Gheshe Rabten: La pratica della meditazione

Ghesce Rabten: La causa radice di tutti i nostri problemi è l’ignoranza. 

Ghesce Rabten: La causa radice di tutti i nostri problemi è l’ignoranza.

Gheshe Rabten: La pratica della meditazione

Durante la meditazione, la concentrazione o calmo dimorare si manifesta quando i nostri fattori mentali sono purificati, e quindi la nostra mente può dimorare pacificamente sull’oggetto.
Vi sono due tipi di meditazione: analitica e concentrativa. Per eliminare le illusioni e raggiungere l’obiettivo è necessario utilizzare entrambi i tipi di meditazione. C’è chi sostiene che la riflessione e lo studio del Dharma non sono meditazione, ma le scritture affermano che anche queste
attività sono in effetti forme di meditazione. Se non riflettiamo attentamente e non conosciamo la natura dell’oggetto, non ci potremo concentrare bene. La confusione della mente è prodotta dalla mente stessa; per pacificarla quindi è richiesta una attività della mente stessa, e nient’altro di esterno. L’attività principale deve essere mentale: su questa base, fattori come un luogo adatto e la postura di meditazione possono essere d’aiuto.
Il luogo in cui pratichiamo la meditazione dovrebbe essere pulito, tranquillo, vicino alla natura, e piacevole ai nostri occhi. Il corpo dovrebbe essere sano, non malato. Anche il sedere nella postura corretta è di aiuto. La postura ideale per la meditazione consta di sette aspetti:
1. se non è dolorosa, la postura migliore è quella del vajra, con le gambe incrociate e i piedi rivolti verso l’alto
appoggiati sulle cosce. Tuttavia, se il sedere in questa postura ci provoca dolore e distrae la mente, il piede sinistro dovrebbe essere infilato sotto la coscia destra, mentre il piede destro poggia sulla coscia sinistra.
2. il tronco deve essere più diritto
ed eretto possibile.
3. le braccia disegnano un arco, e non sono né appoggiate ai fianchi né spinte indietro. I1 dorso della mano destra poggia sul palmo della sinistra; i pollici sono alla stessa altezza dell’ombelico,
4. il collo è leggermente inclinato in avanti, col mento rientrato. In questo modo la colonna vertebrale è diritta come una pila di monete
5. gli occhi guardano diritto lungo i lati del naso, e non sono né completamente aperti chiusi.
6. bocca e
labbra sono rilassate, né aperte serrate.
7. la lingua spinge lievemente contro il palato.
Questi sono
i sette aspetti della postura del vajra, ciascun aspetto simboleggia un diverso stadio del sentiero, ma possiede anche uno scopo pratico. Le gambe incrociate coi piedi poggiati sulle cosce sigillano la postura. Possiamo sigillarci saldamente in posizione con le gambe incrociate ed i piedi sulle cosce, come abbiamo descritto; in questa postura potremmo sedere in meditazione per lungo tempo, anche per mesi, senza cadere. Il tronco diritto consente il funzionamento ottimale dei canali nei quali scorrono le arie su cui la mente si muove all’interno del corpo. Se il tronco è diritto, questi canali non saranno bloccati. Anche la posizione delle braccia consente il miglior funzionamento di questi canali. Se si rivolge lo sguardo troppo all’insù è facile vedere qualcosa che ci distrae; se invece il capo è troppo all’ingiù sorge dolore al collo oppure sonnolenza. La bocca non dovrebbe essere chiusa così strettamente da rendere difficile il respiro nel caso che il naso sia un poco bloccato; non dovrebbe essere nemmeno così aperta da fare in modo che una respirazione eccessiva provochi un accrescimento dell’elemento fuoco nel corpo, con conseguente innalzamento della pressione. Se la lingua preme sul palato, la gola e la bocca resteranno umide. Queste sono le ragioni dirette della postura. Molto raramente alcune persone possono avere i canali interiori sistemati in modo diverso, nel qual caso c’è bisogno di una postura differente.
Anche solo sedendo nella postura
del vajra si ottiene uno stato mentale positivo, ma il lavoro principale è compito della mente stessa. Se un ladro entra in una stanza, il modo di eliminarlo è penetrare nella stanza e buttarcelo fuori, non solamente urlare dall’esterno. Analogamente, se siamo seduti in cima alla montagna, ma la nostra mente si aggira per il paese a valle, non riusciremo a sviluppare una profonda concentrazione.
