Kontrul Rimpoce: L’importanza del connubio fra i sutra e i tantra
Gli insegnamenti dei sutra e quelli dei tantra sono tra loro complemetari; è questo un concetto che è necessario comprendere bene per una buona pratica. Il Buddha ha proposto questi due insegnamenti proprio perché si completassero a vicenda.
Con gli insegnamenti dei sutra si raggiunge una giusta comprensione nel contesto della conoscenza trascendentale; con gli insegnamenti dei tantra si raggiunge una giusta comprensione nel contesto dei metodi.
Quello che conta è soprattutto il loro intreccio, che va salvaguardato in ogni caso.
Con gli insegnamenti dei sutra si può sviluppare la conoscenza della vera natura dei fenomeni e con gli insegnamenti dei tantra si possono sviluppare i mezzi abili, che permettono di conseguire le realizzazioni. Stiamo bene attenti a non separarli durante la nostra pratica!
Tantra e sutra hanno un rapporto diretto anche con i due tipi di conoscenza che sono propri di un Buddha:
– la conoscenza diretta e immediata della condizione essenziale di tutti i fenomeni;
– la capacità di percepire, con uguale immediatezza, l’essenza di tutti i fenomeni nella pluralità della manifestazione. La conoscenza della vera natura dei fenomeni è la conoscenza trascendente ottenuta con i sutra; la conoscenza della molteplicità della manifestazione e dei mezzi abili per aiutare tutti gli esseri si ottiene con i tantra; queste conoscenze costituiscono la cosidetta ‘onniscienza’.
Quando si parla di tantra, è facile incontrare qualche difficoltà, perché ci sono persone che considerano autentici insegnamenti del Buddha soltanto quelli dei sutra, come l’enunciazione delle quattro Nobili Verità a Benares, oppure della Prajnaparamita al Picco dell’Avvoltoio; mentre i tantra non deriverebbero dal Buddha, ma da posteriori tradizioni cino-tibetane. Si tratta di valutazioni prive di fondamento: sia i sutra che i tantra derivano entrambi dal Buddha ed esprimono i due aspetti della sua mente e della sua conoscenza. Se si riconosce la complemetarità che esiste tra i sutra ed i tantra, le discussioni sulla loro origine diventano inutili ed oziose.
La scelta giusta, che evita ogni errore, è quella di praticare questi due metodi congiuntamente. Una pratica dei tantra che non utilizzi la realizzazione della vacuità conseguita con i sutra, anche se non potrebbe considerarsi sbagliata, rischia di esporre il praticante a gravi deviazioni ed errori. Soltanto impegnandosi congiuntamente sia con i sutra che con i tantra si possono evitare queste due posizioni estreme: la convinzione che i fenomeni abbiano una esistenza reale, oppure la convinzione che i fenomeni siano privi di esistenza.
Il punto centrale degli insegnamenti dei sutra è che i fenomeni sono tutti privi di natura propria, sono vuoti, sono delle costruzioni mentali: bisogna comprendere bene qual’è l’origine dell’illusione, perché questa comprensione dell’origine genera una forza liberatrice.
Dal canto suo, la pratica dei tantra permette di scoprire le capacità illimitate di conoscenza della mente e ci insegna ad utilizzarle: è per questo che sono definiti insegnamenti che hanno per oggetto il frutto ultimo, di cui offrono una rappresentazione che diventa la base per avanzare nel Sentiero. Ripetiamo: la pratica giusta e più fertile è quella che utilizza la potenzialità di entrambi gli insegnamenti, sutra e tantra, perché possiamo cosi evitare le concezioni estremiste e trarre vantaggio dai rispettivi contributi di saggezza e di metodo.
Con una definizione molto sintetica, il vajrayana viene indicato come la via della trasformazione o trasmutazione, nel senso che la sua pratica insegna a trasformare le visioni impure delle nostre esperienze ordinarie in visioni pure. Non si tratta di respingere le visioni ordinarie, ma di trasformarle o trasmutarle e questo è il punto centrale del vajrayana. Facciamo un esempio: con pratiche di vario tipo, come la visualizzazione di un yidam (divinità di meditazione, figura simbolica di stati mentali, ndt), impariamo a trasformare le nostre esperienze ordinarie del mondo esterno – suoni, altri esseri, ecc. – e dei nostri soliti pensieri. Il mondo esterno è “meditato” come dimora della divinità, come il suo palazzo. Meditiamo, ad esempio, che il mondo esterno è l’autentico palazzo di Cenresi, anzi, è lo stesso Cenresi e che tutti gli esseri dell’Universo sono Cenresi e i suoni che udiamo sono il mantra di Cenresi e tutti i fenomeni che si manifestano alla nostra mente, ogni nostro pensiero, appartengono alla mente di Cenresi.
