Aprirsi alla vita nell’esperienza della morte.

Assemblea di Buddha

Aprirsi alla vita nell’esperienza della malattia e del morire. Dispensa sul morire di Francesco La Rocca e Patrizia Micoli

Le persone ordinarie non temono la morte, ma quando questa inevitabilmente arriva ne sono terrorizzati e sconvolti; invece il saggio la teme avendone consapevolezza per tutta la vita e quando arriva si sente in pace e l’accoglie con gioia. Milarepa Santo tibetano del XI secolo.

La nostra attuale società nega la vecchiaia e la morte, la nasconde dietro una porta, un paravento, in una stanza d’ospedale. La morte viene vista soprattutto come un evento clinico. Ma essa è in realtà qualcosa di più: è un momento di enorme valore psicologico, emotivo e spirituale. Il nostro rapporto con la morte dipende dal nostro rapporto con il dolore, con noi stessi, con quanti ci amano e con quanti amiamo, con la nostra concezione della divinità o i nostri valori fondamentali, come l’altruismo. Il bisogno di amore e di gesti compassionevoli aumenta nelle ultime fasi della vita quasi che il morente capisca ciò che diviene essenziale e ciò che è superfluo. Non se ne parla ne la si studia nelle scuole, tanto da dover parlare di pornografia del morire. La morte però è una certezza, forse l’unica vera certezza dell’esistenzaumana. Ma è possibile prepararsi a morire? Ed è possibile aiutare chi sta morendo? È possibile affidare questo compito alle famiglie e alle persone care? O sono necessari sempre e solo gli “specialisti” del morire quando e se disponibili? I

l buddismo insegna che la meditazione più potente è quella sulla morte così come l’impronta dell’elefante è la più grande.

Tra i bisogni di chi muore sicuramente il sollievo del dolore fisico, coi suoi diversi sintomi, è fondamentale, ma la sofferenza sorge anche dalla crisi spirituale che il dolore e la malattia porta con sé e questo può essere lenito solo con l’accompagnamento spirituale. Per chi muore, l’assistenza spirituale ha la stessa importanza delle cure mediche, anche se è raro che le venga riservato un posto significativo. La conseguenza è che troppe persone non muoiono in pace, ma con angoscia e paura.

Possiamo fare sicuramente ancora molto per cambiare questa realtà.

“In Tibet era molto raro morire in ospedale, e la maggior parte delle persone moriva a casa propria. Chiunque avesse possibilità economiche si guardava bene dall’andare in ospedale. In Tibet, quando si percepiscono i segni di morte ‘lontana’ o ‘vicina’, ci si prepara a morire in casa, in una piccola stanza per non dare fastidio, dato che il corpo dovrà rimanere lì per due o tre giorni. … con un poco d’acqua e il minimo indispensabile, lasciandola in pace, senza disturbarla. Anche le persone ordinarie e non solo i grandi lama…, quando hanno percepito i relativi segni sono certe che è giunto il momento della loro morte, e quindi affidano a una persona il compito di aiutarli nel momento del trapasso. Solo questa persona potrà avvicinarsi al letto per parlare con il morente, ricordando gli insegnamenti e la varie puje e preghiere….. Io stesso ho esplicitamente confermato per iscritto che non voglio assolutamente essere portato all’ospedale quando sarà arrivato il momento della mia morte”.

Da dove partiamo?

Sono un essere umano e ho sentimenti, come chiunque altro. Il modo in cui mi considero e mi tratto influenza i miei sentimenti, così come il Modo in cui gli altri mi considerano e mi trattano influenza il mio stato d’animo. Perciò come spero che gli altri si curino di me e dei miei sentimenti nei nostri rapporti, mi curo dei miei sentimenti, mi curo dei miei sentimenti verso me stesso, mi curo di come tratto me stesso.

Tu sei un essere umano e provi sentimenti, proprio come me.

Il tuo stato d’animo influenzerà la nostra interazione, così come il mio la influenzerà.

Il mio modo di comportarmi con te e quel che ti dico influenzeranno ulteriormente i tuoi sentimenti.

Quindi, così come io spero che ti curerai di me e dei miei sentimenti nella nostra interazione, così io mi curerò di te, mi curerò dei tuoi sentimenti.