La concentrazione ha due nemici. Uno è la mente troppo impegnata, incontrollata, l’attenzione confusa; l’altro è la sonnolenza, il torpore o lo sprofondamento. La nostra attenzione è distratta quando sorge un desiderio e la mente immediatamente lo rincorre. Ogni qualvolta la mente insegue qualcosa che sia diverso dall’oggetto di concentrazione, questa è una mente incontrollata o dispersa. La sonnolenza, o torpore, si verifica quando la mente è torpida e non presente. Se vogliamo concentrarci bene, dobbiamo superare questi disturbi. Se sul muro di una stanza oscura c’è un bel dipinto, abbiamo bisogno di una candela per vederlo, ma se c’è una corrente d’aria la fiamma vacillerà e non riusciremo a vedere correttamente. Se non vi è corrente d’aria, ma la fiamma è molto fievole, non avremo luce sufficiente e non potremo ancora vedere il dipinto. Se nessuna di queste difficoltà è presente, la fiamma sarà forte e stabile e riusciremo a vedere con chiarezza il dipinto. Il dipinto è come l’oggetto di concentrazione, la fiammella è la mente, il vento è l’attenzione dispersa, mentre la fiamma debole rappresenta il torpore.
Negli
stadi iniziali della pratica della concentrazione, la prima di questa difficoltà è più comune: la mente immediatamente sfugge dall’oggetto verso altre cose. Possiamo vederlo se cerchiamo di mantenere la mente sul ricordo di un volto; immediatamente viene sostituito da qualcosa d’altro. E’ molto difficile eliminare queste difficoltà perché, nel corso di molte vite, ci siamo fonnati l’abitudine di andare dietro ad ogni pensiero, mentre non abbiamo sviluppato l’abitudine alla concentrazione. Può darsi che sia per noi molto difficile sviluppare nuove abitudini mentali ed abbandonare le vecchie, però la concentrazione è la necessaria base di tutte le meditazioni più elevate e di ogni tipo di attività mentale.
La presenza mentale e la consapevolezza sono gli antidoti rispettivamente per l’attenzione dispersa ed il torpore. Il disegno che abbiamo qui rappresenta un aspirante meditatore, che segue il sentiero degli stadi meditativi che culmina nell’ottenimento del calmo dimorare e nell’inizio della pratica della visione profonda. In fondo alla pagina vediamo il praticante, con una corda in una mano ed un uncino nell’altra. Egli rincorre un elefante guidato da una scimmia. L’elefante rappresenta la mente del meditatore: un elefante selvaggio e non domato può essere pericoloso e portare enormi distruzioni, ma una vita addestrato obbedirà agli ordini e lavorerà. Docilmente e duramente, Lo stesso vale per la mente. Qualunque sofferenza abbiamo ora la dobbiamo al fatto che la nostra mente è simile ad un elefante selvaggio, non domato. Inoltre l’elefante lascia orme molto grandi; queste simboleggiano i difetti mentali. Se lavoreremo duro a migliorare la nostra mente, questa in cambio potrà fare un grandissimo lavoro per noi. Dalla sofferenza degli infermi alla felicità del Buddha, tutti gli stati hanno la loro causa nel comportamento della mente.
All’inizio del sentiero l’elefante è nero, a simboleggiare il torpore o lo sprofondarsi della mente. La scimmia che guida l’elefante rappresenta la dispersività mentale. Una scimmia non riesce a star ferma un attimo chiacchiera e traffica continuamente, ed è attratta da ogni cosa. Nello stesso modo in cui la scimmia è davanti all’elefante e lo guida, così la nostra attenzione è dispersa dagli oggetti sensoriali di gusto, tatto, udito, odorato e vista. Questi sono simbolizzati da cibo, vesti, strumenti musicali, profumo ed uno specchio. Dietro all’elefante c’è una figura, che rappresenta il meditatore che cerca di domare la mente; la corda che tiene in mano è la presenza mentale o attenzione e l’uncino è la consapevolezza. Per mezzo di questi due strumenti il mo, che rappresenta l’energia necessaria alla concentrazione. Notiamo che il fuoco diminuisce gradualmente in ciascuno dei dieci stadi da percorrere per l’ottenimento di sciné, il calmo dimorare, la perfetta concentrazione, dal momento che per concentrarsi è necessaria meno energia. Divamperà ancora all’undicesimo stadio, quando inizia la pratica della visione profonda.

Gli stadi di sviluppo della concentrazione univoca.

