La tradizione del Chöd

Dakini del Chod

Dakini del Chod

Machig Labdrön e le fondamenta del Chöd

di JERÔME EDOU

PARTE PRIMA: LA TRADIZIONE DEL CHOD

Il Sutra del Cuore, La Madre dei Buddha, La Tradizione Indiana, Dampa Sangyé e la Tradizione Tibetana.

Questa tradizione autentica,

Il Chöd di Mahamudra,

E’ simile alla rinomata Prajñaparamita

E la sua pratica è il segreto Vajrayana.

Machig Labdrön

I Il Grande Poema sulla Perfezione della Saggezza

Di Aryadeva il Bramino

In Sanscrito: Arya-prajñaparamita-upadesa

In Tibetano: ‘Phags pa shes rab kyi pha rol tu phyin pa’i man ngag

Le Istruzioni sulla Perfezione della Saggezza1

II La Prajñaparamita

Il significato della Prajñaparamita

Non va cercato altrove: esiste dentro di voi.

Né reale né dotata di caratteristiche,

La natura (della mente) è la grande chiara luce.

  • Aryadeva, il Bramino

1 Il Sutra del Cuore

Verso la fine del decimo secolo la tradizione Theravada era ancora una forza predominante all’interno del Buddhismo indiano, ma iniziando dal settimo secolo, si erano sviluppate due tendenze a Nalanda, a Vikramasila e a Odantapuri, le grandi università monastiche dell’India del Nord:

  1. la Prajñaparamita, o Perfezione della Saggezza, il fondamento filosofico del Mahayana, che poneva l’accento sulla vacuità di tutti i fenomeni come sistematizzata da Nagarjuna (ca. secondo secolo); e

  2. la Vajrayana, basata sui tantra, che prendeva a prestito dal Mahayana il punto di vista concettuale della vacuità, ma applicava tecniche speciali per la realizzazione spirituale. Accettata e riconosciuta dalle istituzioni monastiche e insegnata in alcune di loro dal tredicesimo secolo in poi, aveva già raggiunto la sua piena fioritura nella tradizione dei mahasiddha.

La Prajñaparamita si diffuse particolarmente dall’inizio del tredicesimo secolo, specie grazie agli estesi commentari di Santideva e Santaraksita, prima in India e più tardi in Tibet dove gli insegnamenti di Santaraksita e del suo discepolo Kamalasila formarono la base del Buddhismo tibetano.

La Prajñaparamita fu insegnata, per la prima volta, dal Buddha sul Picco dell’Avvoltoio vicino a Rajgir nel corso di quello che dopo fu riconosciuto come il Secondo Avvio della Ruota. Dopo aver dato gli insegnamenti relativi alla sofferenza, alle sue cause, alla cessazione e al sentiero della liberazione, il Buddha insegnò il significato ultimo del Dharma, la vacuità di esistenza inerente di tutti i fenomeni. Questo insegnamento trova la sua più concisa espressione nel famoso Sutra del Cuore.

Questo sutra prende la forma di un dialogo tra Avalokitesvara e Sariputra ai piedi del Buddha. Avalokitesvara adotta il ragionamento per negazione per mostrare a Sariputra la verità ultima. La forma di questo ragionamento presenta certe caratteristiche analoghe alla tradizione scolastica della teologia negativa del Cristianesimo orientale. Per definizione è impossibile esprimere l’ineffabile, quello che c’è oltre l’espressione, e lo stesso vale per la verità assoluta che è oltre le parole e i concetti. Al massimo uno può esprimere che cosa non è per esclusione: “Così, Sariputra, nella vacuità non c’è forma, né sentimento…né sofferenza…né cessazione della sofferenza…né ottenimento, e nemmeno non-ottenimento.”2

Il termine vacuità3, in questo contesto, non ha alcuna connotazione di vuoto o di nulla assoluto. Dovrebbe essere inteso come lo stato naturalmente aperto e sereno della mente. Quindi, affermare la vacuità dei fenomeni non vuol dire assolutamente che essi non esistono nello stesso modo in cui non esistono lepri con le corna o fiori del cielo. Invece, la vacuità si riferisce all’intuizione che, a livello ultimo, sia i fenomeni interiori – sensazioni, percezioni e l’Io – e i fenomeni esterni – tutte ciò che appare nel mondo fenomenico – non hanno esistenza reale, anche se appaiono in varie forme. Il Sutra del Cuore sintetizza ciò come segue:

La forma è vacuità, la vacuità è forma,

La vacuità non è altro che forma,

La forma non è altro che vacuità.

