Il Buddha Dharma nella vita di tutti i giorni

Secondo il Buddismo, anche se le altre persone, la società e così via contribuiscono ai nostri problemi, non ne costituiscono la fonte più profonda. Per scoprire la radice profonda dei nostri problemi dobbiamo guardare dentro noi stessi.

Secondo il Buddismo, anche se le altre persone, la società e così via contribuiscono ai nostri problemi, non ne costituiscono la fonte più profonda. Per scoprire la radice profonda dei nostri problemi dobbiamo guardare dentro noi stessi.

Il Dharma nella vita di tutti i giorni.

Alexander Berzin, Morelia (Messico) 6 Giugno 2000

Il Dharma come misura di prevenzione

Mi è stato chiesto di parlare della pratica del Dharma nella vita di tutti i giorni. Dobbiamo sapere cosa s’intende per Dharma. Dharma è una parola sanscrita il cui significato letterale è “misura preventiva.” È qualcosa che facciamo per evitare problemi. Per avere interesse nella pratica del Dharma, dobbiamo renderci conto che nella vita ci sono problemi. Questo effettivamente richiede molto coraggio. Molte persone non prendono sul serio né la propria vita, né loro stessi. Lavorano duramente tutto il giorno, poi di sera si distraggono con vari divertimenti e così via, perché sono stanchi. Non guardano realmente dentro di sé, ai problemi della loro vita. Anche se lo fanno, rifiutano di riconoscere che la loro vita non sia soddisfacente perché ciò sarebbe troppo deprimente. Ci vuole coraggio per verificare veramente la qualità della nostra vita e di ammetterlo onestamente quando la troviamo insoddisfacente.

Situazioni insoddisfacenti e loro cause

Naturalmente ci sono diversi livelli d’insoddisfazione. Potremmo dire: “A volte sono di cattivo umore e altre volte va tutto bene, ma non importa. Così è la vita.” Se siamo contenti di questo, bene. Se speriamo di poter migliorare un po’ le cose, ciò ci conduce a cercare un modo per farlo. Per poter trovare dei metodi per migliorare la qualità della nostra vita, dobbiamo identificare la fonte dei nostri problemi. La maggior parte della persone cerca la fonte dei loro problemi al di fuori di loro stessi. “Sono in difficoltà nel mio rapporto con te a causa tua! Tu non ti comporti come vorrei che tu facessi.” Possiamo anche incolpare per le nostre difficoltà la situazione economica o politica. Secondo alcune scuole di psicologia, possiamo attribuire la responsabilità dei problemi che viviamo ad eventi traumatici della nostra infanzia. Incolpare gli altri della nostra infelicità è molto facile. Gettare la colpa su altre persone o su fattori economici o sociali, non porta davvero ad una soluzione. Se seguiamo questa base concettuale, possiamo perdonare, e questo può avere un certo beneficio; ma la maggior parte delle persone scopre che facendolo, non si sono liberati veramente dai loro problemi psicologici e dall’infelicità.

Secondo il Buddismo, anche se le altre persone, la società e così via contribuiscono ai nostri problemi, non ne costituiscono la fonte più profonda. Per scoprire la radice profonda dei nostri problemi dobbiamo guardare dentro noi stessi. Dopotutto, se ci sentiamo infelici, questa è una risposta alla nostra situazione. Persone diverse reagiscono diversamente alla stessa situazione. Anche se ci limitiamo a guardare noi stessi, possiamo vedere che da un giorno all’altro reagiamo diversamente ai problemi. Se la situazione esterna fosse la sola fonte dei problemi, dovremmo reagire ogni volta nello stesso modo, ma non lo facciamo. Alcuni fattori influenzano la nostra reazione, come l’aver avuto una buona giornata al lavoro, ma questi fattori contribuiscono solo superficialmente. Non vanno abbastanza in profondità.

Se osserviamo bene, cominciamo ad accorgerci che i nostri atteggiamenti verso la vita, verso noi stessi e le situazioni in cui ci troviamo, determinano in gran parte come ci sentiamo. Per esempio, quando abbiamo una buona giornata, non proviamo costantemente autocommiserazione; ma quando non abbiamo una buona giornata, ecco che questo sentimento si ripresenta. Il nostro atteggiamento di base verso la vita determina in gran parte come viviamo la vita stessa. Se li analizziamo più profondamente, scopriamo che i nostri atteggiamenti sono fondati sulla confusione.

