Machig Labdrön e le fondamenta del Chöd

Machig Labdrön

Machig Labdrön

MACHIG LABDRÖN E LE FONDAMENTA DEL CHÖD

di JERÔME EDOU

Prefazione, Introduzione: La Seconda Diffusione del Buddhismo in Tibet, Machig Labdrön, La Tradizione del Chöd, Il Chöd Visto dall’Occidente.

Prefazione

Guardate nello specchio della vostra mente,

Mahamudra,

La misteriosa casa delle dakini.

  • Mahasiddha Tilopa

Tutto ebbe inizio in una fattoria delle Alpi dove stavo con un Lama tibetano che era arrivato da poco dall’India. Quella sera udii risuonare, dalla sua stanza, il lento ritmo di una melodia ossessiva che cantava con la sua ricca voce bassa, accompagnandosi con damaru e campana, e di tanto in tanto soffiando nel suo corno di osso di femore. Per tutta la notte rimasi ipnotizzata da questa toccante canzone, così diversa da qualsiasi altro canto rituale io avessi mai sentito prima di allora. Improvvisamente mi ritrovai immersa nello strano e sbalorditivo universo del Chöd, un mondo antico, talmente antico da essere sopravvissuto solo in qualche dimenticato e isolato borgo delle montagne tibetane. …

Da quella sera di più di cinquant’anni fa, non sono mai riuscita a liberarmi dal pensiero di Machig, la Tibetana dell’undicesimo secolo che fu la principale fonte di ispirazione della tradizione del Chöd. L’ho cercata sulle colline himalayane e nei monasteri del Ladakh e Dolpo. Ho seguito le sue tracce nella Tana della Tigre (Taktsang) in Bhutan e ho sentito la sua presenza nel suo primo luogo di ritiro della Montagna di Rame (Zangri), tra le monache di Shuksep, e nell’eremo di Dampa Sangyé ai piedi del Monte Everest. Ho letto gli echi del suo passaggio e della sua duratura influenza nei testi, sui muri e lungo i cammini dei pellegrinaggi. Sulle rive del Lago Namtso, per esempio, durante il mese più freddo dell’inverno tibetano, trovai un gruppo di nomadi che praticavano il Chöd di Machig in una grotta di Tashido, la Rocca della Buona Fortuna.

Vari Lama, dell’autentico lignaggio di trasmissione del Chöd mi hanno dato suggerimenti durante questa interminabile impresa (controllare), rendendo possibile, oggi, la presentazione di questa traduzione della più famosa biografia di Machig Labdrön (1055-1153) insieme ad un profilo della sua tradizione, il Chöd di Mahamudra. Questa traduzione e la maggior parte dei commentari provengono da due testi principali, il primo dei quali è conosciuto come Un’Esposizione della Trasformazione degli Aggregati in un’Offerta di Cibo, che Illumina il Significato del Chöd (d’ora in avanti Trasformare gli Aggregati1), i cui primi due capitoli comprendono La Meravigliosa Vita, generalmente considerata un’autobiografia di Machig. Questa versione corta della vita di Machig sembra provenire da una versione più estesa che ho usato come punto di riferimento, intitolata La Storia Concisa della Vita di Machig Labdrön, Derivata da un’Esposizione del Trasformare gli Aggregati in un’Offerta di Cibo (d’ora in poi, La Biografia Concisa2).

Infine, mentre viaggiavo nel Dolpo, pochi mesi prima di stampare questo libro, ho trovato a Lang Gonpa, vicino a Phyger, una terza versione dell’agiografia di Machig chiamata semplicemente Una Biografia di Machig, un manoscritto anonimo e mai pubblicato3 piuttosto (del tutto) diverso dalle altre due versioni che avevo usato come punti di riferimento.