La forma è vacuità” è l’intuizione o percezione (Skt. Prajña) che sfida il materialismo e la concezione realistica dell’universo affermando che i fenomeni – dalla più piccola particella fino all’onniscienza del Buddha – alla fine non possiedono nessuna esistenza inerente. “La vacuità è forma” è l’affermazione della realtà relativa e la negazione delle concezioni nichiliste. La vacuità si manifesta come forma in tutte le cose, materiali come immaginarie, e non può essere trovata al di fuori da questi fenomeni. In questo modo, i bodhisattva non possono tagliarsi fuori dal resto del mondo, né trovare il piacere individuale nella vacuità, ma devono servirsi di mezzi abili (Tib. Thabs) quali la amorevole gentilezza e la compassione per realizzare la verità ultima. Con questo scopo, essi devono sviluppare le qualità di generosità, disciplina, pazienza, perseveranza e meditazione, le cinque perfezioni relative che sono i mezzi per realizzare la sesta perfezione, la saggezza o intuito (prajña).”La vacuità non è altro che forma, la forma non è altro che la vacuità” esprime l’interdipendenza di queste sei perfezioni, come sia impossibile separare la vacuità da ciò che appare, la necessaria unione della verità relativa e assoluta secondo i principi di esclusione e di mutua contraddizione. La vacuità non nega o rifiuta la forma, e allo stesso modo la forma non nega o rifiuta la vacuità

Per illustrare la vacuità di esistenza inerente dei fenomeni, i commentatori spesso usano l’esempio del sogno. Infatti, le immagini del sogno sono prive di qualsiasi realtà materiale dalla loro parte, visto che non sono composte da atomi o particelle. Allo stesso modo, né il senso dell’occhio né la coscienza dell’occhio, che sono alla base della visione di queste immagini, ha nessuna esistenza reale. Il fuoco che uno percepisce in un sogno non esiste veramente; semplicemente appare come un gioco della mente e, non essendo mai esistito, non può nemmeno perire. Per cui il livello di esistenza delle immagini dei sogni non è altro che una convenzione, un termine applicato per definire l’esperienza mentale. Non si può affermare che i sogni non esistono, perché essi producono emozioni nella coscienza di colui che sogna, sofferenza o gioia, lacrime o risate. Ma non si può nemmeno affermare che essi esistono realmente, perché sono vuoti di qualsiasi realtà intrinseca, al di fuori della coscienza che li ha creati in primo luogo. Allo stesso modo, secondo il Mahayana, i fenomeni sembrano esistere, ma in realtà la loro essenza è la vacuità. Essi sono come un miraggio o un’illusione creata da un mago.

La scuola di pensiero che articola questa visione è chiamata Via di Mezzo (Madhyamaka), perché sostiene che i fenomeni non sono né esistenti (“la forma è vacuità”), né non-esistenti (“la vacuità è forma”), né nessun’altra combinazione di questi due estremi. Per cui, questa scuola si colloca nel mezzo, tra i punti di vista dell’eternalismo e del nichilismo, insistendo sulla impossibilità di separare le due realtà relativa e ultima, di separare samsara e nirvana. Quindi la natura di tutti i fenomeni non può essere ridotta a concetti, per quanto profondi. E’ oltre a tutte le concettualizzazioni (Tib. Spros bral).4 Questa dottrina Madhyamaka fu sistematizzata da Nagarjuna nel suo Trattato Fondamentale sulla Via di Mezzo, Chiamata Saggezza, più tardi commentato da Chandrakirti (sesto secolo) nel suo Entrare nella Via di Mezzo: un Commentario al Trattato Fondamentale sulla Via di Mezzo” (di Nagarjuna). Fino ad oggi questi rimangono i trattati fondamentali Madhyamaka usati dalle quattro scuole buddhiste del Tibet.

  1. La Madre dei Buddha

Nell’ampia varietà di tecniche di meditazione analitica di Mahayana e Vajrayana, solo la realizzazione della vacuità consente di recidere la credenza erronea in un sé e di raggiungere la Buddhità. Nella terminilogia del Chöd, questa nozione della realtà di un sé è il dèmone più potente di tutti che deve essere reciso dalla realizzazione della vacuità – il significato della Prajñaparamita. Per questo la Prajñaparamita è chiamata “la Madre” (Tib. Yum), perché è la matrice che genera la realizzazione di tutti i Buddha. Nelle parole di S.S. il Dalai Lama:

