandoli con la frode, appropriazione indebita e via dicendo. Nel comportarci così sebbene sperimentiamo una felicità transitoria, allo stesso tempo creiamo le cause per una miseria futura. È come mangiare una pianta che ha sapore gradevole ma è avvelenata. Possiamo gustarla per pochi istanti ma subito dopo moriremo.

È la stessa cosa per tutti i piaceri che sono legati ad azioni negative. Una volta compreso ciò, non trarremo più piacere dalla vita samsarica, e il nostro desiderio per essa si esaurirà completamente. L’ultimo dei quattro punti riguarda la conseguenza negativa dell’attaccamento al sé e la comprensione che i fenomeni sono privi di natura intrinseca. Questo ci porta a un forte desiderio di rinuncia ai nostri attaccamenti alle cose mondane, alla dipendenza dalle cause di sofferenza. Tutti i primi tre punti sono riconducibile all’attaccamento al sé, la principale causa di sofferenza nel samsara. Una volta che ci attacchiamo ai concetti di “Io” e “mio”, tutto ciò che sembra minacciare il sé – o una estensione di esso come amici e parenti – è identificato come un “nemico”. Questo porta alla bramosia, odio, e perdita di discernimento, le cause fondamentali del samsara. Come accade tutto ciò? Accade per i nostri processi mentali, la catena dei pensieri. Per esempio, un pensiero giunge alla vostra mente: “Lascerò il luogo di ritiro e andrò in città “ e voi lo seguirete. Andrete in città e compirete tutti i tipi di azioni che servono ad accumulare una gran quantità di karma. Se all’inizio il pensiero che vi passa per la mente è: “Non c’è alcun luogo in città dove andare” la sequenza dei pensieri si interromperà e tutti gli impulsi che seguiranno non accadranno mai.

La causa dell’illusione è la concatenazione dei pensieri: un pensiero guida gli altri e forma una ghirlanda di pensieri. Dobbiamo liberarci da questi processi automatici. Questo è il motivo di questi insegnamenti che sono come ruote girevoli di lucida indagine circa la natura del pensiero discorsivo e dell’ego. Dopo aver posto attenzione alle parole dell’insegnante dovremmo anche metterle in pratica e indagare a fondo sui nostri pensieri e i nostri aggregati psicofisici finché non otteniamo vera certezza circa la loro natura. Fino ad ora abbiamo avuto la forte convinzione che il sé esista come entità separata. Con l’aiuto di questi insegnamenti possiamo giungere a una forte e stabile convinzione che l’ego non abbia una vera esistenza. Ciò porterà ad una graduale scomparsa dei disturbi emotivi e dei pensieri, e successivamente ciò porterà a padroneggiare la mente. Nella condizione ordinaria quando sorge un pensiero di odio non abbiamo alcuna idea di come trattarlo. Noi lasciamo che i pensieri si accrescano e diventino sempre più forti. Questo potrebbe eventualmente portarci a impugnare un’arma e andare in guerra. Tutto è incominciato con un pensiero e nulla di più. Osserva la successione dei pensieri che portano a un’odio conclamato. I pensieri del passato sono morti e andati via. I pensieri del presente presto svaniranno. Non c’è nulla a cui attaccarsi in entrambi. Quindi, se esaminiamo i pensieri in profondità, non possiamo trovare nulla di veramente esistente in loro. Ad un’esame accurato essi si dissolvono come quando si dà fuoco ad un mucchio di erba. Nulla alla fine rimarrà. Realmente dobbiamo verificare che qualunque cosa ci passa per la mente non ha per nulla acquisito vera esistenza: i pensieri non sono mai nati, giammai dimorano come qualcosa di veramente esistente e non vanno in nessun posto quando scompaiono dalle nostre menti. Se non giungiamo ad una chiara comprensione di questo perché parliamo di cose come “la purezza primordiale della Grande Perfezione” o “la saggezza innata della Mahamudra”? Nessuna di queste ci aiuterà se continueremo a percepire i fenomeni illusoriamente come quando un occhio itterico vede una conchiglia bianca come gialla. Abbiamo parlato del modo principale con cui distorciamo la realtà assumendo che i fenomeni condizionati sono dotati di vera esistenza, che i fenomeni transitori sono permanenti, che il samsara è pieno zeppo di felicità nonostante la onnipervasività della sofferenza e che c’è una cosa come un sé indipendente veramente esistente. Ora dobbiamo sostituire queste percezioni distorte con un’accurata modalità di pensiero. Invece di essere convinti che c’è una entità “sé”, comprendiamo che il sé è un concetto vago. Dobbiamo abituarci a fare questo e imprimerlo nelle nostre menti. Per giungere a questo dobbiamo indagare con determinazione sulla non esistenza del sé fino a che non abbiamo contemplato ogni aspetto dell’analisi. Poi come chi ha finalmente completato un viaggio spossante dopo aver camminato in modo diligente per lunghi tratti possiamo completamente rilassarci nello stato naturalmente vuoto della mente. Senza considerare i pensieri, semplicemente riposiamo nell’equanimità per un certo tempo. Dopo aver recuperato la nostra forza mentale, i pensieri ritorneranno e invece di cadere sotto la loro influenza applicheremo nuovamente la stessa indagine rimanendo chiaramente consapevoli della non esistenza del sé. Questo porterà a una genuina e potente realizzazione dell’assenza di un sé veramente esistente. Ci sono due aspetti nella consapevolezza: il primo nel ricordare ciò che causa sofferenza e che va evitato e ciò che causa felicità e va realizzato, il secondo essere costantemente vigili in modo da non cadere sotto il potere dell’illusione. Se seguiamo meccanicamente il nostro pensiero vagante invece di ricordare di indagare sulla nostra mente, emozioni perturbatrici come la bramosia e l’odio si ergeranno fortemente. Ogni qualvolta assaltano la tua mente, dovresti reagire come se avessi visto assalirti un nemico: solleva l’arma della consapevolezza e ricomincia la tua indagine sulla mente. Semplicemente accendendo la luce puoi istantaneamente distruggere il buio. Similmente, anche una semplice analisi dell’attaccamento all’ego delle emozioni perturbatrici possono portarle al collasso. Reprimendole possiamo sottomettere temporaneamente le nostre emozioni perturbatrici ma solo un’indagine della loro vera natura le sradicherà completamente.