La necessità di intraprendere (?) questa ricerca prima della scomparsa delle ultime testimonianze della tradizione (ancora) viva del Tibet ha conferito un senso di urgenza all’impresa. Il corpus del testo finora riunito è diventato molto pesante e il soggetto in sé è vasto, anche tenendo conto della perdita di numerose fonti di informazione dovute al ciclone del ventesimo secolo della devastazione culturale scatenatasi sul Tibet. Entro i limiti di questo studio certe scelte sono sembrate imperative. Alcuni aspetti sono stati ampliati, altri eliminati del tutto. L’essenza rimane un numero di estratti dalla disponibile ed attendibile letteratura tibetana, presentata alla luce di commentari autentici della tradizione orale.

Avendo avuto l’opportunità di vivere e studiare a diretto contatto con Lama tibetani, yoghini e studiosi eruditi, sono riuscita a rivolgere a loro le mie numerose domande. Qualcuno mi ha risposto, altri mi hanno solo sorriso. Dal Venerabile Tenga Rinpoche ho ricevuto la trasmissione del rito. Dal Venerabile Gendün Rinpoche e Kalu Rinpoche ho ottenuto l’iniziazione di Machig (l’ultimo, durante un’intervista privata, mi ha mostrato una reliquia del figlio di Machig che ha sempre portato con sé nel suo personale gau). Ho ricevuto le spiegazioni e i commentari sulla pratica, come la trasmissione della meditazione dal Venerabile Khenpo Tsultrim Gyamtso, yogi realizzato e incomparabile studioso che mi ha incoraggiato a intraprendere il presente lavoro, e la stesura si deve assolutamente alla sua ispirazione. Malgrado i rimanenti errori e imperfezioni, di cui sono solo io la responsabile, sinceramente spero che:

Proprio come il sole dell’alba sorge nel cielo della notte,

Questo insegnamento autentico il cui fine è tagliare i dèmoni

Possa fare in modo che la luce esploda in tutte le direzioni dello spazio.

PHAT!

J. E. , Bauddha, Katmandu, Giugno, 1995

Introduzione

Tutti i Dharma ebbero origine in India

E poi si diffusero in Tibet.

Solo l’insegnamento di Machig, nata in Tibet,

Fu introdotto più tardi in India e là praticato.

  • La Meravigliosa (Prodigiosa) Vita di Machig Labdrön

1 La Seconda Diffusione del Buddhismo in Tibet

Dopo che il dibattito di Samyé del 792-794 sancì la vittoria del Buddhismo indiano in Tibet, l’apostasia di Langdarma, l’ultimo re della dinastia tibetana, lasciò il Buddhismo istituzionale nel più totale caos, con i suoi monasteri distrutti o abbandonati e i monaci dispersi o costretti a sposarsi.

Dopo la morte di Langdarma, verso la fine del nono secolo, il regno si frantumò in una moltitudine di principati che si logoravano in scontri incessanti, mentre i preti Bönpo riguadagnavano il potere che sembrava essere sfuggito loro di mano.1

Circa un secolo dopo, il conflitto era giunto alla fine e il Tibet guardò all’India come a una sorgente da cui attingere elementi culturali e religiosi per il suo rinnovamento. I signori della guerra, che non erano riusciti ad imporre nessuna vittoria definitiva attraverso i mezzi militari, ora cercavano di basare il loro potere temporale unendosi al rinato potere delle autorità religiose, sostenendo attivamente le arti, la medicina e la traduzione di testi.

Questo rinascimento culturale e religioso, spesso citato come la seconda diffusione del Buddhismo in Tibet, costituisce uno dei più fertili periodi della sua storia. E’ abbastanza strano che questo rinascimento prima fece la sua comparsa nei regni periferici di Gugé e Purang a Ovest. I sovrani di questi regni lontani, tutti ferventi Buddhisti, invitavano alle loro corti Maestri indiani delle più importanti università monastiche dell’India. Atisha, il più famoso di tutti loro, arrivò in Tibet nel 1042, e, avendo viaggiato e insegnato moltissimo, passò di là nel 1054, proprio un anno precedente alla nascita di Machig.2

In uno sviluppo parallelo, anche numerosi Tibetani attraversarono l’Himalaya alla ricerca di insegnamenti rari e di testi nelle stesse università indiane e ai piedi dei mahasiddha.3 In questo modo apparve una nuova generazione di grandi traduttori tibetani, inclusi Rinchen Zangpo (958-1055), che era stato mandato in Kashmir dai re di Gugé; Drogmi (992-1072), il grande traduttore e Maestro della tradizione del “Sentiero e del suo Frutto” (lam ‘bras); e Marpa il Traduttore (1012-1096) che posò le basi per la scuola Kagyü.