La differenza nei veicoli deve essere determinata non dalla saggezza ma dal metodo. Siccome la saggezza che riconosce la vacuità è la madre comune a tutti i quattro figli – Uditori, Realizzatori Solitari, Bodhisattva e Buddha Superiori – Hinayana e Mahayana si differenziano nel metodo, non nella saggezza. Per la stessa ragione, i Veicoli della Perfezione e del Mantra si differenziano per il metodo e non per la saggezza.5

Nella biografia di Machig, la Prajñaparamita viene chiamata Yum Chenmo, la Grande Madre, spontaneo Dharmakaya libero dall’origine, dall’esistenza e dalla cessazione. Ella appare come una deità a quattro braccia, seduta nella postura della meditazione, adorna di molti attributi, ma la sua vera natura viene spiegata a Machig dall’Arya Tara:

La Madre Primordiale, Yum Chenmo, è la natura ultima di tutti i fenomeni, della vacuità, della talità (Skt. Dharmata), libera da tutti e due i veli.6 Ella è la pura essenza della sfera della vacuità, la percezione del non-sé. Ella è la matrice che genera tutti i Buddha dei tre tempi. Tuttavia, per dare agli esseri l’opportunità di accumulare meriti spirituali, si manifesta come un oggetto di venerazione.7

Come si fa riferimento alla vacuità come alla Madre di tutti i Buddha, così i tre testi fondamentali della Prajñaparamita sono tradizionalmente conosciuti come i tre testi “madre” (Tib. Yum gsum): Il Sutra della Prajñaparamita in Centomila Versi, Il Sutra della Prajñaparamita in Venticinquemila Versi, e Il Sutra della Prajñaparamita in Ottomila Versi. Per ulteriore analogia, diciassette testi sono chiamati i “figli” della Prajñaparamita. Essi includono il Sutra del Cuore e il Sutra che Taglia il Diamante.

Queste tre versioni della Prajñaparamita vengono costantemente citate nella biografia di Machig come la principale fonte della sua ispirazione. Machig stessa è considerata una dakini di saggezza e una emanazione di Yum Chenmo, come Tara afferma nella sua biografia: “Yum Chenmo, alla fine, prese nascita in Tibet e non puoi essere che tu, Machig Ladrön!” Fin dalla prima giovinezza, Machig dimostrò una particolare attrazione per la Perfezione della Saggezza, di cui recitava diversi volumi ogni giorno. Essendo diventata padrona di questa dottrina – così il testo ci informa – al capitolo della Prajñaparamita che riguarda la topica dei dèmoni, in lei nacque una realizzazione eccezionale.”8

Infatti, proprio l’idea di “recidere” (Tib. Gcod) l’attaccamento appare in una fase antichissima della letteratura buddhista, in un contesto strettamente legato alla dottrina della Prajñaparamita. Per esempio, nel famoso Sutra che taglia il Diamante, la Perfezione della Saggezza è definita come colei che assomiglia ad un diamante indistruttibile (Skt. Vajra) che recide ogni tipo di attaccamento alla realtà dei fenomeni e sancisce la loro non-esistenza. Allo stesso modo, come Janet Gyatso ha evidenziato, questa metafora è già in uso nel canone Pali, dove Buddhaghossa definisce la tecnica dell’”abbandono tagliando” (samuccheda) come il sentiero sovramondano che conduce alla distruzione (della deturpazione).”9 Uno dovrebbe, naturalmente, astenersi dall’identificare il termine generico “tagliare”, come avviene nella letteratura buddhista in generale, con il sistema specifico di Machig. Tuttavia, sembra certo, al momento, che la tradizione di Machig, generalmente considerata una dottrina buddhista, ha le sue origini nella tradizione indiana della Prajñaparamita come insegnata dal Buddha.

  1. La Tradizione Indiana

Secondo Karma Chagmé, la tradizione indiana del Chöd si divideva in quattro correnti principali esemplificate da quattro testi:

  1. Il Grande Poema sulla Perfezione della Saggezza di Aryadeva il Bramino;

  2. L’Unico Gusto di Naropa;10

  3. La Pacificazione della Sofferenza di Dampa Sangyé; e

  4. L’eliminazione della Confusione di Orgyen (Padmasambhava).11

L’origine indiana dei tre ultimi testi sono al di sopra di ogni sospetto perché questi autori sono riconosciuti come validi dalla tradizione buddhista indiana tra il sesto e il settimo secolo, anche se, tra i commentatori, ci sono differenze degne di nota nei titoli di queste opere. Machig può aver avuto accesso a questi insegnamenti, anche se nessuna delle nostre fonti dichiara esplicitamente che lei ricevette la trasmissione de L’Unico Gusto di Naropa o de L’Eliminazione della Confusione di Orgyen. Invece noi sappiamo che Dampa le trasmise gli insegnamenti sulla Pacificazione della Sofferenza, ed è molto probabile che le trasmise anche Il Grande Poema sulla Perfezione della Saggezza, di Aryadeva, che lui stesso aveva portato in Tibet. Portando con lui il testo in Sanscrito, egli ne diede una traduzione orale, a Dingri, a Zhama il Traduttore, che più tardi lo modificò e stabilì la versione definitiva in Tibetano – di cui si parla molto nel colofone a Il Grande Poema.

