Atisha: La ghirlanda di gemme di un Bodhisattva

Atisha

Atisha

La ghirlanda di gemme di un Bodhisattva

In tibetano Byang-chub-sems-dpa’nor-bu’i phreng-pa; in sanscrito: Bodhisattvamaniavali.

Testo composto dal grande pandita indiano Dipamkara Shrijnana, conosciuto come Atisha.

Omaggio alla grande compassione

Omaggio a tutte le guide spirituali

Omaggio alle divinità di meditazione

Abbandona ogni dubbio e

dedicati con entusiasmo alla pratica.

Abbandona la pigrizia, l’apatia e il torpore e

coltiva sempre un impegno colmo di entusiasmo.

Tramite la consapevolezza, la vigilanza e l’attenzione,

ricordati di sorvegliare costantemente ogni porta dei sensi.

Sia di giorno sia di notte, per tre volte,

esamina ripetutamente il tuo continuum mentale.

Rivela apertamente i tuoi errori

e non cercare difetti negli altri.

Nascondi i tuoi pregi,

ma loda le buone qualità degli altri.

Rifiuta onori e acquisizioni

e rigetta sempre il desiderio di notorietà.

Avendo pochi desideri, sii soddisfatto

e ricambia gli atti di gentilezza.

Medita sull’amore e sulla compassione

e stabilizza la mente del risveglio.

Evita le dieci azioni negative

e rafforza costantemente la tua fede.

Vinci l’ira e l’arroganza

e sii umile.

Evita mezzi scorretti di sostentamento

e conduci una vita di verità (il Dharma).

Abbandona tutti i possedimenti mondani

e adornati con le gemme dei superiori.

Elimina ogni frivolezza

e dimora in solitudine.

Rinuncia alle chiacchiere prive di senso

e sii sempre consapevole di ciò che dici.

Quando incontri il tuo maestro

mettiti a sua disposizione, con rispetto.

Verso chi possiede l’occhio della dottrina e

nei riguardi degli esseri senzienti principianti

sviluppa l’attitudine di considerarli tuoi maestri.

Quando vedi qualsiasi essere senziente,

consideralo come tuo figlio o genitore.

Abbandona le amicizie fuorvianti

e affidati a virtuosi compagni spirituali.

Abbandona l’avversione e l’infelicità

e, ovunque vai, sii felice.

Abbandona l’attaccamento a qualsiasi cosa

e rimani libero dall’avidità.

L’attaccamento non ti procurerà mai una rinascita felice,

perché distrugge l’essenza della liberazione.

Ogni qualvolta apprendi insegnamenti che conducono alla felicità,

sforzati costantemente di praticarli.

Qualsiasi cosa tu abbia iniziato a fare,

innanzitutto portala a termine.

In questo modo, agisci positivamente in ogni circostanza,

altrimenti non otterrai alcunché.

Evita sempre di compiacerti delle azioni negative.

Quando in te si manifesta vanagloria,

estirpa subito una simile arroganza.

Rammenta gli insegnamenti del tuo maestro.

Quando sorge una mente colma di timore e paura,

rendi lode alla sublime qualità della mente.

Medita sulla vacuità di entrambi.

Ogni qualvolta appaiono oggetti che stimolano

l’attrazione o l’avversione,

considerali come illusioni ed emanazioni.

Quando ti rivolgono parole offensive,

considerale come un’eco.

Quando il tuo corpo sperimenta un danno,

consideralo come il risultato delle tue azioni precedenti.

Dimora in completa solitudine, oltre i confini della città,

come i cadaveri degli animali selvatici.

Stai con te stesso, celandoti agli altri,

e rimani privo di attaccamento.

Mantieni costantemente la consapevolezza del tuo yidam

(Impegno della mente o Oggetto di meditazione)

e, quando sorgono l’indolenza o l’apatia,

sii consapevole di questi difetti

e prova un sincero rincrescimento.

Se incontri altre persone,

conversa in modo tranquillo e sincero.

Elimina dal tuo viso ogni espressione di rabbia, o sdegno,

e cerca di essere sempre cordiale.