La confusione come fonte di problemi

Se esploriamo la confusione, vediamo che uno dei suoi aspetti è la confusione riguardo la causa e l’effetto comportamentali. Siamo confusi su cosa fare o dire e su quale ne sarà il risultato. Possiamo essere molto confusi su che tipo di lavoro cercare, se sposarci, se avere bambini, ecc. Se entriamo in relazione con una persona, quale ne sarà il risultato? Non lo sappiamo. Le nostre impressioni su cosa accadrà in seguito alle nostre scelte, sono davvero soltanto fantasie. Possiamo pensare che instaurando un rapporto intimo con una certa persona, poi vivremo per sempre felici, come nelle favole. Se una situazione ci fa arrabbiare, pensiamo che urlare la risolverà. Abbiamo un’impressione molto confusa su come l’altra persona reagirà a quello che facciamo. Pensiamo che se urliamo e diciamo quello che pensiamo, ci sentiremo meglio e tutto andrà bene, ma tutto non andrà bene. Vogliamo sapere cosa accadrà. Consultiamo disperatamente l’astrologia o gettiamo le monete secondo il Libro dei Mutamenti, l’I Ching. Perché facciamo cose del genere? Vogliamo avere controllo su quello che accade.

Secondo il Buddismo, un livello più profondo della confusione riguarda il modo di esistenza di noi stessi, degli altri e del mondo. Siamo del tutto confusi sulla questione del controllo. Pensiamo che sia possibile avere pieno controllo di quanto ci accade. E per questo motivo siamo frustrati. Non è possibile avere costantemente controllo. La realtà non è questa. La realtà è molto complessa. Oltre a ciò che facciamo noi, molte altre cose influiscono su quello che accade. Non è vero che non abbiamo nessun grado di controllo o che siamo manipolati da forze esterne a noi. Noi contribuiamo a quello che accade, ma non siamo l’unico fattore che determina gli avvenimenti.

A causa della nostra confusione e insicurezza, spesso agiamo in modo distruttivo senza nemmeno esserne consapevoli. Questo perché siamo soggetti all’influenza di emozioni e atteggiamenti dannosi e agli impulsi compulsivi che emergono dalle nostre abitudini. Non solo ci comportiamo in modo distruttivo nei confronti degli altri; innanzi tutto mettiamo in atto comportamenti distruttivi verso noi stessi. In altre parole, ci creiamo ancora più problemi. Se vogliamo ridurre i nostri problemi o liberarcene o in più, diventare capaci di aiutare anche gli altri a liberarsi dai loro problemi, dobbiamo riconoscere la fonte dei nostri limiti.

Liberarsi dalla confusione

Mettiamo di essere arrivati a riconoscere la confusione come fonte dei nostri problemi. Non è troppo difficile. Molti arrivano ad ammettere: “Sono davvero confuso; sono pieno di problemi.” E poi? Prima di spendere soldi per questo corso o quel ritiro, dobbiamo considerare molto seriamente se siamo davvero convinti che liberarsi dalla confusione sia possibile. Se non pensiamo di poterci liberare dalla confusione, allora cosa stiamo cercando di fare? Partecipare con la sola speranza che potrebbe essere possibile liberarsi dalla confusione non è molto stabile: è una pia illusione.

Magari pensiamo che la libertà possa giungere a noi in diversi modi. Magari pensiamo che qualcuno ci salverà, forse un essere superiore, divino, come Dio, e così diventiamo di nuovo dei credenti. Altrimenti, possiamo rivolgerci ad un maestro spirituale, ad un partner, o a qualcun altro, purché ci salvi dalla nostra confusione. In questi casi è facile sviluppare dipendenza nei confronti di quella persona e comportarsi in modo immaturo. Spesso abbiamo un bisogno così disperato di trovare un salvatore che ci buttiamo sul primo che capita, senza discriminazione. Possiamo scegliere qualcuno che non è, lui per primo, libero dalla confusione, e che approfitta della nostra ingenua dipendenza, spinto dalle sue emozioni o atteggiamenti dannosi. Questo modo di procedere non è stabile. Per eliminare tutta la nostra confusione non possiamo ricorrere ad un maestro spirituale o a una relazione. Noi stessi dobbiamo eliminare la nostra confusione.