Ognuno di questi quattro testi appartiene alla tradizione (dei) Sutra e consiste in un commentario alla Prajñaparamita. Solo L’Eliminazione della Confusione sembra non essere mai stato rivelato apertamente in India, ma fu nascosto da Pamasambhava e più tardi scoperto come un terma o Tesoro (Tib. Gter ma) e poi propagato in Tibet.12

Il Grande Poema sulla Perfezione della Saggezza del Bramino Aryadeva è il testo più conciso dei quattro e contiene un esplicito riferimento ad una tradizione del Chöd indiana. Le fonti tibetane fanno una chiara distinzione tra il suo autore, Aryadeva il Bramino, e Lopön Aryadeva,13il famoso discepolo del filosofo Nagarjuna. Il primo sembra appartenere al nono secolo ed è spesso citato nel lignaggio di trasmissione (Tib. bka’ brgyud) della Prajñaparamita.

Il testo di Aryadeva segue la spiegazione standard del punto di vista Madhyamaka. Esso insegna l’inseparabilità della saggezza trascendentale e i mezzi per realizzarla, e asserisce la non-dualità che respinge le asserzioni eternaliste e nichiliste. Sottolinea, comunque, la comprensione della vacuità della mente come un mezzo per comprendere che tutti i fenomeni sono vuoti, un approccio che è stato accolto nella tradizione Mahamudra. Così Aryadeva prende in prestito dal Mahamudra Upadesa14 di Tilopa l’analogia dell’albero e delle sue radici per illustrare i mezzi per realizzare la natura della mente:

Realizzare (questa natura) è come tagliare un tronco d’albero fino alla radice:

Niente più rami di pensieri cresceranno da lì…

Allo stesso modo, quando la mente viene recisa fino alla radice (se realizzate la sua vera natura)

Realizzerete tutti i fenomeni come vuoti.

La mente è la fonte di tutte le manifestazioni del mondo fenomenico: la felicità e la sofferenza, il samsara e il nirvana, gli dèi e i dèmoni. Quando uno recide la sua mente fino alla radice, ovvero, quando uno realizza la sua natura come purificata da impurità contingenti e quando uno rimane assorbito nella vacuità, libero dalla dualità di soggetto-oggetto, tutte le afflizioni emozionali, come l’ignoranza, l’attaccamento e l’avversione scompaiono spontaneamente.

Per realizzare questa natura non-nata della mente, il consiglio di Aryadeva è “unire la coscienza allo spazio,” il che significa che costituisce la vera base della tradizione del Chöd di Machig. In ultima analisi, quello che va tagliato è il concetto errato di un sé esistente in modo inerente, la vera fonte dell’ignoranza:

Per cui, recidere la mente alla radice,

tagliare i cinque veleni delle afflizioni mentali,

Sradicare le visioni estreme e le formazioni mentali durante la meditazione,

Così come l’ansia, la speranza e la paura nelle azioni (?)

E recidere l’arroganza –

Siccome tutto questo è un problema di tagliare (“chöd pa”),

Questo è il vero significato del Chöd.

Questa definizione, così spesso ripetuta dai commentatori tibetani, sintetizza la tradizione basata sulla Prajñaparamita e conosciuta come la tradizione dei Sutra. Fino ad oggi, non si sono rinvenute tracce di nessun rito del Chöd, per cui è difficile sapere come veniva praticato. L’unica informazione ad averci raggiunto proviene da Dampa Sangyé che trasmise questa tradizione al Tibet.