La misura del progresso.

Non appena realizziamo questo una grande felicità si assesterà nella mente. Non appena ci accorgiamo dei pensieri illusori che sorgono in relazione ai pensieri condizionati che generano la scottante irruenza del samsara, dobbiamo riconoscere l’insuperabile suprema natura incondizionata del nirvana che conferisce una protezione fresca e pacificatrice. Continuando la nostra analisi dovremmo verificare se la pratica è nata in noi, oppure no. Continuando a indagare ancora una volta giungeremo a una genuina conoscenza dei nostri aggregati, di come tutti i nostri aggregati e di come tutti i fenomeni siano formati da infinite cause e condizioni transitorie. Sono cose composte che se prese separatamente non c’è nulla che rimane come “corpo” o qualsiasi altra entità della cui esistenza siamo tanto convinti. Dovremmo comprendere senza ombra di dubbio che non esistono fenomeni permanenti, poiché ogni cosa muta di momento in momento. Dovremmo comprendere che tutti i fenomeni sono collegati alla sofferenza, e che tutte le modalità che presuppongono l’esistenza di un sé sono prive di base solida. In questo modo avremo completamente integrato questi Quattro Sigilli degli insegnamenti del Buddha nella nostra comprensione. Da quel momento in poi la nostra consapevolezza sorgerà naturalmente e non dovremo sforzarci nel mantenerla. Questa realizzazione è generata dal potere dell’acquisire fiducia nel fatto che i fenomeni sono privi di vera esistenza intrinseca. Un grande maestro una volta ha dichiarato che la solidità del mondo fenomenico collasserà perfino se uno semplicemente comincerà a dubitare che i fenomeni sono veramente esistenti e sono solo barlumi del fatto che la vacuità è la natura di tutti i fenomeni e delle apparenze. Quando cominciamo a vincere la lotta per liberarci dalla onde delle emozioni perturbatrici la mente diventa un lago calmo e vasto. Questo stato pacificato, la tranquillità naturale della mente, ci condurrà ad un profondo samadhi che rappresenta la pacificazione dei pensieri illusori e deliranti. Inoltre la nostra mente otterrà la naturale capacità di farci convergere con unico proposito su un oggetto di concentrazione. Questa conoscenza ci aprirà a una più profonda e vasta visione (vipashyana). Questa pacificazione della mente è l’essenza di tutti i veicoli, dal Veicolo Fondamentale al Grande Veicolo e al Veicolo Adamantino.

L’importanza della Pratica.