Un rapporto con un maestro spirituale o con un partner può creare circostanze favorevoli, ma solo se si tratta di un rapporto sano. In caso contrario, non fa che peggiorare la situazione e aumenta la confusione. All’inizio possiamo essere in uno stato di ripudio e pensare che l’insegnante o il partner è perfetto, ma infine la nostra ingenuità svanirà. Quando cominciamo ad accorgerci delle debolezze dell’altra persona, e che non sarà lui o lei a salvarci dalla nostra confusione, allora andiamo a pezzi. Ci sentiamo traditi. La nostra fede e la nostra fiducia sono state tradite. È una sensazione terribile! Fin dall’inizio, è molto importante cercare di evitarla. Dobbiamo praticare il Dharma, le misure preventive. Dobbiamo comprendere cos’è possibile e cosa non lo è. Cosa può fare un maestro spirituale e cosa non può fare? Mettiamo in atto misure di prevenzione per evitare di cascare a pezzi.

Dobbiamo sviluppare uno stato mentale libero dalla confusione. La comprensione che è opposta alla confusione, impedirà alla confusione di sorgere. Il nostro compito nel Dharma è coltivare l’introspezione ed essere attenti ai nostri atteggiamenti, alle emozioni dannose e ai nostri comportamenti impulsivi, compulsivi o nevrotici. Questo significa essere disposti ad accorgerci di cose non piacevoli in noi, cose che preferiremmo negare. Quando notiamo delle cose che ci causano problemi o sono sintomi dei nostri problemi, per superarle dobbiamo applicare degli antidoti. Tutto questo processo si basa sullo studio e sulla meditazione. Dobbiamo imparare ad identificare gli atteggiamenti e le emozioni dannose e la loro origine.

La meditazione

Meditare significa praticare l’applicazione dei vari antidoti in una situazione controllata, così da abituarci ad applicarli in modo da poterlo poi fare nella vita reale. Per esempio, se andiamo in collera con gli altri quando non agiscono come noi vorremmo, nella meditazione pensiamo a queste situazioni e cerchiamo di considerarle da un punto di vista diverso. L’altra persona si comporta in modo non piacevole per diversi motivi. Non lo fa necessariamente per dispetto, perché non ci vuole bene. Nella meditazione cerchiamo di dissolvere atteggiamenti come: “Il mio amico non mi vuole più bene perché non mi chiama.”

Se riusciamo ad allenarci ad attraversare questo tipo di situazione con uno stato mentale più rilassato, paziente e comprensivo, allora non perdiamo la testa, quando la persona non ci chiama per una settimana. Quando cominciamo ad essere turbati, ci ricordiamo che questa persona è probabilmente molto impegnata e che pensare di essere la persona più importante della sua vita non è che egocentrismo. Questo ci aiuta a calmare le nostre inquiete emozioni.

Il Dharma è un lavoro a tempo pieno

La pratica del Dharma non è un hobby. Non è qualcosa che facciamo per sport o per rilassarci. Non andiamo ad un centro di Dharma per far parte di un gruppo o incontrare persone. Può essere molto piacevole andarci, ma non è quello lo scopo. Inoltre non andiamo in un centro di Dharma come un drogato che cerca la dose: una dose d’ispirazione da un maestro carismatico e divertente che ci fa sentire bene. Se lo facciamo per questo, appena torniamo a casa, ci sentiamo male e abbiamo bisogno di un’altra dose. Il Dharma non è una droga. Gli insegnanti non sono droghe. La pratica del Dharma è un lavoro a tempo pieno. Stiamo parlando di lavorare sui nostri atteggiamenti verso tutti gli aspetti della nostra vita. Se per esempio stiamo cercando di sviluppare amore nei confronti di tutti gli esseri senzienti, dobbiamo applicarlo alla nostra famiglia. Tante persone stanno sedute nella propria stanza a meditare sull’amore, ma non sanno andare d’accordo con i loro partner o con i genitori. Questo è triste.