Inizialmente, proprio come l’elefante guidato dalla scimmia non presta attenzione alla persona che lo insegue, il praticante non ha nessun controllo sulla sua mente. Nel secondo stadio il praticante, che ha quasi raggiunto l’elefante, riesce a gettargli la corda attorno al collo. L’elefante si guarda indietro: è il terzo stadio, dove la mente può essere trattenuta un poco dalla presenza mentale. Qui sul dorso dell’elefante c’è un coniglio, a simboleggiare il torpore sottile, che precedentemente poteva sembrare essere uno stadio di concentrazione, ma può qui essere riconosciuto per il fattore dannoso che è. In questi stadi iniziali la presenza mentale ci è più necessaria della consapevolezza.
Al quarto stadio, la mente elefante è più ubbidiente, quindi non è necessario tirare più così tanto la corda della presenza mentale. Al quinto stadio l’elefante è guidato dalla corda e dall’uncino, mentre la scimmia segue. A questo punto non siamo più tanto disturbati dalla dispersività o dalle distrazioni, ci è necessaria la consapevolezza più della presenza mentale. Nel disegno, il sesto stadio della pratica è rappresentato dall’elefante e dalla scimmia che insieme seguono obbedienti il praticante, che non ha bisogno di voltarsi indietro. Questo significa che il praticante non ha bisogno di focalizzarsi continuamente sul controllare la mente, mentre l’assenza del coniglio indica che il torpore sottile, apparso al terzo stadio, ora è scomparso.
Una volta raggiunto il settimo stadio si può lasciare che l’elefante ci segua spontaneamente e la scimmia se ne va; il praticante non ha più necessità di usare corda ed uncino — dispersività e torpore si verificano solo sporadicamente e in misura lieve. All’ottavo stadio l’elefante è completamente bianco e segue il praticante; questo indica che la mente è obbediente e non vi è più sprofondarsi o dispersione, anche se è ancora necessaria un poco di energia per concentrarsi. Al nono stadio il praticante può stare seduto in meditazione mentre l’elefante dorme pacificamente accanto a lui; a questo punto la mente si può concentrare
senza sforzo per lunghi periodi di tempo — giorni, settimane, perfino mesi. Il decimo stadio, in cui vediamo il meditatore in groppa all’elefante, simboleggia il reale ottenimento del calmo dimorare. All’ultimo stadio, l’undicesimo, il meditatore siede in groppa all’elefante e brandisce una spada. A questo punto il praticante inizia un nuovo tipo di meditazione chiamata “visione superiore”, o profonda.
Se pratichiamo la meditazione del calmo
dimorare, possiamo usare una immagine di Buddha come oggetto di concentrazione. Per prima cosa, dobbiamo osservarla con la massima attenzione; poi iniziamo a meditare. In meditazione non guardiamo l’oggetto con gli occhi fisici, ma ci focalizziamo su di esso con l’occhio della mente. Inizialmente il nostro ricordo dell’oggetto non sarà- affatto chiaro, ma anche in questo caso non dovremmo sforzarci di renderlo chiaro — all’inizio questo è impossibile. La cosa importante è mantenere la nostra attenzione focalizzata sull’oggetto, che sia chiaro o meno. Alla fine anche la chiarezza verrà naturalmente.
Inizialmente
la concentrazione è molto difficile; la mente continua a scappare da tutte le parti. Tuttavia, persistendo nella pratica, scopriremo di essere in grado di mantenere la mente sull’oggetto per uno o due minuti, poi tre o quattro minuti, e così via. Ogni volta che la mente abbandona l’oggetto, con la presenza mentale dovremo riportarvela Occorre usare la consapevolezza per vedere se stanno sorgendo interferenze oppure no. Se trasportiamo una ciotola piena di acqua calda su una strada sconnessa, parte della nostra mente dovrà tenere d’occhio l’acqua, e parte la strada. La presenza mentale deve mantenere stabile la concentrazione, e la consapevolezza prestare attenzione all’insorgere di eventuali interferenze. Come abbiamo visto nella figura, dopo gli stadi iniziali abbiamo bisogno di sempre minore presenza mentale, ma allora la mente, stanca per l’aver combattuto la dispersività, cade nel torpore.