La terza parte espone l’importanza di impegnarsi nella pratica dell’indagine. Tutti i fenomeni sono il risultato dell’intreccio di cause e condizioni interdipendenti che sono prive di esistenza intrinseca, come cose viste in un sogno. Una volta compreso ciò diviene chiaro che da un tempo senza inizio tutti i fenomeni sono ”non ancora nati”. Devono ancora giungere a una vera esistenza. Dalla realizzazione che tutti i fenomeni sono privi di “sé” o una “identità” e che la loro natura è vacuità otteniamo la libertà dall’afferrarci ai concetti estremi di “esistenza” e “non-esistenza”. Se per esempio stiamo pensando che i fenomeni sono fatti di entità autonome dovremo comprendere che entità intrinsecamente distinte e veramente separate non possono mettersi in relazione l’un l’altra e queste non possono giungere insieme a formare un “corpo”. Se all’altro estremo crediamo che i fenomeni consistano di entità unitarie singole come un “corpo” allora non saremo capaci di distinguere tutte le parti costituenti, per esempio forma, sensazione volizione e altro – abbiamo ancora da fare. L’incontestabile conclusione è che i fenomeni non consistono né di parti autonome veramente separate né di entità singole. Realizzando questa libertà da tutti gli estremi concettuali, otteniamo la realizzazione del grande spazio dell’indivisibile equanimità. Questa conoscenza corrisponde al primo bhumi del Grande Veicolo che è la realizzazione definitiva della via del vedere. Non solo comprendiamo la natura assoluta della vacuità ma realizziamo la saggezza dello spazio assoluto della consapevolezza luminosa. Come è detto nella Prajnaparamita, la Perfezione trascendente della Saggezza: “La Mente. La Mente non esiste. La sua espressione è la luminosità.” “Mente” qui fa riferimento alla mente illusoria, “La Mente non esiste” fa riferimento alla comprensione della vacuità della vera esistenza e “La sua espressione è la luminosità” fa riferimento alla saggezza luminosa, aspetto della vacuità. L’aspetto luminoso o di saggezza è quello che è denominato l’essenza della buddhità o tathagatagharba, presente in tutti gli esseri viventi. Anche se non abbiamo una piena e definitiva conoscenza della vacuità come la ha un buddha l’avere un semplice barlume di essa porterà al collasso la percezione illusoria dei fenomeni. Inoltre una volta raggiunta una completa realizzazione della vacuità si manifesterà naturalmente una compassione omnipervasiva. Così non dimoreremo nell’estremo del samsara né nell’estremo del nirvana. Rapidamente raggiungiamo il livello della buddhità in cui tutto il karma accumulato nel passato – insieme agli stati mentali oscurati e dolorosi e le emozioni da esse causati – saranno purificati.

È una condizione dove non c’è nulla, se non una beatitudine assoluta e dove perfino la parola sofferenza non è mai stata udita. Questo è chiamato il Grande Stato Increato o il Grande Incomposto. Da ciò non si evince una condizione simile alla morte, alla fine o alla nullità. Essa è la natura primordiale di tutti i fenomeni che è incomposta. Con questa conoscenza della natura assoluta le qualità delle altre perfezioni trascendenti (paramita) raggiungeranno il loro apice. Tuttavia, questo è estremamente difficile da comprendere, poiché è il significato ultimo delle ottantaquattromila sezioni del Dharma, la quintessenza segreta di tutti gli insegnamenti, che è molto difficile da afferrare. Essa può essere chiamata grande beatitudine co-emergente o saggezza primordiale. Tutti i fenomeni del nirvana e del samsara prendono posto all’interno di questa condizione. Se seguiamo la struttura delle cinque vie come comprensione, la corrispondente via del vedere è raggiunta dopo aver viaggiato per un tempo piuttosto lungo sulla via dell’accumulazione e sulla via dell’integrazione. Tuttavia uno può anche raggiungere una tale conoscenza in modo diretto tramite le istruzioni quintessenziali di un autentico e realizzato maestro spirituale. Questa è la via delle istruzioni quintessenziali che porta in modo diretto alla vera natura secondo la tradizione della Grande Perfezione. Questo è il senso definitivo ultimo della profonda sezione dei tantra, la visione del Mantrayana Segreto. Essa è la via eccellente della indagine discriminante che distrugge tutte le forme di illusione. Tale indagine è il fondamento necessario a tutte le vie. Quando le confuse emozioni illusorie sono eliminate del tutto tramite il potere dell’indagine, giungiamo a una chiara certezza che gli aggregati dei fenomeni esterni sono completamente privi di esistenza vera. Il nostro afferrarci compulsivo ai tre reami del samsara scomparirà.