Evitare gli estremi

Nell’applicare il Dharma alle situazioni della nostra vita reale, a casa o al lavoro, dobbiamo evitare gli estremi. Un estremo consiste nell’incolpare di tutto gli altri. L’altro estremo è prendere l’intera colpa su di noi. Gli avvenimenti della vita sono molto complessi. Ambedue le parti contribuiscono a ciò che accade: sia noi che gli altri diamo un contributo. Possiamo cercare d’indurre gli altri a cambiare atteggiamento o comportamento, ma sono certo che tutti noi sappiamo per esperienza personale che non è un’impresa facile, specialmente se ci consideriamo moralmente superiori e accusiamo gli altri di essere peccatori. Cercare di cambiare noi stessi è molto più semplice. Possiamo dare dei suggerimenti agli altri sempre che siano aperti e non diventino più aggressivi a causa dei nostri consigli, ma il grosso del lavoro è da fare su noi stessi.

Nel lavorare su noi stessi dobbiamo stare attenti ad un’altra coppia di estremi: nutrire una preoccupazione esclusiva per i nostri sentimenti, oppure non esserne affatto consapevoli. Nel primo caso, si tratta di una preoccupazione narcisistica. C’interessiamo solo di quello che noi stessi proviamo. Tendiamo ad ignorare ciò che provano gli altri e a pensare che i nostri sentimenti siano di gran lunga più importanti di quelli degli altri. D’altra parte, può capitare che non siamo assolutamente in contatto con i nostri sentimenti o che non ne proviamo affatto, come se le nostre emozioni fossero anestetizzate con la Novocaina. Ci vuole un delicato equilibrio per evitare questi estremi; non è affatto facile.

Se osserviamo continuamente noi stessi si crea una dualità fittizia: noi e quello che stiamo facendo o provando. Quindi non ci rapportiamo veramente con gli altri e non stiamo con loro davvero. La vera arte è relazionarsi con gli altri e agire con sincerità e naturalezza, mentre parte della nostra attenzione è concentrata sulla nostra motivazione e così via. Dobbiamo provare a farlo, tuttavia senza che questo conduca ad un comportamento talmente dissociato da impedirci di essere presenti nella relazione. Vorrei inoltre evidenziare che se, mentre siamo in rapporto con un’altra persona, stiamo cercando di verificare qual è la nostra motivazione e i nostri sentimenti, talvolta è d’aiuto dirlo esplicitamente. Tuttavia è segno di narcisismo credere che dobbiamo necessariamente parlarne. Spesso agli altri non interessa cosa proviamo. Credere che a loro interessi è segno di presunzione. Se notiamo che stiamo cominciando a comportarci in modo egoista, possiamo smettere di farlo. Non c’è bisogno di fare proclami.

Un’altra coppia di estremi è il considerarsi totalmente buoni o del tutto cattivi. Se enfatizziamo in modo eccessivo le nostre difficoltà, problemi ed emozioni dannose, è probabile che cominciamo a sentirci cattivi, e questo sentimento degenera facilmente in senso di colpa. “Dovrei praticare. Se non lo faccio, sono una cattiva persona.” Questa è una base molto nevrotica per la pratica.

Dobbiamo anche evitare l’estremo opposto, cioè porre un’enfasi eccessiva sui nostri lati positivi. “Siamo tutti perfetti. Guarda solo la tua natura di Buddha. Ogni cosa è meravigliosa.” Ciò è molto pericoloso, perché può implicare che non c’è nulla che dobbiamo smettere di fare, non dobbiamo abbandonare alcuna negatività perché tutto quello che c’è da fare è contemplare la nostra natura di Buddha. “Sono meraviglioso, sono perfetto; non occorre che mi astenga da comportamenti negativi.” Occorre equilibrio: quando ci sentiamo giù allora è bene ricordare la nostra natura di Buddha, se invece ci sentiamo un po’ troppo perfetti, allora dobbiamo ricordarci dei nostri lati negativi.

