Lama Tsongkhapa: Il calmo dimorare

Lama Tsongkhapa: Per mantenersi stabile sull’oggetto, la mente ha bisogno di due qualità: ma due fattori impediscono lo sviluppo di queste due qualità.

Lama Tsongkhapa: Il calmo dimorare

Il calmo dimorare consiste principalmente in una meditazione stabilizzante, in cui la mente viene tenuta su un singolo oggetto, diversa perciò dalla meditazione analitica, in cui argomenti come l’impermanenza o la vacuità vengono analizzati per mezzo del ragionamento. Dato che una mente dispersa nei suoi vari oggetti esterni è poco efficace, lo scopo di sviluppare il calmo dimorare è proprio quello di rendere la mente più efficace. Se non possedete quel tipo di concentrazione in cui la mente si trova in una condizione stabile, chiara e non vacillante, la saggezza non può conoscere il suo oggetto così com’è, nei suoi aspetti più sottili; perciò, è necessario avere una mente molto focalizzata. Inoltre, pur possedendo la capacità di concentrazione, questa non può far nulla contro quella concezione errata che vede gli oggetti esistere in sé e per sé. Da qui la necessità di unire la concentrazione con la saggezza che realizza la vacuità di esistenza intrinseca.

In generale, nel Veicolo del Mantra e in particolare nel Tantra Yoga, vengono descritte molte tecniche per facilitare l’ottenimento del calmo dimorare; considereremo prima le tecniche condivise da tutti i sistemi. La postura del corpo è importante. Sedete a gambe incrociate, la spina dorsale dritta come una freccia. Le spalle si trovano allo stesso livello e le mani nella posizione dell’equilibrio meditativo, quattro dita sotto l’ombelico, la mano destra distesa sulla mano sinistra e i pollici che si toccano, a formare un triangolo. Il collo, leggermente piegato verso il basso, come quello di un pavone, permetterà alla bocca e ai denti di stare in una posizione naturale, la punta della lingua tocca il palato, dietro i denti centrali. Gli occhi guardano leggermente verso il basso; non vi è necessità che siano rivolti verso la punta del naso; possono anche essere rivolti verso il pavimento davanti a voi, se vi viene più naturale. Non tenete gli occhi troppo aperti né costringeteli a stare chiusi; solo un po’ aperti. Anche se sono aperti, quando la vostra coscienza mentale sarà stabile sul suo oggetto, ciò che appare alla vostra coscienza visiva, non sarà di disturbo dato che non lo noterete. Va bene anche chiuderli ogni tanto, se vi viene naturale.

Per porre la mente sull’oggetto di osservazione in modo stabile, all’inizio è necessario usare un oggetto di osservazione adatto a contrastare la vostra emozione afflittiva dominante, dato che essa è fortemente radicata nella mente e potrà facilmente interrompere qualsiasi tentativo di concentrarla. Perciò il Buddha ha descritto diversi tipi di oggetti per purificare il comportamento:

Per coloro la cui emozione afflittiva dominante è il desiderio, la bruttezza costituirà un utile oggetto di meditazione. In questo caso, il termine “bruttezza”, non deve per forza riferirsi a qualcosa di deforme; la natura stessa del nostro corpo, composto di sangue, carne, ossa e così via, può apparentemente sembrare di bell’aspetto e di un bel colore, ma se lo investigate attentamente, vi accorgerete che la sua essenza è piuttosto diversa: vi sono sostanze come le ossa, il sangue, l’urina, le feci e così via.

Per coloro che si trovano spesso alle prese con l’odio, l’oggetto di meditazione è l’amore.

Per coloro che si trovano principalmente in uno stato di oscurazione, la meditazione adatta è quella sui dodici anelli di origine dipendente perché la contemplazione della loro complessità favorisce l’intelligenza.

Per coloro la cui emozione afflittiva dominante è l’orgoglio, la meditazione potrebbe essere quella sulle varie suddivisioni dei costituenti di base perché quando si medita su queste divisioni, si realizza che vi sono molte cose che ancora non sappiamo e ciò diminuisce un esagerato senso di sé.

Coloro che sono dominati dalla concettualizzazione possono osservare i movimenti di inspirazione ed espirazione del respiro perché legando la mente al respiro si diminuisce la discorsività interiore.

Un oggetto particolarmente d’aiuto per tutte le tipologie di persone è la figura del Buddha perché la concentrazione sul corpo del Buddha fa sì che la mente si unisca alle sue qualità virtuose. Qualunque sia l’oggetto, questa meditazione non ha a che fare con l’osservazione fatta con i propri occhi di un oggetto esterno, ma con il formare un’immagine di quell’oggetto che si manifesti alla nostra coscienza mentale.