  1. Dampa Sangyé e la Tradizione Tibetana

Dampa Sangyé (Dam pa sangs rgyas), “l’indiano”, è tradizionalmente considerato il guru di Machig. Come con la maggioranza di siddha indiani, i racconti sulla vita di Dampa abbondano di narrazioni fiabesche e le versioni variano molto da una all’altra. Nato in una famiglia di bramini di Tsarasingha, nella regione del Beta, nel Sud dell’India,15 all’età di tredici anni, fu mandato all’Università di Vikramasila dove ricevette l’ordinazione monastica. Dopo aver ultimato i suoi studi monastici, decise di intraprendere la vita di uno yogi itinerante e studiò ai piedi dei più grandi Maestri dell’India. Da cinquantaquattro siddha, sia maschi che femmine, egli ricevette insegnamenti di Sutra e iniziazioni, e istruzioni nel Tantra. Siccome le fonti biografiche non sempre tratteggiano una chiara distinzione tra Naestri veramente incontrati e insegnamenti ricevuti attraverso esperienze visionarie, c’è molto ovvio anacronismo nell’elenco dei suoi Maestri che includono, per (quanto riguarda) la tradizione Sutra, Nagarjuna, Aryadeva,16 Asanga, Shantideva e Dharmakirti. Tra i suoi principali Maestri tantrici vengono menzionati: Kukuripa, Saraha, Maitripa, Tilopa e la dakini Sukhasiddhi. Secondo gli Annali Azzurri, Dampa Sangyé meditò per un periodo di cinquantanove anni in diversi punti sacri dell’India e del Nepal, inclusi Bodhgaya e Swayambhu,17 e ottenne sia le realizzazioni ordinarie che straordinarie (Skt. Siddhi). Divenne famoso per le sue percezioni soprannaturali, sviluppò il potere della “swift-footedness” (Tib. rkang mgyogs) e realizzò il sentiero della visione e l’ultima suprema Mahamudra.18

Dampa rimane associato soprattutto alla dottrina della Pacificazione della Sofferenza (Tib. zhi byed), di cui egli fu il primo rivelatore e che trasmise ai suoi discepoli tibetani che erano, con le sue parole, “numerosi come le stelle nel cielo di Dingri”. A Langkhor, vicino a Dingri, nell’ampia valle dominata dal Monte Everest, egli stabilì la sua residenza tibetana, ma rimase sempre un formidabile viaggiatore le cui peregrinazioni lo portavano sempre in Cina. Secondo le fonti tibetane, egli fece cinque viaggi in Tibet. Nel corso dell’ultimo egli proseguì fino in Cina dove trascorse dodici anni ed era conosciuto come Bodhidharma. Alla fine egli tornò a Dingri dove lasciò il corpo nel 1117.19

Una versione del tutto diversa della sua vita viene data da Karma Chagmé: Kamalashila, dopo il suo trionfo a Samyé, non morì in Tibet come si crede di solito, ma viaggiò verso il Sud dell’India. Là, guidato dalla compassione per i residenti del luogo, nessuno dei quali osava rimuovere il cadavere putrescente di un lebbroso, trasferì, temporaneamente, la sua coscienza nel cadavere del lebbroso. Nel frattempo fu rubato il suo corpo da un orripilante sadhu. Rimasto senza alternative, Kamalashila dovette prendere le sembianze del sadhu e così ritornò in Tibet dove fu conosciuto come Pa Dampa Sangyé.20 Questa versione spiegherebbe perché Bdhidharma e Dampa sangyé, nella tradizione iconografica, siano entrambi rappresentati con un aspetto molto poco attraente.

La versione di questo episodio dato ne La Concisa Storia della vita ha uno sviluppo ancora più sorprendente perché include il diretto intervento di Machig. Siccome è uno straordinario esempio di meraviglia agiografica, merita di essere citato in modo esteso:

Una mattina, all’alba, mentre Machig risiedeva nella cappella del Lama, una dakini dalla testa di leone apparve e disse: “Labdrönma, Dakini di Saggezza, Dampa Sangyé sta per andare nella Terra Pura del reame delle dakini (mkha’ spyod). Come ti fa sentire questa notizia? Se monti questa leonessa, potremmo andare là insieme.”

Nel cielo c’era una leonessa bianca che aveva guidato la dakini. Machig uscì e si misero immediatamente in viaggio nello spazio illusorio (sgyu’ phrul) sotto la guida della dakini. Senza alcun ritardo raggiunsero il Nepal.

Gli indiani Dampa Sangyé e Dampa Nagchung (“Piccolo Dampa Nero”), sulla via del ritorno in Tibet, erano appena arrivati in una valle del Nepal dove la gente era afflitta da una terribile epidemia. I due Indiani indagarono sulla causa di questo morbo e gli fu detto: “A monte, su un versante della valle, è morto un elefante ed è ancora lì, alla sorgente. La sua saliva ha inquinato la nostra acqua e ne abbiamo bevuta tutti e ci siamo ammalati.”

Allora Dampa chiese a Dampa Nagchung: “Dici che dobbiamo prendere tutto su noi stessi per spostare l’elefante sull’altra riva del fiume?”