Quando sei in compagnia di altri,

con gioia sii sempre generoso, eliminando ogni avarizia.

Abbandona completamente ogni gelosia.

Per proteggere la mente altrui,

evita ogni disputa

e sii sempre paziente.

Non adulare e non essere volubile,

ma rimani sempre fermo e risoluto.

Quando dai consigli agli altri,

sii compassionevole e pensa al loro beneficio.

Non disprezzare alcuna dottrina spirituale

e segui con impegno quella che preferisci.

Per mezzo della porta delle dieci pratiche del Dharma,

impegnati con tenacia, di giorno e di notte.

Qualsiasi virtù tu abbia creato nei tre tempi,

dedicala al supremo, insuperabile risveglio.

Dedica la tua energia positiva (meriti) a tutti gli esseri senzienti.

Offri costantemente la preghiera dei sette rami

unita a grandi aspirazioni per il sentiero.

Se agisci in questo modo, porterai a compimento

le due accumulazioni di merito e di saggezza.

Inoltre, con l’eliminazione delle due oscurazioni,

esaudendo così lo scopo della rinascita umana,

avrai realizzato l’insuperabile, completo risveglio.

La gemma della fede, la gemma dell’etica,

la gemma della generosità, la gemma dell’ascolto,

la gemma della considerazione (per gli altri),

la gemma del ritegno,

la gemma della saggezza: queste sono le sette gemme supreme.

Queste sette gemme sono inesauribili.

Non rivelarle agli esseri non umani.

In compagnia, sii consapevole di ciò che dici.

Quando sei solo, sii consapevole della tua mente.

Composto dal glorioso Maestro Indiano, Dipankara Atisha, Cuore della perfetta saggezza, il glorioso illuminatore, l’essenza della consapevolezza primordiale, fondatore della tradizione Kadampa.



Possa l’energia positiva generata dalla meditazione di questo prezioso testo essere dedicata per il beneficio di tutti gli esseri senzienti, per una diffusione sempre maggiore del Dharma e per la lunga vita di Sua Santità il Dalai Lama e di tutti i Maestri.

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Cappella di Atisha nel Drolma Lhakhang in Tibet

ATISHA (982-1054) nacque come principe del Bengala col nome di Chandragarbha nel villaggio chiamato Vajrayogini nella regione di Vikramapura, in India orientale nell’attuale Bangladesh.A ventinove anni, nel 1011 fu ordinato monaco col nome di Dipamkara Shrijnana a Bodhgaya, il luogo dove nel 528 a.C. Gautama Siddhartha Sakyamuni aveva raggiunto l’Illuminazione. Nello stesso anno si imbarcò per Srivijaya, uno stato buddhista fiorente a Giava e Sumatra e in altre isole dell’attuale Indonesia. Lì divenne discepolo di Dharmakirti di Srivijaya, in seguito conosciuto in Tibet come Serlingpa (Gser-gling-pa) dal suo nome Suvarnadvipa (tibetano: Gser-gling), e vi rimase per 12 anni, fino al 1023, forse presso il complesso monastico attorno al mandala architettonico di Borobudur. Studiò quindi in India nel monastero di Odantapura ed insegnò nelle università di Nalanda e Vikramashila, dove a quel tempo si trovava a studiare il traduttore tibetano Brogmi. Sia a Srivijaya che in India venne in contatto con tutte le forme di buddhismo allora praticate: Hinayana, Mahayana e Vajrayana. Verso il 1040 si trasferì a Toling, nella regione di Ngari nel Tibet Occidentale, sotto protezione del re Yesce Ö della città di Guge dove iniziò a tradurre i testi sacri e ad impartire insegnamenti. Per soddisfare una richiesta del nipote del sovrano, scrisse il prezioso testo La lampada sul sentiero dell’Illuminazione, ancora oggi considerato uno dei più importanti insegnamenti del Buddhismo tibetano e il testo base di tutti gli insegnamenti del Lam-Rim (il sentiero verso l’Illuminazione). Nel 1042, impossibilitato a tornare in Nepal, si diresse lungo la valle del Brahmaputra nel Tibet Centrale. Nei pressi di Shigatse Atiśa celebrò l’inaugurazione della cappella dedicata alla Perfezione della Saggezza (Prajñaparamita) nel monastero di Shalu fondato nel 1027. Questo periodo è contrassegnato da una ripresa del Buddhismo in Tibet Centrale. In seguito Atiśa visse e insegnò nei pressi di Lhasa. Morì nel villaggio di Nyethang (anche sÑethan o Netang) nel 1054. Le sue ceneri vennero conservate nel monastero di Drölma Lhakhang fondato dal suo discepolo principale Drömtonpa (anche: Domtön o ‘Brom-ston). Il monastero fu salvato dalle devastazioni della Grande Rivoluzione Culturale grazie all’interessamento di Zhou Enlai (che si prodigò nella salvezza di tanti siti di interesse storico e culturale sia in Cina che in Tibet) su sollecitazione del governo del Bangladesh. Il 28 giugno 1978 le ceneri di Atiśa furono consegnate al Bangladesh e portate al Dharmarajika Bauddha Vihara di Dacca. Attualmente presso il Drölma Lhakhang si trova un piccolo stupa contenente le vesti di Atiśa.