Prendersi la responsabilità

Fondamentalmente, dobbiamo prenderci noi stessi la responsabilità del nostro sviluppo e di liberarci dai problemi. Certo, ci serve aiuto; non è facile farlo da soli. Ci potranno essere d’aiuto i maestri o la comunità spirituale, persone che condividono la nostra visione e che stanno lavorando su loro stessi, che non si gettano l’un l’altro la colpa delle proprie difficoltà. Ecco perché in un rapporto è importante che i partner condividano, in particolare, la tendenza a non buttare sull’altro la colpa delle difficoltà che si presentano. Se i partner s’incolpano a vicenda, il rapporto proprio non funziona. Se uno solo dei partner lavora su di sé mentre l’altro non fa che incolpare, nemmeno allora funziona. Se siamo già coinvolti in una relazione con una persona che tende ad accusarci mentre noi cerchiamo di prenderci la nostra parte di responsabilità, certamente sarà più difficile ma ciò non significa che dobbiamo interrompere questa relazione. Dovremo cercare di evitare di diventare, in questo rapporto, un martire: “Sto sopportando tutta questa situazione, quanto è difficile!” Il tutto può essere molto nevrotico.

Ricevere ispirazione

Il tipo di sostegno che possiamo trovare in un maestro spirituale, in una comunità spirituale o in amici dalle nostre stesse idee, viene talvolta chiamato “ispirazione.” Gli insegnamenti del Buddismo pongono grande enfasi nel ricevere ispirazione dai Tre Gioielli, dai maestri e così via. Il termine tibetano è “jinlab” (byin-rlabs), solitamente tradotto in modo poco appropriato, come “benedizioni.” Ci serve ispirazione. Abbiamo bisogno di una sorta di forza per andare avanti.

La via del Dharma non è facile. Essa affronta il lato brutto della vita. Abbiamo bisogno di fonti stabili d’ispirazione. Se l’ispirazione proviene da maestri che ci raccontano storie fantastiche di miracoli o cose del genere, sia che riguardino loro stessi o altri nella storia del Buddismo, questa non sarà una fonte d’ispirazione molto stabile. Certamente possono essere eccitanti, ma dobbiamo esaminare come influiscono su di noi. In molti casi non fanno che rinforzare un mondo fantastico nel quale ci aspettiamo di essere salvati per mezzo di miracoli. Immaginiamo che qualche grande stregone ci salverà con i suoi poteri miracolosi, o che noi stessi riusciremo improvvisamente a sviluppare queste facoltà miracolose. Dobbiamo essere molto cauti rispetto a queste storie fantastiche. Esse possono ispirarci nella nostra fede e così via, e questo può essere utile, ma non possono essere una stabile base d’ispirazione. Dobbiamo avere una base stabile.

Un esempio perfetto è quello del Buddha. Buddha non cercava di “ispirare” le persone o far colpo su di loro raccontando storie fantastiche. Non si vantava andandosene in giro a benedire la gente e roba del genere. L’analogia che Buddha usava, riportata negli insegnamenti buddisti, è che un Buddha è come il sole. Il sole non cerca di scaldare la gente. A causa della sua natura, porta spontaneamente a tutti calore, in modo naturale. Nonostante possiamo esaltarci per aver sentito una storia fantastica o essere stati toccati sulla testa con una statua o per aver ricevuto un cordino rosso da legarci al collo, ciò non è stabile. Una stabile fonte d’ispirazione risiede nel modo in cui il maestro naturalmente e spontaneamente è come persona: il suo carattere, il suo modo di essere come risultato della pratica del Dharma. Questo è ciò che ispira, non una commedia messa in atto per intrattenerci. Nonostante non sia eccitante come una storia fantastica, ci darà uno stabile senso d’ispirazione.