Ad esempio, se dovete concentrarvi sul corpo di Buddha, avete prima bisogno di conoscerlo bene ascoltando una sua descrizione o guardando un’immagine o una statua, abituandovi ad essa in modo che possa apparire nella vostra mente in modo molto chiaro. Quindi immaginatelo a quattro piedi di distanza, all’altezza delle vostre sopracciglia, alto circa due pollici. Nella meditazione avrà un aspetto chiaro, la sua natura sarà quella di una luce brillante; questo aiuta a impedire il sorgere del torpore, una condizione della mente in cui il modo di apprendimento è fin troppo allentato, vago. È bene inoltre considerare il Buddha così visualizzato, come un corpo pesante; questo aiuta a prevenire l’eccitazione, una condizione della mente in cui il modo di apprendimento è fin troppo stretto e rigido. Inoltre, ridurre quanto più possibile le dimensioni dell’oggetto, vi aiuterà a ritirare la mente in sé, canalizzandola in modo efficace. Una volta che l’oggetto è stato determinato all’inizio della meditazione, non se ne deve mutare natura o dimensioni; deve rimanere così fissato per tutta la durata della generazione del calmo dimorare.

Per prima cosa, fate apparire l’oggetto alla vostra mente. Poi, tenetelo con consapevolezza, in modo da non perderlo. La consapevolezza fa parte della capacità di non dimenticare e fa sì che la mente non si rivolga ad altri oggetti; è ciò che mantiene la mente sul suo oggetto di osservazione senza che si distragga con qualcos’altro. Deve essere addestrata e rafforzata riportando ogni volta la mente sul proprio oggetto.

Oltre a mantenere visualizzato l’oggetto di osservazione con l’aiuto della consapevolezza, dovete controllare, come da dietro un angolo, che l’oggetto sia chiaro e stabile; la facoltà che sovrintende a questo tipo di controllo è chiamata introspezione. Anche quando venga raggiunto un livello di consapevolezza forte e stabile e sia generata l’introspezione, la funzione non ordinaria dell’introspezione è quella di indagare ulteriormente, di tanto in tanto, che la mente non cada sotto l’influenza dell’eccitazione o del torpore. Ciò è dovuto al fatto che per mantenersi stabile sull’oggetto, la mente ha bisogno di due qualità:

– Grande chiarezza, o nitidezza, sia dell’oggetto che della coscienza stessa.

– Stare univocamente, cioè esclusivamente, sull’oggetto di osservazione.

Due fattori impediscono lo sviluppo di queste due qualità: il torpore e l’eccitazione. Il torpore impedisce lo sviluppo della chiarezza e l’eccitazione impedisce quello stare in modo stabile con l’oggetto.

Ciò che interferisce con la stabilità dell’oggetto di osservazione ed è causa di precarietà è l’eccitazione, che comprende il disperdersi della mente su un oggetto diverso da quello di meditazione. Per fermarla, si ritira la propria mente fortemente al proprio interno in modo che l’intensità di apprensione dell’oggetto di distrazione inizia a diminuire. Se avete bisogno di una tecnica ulteriore per ritirare la mente, può essere d’aiuto abbandonare temporaneamente l’oggetto di meditazione e pensare a qualcosa di più austero, come l’imminenza della morte. Riflessioni come questa possono causare un apprendimento più intenso dell’oggetto, essendo ora la mente così ben stretta a qualcosa da abbassare o mollare la presa su qualcos’altro, in modo che sia più facile stare solo con l’oggetto di osservazione.

Non è sufficiente però avere la stabilità; occorre anche la chiarezza. Ciò che ostacola la chiarezza dell’immagine è il torpore, che si verifica quando la mente diventa troppo rilassata, lasca, perdendo di intensità e tensione, diventando troppo debole a causa di un eccesso di ritiro in sé stessa. Una sensazione di pesantezza del corpo e della mente può condurre ad un eccesso di rilassamento, che a sua volta può portare a un tipo di letargia in cui, perdendo l’oggetto di osservazione, si cade in una specie di oscurità; il che può portare anche ad addormentarsi. Quando ci si accorge che sta per accadere questo, è necessario rialzare, risollevare questo progressivo declinare della mente, rendendola più stretta e salda. Se avete bisogno di una tecnica ulteriore per raggiungere questo risultato, provate ad aumentare la brillantezza dell’oggetto di meditazione o, se nemmeno questo funziona, abbandonate temporaneamente l’oggetto di meditazione e pensate a qualcosa che vi rende felici, come la stupenda opportunità che una vita umana rappresenta per la pratica spirituale. Se non funziona, lasciate pure la meditazione e andate in un luogo montano, o da dove si può godere di un bel panorama. Tecniche come queste servono per rendere più acuta e potente la vostra mente indebolita.

