2 – Ven. Geshe Gedun Tharchin: Commentario sul Sutra del Essenza della Saggezza

Ven. Geshe Gedun Tharchin: La madre è dentro di noi, la natura ultima della mente è la madre stessa.

Ven. Geshe Gedun Tharchin: La madre è dentro di noi, la natura ultima della mente è la madre stessa.

2 – Commentario sul Sutra del Essenza della Saggezza del Ven. Geshe Gedun Tharchin, Roma 2004.

Madre di tutti gli Illuminati

Il titolo è in sanscrito: Bhagavati Prajna Paramita Hridaya; in tibetano: Chom Den De Ma She Rab Kyi Pa Rol Tu Chin Pe Nying Po; in italiano:

Il cuore della Bhagavati, la Perfezione della Saggezza o il sutra dell’essenza della saggezza. Chom Den De significa bagavan, Buddha o essere illuminato che ha eliminato tutti gli ostacoli e ottenuto tutte le qualità. Chom vuol dire colui che ha eliminato ogni confusione, che ha distrutto tutti gli ostacoli e le oscurazioni mentali; Den che ha ottenuto tutte le qualità ; De che è andato al di là di tutte le confusioni e della sofferenza. Non so esattamente come ciò corrisponda al sanscrito baghavan, perché in tibetano Chom ha un significato, Den un altro, De un altro ancora. Insieme queste tre parole danno la definizione dello stato di Buddha.

Ma significa madre, la madre di Chom Den De, del risvegliato e cioè la Perfezione della Saggezza. Quindi la perfezione della saggezza è la madre dello stato del pieno risveglio. Questo sutra è l’essenza, il cuore della perfezione della saggezza, di cui ci dà i punti essenziali. Il che significa che chiunque voglia raggiungere lo stato di perfetta realizzazione, ovvero d’Illuminazione, deve attraversare il processo di perfezionamento della saggezza. È interessante notare come si è soliti dire: “chi vuole distruggere tutti i problemi, gli ostacoli, chi vuole ottenere tutte le qualità, chi vuole essere libero dalle sofferenze, questo deve ottenere la realizzazione della saggezza”, per questo la saggezza viene chiamata madre. Tuttavia la madre da sola non è sufficiente per causare l’Illuminazione. Il padre è il metodo, lo strumento intelligente, cioè la bodhicitta.

Metaforicamente, quando si parla in termini filosofici all’interno del veicolo del bodhisattva, il padre è la bodhicitta e la madre è la saggezza ed è così anche nelle immagini tantriche, in cui vi è sempre una figura femminile (la saggezza) ed una maschile (la bodhicitta). L’unione di queste due realizzazioni produce la beatitudine dell’Illuminazione, cioè Chom Den De, lo stato di eliminazione degli ostacoli, di ottenimento delle qualità e lo stato di libertà.

Quando parliamo di queste cose, percepiamo spontaneamente l’Illuminazione come qualcosa di lontano, concepiamo una forte distanza da essa e ci sentiamo separati da questo stato, sebbene protesi verso di esso. Ma questo è un modo sbagliato per affrontare il concetto. Infatti Chom Den De sono tre differenti qualità che non devono essere considerate estranee alla nostra mente. Non dobbiamo considerarle come degli stati che possiamo raggiungere solo dopo un lunghissimo percorso, come un qualcosa di distante da noi. Intendo dire che ci si può avvicinare al percorso spirituale in due modi: uno è pensare che siamo dei viaggiatori che devono andare da un posto all’altro, l’altro è pensare che non siamo dei viaggiatori, ma stiamo solamente purificando la nostra mente, in cui vi è una sorta di equilibrio, ci sono delle parti negative e delle parti positive e non si sta cercano di passare da uno stato negativo ad uno positivo o viceversa, è lo stesso luogo, lo stesso momento, è qui, ora.

Ora passiamo alla perfezione della saggezza, Phar Chin. Perfezione significa saggezza che va al di là. Ma chi o cosa è andato al di là? Ciò che è andato al di là è la vera natura della mente, la sua realtà ultima, cioè la vacuità della mente stessa. Quindi la vacuità della mente è l’essenza della perfezione della saggezza. Tale essenza non è riferita alla mente in generale, ma a quella che va dalla mente di tutti gli esseri comuni alla mente dei Buddha. L’essenza della perfezione della saggezza ha ora due significati: uno si riferisce al sutra, lo strumento attraverso cui si cerca di spiegare l’essenza della perfezione della saggezza, e l’altro è la natura ultima della mente, vacuità della mente, reale natura della mente. Di conseguenza, quando leggiamo un discorso sulla madre del Vittorioso, l’essenza della perfezione della saggezza, non dobbiamo pensare al sutra, ma la natura della nostra mente. Il titolo possiede dunque un significato molto speciale.