Progredendo, possiamo trarre ispirazione dal nostro stesso progresso, non per il fatto di aver acquisito poteri miracolosi, ma dal modo in cui lentamente cambia il nostro carattere. Gli insegnamenti insistono sempre sul rallegrarsi delle proprie azioni positive. È molto importante ricordare che il progresso non è mai lineare. Non è che ogni giorno va sempre meglio. Una delle caratteristiche del samsara è che finché non ne siamo completamente liberi, il che accadrà ad uno stadio incredibilmente avanzato, il nostro umore continua ad avere alti e bassi. Ci dobbiamo aspettare che a volte ci sentiremo felici, a volte infelici. A volte saremo in grado di comportarci in modo positivo e altre volte le nostre abitudini nevrotiche prenderanno il sopravvento. Continueremo ad avere alti e bassi. Di solito i miracoli non accadono.

Gli insegnamenti sull’evitare le otto preoccupazioni mondane sottolineano l’importanza di non montarci la testa quando le cose vanno bene e di non deprimerci quando non vanno bene. Così è la vita. Dobbiamo tenere presenti gli effetti a lungo termine, non quelli a breve termine. Per esempio, se sono cinque anni che pratichiamo, rispetto a cinque anni fa avremo fatto molti progressi. Anche se qualche volta ci arrabbiamo, se notiamo che siamo in grado di affrontare le situazioni con una mente ed un cuore più chiari e più calmi, ciò indica che abbiamo fatto dei progressi. Questo ci è d’ispirazione. Non è un cambiamento drammatico, anche se ci piacerebbe che lo fosse e le cose drammatiche ci esaltano. È un’ispirazione stabile.

Essere pratici

Bisogna essere piuttosto pratici e stare con i piedi per terra. Quando facciamo pratiche di purificazione, come la pratica di Vajrasattva, è importante non pensare come se ci purificasse San Vajrasattva. Non è una figura esterna, un grande santo che ci salverà e ci benedice, purificandoci. Non funziona affatto così. Vajrasattva rappresenta la naturale purezza della mente di chiara luce, che non è inerentemente macchiata dalla confusione. La confusione può essere rimossa. Ciò avviene con il riconoscere la purezza naturale della mente attraverso i nostri sforzi, così da lasciar andare i sensi di colpa, le potenzialità negative e così via. Questo consente al processo di purificazione di operare.

Inoltre, nel fare tutte queste pratiche e nel cercare d’integrare il Dharma nella nostra vita, dobbiamo riconoscere ed ammettere il livello in cui ci troviamo. L’essenziale è non aver pretese e non credere di dover essere ad un livello più elevato di quello in cui ora ci troviamo.

Avvicinarsi al Dharma partendo da un’educazione cattolica

Qui gran parte di noi proviene da un ambiente cattolico. Quando ci avviciniamo al Dharma e cominciamo a studiare, non dobbiamo sentirci costretti ad abbandonare il Cattolicesimo e convertirci al Buddismo. Tuttavia è importante non mescolare le due pratiche. Non facciamo tre prostrazioni all’altare prima di sederci in una chiesa. Ugualmente, quando facciamo una pratica buddista, non visualizziamo la Vergine Maria, ma le forme di Buddha. Pratichiamo ciascuna separatamente. Quando andiamo in chiesa, andiamo solo in chiesa; quando facciamo una meditazione buddista, facciamo una meditazione buddista. Ci sono molti aspetti comuni, come l’enfasi sull’amore, sull’aiutare gli altri e così via. Ad un livello di base non c’è conflitto. Praticando l’amore, la carità e l’aiuto agli altri, possiamo essere sia dei buoni cattolici che dei buoni buddisti. Ad un certo punto dovremo scegliere, ma questo solo quando saremo pronti a indirizzare tutti i nostri sforzi verso la realizzazione di un enorme progresso spirituale. Se vogliamo arrivare fino all’ultimo piano di un edificio, non possiamo salire due scalinate contemporaneamente. Credo che questo sia un paragone molto utile. Finché rimaniamo semplicemente al piano terra, all’ingresso, non c’è problema. Non dobbiamo preoccuparcene, possiamo trarre profitto da entrambe le religioni.