Dopo qualche tempo si giunge ad uno stadio in cui il meditatore prova grande felicità e rilassamento, che spesso viene confuso col vero stato di calma dimorante; in effetti invece si tratta del torpore sottile, che indebolisce la mente. Se continuiamo la pratica con energia, anche questo torpore sottile finirà con lo sparire; una volta ein_nata questa interferenza la mente diventa più chiara e più sveglia, e quindi l’oggetto di meditazione viene visto con maggiore chiarezza Mano a mano che la nostra percezione dell’oggetto di meditazione diventa più chiara e più fresca, il nostro corpo sani sostenuto dalla pace mentale, cosicché non sentiremo fame o sete. Alla fine, un meditatore può andare avanti in questo modo per mesi di seguito. Quello che la mente prova a questo stadio è indescrivibile.
Se guardiamo un pezzo di tela con gli occhi potremo vederlo, ma non in grande dettaglio; ma una persona che si sia concentrata bene su di esso con l’occhio della mente
può vederlo chiaramente in tutti i suoi dettagli. Al momento della morte la mente si indebolisce, ma se pratichiamo la meditazione la nostra mente, in quel momento, diventerà in effetti più fresca e più chiara. Normalmente i morentì provano illusioni e paure che li portano a cattive rinascite; tuttavia, se avremo meditato bene, allora durante il processo della morte la nostra mente sani concentrata sui Buddha, Dharma e così via, questo ci sani di grande aiuto per la prossima rinascita.
Dicono le scritture che nel nono stadio della pratica del calmo dimorare, anche se accanto al meditatore un muro dovesse crollare, egli non ne sarebbe disturbato. Man mano che il meditatore prosegue nella pratica, il suo corpo e la sua mente provano un piacere speciale; questo sentimento è il segno del raggiungimento del calmo dimorare. Il corpo del meditatore diventa leggero e instancabile, il che nella figura è simboleggiato dalla persona che vola. Il suo corpo è estremamente elastico, la mente può essere diretta verso ogni meditazione, proprio come un sottile filo di rame può essere girato in ogni direzione senza spezzarsi. Al meditatore sembra che la sua mente e l’oggetto siano una cosa sola.
Sebbene al nono stadio del calmo dimorare ci si senta molto felici e pieni di pace, non è questo il vero obiettivo della meditazione. Una stabile concentrazione sull’oggetto non è ancora l’ottenimento completo. Ora il meditatore può unire la concentrazione ad un esame della natura vera dell’oggetto di meditazione.
Dopo aver proseguito nella pratica simultanea di entrambi i tipi di meditazione, un piacere speciale sorge dal vedere entro l’oggetto. “Vedere l’oggetto” implica vedere se un oggetto è della natura della sofferenza, se è permanente o soggetto a cambiamento, e cercare la verità più elevata che si possa trovare sulla reale natura dell’oggetto. In Tibetano, il nome dì questa meditazione abbinata alla visione o intuizione profonda (inglese: insight) è lhag.thong; lhag significa più, o più elevato, e thong vuoi dire comprendere o realizzare. Per mezzo di questo tipo di meditazione la mente ottiene una maggiore comprensione dell’oggetto di quanto ne acquisti solo con la concentrazione; quando questa pratica è portata a perfezione, la mente può dirigersi su qualunque cosa La perfezione del lhag.thong dona una grande soddisfazione spirituale, ma se ci si accontenta solamente di questo è come se si avesse costruito un aeroplano, pronto a volare, ma lo si lasciasse a terra.
La mente può essere indirizzata verso obbiettivi più profondi e elevati. Deve essere usata da una parte per esaurire il karma e i difetti mentali, dall’altra per ottenere le virtù di un Buddha. Per questo, l’oggetto di meditazione non può essere che la vacuità, o sunyata; le altre meditazioni preparano la mente per questo oggetto finale. Se abbiamo una lampada molto buona che può lasciarci vedere qualunque cosa, dovremo usarne la luce per trovare quello che è importante. La causa radice di tutti i nostri problemi è l’ignoranza. Dobbiamo usare la nostra conoscenza della vacuità per eliminare l’ignoranza; dobbiamo usare la nostra mente, purificata dalla calma dimorante e dalla visione profonda, per recidere la radice dell’albero dell’ignoranza. Nella figura, a questo stadio, il praticante brandisce una spada, che simboleggia la realizzazione della vacuità, per tagliare le due linee nere che simboleggiano le due oscurazioni: le oscurazioni dei difetti mentali e le oscurazioni alla conoscenza.
La realizzazione della vacuità risulta essenziale
per eliminare l’ignoranza. Una volta che ci siamo avvicinati ad una comprensione completa della vacuità siamo sulla strada della perfezione della saggezza.
Colophom: Tratto dalla raccolta di insegnamenti “Buddhismo 101” del Centro Tse Chen Ling. Testo originale sconosciuto.