Mentre si tiene l’oggetto di osservazione con consapevolezza, si controlla dunque, per mezzo dell’introspezione, di tanto in tanto, che la mente non stia per cadere sotto l’influenza del torpore o dell’eccitazione. Si deve riuscire a riconoscere, nella propria esperienza meditativa, quando la modalità di apprensione dell’oggetto è diventata troppo eccitata o troppo rilassata e determinare quindi la pratica migliore per placarla o aumentarla. Con il tempo, svilupperete il senso del corretto livello di tensione della mente, diventando parimenti capaci di accorgervi del sopraggiungere del torpore o dell’eccitazione ancor prima del loro sorgere e quindi impedendo il loro sorgere.

Praticando in questo modo, la mente, gradualmente, sviluppa una sempre maggiore chiarezza e una sempre maggiore stabilità. Ecco come viene descritta questa progressione:

  • I livelli di progresso chiamati “i nove tipi di calmo dimorare” (porre l’attenzione, porre l’attenzione con più continuità, porre l’attenzione in modo ripetuto, porre l’attenzione ravvicinata, disciplinare, pacificare, pacificare completamente, rendere univoca [l’attenzione], porsi in equilibrio [meditativo])

  • Le facoltà della mente chiamate “i sei poteri” (udire, pensare, consapevolezza, introspezione, sforzo, familiarizzarsi)

  • I modi di fissare mentalmente l’oggetto, chiamati “i quattro impegni” (con sforzo, con interruzione, impegno ininterrotto, impegno senza sforzo)

  • Le difficoltà chiamate “i cinque difetti” (pigrizia, dimenticare l’oggetto, non identificare il torpore e l’eccitazione, non applicare gli antidoti al torpore e all’eccitazione, applicare in eccesso gli antidoti al torpore e all’eccitazione)

  • I rimedi ai suddetti difetti chiamati “gli otto antidoti” (fede, aspirazione, sforzo e flessibilità, che sono gli antidoti alla pigrizia; consapevolezza, che è l’antidoto alla dimenticanza dell’oggetto; introspezione, che è l’antidoto alla non identificazione del torpore e dell’eccitazione; l’applicazione, che è l’antidoto al non applicare gli antidoti al torpore e all’eccitazione; desistere da un eccesso di applicazione degli antidoti).

Il primo calmo dimorare, “porre l’attenzione”, si ha quando, inizialmente, si ritira la mente in sé e la si pone sull’oggetto di osservazione, non lasciando che si disperda sugli oggetti esterni. Questo è un risultato del primo potere, cioè ascoltare le istruzioni su come porre la mente su un oggetto di osservazione. A questo stadio, la mente, per la maggior parte del tempo, non riesce a star ferma e i pensieri si succedono l’uno dopo l’altro come una cascata. A causa di ciò i pensieri vengono identificati e si arriva a chiedersi se le concettualizzazioni non stiano addirittura aumentando. In realtà, l’apparente cascata di pensieri è dovuta al fatto che ordinariamente non si fa caso né si identificano tutti questi pensieri, dato che la mente non è diretta verso l’interno, mentre adesso, con l’uso della consapevolezza, si nota tutto.

Coltivando gradualmente questa pratica, si riesce a creare un continuum rispetto all’oggetto. Tramite il secondo potere, il pensiero, si è capaci di mantenersi sull’oggetto con una certa continuità ed a quel punto accade il secondo calmo dimorare, chiamato “porre l’attenzione con più continuità”. A questo stadio, il pensiero è pacificato in certi momenti mentre in altri ricompare improvvisamente; c’è comunque questa sensazione che il processo di concettualizzazione si stia leggermente placando. Durante questi primi due stadi, i problemi maggiori fra i cinque difetti sono costituiti da pigrizia e dimenticanza [dell’oggetto], ma anche torpore ed eccitazione sono ancora abbondanti e difficilmente si riesce ad ottenere un buon continuum nella meditazione stabilizzante. Dal momento che ci si deve sforzare molto per costringere la mente a stare sul suo oggetto, ci troviamo all’interno del primo dei quattro impegni, o modi in cui la mente si fissa sull’oggetto, chiamato “impegno con sforzo”.