Evitare una lealtà fuori luogo

Nell’applicare il Dharma alla nostra vita dobbiamo stare attenti a non rifiutare la religione in cui siamo cresciuti, considerandola negativa o inferiore. Questo è un grande errore. Rischieremmo di diventare dei buddisti fanatici e, per esempio, dei fanatici anticattolici. La gente lo fa anche con il comunismo e la democrazia. Scatta un meccanismo psicologico denominato “lealtà fuori luogo.” Abbiamo la tendenza a voler essere leali nei confronti della nostra famiglia, del nostro ambiente e così via, quindi vogliamo esserlo anche nei confronti del Cattolicesimo, sebbene l’abbiamo respinto. Se non siamo leali nei confronti del nostro passato e lo respingiamo del tutto, giudicandolo negativo, poi noi stessi sentiremo d’essere completamente negativi. Dato che ciò è estremamente spiacevole, inconsciamente sentiamo il bisogno di trovare qualche elemento del nostro passato al quale restare leali.

La tendenza è di restare inconsciamente leali a certi aspetti meno vantaggiosi del nostro passato. Per esempio, pur rifiutando il Cattolicesimo possiamo portarci dietro nel Buddismo una gran paura dell’inferno. Una mia amica era una fervente cattolica, si è convertita con altrettanta convinzione al Buddismo, poi è caduta in una crisi esistenziale. “Ho rifiutato il Cattolicesimo, quindi andrò nell’inferno cattolico; ma se rifiuto il Buddismo e torno al Cattolicesimo, finirò nell’inferno buddista!” Potrà suonare buffo, ma per lei era davvero un problema molto serio.

Spesso inconsciamente portiamo nella pratica del Buddismo certi atteggiamenti tipici del Cattolicesimo. I più comuni sono il senso di colpa e l’attesa di miracoli o di qualcuno che ci salvi. Quando non pratichiamo sentiamo che dovremmo farlo e se non lo facciamo, siamo colpevoli. Queste idee non ci sono affatto d’aiuto. Quando le abbiamo, dobbiamo accorgercene. Dobbiamo guardare al nostro passato e riconoscerne gli aspetti positivi, così possiamo essere leali a questi piuttosto che a quelli negativi. Invece di pensare: “Ho ereditato il senso di colpa e la speranza nei miracoli,” possiamo pensare: “dal Cattolicesimo ho ereditato la tradizione dell’amore, della carità e del dare aiuto a chi è sfortunato.”

Possiamo fare la stessa cosa per quanto riguarda la nostra famiglia. Possiamo rifiutarla ed essere inconsciamente leali alle sue tradizioni negative, invece di essere consapevolmente leali a quelle buone. Se per esempio riconosciamo di essere molto grati per essere stati cresciuti nel Cattolicesimo, allora potremo andare per la nostra strada senza conflitti relativi al nostro passato e senza provare sentimenti negativi che possono pregiudicare il nostro progresso costantemente.

È importante cercare di comprendere la validità psicologica di quanto abbiamo detto. Se consideriamo negativo il nostro passato, la nostra famiglia, la religione in cui siamo nati, o qualunque altra cosa, tenderemo ad avere un atteggiamento negativo verso noi stessi. D’altro canto, se riconosciamo quanto c’è stato di positivo nel nostro passato e nella nostra storia, il nostro atteggiamento verso noi stessi tenderà ad essere più positivo. Questo ci aiuta ad essere molto più stabili lungo il nostro sentiero spirituale.

Conclusione

Bisogna procedere lentamente, passo dopo passo. Quando ascoltiamo insegnamenti molto avanzati, partecipiamo ad iniziazioni tantriche e cose simili, anche se i grandi maestri del passato hanno detto: “Appena ascoltate un insegnamento, mettetelo subito in pratica,” dobbiamo stabilire se è qualcosa di troppo avanzato per noi o se si tratta di qualcosa che possiamo praticare subito. Se è troppo avanzato, dobbiamo discernere quali sono i passi da fare per prepararci così da poter mettere in pratica l’insegnamento, e poi seguire questi passi. In breve, come diceva uno dei miei maestri, Gheshe Ngawang Dhargyey, “Se pratichiamo metodi di fantasia, otterremo risultati di fantasia; se pratichiamo metodi concreti otterremo risultati concreti.”

Fonte che gentilmente si ringrazia: http://www.BerzinArchives.com /web/it/archives/approaching_buddhism/introduction/dharma_daily_life.html