Questi esseri eccezionali non esitavano a intraprendere il lungo viaggio verso le basse pianure dell’India, ad affrontare pericoli, malattie e difficoltà per riportare testi tantrici e insegnamenti prima sconosciuti che essi traducevano dal Sanscrito e trasmettevano con moderazione a discepoli scelti. Questo corpo di traduzioni conosciuto come “le nuove traduzioni” (gsar ma) finalmente diede luogo (brought about) alla nascita di nuove scuole accanto alla scuola basata sulle “antiche traduzioni” (rnying ma) dell’era reale.

Ai tempi della nascita di Machig, nel 1055, Milarepa aveva quindici anni. Le biografie sacre risalenti a questo periodo, per esempio quelle di Marpa, Milarepa e Machig, diedero l’impressione che il Buddhismo fosse già stato reinstaurato in Tibet, sebbene preti Bönpo bianchi e neri, stregoni, esorcisti e altri sciamani rimanessero potenti nella vita quotidiana dei Tibetani.4

In assenza di qualsiasi potere centrale politico o religioso, si svilupparono attorno a questi Maestri tibetani comunità informali con il supporto di famiglie facoltose. Alcune di queste comunità gradualmente diventarono istituzioni monastiche, per esempio Ratreng, fondata nel 1056, e il Collegio di Sakya, fondato nel 1073. Altre comunità conservavano il loro carattere informale producendo, alla fine, la tradizione tibetana dei “santi matti”, che discendevano direttamente dalla tradizione mahasiddha indiana. Questi yoghi erranti, che rimanevano fuori da qualsiasi schema tradizionale, rappresentano l’ideale tibetano buddhista della rinuncia e della realizzazione fino al giorno d’oggi. Quello era lo stile di vita di Milarepa e dei suoi discepoli, e anche della piccola comunità che si riuniva attorno a Machig Labdrön a Zangri, la Montagna di Rame.

2 Machig Labdrön

La maggior parte degli studiosi occidentali sembra aver confuso Machig Labdrön, la prima rivelatrice della tradizione del Chöd la cui biografia è presentata in questo volume, con la sua vicina contemporanea Machig Zhama (1062-1153), che era una discepola di Ma Lotsawa. Questo errore risale a George Roerich che, nella sua traduzione de Gli Annali Azzurri,5 identifica Machig Zhama con Machig Labdrön, sebbene la versione tibetana chiaramente operi una netta distinzione tra le due donne: le loro vite, gli insegnamenti ricevuti e i sentieri spirituali che seguirono furono del tutto diversi. Al di là dei nomi simili, esse avevano poco in comune tranne che entrambe incontrarono il pandita indiano Dampa Sangyé. Nella traduzione della vita di Machig presentata qui, è lui che una volta per tutte chiarisce, una volta per tutte, questo errore quando distingue Machig Zhama associata agli insegnamenti del Sentiero e i suoi Frutti, da Machig Labdrön, originaria di E’i Lab, che disciplinò gli esseri sulla base del sistema conosciuto come il Chöd di Mahamudra.

Cominciando dalla vita precedente in cui era una pandit indiana e continuando attraverso il suo incontro con Dampa Sangyé – egli stesso parte della tradizione mahasiddha indiana – Machig Labdrön compare proprio nel cuore della seconda diffusione degli insegnamenti dall’India al Tibet. Ma lei fu anche una donna tibetana, contemporanea dei fondatori dei lignaggi buddhisti in Tibet, che finalmente riuscì a diventare, come loro, la fondatrice di una nuova tradizione, il Chöd, e la fonte di molti lignaggi di trasmissione.