Atisha portò in Tibet la sintesi del Buddhismo indiano, nel quale era giunto all’integrazione dei veicoli individuale, universale e tantrico, e nei diciassette anni della sua permanenza trasformò i tibetani, originariamente guerrieri, in un popolo profondamente spirituale. Di fronte a un Tibet in cui le pratiche buddhiste, introdotte secoli prima da Padmasambhava per mezzo della magia, si erano fuse con culti sciamanici, con la religione Bön e con culti shivaiti, l’operazione intellettuale promossa da Atiśa prevedeva l’insegnamento graduale e una sistematizzazione. A tutti venivano offerte le conoscenze del buddhismo Hinayana, ad alcuni venivano proposte le dottrine del Mahayana, mentre solo agli iniziati più stretti veniva permesso di accedere al Vajrayana. Egli contemplò le tre ruote del Dharma in un ordine logico, delineandole con disposizione lineare e graduale. Ciò le rese pertanto comprensibili e praticabili da chiunque desideri seguire il percorso del Buddha, indipendentemente dal proprio livello di sviluppo. Atiśa fu determinante nell’introdurre un culto più orientato verso la figura del bodhisattva Avalokiteshvara e la figura di Tara, entrambe portatrici del valore della compassione. Tutt’ora in Tibet queste rimangono tra le figure più importanti della venerazione buddhista. Il Grande Maestro indiano Atisha oltre al magistero proprio del Buddha, portò con sé in Tibet le ancora viventi tradizioni orali inerenti gli insegnamenti dei suoi stessi eminenti Maestri spirituali di ininterrotti lignaggi riguardanti sia il metodo che la sapienza, tramandati attraverso Asangha, Nagarjuna e molti altri grandi eruditi indiani. I tibetani considerarono Atisha come un Buddha vivente, ed accettarono di buon grado l’importanza che egli dava al maestro (guru o lama), che è ancor oggi una delle caratteristiche del Buddhismo tibetano.

Il suo discepolo principale, il laico Drömtonpa (anche: Domtön o ‘Brom-ston) (10031064), che aveva ricevuto tutti gli insegnamenti di Atiśa tra cui il significato profondo della bodhicitta e le pratiche di allenamento mentale lojong (ora patrimonio di tutte le 4 tradizioni principali del Buddhismo tibetano), fondò la tradizione monastica dei Kadampa (Bka’-gdams-pa) (= ‘fedeli alle regole’) che, alcuni secoli dopo, con la riforma di lama Tsongkhapa (Btsong-ka-pa), si fuse con la tradizione Gelug (Dge-lugs). Drömtonpa fondò il monastero di Drölma Lhakhang e nel 1057 il monastero di Reting (Rva-sgren). Il celibato, l’astensione dalle peregrinazioni e dall’alcol e la pratica della povertà divennero le basi del comportamento monastico per i Kadampa.