ESERCIZIO Numero 1:

Immaginare una sensibilità equilibrata:

ripetiamo la frase per tre volte lentamente cercando di far sorgere quel determinato sentimento o assenza di pregiudizio

nessuna fantasia mentale

interesse amorevole

nessun giudizio

nessuna presunzione

nessuna barriera reale

nessuna paura

gioia

concentrazione

calore

comprensione

espressione del viso

autocontrollo

parole gentili

gesti premurosi

sarebbe davvero meraviglioso se potessi diventare così

vorrei poter diventare così

cercherò decisamente di diventare così

Nel perdono

Ripetiamo come prima ma con pensieri gentili di perdono

nessuna fantasia mentale

interesse amorevole

nessun giudizio

nessuna presunzione

nessuna barriera reale

nessuna paura

gioia

concentrazione

calore

comprensione

espressione del viso

autocontrollo

pensieri gentili di perdono

sarebbe davvero meraviglioso se potessi diventare così

vorrei poter diventare così

cercherò decisamente di diventare così

ADDESTRARSI NEL MORIRE

Possiamo addestrarci a pratiche che ci conducono ad una “buona morte” e acquisire sensibilità e tecniche che possiamo mettere al servizio di chi sta morendo.

Fondamentale in questo è il processo della familiarizzazione.

Le finalità proposte dalla Kubler-Ross sono:

Educare il personale sanitario e i religiosi a FAMILIARIZZARE con i bisogni, i timori e le ansie degli individui che stanno morendo e delle loro famiglie.

Meditare, secondo gli insegnamenti buddhisti, significa proprio ‘familiarizzare’ con l’oggetto di meditazione. Tramite la meditazione ci si familiarizza con un determinato fenomeno che può far parte della nostra sfera psichica o con un oggetto fisico esterno. Ad esempio meditare sull’amore significa familiarizzarsi con tale sentimento

cominciando dall’analisi di cosa si intende per amore: “il desiderio che l’oggetto del nostro amore abbia la felicità e le cause per tale raggiungimento”. Quindi si analizzano le menti che potrebbero essere confuse con tale sentimento quale ad esempio l’attaccamento che viene invece definito come “il non volersi separare da ciò (sia persona fisica che oggetto) che ci crea sensazioni piacevoli”. Al fattore mentale ‘attaccamento’ viene dato, a differenza dell’amore, un connotato negativo in quanto è creatore di disagio psichico.

La finalità di familiarizzarsi con un determinato oggetto è di farlo proprio nel senso più completo del termine. Familiarizzando vinciamo anche la paura. Ad esempio un chirurgo, se è completamente famigliare con una determinata tecnica in quanto l’ha potuta apprendere da un maestro qualificato, l’ha analizzata tramite le sue conoscenze e ha potuto confrontarla con altri professionisti, avrà facilità nell’eseguire quella tecnica e il suo comportamento sarà coerente con quanto appreso e questo comportamento sarà sempre più spontaneo e naturale. Al pari dell’amore uno dei fenomeni su cui, il praticante buddista, deve familiarizzarsi è il morire e la morte unitamente alla temporaneità o il non permanere di tutte le cose.

Fondamentale è quindi introdurre tecniche quali la meditazione o la visualizzazione che sono capaci di renderci famigliari con le nostre emozioni e paure, con i nostri sentimenti più profondi e nascosti che ci portano a comportamenti inconsapevoli. Inoltre la meditazione è capace di aumentare la nostra capacità empatia e sviluppare menti quali la compassione, intesa come desiderio che l’altro non soffra, e l’amore, intesa come desiderio che l’altro sia felice.

L’intero processo del familiarizzarsi con la morte è rivolto a:

1. ‘convincere’ dell’esistenza della morte e a diminuirne la negazione,

2. rendere consapevoli che non possiamo sapere quando questa verrà (ora è il momento di vivere e di non rimandare a domani la pratica spirituale),

3. comprendere che l’unica cosa che realmente ci sarà utile al momento della morte è la nostra preparazione spirituale cioè il livello di training mentale raggiunto.

Questo processo porta a vincere, almeno in parte, la negazione sul morire (vedi anche i cinque punti della Kubler Ross).