Nonostante il suo importante ruolo, la sua biografia è lungi dall’essere un lavoro storico nel senso moderno dell’espressione. Come la maggior parte delle biografie sacre tibetane, la vita di Machig ci introduce in un universo magico-spirituale in cui il prodigioso occupa il posto centrale e i fatti storici spesso fanno solo da sfondo. Dai dati biografici disponibili, Machig appare come una figura controversa. Varie fonti, sebbene non la biografia principale tradotta qui, riportano che Machig ruppe i suoi voti di monaca per sposare uno yogi indiano,6 e, ne conseguì che fu rinnegata dalla gente di Ü e Tsang e costretta a scappare dal Tibet Centrale. Poi, affinché il suo sistema di insegnamento fosse riconosciuto come autentico, dovette giustificarlo davanti a tre acarya indiani che rappresentavano l’autorità dei pandit di Bodhgaya. Durante il periodo in cui il Buddhismo dell’India veniva trasmesso in Tibet, questi pandit delle grandi università monastiche indiane (Nalanda, Vikramasila e Bodhgaya) erano i detentori indiscussi dell’ortodossia buddhista. E’ facile vedere come questa donna, proveniente da un paese barbaro, soggiogato da dèmoni, che effettuava cure miracolose e creava la sua dottrina esclusiva, dovesse disturbarli. Forse sentirono come loro dovere esaminare scrupolosamente le sue affermazioni.

Mentre numerose yoghini, come Yeshé Tsogal, Jomo Menmo, Jetsun Mingyur Paldrön e Shukseb Jetsun Rigdzin Chönyi Zangmo7 avevano lasciato la loro impronta nella storia religiosa tibetana, pare che la società tibetana, per non citare l’autorità religiosa, non fosse affatto pronta per concepire l’idea che una donna diventasse un’insegnante di Vajrayana, lasciasse sola una che viveva fuori dai circuiti di qualsiasi gerarchia religiosa e che da sola fondasse un nuovo sistema. Anche se Machig non riuscì a giustificare l’autenticità dei suoi insegnamenti davanti ai pandit indiani, con molta probabilità fu considerata una strega o, come la biografia ci narra con le parole degli Indiani, “un’emanazione di Mara o di qualche altro spirito malefico.” 8

Questo atteggiamento nei confronti delle donne è senza dubbio la ragione per cui molto poche donne furono ufficialmente riconosciute come Lama incarnati in Tibet, un atteggiamento che prevale a tutt’oggi. Persino la grande Jetsun Rigdzin Chönyi Zangmo (1852-1953), badessa del monastero femminile di Shukseb e una riconosciuta incarnazione di Machig Labdrön, come molte monache buddhiste (e le donne tibetane in generale) espresse il desiderio di rinascere in un corpo maschile. La sua attuale incarnazione è un uomo (nato nel 1953), che ha rinunciato alla vita religiosa per studiare nel Beijing. Mentre è comprensibile nel contesto di un Tibet fortemente patriarcale, è sorprendente notare come si sia diffuso questo atteggiamento. Dopotutto, la Venerabile Arya Tara – in più di un modo l’ideale femminile buddhista – si votò a raggiungere l’illuminazione nelle vesti di una donna:

Ci sono molti che desiderano ottenere l’illuminazione nella forma di uomini, e ce ne sono ben pochi che desiderano lavorare per il bene degli esseri senzienti in forma di donna. Per cui, possa io, in un corpo femminile, lavorare per il bene degli esseri finché il samsara non sarà svuotato.9

Poche hanno condiviso questa aspirazione e Machig è uno dei rari esempi di un uomo che sceglie la rinascita come donna per continuare un percorso spirituale, malgrado l’insistenza dell’Arya Tara:

In questa vita non c’è una distinzione tra “uomo” e “donna”,

né di “auto-identità”, una “persona” né altra percezione di tale,

per questo, l’attaccamento a idee di “maschio” e di “femmina è del tutto

inutile. I deboli di mente sono sempre delusi da ciò.10

L’eccezionale celebrazione di Machig, nella Fortezza Rossa della Montagna di Rame (Zangs ri mkhar dmar, oggi conosciuta come Zangs ri khang dmar) fece tacere, una volta per tutte, gli avversari che l’avevano denigrata. Nonostante tutte le controversie che l’avevano circondata fino a quel punto, Machig si impegnò, da allora in poi, fino alla sua morte, all’età di novantanove anni, nella vasta attività di diffondere il Chöd.

Così, fu in veste di donna che Machig entrò nell’esclusivo circolo dei fondatori di lignaggi autentici e riconosciuti – cosa più unica che rara nella storia delle religioni. Machig è donna e madre, ma è anche dakini e divinità riconosciuta legalmente come un’emanazione della “Grande Madre di Saggezza”, Yum Chenmo, così come Arya Tara, che le trasmise insegnamenti e iniziazioni.11 In questo modo ella diventa una donna uguale ai più grandi Maestri tibetani del suo tempo. Inoltre Machig impersona, nella immaginazione religiosa popolare, l’ideale femminile della realizzazione ultima e della saggezza primordiale.

  1. La Tradizione del Chöd

Sebbene il Chöd sia stato tacciato di sciamanismo originariamente, oggi è un fatto assodato che la tradizione del Chöd risale a fonti buddhiste indiane. Il Grande Poema di Aryadeva il Brahmino,12 per esempio, dimostra che verso il decimo secolo il Chöd esisteva come un sistema completo che combinava il punto di vista filosofico della Prajñaparamita con i metodi di meditazione specifica e istruzioni pratiche riguardanti la loro applicazione alle attività dei singoli.13

La tradizione del Chöd, secondo la visione dei Sutra, fu portata in Tibet dall’indiano Dampa, conosciuto anche come Pa Dampa Sangye, che lo trasmise a Kyotön Sönam Lama. Lui, a sua volta, lo passò a Machig Ladrön, insieme al sistema specifico di Dampa conosciuto come La Pacificazione del Dolore (zhi byed). Machig integrò questi insegnamenti e precetti con la sua esperienza meditativa nata dalla Prajñaparamita e con le istruzioni del Vajrayana direttamente rivelatesi a lei da Arya Tara. Combinando abilmente queste tre correnti, ella le riunì in una singola tecnica, chiamata da lei “Il Chöd di Mahamudra,”14 conosciuto anche come l’insegnamento “Con l’Oggetto di Recisione dei Dèmoni”15 e più avanti come “il Chöd Tibetano” (bod gcod). Come risposta ai bisogni specifici delle sue discepole, Machig Labdrön garantì diversi metodi meditativi che alla fine generarono lignaggi diversi. Così, si possono distinguere i lignaggi Sutra, i lignaggi Tantra, i lignaggi combinati Sutra e Tantra, e i lignaggi dei testi del Tesoro Ritrovato (gter ma).16

Nessuno può negare lo stato del Chöd come una tradizione indipendente; questo è chiaro sia nei termini dello sviluppo storico che del contenuto dottrinale. Tuttavia, l’esistenza di numerosi lignaggi di trasmissione suggerisce il fatto che il Chöd non fu mai una unica tradizione monolitica. Si dovrebbe veramente parlare di tradizioni e lignaggi del Chöd dato che esso non ha mai costituito una scuola. Matthew Kapstein delinea una distinzione tra scuole e lignaggi: “Per scuola, intendo un ordine religioso che è distinto dagli altri in virtù della sua indipendenza istituzionale; ovvero, il suo carattere unico è racchiuso esteriormente nella forma di una gerarchia e un’amministrazione indipendenti…”17. Invece, l’eredità spirituale di Machig e di Dampa fu preservata attraverso una trasmissione di insegnamenti di Maestro-discepolo incanalata attraverso lignaggi diversi, ognuno dei quali, nel corso del tempo, divenne gradatamente indipendente, anche se non nei termini di contenuto dottrinale.