Le cinque vie: cinque stadi successivi nel sentiero verso l’illuminazione: la via dell’accumulazione, la via dell’integrazione, la via del vedere, la via della meditazione, la via al di là dell’apprendimento dottrinario. Avendo così meditato sulla vacuità di tutti i fenomeni e avendo analizzato tutti i loro aspetti, possiamo dimorare in una condizione di perfetta semplicità e pace, liberi dai concetti e dal pensiero discorsivo. Quando i pensieri sorgono applichiamo ancora una volta la stessa analisi. Nel fare ciò saremo capaci di rimanere in una pace e calma interiore priva di sforzo. Anche se abbiamo fatto sforzi sostenuti all’inizio, quando raggiungiamo la realizzazione della natura vuota di tutti i fenomeni, non avremo più bisogno di applicare alcuno sforzo per abbandonare le condizioni di oscurazione mentale. Né ci sarà più bisogno di applicare specifici antidoti per i vari disturbi emozionali. Tutto sarà naturale e libero dall’afferrarsi ad estremi concettuali, non più influenzato da attaccamento o repulsione. L’attaccamento è trasformato in amore incondizionato e compassione verso tutti gli esseri senzienti. Per chi ha realizzato la natura vuota sorge una compassione spontanea per tutti coloro che non hanno ancora realizzato questa natura vuota. Quando otteniamo un barlume di questa natura assoluta denominato “spazio assoluto” voleremo in questo spazio come un uccello si libra in volo senza sforzo nello spazio. Così passeremo per il samsara, il mondo dell’esistenza, senza paura o difficoltà. La compassione universale sorge quando gli attaccamenti ordinari scompaiono. Questo è l’attaccamento sublime, quello della compassione omnipervasiva per gli esseri senzienti che trascende l’attaccamento ordinario. Quando accade questo voliamo con facilità nello spazio assoluto completamente senza paura del samsara. Così raggiungiamo il livello supremo del bodhisattva, il livello sublime della bodhicitta assoluta. Ci sono due livelli di bodhicitta: il relativo e l’assoluto. Il relativo è la bodhicitta ordinaria diretta in particolare agli esseri, la bodhicitta assoluta è la realizzazione della natura assoluta dello spazio assoluto della vacuità. Come è menzionata chiaramente dal Buddha stesso in vari sutra la via preliminare della calma interiore e della visione profonda, shamatha e vipashyana. È l’ingresso principale non solo nel veicolo inferiore, ma in tutte le vie degli insegnamenti del Buddha inclusi il Mahayana e il Vajrayana.

È necessario per analizzare e purificare il flusso mentale. Più facciamo questa pratica più le emozioni perturbatrici si riducono, si riducono le tendenze abituali più diventa facile raggiungere la naturale serenità della mente. Oro molto puro si ottiene da processi di raffinazione fondendo e battendo al tempo stesso il metallo. La vera natura della mente è ottenuta quando discipliniamo la nostra mente e la indaghiamo minuziosamente e alla fine diventa libera dagli attaccamenti ordinari, pacificando i pensieri illusori. Possiamo offrire tutto ciò che è perfetto in questo universo – fiori profumi ed ogni oggetto gradevole ai tre Gioielli per un centinaio di anni. Ma tutti questi meriti sono nulla a confronto dei meriti acquisiti attraverso la conoscenza che tutti i fenomeni sono composti, che i fenomeni condizionati sono pervasi da sofferenza, impermanenza e sono privi di sé. Avere questi pensieri nella tua mente per il tempo di uno schiocco di dita genera meriti che sono incommensurabilmente più grandi delle immense offerte materiali continuativamente offerte nel periodo di cento anni. In essenza i quattro Sigilli degli insegnamenti Mahayana sono questi: – (1) tutti i fenomeni condizionati sono impermanenti, – (2) tutto quello che è macchiato da emozioni perturbatrici è pervaso dalla sofferenza, – (3) nel nirvana si trascende la sofferenza e – (4) i fenomeni sono privi di sé. Tutte le ottantaquattromila sezioni degli insegnamenti del Buddha sono contenute in questi quattro principi. Dalla conoscenza di questi quattro principi padroneggeremo facilmente e rapidamente i grandi tesori di saggezza, comprenderemo e realizzeremo i vasti e profondi aspetti degli insegnamenti. Ciò ci permetterà di meditare in maniera appropriata sui punti essenziali dell’intero insegnamento del Buddha. Meditare sui Quattro Sigilli è come meditare sul significato di moltissimi sutra.

Una Indagine sulla mente. Estratto da “The collected works of Dilgo Khyentse Rinpoche” Ed. Shambhala 2010 Scelto e tradotto da Raffaele Phuntsog Wangdu. Adattato da Italo Vannucci. (Tratto dal sito http://www.vajrayana.it/DILGO%20KHYENTSE%20-%20Ruota%20indagine%20e%20meditazione.pdf che devotamente ringraziamo per la sua compassionevole gentilezza verso tutti gli esseri che soffrono in questa dolorosa esistenza samsarica.)