Dampa Nagchung fu d’accordo e Dampa Rinpoché gli disse: “Siccome tu sei un esperto nelle istruzioni orali sull’entrare in un corpo con la tua coscienza, perché non porti l’elefante sull’altra riva mentre io faccio la guardia al tuo corpo?”

Ma Dampa Nagchung replicò: “Io non sono in grado di fare una cosa simile ciò. Tu sei l’unico capace di ottenere il benessere di tutti gli esseri senza alcuna eccezione!”

“Allora va bene, ma assicurati che né uccelli né cani vengano a fare festa sul mio corpo – fagli buona guardia!”

E con queste parole il corpo di Dampa Rinpoché divenne risplendente e luminoso; i suoi capelli neri lasciati sciolti lungo la schiena, luccicavano ed egli manifestò i trentadue segni di un essere sovrumano. Il suo corpo, così splendido che era difficile distrarre gli occhi di dosso, era seduto nella posizione del vajra, poi si librò nello spazio, e si accomodò ad un cubito di altezza sopra il suolo. La sua mente entrò nei resti dell’elefante facendolo così resuscitare, e poi si diresse verso la riva opposta del fiume.

Nel frattempo, Dampa Nagchung guardò il suo corpo e lo trovò molto brutto. Per cui si distese sulla schiena e, lasciando il suo corpo là, entrò nel nuovo corpo-carogna di Dampa Sangyé e portò via con sé la forma corporea di Dampa Sangyé in India…

Nel frattempo, in nepal, Dampa Sangyé dopo aver adagiato la carogna dell’elefante sull’altra riva del fiume, se ne tornò nel suo posto precedente, ma non riuscì a trovare il suo corpo. Ci pensò su e parlò: “Per riuscire a fare del bene a tutti gli esseri viventi, avranno bisogno di un supporto per la loro fede e devozione; ma se ora io entro in questi resti fisici (di Nagchung), nessuno avrà più fede o devozione per me. Incapace di fare del bene agli altri, forse farei meglio ad andare subito nel reame delle dakini.”

In quello stesso momento, Machig pensò: “Se Dampa Rinpoché va nel reame delle dakini, porterà di sicuro via la buona fortuna dagli esseri. Bisognerebbe evitare questo ad ogni costo. Magari, se io rivolgo una preghiera al corpo di Nagchung, Dampa Sangyé potrebbe entrare in lui.” E così compose questo inno:

HUNG! Grande Padre Nero dotato dello splendore della gloria,

Il tuo petto è potente come quello del leone

Le cui fauci lacerano i quattro tipi di dèmoni.

I tuoi fianchi brillano come le piume di un pavone

Come segno che tu distruggi i cinque veleni.

Il tuo giro-vita è sottile come il cuore del Vajra

Perché tu recidi alla radice la fonte di confusione.

Le tue due gambe sono ben piantate parallele (una all’altra), come

Cresce il giovane bambù,

Perché tu percorri il sentiero diretto verso l’illuminazione.

Il colore del tuo corpo è di un nero scintillante

Perché sei fermo nella talità dei fenomeni.

Dopo che Machig ebbe completato la recitazione di queste preghiere, Dampa Rinpoché pensò:

Attualmente, anche con il mio aspetto non esattamente il migliore per ispirare devozione e fede agli esseri che soffrono, la dakini di saggezza Labdrönma, veramente Samantabhadra, madre di tutti i Buddha dei tre tempi, ha composto un inno meraviglioso per questo corpo di Nagchung. Non potrei mai agire in disaccordo con le sue parole.”

E così prese il corpo di Dampa Nagchung e proseguì il suo viaggio verso il Tibet.21

Molti sommari tibetani classificano il Chöd come una branca della Pacificazione della Sofferenza (zhi byed), in altre parole, della Prajñaparamita. Pare che ci siano due ragioni implicate in questa assimilazione. Tanto per iniziare, la tradizione Sutra del Chöd è molto vicina al sistema di Pacificazione della Sofferenza di Dampa, sistema che occupa un posto importante nella trasmissione della tradizione che lui ha ricevuto da Aryadeva e che a sua volta ha trasmesso ai suoi discepoli che, senza dubbio, includevano la stessa Machig. D’altro canto, la credenza popolare tende a considerare Dampa il guru di Machig, probabilmente sulla base dei materiali sulle fonti come quelli contenuti ne Gli Annali Azzurri che sono dell’opinione che durante la sua terza visita in Tibet, Dampa trasmise “i precetti del Chöd che appartengono al lignaggio intermedio (di Dampa)” a Machig Labdrön. Le varie fonti presentano due interpetazioni che si escludono reciprocamente:

  1. Secondo una versione, Dampa e Machig si incontrarono solo occasionalmente. Gli Annali Azzurri riferiscono che “Dampa Sangyé soleva dire che aveva dato alla nobile Ma, che recita testi a Rogpa in Yarlung, tre istruzioni segrete, tramite le quali (Machig) ha ottenuto la liberazione.”22 La Storia della Trasmissione conferma la versione: Machig richiese un potenziamento, e (Dampa) le garantì l’Apertura dei Cancelli dello Spazio insieme alle quattro sezioni delle istruzioni (gdams pa). Machig non ebbe alcun bisogno di chiedere ulteriori istruzioni perché, attraverso queste ottenne la liberazione.23

  2. Altre fonti sembrano rafforzare la connessione tra Machig e Dampa. Ne La Vita Meravigliosa come ne La Storia Concisa della Vita, da cui è tratto l’aneddoto di cui sopra, gli incontri tra di loro sono molti, e il testo suggerisce che ai tempi del loro primo incontro, essi, come minimo, si conobbero: Dampa è alla ricerca di un pandit indiano che pare si sia reincarnato in Tibet, mentre Machig gli dà il benvenuto con le parole: “Che meraviglia che voi, Dampa Rinpoché siate venuto in Tibet!” Occasionalmente, due versioni dello stesso aneddoto illustrano queste due tendenze agiografiche nei materiali biografici. E così, dopo lunghe peregrinazioni nel Tibet Centrale, Machig ritorna a Latö, poi va a Dingri per incontrare Dampa. Secondo la Storia della Trasmissione, (Machig) rimane solo tre o quattro giorni, poi se ne va per andare a Zangri, la Montagna di Rame. Ne La Vita Meravigliosa, (Machig) rimane con Dampa per un mese e mezzo.

Forse l’elemento di maggiore disturbo nel testo qui tradotto, come ne La Storia Concisa della Vita,24 è circa la ripetizione identica dei nomi delle iniziazioni che Machig riceve da Sönam Lama prima, e poi di nuovo da Dampa, alcune pagine più avanti – potenziamenti che non vengono menzionati in tutte le altre fonti. Anche se Dampa trasmette a Machig più iniziazioni e istruzioni di Sönam Lama, tuttavia, è difficile non sentire che questa parte del testo potrebbe essere stata aggiunta per rafforzare il legame tra Machig e Dampa. La Storia della Trasmissione ignora queste iniziazioni e cita solo il primo incontro tra Dampa e Machig, in occasione del quale (Dampa) trasmette (a Machig) le istruzioni che alludono, tra le righe, la tradizione indiana del Chöd di Aryadeva:

Allontanatevi da tutti gli scopi negativi e sradicate ogni resistenza.

Coltivate ciò che vi sembra impossibile per voi.

Tagliate i coinvolgimenti e riconoscete i vostri desideri.

Vagate in luoghi desolati che incutono paura.

Capite che tutti gli esseri sono simili allo spazio vuoto.

Mentre siete in luoghi selvaggi, cercate il Buddha dentro di voi

E il vostro insegnamento sarà come un sole che illumina lo spazio!25

Queste due tendenze sembrano confermare l’ipotesi che le cronache storiche come Gli Annali Azzurri furono composte “da eruditi per un pubblico erudito”26 legato alla preservazione della verità storica, specialmente a quella legata alla trasmissione di insegnamenti di lignaggi, commentari e iniziazioni. Al contrario, le agiografie tendono a privilegiare il meraviglioso e il misterioso, così sono più vicine al mito. Esse sono “pensate per esprimere la verità assoluta perché (esse) narrano una storia sacra.”27 Per la memoria collettiva, senza dubbio, sapere con una certa precisione quali iniziazioni Machig ricevette da Sönam Lama è altrettanto importante quanto ricordare che fu la figlia spirituale di Dampa Sangyé – anche con Sönam Lama che fece da intermediario tra i due.