Due punti dovrebbero venire considerati riguardo lo sviluppo storico del Chöd:

(1) la coesistenza di diverse interpretazioni, secondo il Sutra, il Tantra o il Tesoro Ritrovato, tutti indirizzati a diversi tipi di discepoli senza riferimento ad un corpus unico che avrebbe potuto chiamarsi “il Chöd,” che fu trasmesso lungo un lignaggio ininterrotto fino ai giorni nostri; e

(2) l’esempio dei primi rivelatori, Dampa Sangyé e Machig che preferirono lo stile di vita (spesso oltraggioso) laico di yogin itineranti a quello della comunità monastica. Avendo ricevuto da un Maestro qualificato le istruzioni sulla meditazione, il Chödpa si ritirava dal mondo per praticare in solitudine, spostandosi da un cimitero al successivo, sistemandosi in case “abitate” o deserte, spesso ispirati da incontri o circostanze casuali, ma sempre fuori dalla struttura istituzionale. Questo è come Patrul Rinpoché spiega “L’Accumulazione del Kusali, in una versione del Chöd derivata dalla tradizione del Tesoro Ritrovato:

La parola “kusali” significa mendicante. Per accumulare meriti e

Saggezza, gli yogi che avevano rinunciato alla vita ordinaria – eremiti che vivono

sui monti, per esempio – usano le visualizzazioni per fare

offerte del loro corpo, non avendo altro possedimento da offrire.18

Questo stile di vita non-convenzionale, ai margini della società, tenne i Chödpa lontani dalle ricche istituzioni monastiche. Il risultato fu che i testi originali del Chöd e i commentari, spesso copiati a mano, non ebbero mai una distribuzione vasta e molti sono andati persi per sempre.

Questa considerazione ci consente di valutare il ruolo dei monasteri nella codificazione e nella conservazione degli insegnamenti. La tradizione di Dampa Sangyé conosciuta come “La Pacificazione del Dolore” probabilmente si è estinta come un sistema separato perché rimase sempre fuori dalle istituzioni. La stessa sorte sarebbe toccata di sicuro agli insegnamenti di Milarepa se Gampopa – monaco lui stesso – non avesse stabilito le fondamenta istituzionali della scuola Kagyüpa per preservare la trasmissione distinta del famoso yogin. Anche se alcuni lignaggi del Chöd sono riusciti a sopravvivere al di fuori da qualsiasi istituzione – io ho incontrato personalmente certe trasmissioni di famiglia, in Tibet, che andavano indietro di parecchie generazioni – la maggioranza degli insegnamenti di Machig sono dipesi da una graduale integrazione nelle altre scuole per essere salvati.

  1. Il Chöd Visto dall’Occidente

E’ abbastanza strano che, in mezzo alla profusione di lavori di studiosi sul Buddhismo tibetano, non sia stato pubblicato anche un solo studio profondo dedicato alla tradizione della tradizione del Chöd, con l’eccezione di un eccellente articolo di Janet Gyatso.19 La maggioranza dei ricercatori occidentali si sono accontentati di resoconti approssimativi che spesso riducevano l’intero sistema all’offerta del corpo ai dèmoni, l’aspetto più spettacolare del rito. Considerate, per esempio, la seguente descrizione di Bleichsteiner del 1937:

Al suono di un tamburo fatto di crani umani e di una tromba ricavata da un femore, ci si dà alla danza e si invitano gli spiriti a venire e a festeggiare. La potenza della meditazione fa sorgere una dèa con una spada snudata; essa si slancia su chi offre il sacrificio, lo decapita e lo fa a pezzi; allora i dèmoni e le belve si gettano su questi avanzi palpitanti, divorandone la carne e bevendone il sangue…Però, malgrado questa affabulazione buddhista, qui si tratta di un sinistro mistero sinistro che risale ai tempi più primitivi.20