Gradualmente si riesce a riconoscere i pensieri distraenti tramite il terzo potere, la consapevolezza, e a ricondurre la mente al suo oggetto. Questo è il terzo calmo dimorare, chiamato “porre l’attenzione in modo ripetuto”. Quando il potere della consapevolezza è ormai maturo e niente vi distrae dall’oggetto di osservazione, vi trovate nel quarto calmo dimorare, chiamato “porre l’attenzione ravvicinata”.

Per mezzo del potere dell’introspezione – il quarto potere – si riconoscono i difetti della concettualizzazione e del disperdersi in emozioni afflittive, per cui la mente se ne libera. Si prova gioia per le buone qualità della meditazione stabilizzante e si ottiene il quinto calmo dimorare, chiamato “disciplinare”.

Poi, grazie al potere dell’introspezione, si riconoscono gli svantaggi della distrazione e così via, cessa ogni avversione o resistenza verso la meditazione stabilizzante e a quel punto sorge il sesto calmo dimorare, chiamato “pacificare”.

Tramite lo sforzo – il quinto potere – non appena desiderio, dispersione, torpore, letargia o cose simili si affacciano, anche in forma sottile, vengono subito abbandonati con un po’ di fatica. A questo punto siamo nel settimo calmo dimorare: il “pacificare completamente”. Dal terzo al settimo calmo dimorare, anche se una certa stabilità predomina nella meditazione stabilizzante, questa può essere ancora interrotta da torpore ed eccitazione; perciò quanto al modo di fissarsi sull’oggetto, si parla ancora di “impegno con interruzione”.

Quindi, con il potere dello sforzo e usando semplicemente consapevolezza e introspezione all’inizio della sessione meditativa, fattori disturbanti come torpore ed eccitazione non sono più in grado di interrompere la stabilizzazione meditativa, che perciò viene prodotta con continuità. A questo punto sorge l’ottavo calmo dimorare, chiamato “rendere univoca [l’attenzione]”. Dato che torpore ed eccitazione non sono più in grado di interrompere la meditazione, siete capaci di sostenere la meditazione stabilizzante per lunghi periodi, per cui ci troviamo in uno stato di “impegno ininterrotto”.

Tramite il sesto potere, una completa familiarizzazione, non è più necessario sforzarsi di aumentare la consapevolezza e l’introspezione, e la mente si impegna spontaneamente sull’oggetto di osservazione, perciò si parla di “impegno senza sforzo”. A questo punto si ottiene il nono calmo dimorare, chiamato “porsi in equilibrio [meditativo]”. Quando all’inizio della sessione ponete la mente sull’oggetto di osservazione, la stabilizzazione meditativa è sostenuta ininterrottamente per lunghi periodi esclusivamente da sé stessa, senza il bisogno di applicare il minimo sforzo.

Questo nono calmo dimorare, in cui la mente è completamente e naturalmente assorbita nella stabilizzazione meditativa, somiglia al calmo dimorare ma di fatto non lo è. Per mezzo del potere della stabilizzazione meditativa in cui la mente è mantenuta univocamente stabile sul suo oggetto di osservazione, si genera una certa flessibilità mentale, cioè uno stato di piena disponibilità della mente. Come segno esterno di questa flessibilità mentale, si avverte una sensazione di formicolìo sulla cima della testa. Questa piacevole sensazione è paragonata a quella di una mano calda che si posa su una testa ben rasata. Una volta generata questa flessibilità mentale, un vento piacevole, o energia circola all’interno del corpo, generando a sua volta una sensazione di flessibilità fisica, un senso di agio in tutto il corpo dovuto al potere della stabilizzazione meditativa.

La sensazione di beatitudine di questa flessibilità fisica induce la beatitudine della flessibilità mentale, ponendo in uno stato di beatitudine la mente stessa. All’inizio, questo stato di gioiosa beatitudine mentale è ancora fluttuante, ma gradualmente diventa più stabile; a questo punto si ottiene la flessibilità non più fluttuante. Ciò indica l’ottenimento della stabilizzazione meditativa pienamente qualificata del calmo dimorare.

Tratto da “The Great Exposition of Secret Mantra”, vol. 3, Tsongkhapa, Snow Lion, 2017.

Traduzione a cura di Francesco Cappellini

https://nalandaedizioni.it/2023/06/19/come-si-raggiunge-il-calmo-dimorare-prima-parte/https://nalandaedizioni.it/2023/06/21/come-si-raggiunge-il-calmo-dimorare-seconda-parte/