E così, anche se la tradizione agiografica ha, a quanto pare, gradatamente ridotto l’importanza del (relativamente poco conosciuto) Sönam Lama con lo scopo di vedere Machig come diretta discepola del (celebrato) Dampa, la testimonianza storica suggerisce che tutti i lignaggi posseduti da Sönam Lama arrivano a lui da Dampa, mentre poi Sönam Lama li trasmette a Machig. Machig stessa insisteva nel dire che fu Sönam Lama il suo guru radice, non Dampa.28

Infatti, tutte le fonti concordano nel riconoscere il fatto che Dampa trasmise a Sönam Lama gli insegnamenti della Prajñaparamita indiana così come il Chöd della tradizione di Sutra e Tantra Combinati. Parrebbe che Dampa scrisse un testo conosciuto come I Sei Precetti del Chöd29 che conteneva, tra gli altri, l’Apertura dei Cancelli dello Spazio e numerose altre pratiche per mezzo delle quali percepire come “tutti i fenomeni non sono altro chemente e che mente non è altro che Buddhità.” Inoltre, Gli Annali Azzurri dicono che Dampa, durante la sua terza visita al Tibet “conferì molti precetti segreti (o “nascosti”) del Chöd a Kyo Sönam Lama.”30 La Storia della Trasmissione evidenzia (il fatto che) Dampa diede “a suo nipote Sönam Lama” i precetti della tradizione scritta, senza fare alcuna menzione della tradizione orale.

Inoltre, nella nostra versione, Dampa garantì a Machig le istruzioni sulla Prajñaparamita secondo la trasmissione orale di Sutra e Tantra nel corso di un potenziamento31 chiamato “I Quattro Potenziamenti della Stabilizzazione Meditativa e l’Apertura dei Cancelli dello Spazio.” Oltre alla Pacificazione della Sofferenza e gli Insegnamenti sui Sei Precetti, Dampa trasmise a Machig anche i mezzi “per unire in una singola pratica quattro dei Sei Yoga di Naropa” e istruzioni sugli esercizi del Vajrayana,32 e la visualizzazione delle Otto Grandi Terre di Cremazione e il Chöd che va Praticato Senza Lasciare il Proprio Sedile di meditazione.33

Altre fonti sembrano indicare che Dampa diede questi precetti solo a Kyo Sakya Yeshé, ai suoi due discepoli affetti dalla lebbra e a Lama Mara Serpo. I testi che riguardano questa trasmissione sono confusi infatti e spesso contraddittori: “Mara Serpo li trascrisse e li mise in pratica personalmente, senza trasmetterli a nessuno”, ma, alla fine della sua vita li diede a Nyönpa Boré.” Allo stesso modo, “Kyo Sakya Yeshé li praticò senza trasmetterli, ma, temendo che potessero andare persi, “alla fine li diede a Önpo Sönam Lama” e poi ne diede quattro a Machig Labdrön. La nostra biografia non fa alcun cenno riguardo a questa trasmissione di Kyo Sakya Yeshé a Machig; tuttavia, questo lignaggio che Dampa trasmette ai suoi discepoli maschili di solito viene citato come il lignaggio maschile del Chöd (pho gcod).

Secondo la nostra biografia, Sönam Lama non diede un solo precetto del Chöd a Machig, ma piuttosto ricevette da lui la sua prima iniziazione. Mettendo in atto le loro aspirazioni delle vite precedenti, la ragazza (Machig) doveva ottenere i siddhi tramite i suoi precetti (Dampa).

E così, per fare una sintesi di questa massa di materiali di fonti vaghe e spesso contraddittorie: Dampa e Machig si incontrarono di sicuro ed egli le trasmise gli insegnamenti sulla Pacificazione, anche se non è assodato che Dampa trasmise direttamente a Machig i precetti del Chöd e la tradizione indiana che lui aveva ottenuto dal Bramino Aryadeva. Questa tradizione indiana avrebbe raggiunto Machig o tramite Mara Serpo, o Kyo Sakya Yeshé o Sönam Lama. In ogni caso, Machig appare come il vaso privilegiato degli insegnamenti che Dampa portò in Tibet. (Machig) integrò questi insegnamenti con l’esperienza meditativa e in un secondo tempo trasmise il corpus conosciuto come il lignaggio femminile del Chöd (mo gcod).

Karma Chagmé sintetizza come segue la distinzione tra il Chöd indiano e quello tibetano:

Questi quattro testi (sopra citati) costituiscono il Chöd indiano.

Ciò che è nato nella mente di Machig Labdrön, emanazione di Yum

Chenmo, e l’attività che ne derivò, è chiamata Chöd tibetano.

Fu trasmesso in India dai tre acarya.34

A sua volta, Jamgön Kongtrul Lodrö Thayé riassume tutto questo come segue:

Questo Dharma tibetano che si è diffuso in India è costituito dai mezzi per praticare il significato della Prañaparamita ed è stato continuamente diviso in diversi lignaggi di modo che tutti potessero prendere confidenza in questo metodo autentico che recide i dèmoni.35