Presentato in questo modo, è facile capire perché il Chöd non abbia potuto essere preso seriamente dai primi testimoni occidentali, ancora totalmente immersi nel razionalismo del diciannovesimo secolo. Per loro, questo rito suggeriva pratiche cannibalesche che, insieme all’universo simbolico del Buddhismo tantrico e il suo uso di simbolismo sessuale, poteva solo venire respinto in nome della morale normativa dei tempi. Questo atteggiamento presentava l’ulteriore vantaggio di riconfermare l’Occidente con il suo senso di superiorità e di rinforzare la sua auto-giustificazione di civilizzatore universale di un mondo immerso nell’oscurantismo e nella superstizione.

Alexandra David-Neel, che incontrò adepti del Chöd nel corso delle sue peregrinazioni in Tibet, si dilunga sull’aspetto morboso di ciò che definisce un “agghiacciante mistero,” anche se parti della descrizione sono più vicine alla realtà:

Sebbene riti come il Chöd possano a volte apparire ridicoli o addirittura ripugnanti, secondo le nostre opinioni, il loro proposito è utile o nobile, come liberare dalla paura, risvegliare sentimenti di sconfinata compassione messa in pratica che conduce al completo distacco e, finalmente, all’illuminazione spirituale.21

Pur tenendo conto del lavoro pionieristico della David-Neel e riconoscendo la sua sincera attrazione per il Buddhismo tibetano “sul campo”, rimane ancora difficile distinguere tra le descrizioni della Parigina alla caccia di “mistici e maghi” e l’imparziale testimone che si basa su autentiche fonti.

Evans-Wentz fu il primo studioso occidentale a pubblicare, nel suo rinomato Tibetan Yoga and Secret Doctrines, la traduzione completa di un rituale Chöd, “La Risata delle Dakini” dalla tradizione del Tesoro Rivelato (Ritrovato?),22 un testo di sicuro studiato anche da Alexandra David-Neel durante il suo soggiorno in Tibet. Tuttavia, a causa del confuso commentario che tende a paragonare il Chöd ad un rito di esorcismo, quest’opera, considerata autorevole per così tanti anni, sembra abbia incoraggiato le più fantasiose interpretazioni, inclusa l’opinione che il Chöd abbia origine dal Bönpo e da riti sciamanici. Questa interpretazione fu sostenuta anche da Mircea Eliade che menziona il Chöd nel suo celebre studio sullo sciamanesimo, ma sfortunatamente deriva i suoi dati da Bleichsteiner.23 Secondo Eliade, questo rito, da un punto di vista strutturale, andrebbe definito come una “mistica rivalutazione degli stadi fondamentali di una iniziazione sciamanica”, nonostante il fatto che, secondo lui, l’elemento specifico dello sciamanesimo consista nella “estasi creata dall’elevazione al cielo dello sciamano e dalla sua discesa nell’oltretomba.” Bisognerebbe notare che nella tradizione del Chöd non c’è traccia né di trance né di estasi, né di quanto, nella terminologia sciamanica fa riferimento al “viaggio iniziatico”. D’altro canto, se invece la questione è di “rivalutazione”, questa può solo consistere in un contributo, nel senso che, nel contesto del Chöd, dovrebbe riferirsi alla dottrina Prajñaparamita. Come vedremo, la Prajñaparamita è la fonte concettuale da cui il sistema del Chöd si è sviluppato. Quanto ai metodi specifici del Chöd come l’offerta del proprio corpo, sembra derivata direttamente dalla tradizione del Bodhisattva, come descritto, per esempio, nelle storie Jataka.24

Questa interpretazione “sciamanizzante” è stata sposata, recentemente, da C. Van Tuyl nel suo articolo “Mi-la-ras-pa and the gCod Ritual,” che cerca di scoprire come la propria visualizzazione in forma di scheletro “probabilmente riflette una memoria tibetana del rituale sciamanico originale.” Purtroppo, l’autore non ha accesso ai testi tibetani e deve rifarsi a materiali basati su fonti dubbiose per sostenere un punto di vista che in sé non è molto chiaro:

Poi Milarepa procede in prosa per elencare ogni parte del corpo che egli dà da mangiare ai dèmoni. Questo elenco delle parti del corpo è una caratteristica del rituale dell’iniziazione sciamanica presso gli eschimesi e la sua comparsa nella relazione di Milarepa suggerisce che il mgur-‘bum (I Centomila Canti di Milarepa) conserva un’antichissima versione del ch’o.25

Il ragionamento è sufficientemente confuso per chiedersi se Van Tuyl sta cercando di dimostrare che le origini del Chöd vanno fatte risalire ai riti sciamanici, o vorrebbe che la “più antica versione del Chöd tiene nascosti i riti sciamanici di smembramento.

Inoltre, come detto sotto, nel capitolo sull’offerta del corpo, si dovrebbe distinguere tra il termine generico “chöd” che si riferisce alla recisione dell’ego e alle sue implicazioni sentimentali (e in questo senso sembrerebbe antico come il Buddhismo), e la dottrina del Chöd della recisione degli oggetti demoniaci” (bdud kyi gcod yul) di cui Machig era la fonte e l’ispirazione. La Storia Concisa della Vita insiste:

Sebbene numerosi Buddha e mahasiddha comparvero in questa

Terra il Tibet, prima di Machig non esisteva alcuna tradizione su come

Trasformare gli aggregati in un’offerta di cibo e così soddisfare (dèi e dèmoni) con carne e sangue.26

Qualsiasi cosa proponga l’interpretazione, la ricerca storica non può accettare questo tipo di interpretazione riduttiva, né sentirsi soddisfatta dei paragoni strutturali che, volenti o nolenti, ignorano il vero significato (del Chöd). Anche se certi elementi di esso presentano affinità lessicografiche con certi riti sciamanici, le ultime vengono considerate “forme erronee del Chöd (gcod log), semplici superstizioni (nel senso etimologico del termine) che Patrul Rinpoché descrive come segue:

Quello che i moderni praticanti del cosiddetto Chö intendono, con quella parola, è un raccapricciante processo di distruzione degli spiriti maligni squarciandoli, facendoli a pezzi, cacciandoli e uccidendoli. La loro idea di Chö implica quella di essere sempre pieni di collera. La loro spavalderia non è altro che odio e orgoglio. Essi immaginano di dover comportarsi come gli scagnozzi del Signore della Morte. Per esempio, quando praticano il Chö per una persona malata, si scatenano in una esibizione di rabbia, fissando con occhi sgranati pieni di odio, stringendo i pugni, mordendo il labbro inferiore, menando colpi e afferrando il malato con tanta violenza che gli strappano i vestiti. Essi definiscono tutto ciò con ‘sottomettere gli spiriti’, ma praticare il Dharma in quel modo è assolutamente errato.27

La storia delle religioni insegna che ogni nuova religione tende a incorporare dentro il suo sistema le credenze preesistenti, “perché fa presa su tutto ciò che il passato ha lasciato sotto forma di immagini, simboli e tipi particolari di sensibilità.”28 Durante la seconda diffusione di Buddhismo in Tibet, attraverso il decimo e undicesimo secolo, la religione indigena era, usando le parole del professor Giuseppe Tucci, “una vera ‘religione ‘popolare’. Le credenze, i miti e le usanze di questa religione folk sono ampiamente conosciuti e seguiti dalla gente ordinaria.”29 In questo senso, sembra più probabile che il Chöd mentre costituiva già un coerente sistema religioso in India, definito là come i metodi pratici della Perfezione della Saggezza, incorporava elementi della tradizione popolare e dell’immaginario tibetano – come un pantheon di dèi e dèmoni autoctoni – per integrarsi nell’ambiente culturale e religioso del decimo secolo. Inoltre, il Chöd contribuì a dare un significato nuovo a quell’ambiente, basato sull’insegnamento della vacuità.