Ma nel realizzare questa trasformazione non bisogna separare i mezzi abili dalla conoscenza trascendente.
Per evitarlo, è necessario raggiungere una profonda comprensione di quello che il vajrayana definisce “il connubio della vacuità e della luminosità“. Mezzi abili e conoscenza trascendente corrispondono, rispettivamente, a livello tantrico, alla luminosità e alla vacuità: “luminosità-vuoto”. Si parla di luminosità-vuoto come si potrebbe parlare di sonorità-vuoto, di apparenza-vuoto, di felicità-vuoto. E necessario avere una concezione chiara sulla natura di queste esperienze e riconoscere che l’autentica comprensione-trasformazione si può ottenere nel vajrayana soltanto con la realizzazione di queste esperienze.
Altrimenti, se si fanno distinzioni, collocando la divinità da una parte e le apparenze da un’altra, diventa maldestro e molto difficoltoso far coincidere la percezione del mondo esterno con la dimora della divinità e gli esseri con la divinità stessa, avendo fatto di queste apparenze un’esperienza di esistenza reale.
È soltanto con l’esperienza della natura della mente come luminosità-vuoto, con questo intreccio di mezzi abili e di conoscenza trascendente che può realizzarsi una profonda trasformazione. Se invece, quando si pratica, il metodo viene separato dalla conoscenza, sorgeranno problemi di ogni genere.
Una comprensione errata di questi punti può portare a molte difficoltà. Se, per esempio, pensate che l’edificio in cui ora ci troviamo ha un’ esistenza propria; o, meglio, se vi fissate nell’esperienza di questo edificio come qualcosa che esiste e poi dite a voi stessi: “questo edificio è il paradiso della divinità”, non avrete raggiunto altro risultato che un’ulteriore idea ossessiva e di fatto sovrapponete questa idea a quella che avevate nell’esperienza ordinaria.
Analogamente, quando ci si visualizza come la divinità, con il corredo di quello che viene definito l’orgoglio divino, la fierezza adamantina, se si parte dall’idea che questa esperienza della divinità è realizzata in se stessi come esseri con un’esistenza intrinseca, sostanziale e la stessa divinità viene visualizzata in certe posture, con certi colori ed attributi, si va incontro a difficoltà di ogni genere. Questo orgoglio divino o, per esprimersi meglio, questa presenza della divinità in noi, è un mezzo per liberarci dalla identificazione con la nostra esistenza ordinaria: la presenza divina va meditata come un mezzo abile che alla visione ordinaria di noi stessi sostituisce la presenza della divinità. Si tratta di un’esperienza che non va vissuta grossolanamente, in modo ordinario, ma nella comprensione della luminosità-vuoto. Solo a queste condizioni la presenza del divino dentro di noi può rivelarsi in tutta la sua realtà ed autenticità.
Nella pratica del vajrayana un elemento essenziale è costituito dal lama, cioè dal rapporto di devozione che si ha nei confronti del lama-radice, da considerare come se fosse il Buddha autentico. Anche su questo punto possono sorgere del malintesi e si possono commettere errori nel caso in cui la visione del lama come Buddha si basasse su concezioni realistiche e venisse immaginato come il vero Buddha, con i suoi 32 attributi maggiori e gli 80 attributi minori, il suo corpo dorato e raggiante, ecc. Nulla di tutto questo.
Non si tratta di farsi assorbire da una particolare esperienza del lama come Buddha, ma invece di realizzare la presenza del lama come espressione della luminosità-vuoto, della sonorità-vuoto e della felicità-vuoto. Il corpo del lama va riconosciuto come unione di luminosità e vacuità; la parola del lama va riconosciuta e sperimentata come unione di suono e vacuità e la mente del lama come unione di felicità e vacuità. Riconoscere il proprio lama in questi termini e avere con lui tale relazione assicura la partecipazione all’influenza spirituale di tutti i Buddha del lignaggio e questa influenza è un fattore determinante per realizzarsi, per accedere alla liberazione. È questo il significato della affermazione secondo cui la giusta esperienza del lama e la giusta relazione con il lama sono la radice delle pratiche del vajrayana. L’approccio del vajrayana va inteso come un approccio in cui si utilizza congiuntamente da un lato compassione e amore e dall’altro lato conoscenza ed esperienza della vacuità.
Nella tradizione tibetana si parla di unione di compassione e vacuità; si può anche parlare di unione fra manifestazioni e vacuità, di esperienza in cui la forma è vuoto ed il vuoto è inerente ad ogni forma. Questo è il punto essenziale del vajrayana; ogni diversa concezione non ha nulla a che vedere con l’essenza del vajrayana.
Si distinguono nel vajrayana quattro classi di tantra, quattro metodi che il Buddha ha insegnato per corrispondere, ancora una volta, alle capacità di comprendere e alle attitudini delle diverse categorie di persone:
1. il tantra degli atti (Krya-tantra): è indicato per le persone che desiderano dedicarsi soprattutto alle pratiche rituali come le abluzioni, le purificazioni, ecc.;
2. il tantra dell’azione (Ciarya-tantra): è indicato per le persone che aspirano ad impegnarsi nelle attività esterne, ma contemporaneamente anche nell’assorbimento meditativo;
3. il tantra dell’unione (Yoga-tantra): è indicato per le persone poco interessate alle attività esterne e che intendono fare dell’esperienza interiore di meditazione il proprio impegno preminente;
4. il tantra dell’unione insuperabile (Anuttara-yoga-tantra): è indicato per le persone che intendono immergersi nell’esperienza non formale più impegnativa e più profonda.
In ogni classe di tantra, peraltro, è l’attitudine mentale del Risveglio, Bodhicitta, la condizione alla quale bisogna dare la massima importanza e che va coltivata più di qualsiasi altro impegno.
Domanda. Forse non ho compreso bene la classificazione delle quattro classi di tantra. Si può pensare che passando da una classe all’altra si realizzi una specie di progressiva interiorizzazione e che quindi con l’ultima classe, l’Anuttara-yoga-tantra, tutto l’impegno sia rivolto unicamente alle esperienze interiori, senza più nessuna azione verso I’ esterno?
Kontrul Rimpoce. Bisogna chiarire anzitutto che quando si pratica il Krya-tantra e le relative azioni rituali, cioè esterne (come le purificazioni, le abluzioni, ecc.). non si è impegnati esclusivamente in tali attività; c’è anche una pratica meditativa, ma con predominanza degli atti rituali. È un problema di accentuazione e di prevalenza verso un tipo od un altro di attività.
Domanda. Si può sostenere che nell’ Anuttara-yoga-tantra esiste solo l’attività interiore?
Kontrul Rimpoce. Nell’Anuttara non c’è più distinzione tra interiore ed esteriore; è un’esperienza di equanimità, con un sapore unico.
Domanda. La realizzazione definitiva (o frutto ultimo) quale considerazione ha nelle pratiche dei sutra e in quelle dei tantra? Qual’è la sua natura, ci sono differenze nei due casi?
Kontrul Rimpoce. I frutti sono identici sia nei sutra che nei tantra. Non è questione di proporsi frutti diversi e separati. Il frutto è l’unione del metodo con la saggezza, entrambi associati. Nel contesto dei sutra l’accento viene posto sulla realizzazione della vacuità, sulla assenza di natura propria nei fenomeni; questa è lesperienza prevalente, che, nel suo completarsi, realizza la vacuità. Giunti a questo livello, non si tratta di sovrapporvi il tantra, con la convinzione di giungere così a una specie di “supervacuità”. Nella vacuità sono compresi tanto il metodo che la conoscenza trascendente; essa contiene potenzialmente tutte le disponibilità di mezzi abili e di compassione. Nel contesto dei tantra l’accento è posto sui metodi, che possono globalmente definirsi come amore e compassione, ma queste pratiche portano anche all’esperienza della vacuità.
Alla fine del Sentiero si incontra tanto l’amore e la compassione che la saggezza: il frutto è il medesimo. La differenza tra le due vie riguarda una diversa accentuazione, la predominanza di un fattore su di un altro. Nei sutra si mette l’accento sulla conoscenza e la vacuità, nei tantra sui metodi e la compassione. Anche nella presentazione delle due pratiche ci sono delle differenze.
Domanda. Qual’è il significato di “luminosità-vuoto?” Sembra che in certe fasi sia necessario ricorrere all’intelligenza, in altre alle visioni, in altre ancora all’azione. Questi tre fattori sono tutti necessari?
Kontrul Rimpoce. Questi diversi fattori – visioni, azione e conoscenza – si manifestano sulla base della luminosità, che è il loro denominatore comune. Ma è necessario avere compreso bene che le visioni ordinarie, l’azione ordinaria e la conoscenza ordinaria non costituiscono l’unione di luminosità e vacuità.
Questo testo propone larga parte di un insegnamento dato al centro francese Karma Ling il 30 giugno 1987, tradotto dal tibetano in francese da Lama Denis Tendrup e pubblicato sul n. 9/90 della rivista “Dharma”.
(Trad. dal francese di Vincenzo Piga) (Tratto dal sito https://maitreya.it/wp-content/uploads/2020/02/Paramita-42.pdf per la sua compassionevole gentilezza verso tutti gli esseri che soffrono in questa dolorosa esistenza samsarica.)