Dov’è la madre adesso? La madre è dentro di noi, la natura ultima della mente è la madre stessa, la madre dei bhagavati. Quindi lo strumento che possiamo utilizzare per raggiungere pienamente il totale risveglio è la natura della nostra stessa mente. Ma come possiamo farle assumere questo ruolo di madre? Attraverso la purificazione della nostra mente: purificare significa permettere alla vera natura della mente di manifestarsi. C’è un profondo significato in questo. L’unica cosa che dobbiamo fare è lasciar apparire la vera natura della mente, senza complicazioni come andare all’ufficio per eremiti, salire sulla montagna a fare il ritiro e scendere ogni mese a prendere i soldi… quando guardiamo le cose, la prima cosa da guardare è la vera natura della nostra mente. Quando meditiamo la prima cosa che dobbiamo cercare di vedere è la vera natura della nostra mente. Quando parliamo, il posto da cui provengono le nostre parole, dovrebbe essere la vera natura della nostra mente e noi dovremmo parlare alla natura ultima della mente di chi ci ascolta. Anche questa è una questione di consapevolezza, di presenza mentale. È l’essenza di ciò che Buddha ha insegnato. Ma non è un qualcosa che il Buddha ha creato, è qualcosa di universale, che è sempre stato qui. Si tratta di qualcosa da scoprire per potersi liberare da tutte le confusioni.

Questo è un punto importante perché mostra come il titolo racchiuda in sé tutto il contenuto del testo. Dobbiamo ricordarci sempre che l’essenza della perfezione della saggezza è la natura della mente, che a sua volta è la madre di coloro che hanno superato gli ostacoli, hanno ottenuto le qualità positive, sono liberi dalle sofferenze.

Percezione profonda

Cominciamo il sutra: Così una volta udii: Il Bhagavan dimorava a Rajgriha, presso il Picco dell’Avvoltoio, con un gran numero di Arhat ed un gran numero di Bodhisattva, ed a quel tempo il Bhagavan era entrato nell’assorbimento meditativo sulla varietà dei fenomeni chiamato “percezione profonda”.

Un’altra versione riporta “comunità di monaci” ma si intende gli Arhat, tra cui vi erano gli ascoltatori. Poi vi erano i Bodhisattva e altri. Se ‘’comunità di monaci” si riferisce ai bikkhu, allora bikkhu significherebbe non-bodhisattva oppure bodhisattva significa non-bikkhu. Questo concetto potrebbe causare dei fraintendimenti, facendo sembrare i bodhisattva e i bikkhu come due categorie che si escludono l’una l’altra. Invece, qui il sangha, i bodhisattva e gli arhat potrebbero tutti essere in forma di bikkhu.

Per percezione profonda s’intende meditazione sulla vacuità.

In quello stesso tempo, l’arya Avalokiteshvara, il Bodhisattva mahasattva, era assorto nella stessa pratica della profonda perfezione della saggezza e vide che anche i cinque aggregati sono vuoti di natura intrinseca.

Da qui inizia un altro capitolo.

Quindi, tramite l’ispirazione del Buddha, il venerabile bikshu Shariputra si rivolse all’arya Avalokitesvara, il Bodhisattva mahasattva, e gli disse: “Come deve addestrarsi un figlio o figlia del lignaggio dei Bodhisattva, che desideri impegnarsi nella pratica della profonda perfezione della saggezza?”.

Quando fu detto questo, l’arya Avalokitesvara, il Bodhisattva mahasattva, rispose al venerabile bikshu Shariputra e disse: “Shariputra, ogni figlio o figlia del lignaggio dei Bodhisattva, che desideri impegnarsi nella pratica della profonda perfezione della saggezza, dovrebbe vedere chiaramente nel seguente modo; dovrebbero vedere distintamente che anche i cinque aggregati sono vuoti di natura intrinseca.

Il capitolo finisce qui. All’inizio si dice in quale occasione è avvenuta questa discussione. Cominciamo da “Una volta ho sentito così, Così una volta udii:”, poiché anche questa frase è considerata parte del sutra. Questa frase, pur facendo parte del sutra, non è stata pronunciata direttamente da Buddha.

Il Sutra del Cuore non è incluso nel canone pali, nel buddismo theravada, poichè non rientra negli avvenimenti ordinari, ma fa parte degli insegnamenti mistici: nonostante vi sia scritto che Buddha andò sulla montagna dell’avvoltoio e vi tenne un discorso, in realtà tutto ciò non è avvenuto in senso comune, non se ne ha la certezza. Non si è sicuri del fatto che questo discorso sia storicamente avvenuto nelle circostanze riportate e perciò questo insegnamento viene considerato appartenente alla categoria di quelli mistici o misteriosi.

In occidente quando si parla di mistico, si pensa subito a qualcosa di speciale, di superiore rispetto al resto. Qualcuno pensa che il testo sia stato composto da Ananda, l’assistente del Buddha, ma non se ne può essere sicuri. Potrebbe essere stato il Bodhisattva Avalokiteshvara, dal momento che i maha-yana sutra o bodhisattvayana sutra sono stati composti dal Bodhisattva Avalokiteshavra, dal Bodhisattva Maitreya, dal bodhisattva Manjushri, ecc. Secondo i sutra del maha-yana il Buddha storico avrebbe avuto otto discepoli più vicini a lui, che erano appunto gli otto bodhisattva, i quali, in un secondo momento, avrebbero composto i sutra del maha-yana, di cui sono gli autori. Questi otto Bodhisattva sono: il Bodhisattva Manjushri, il Bodhisattva Vajrapani, il Bodhisattva Avalokitesvara, il Bodhisattva Ksitigarbha, il Bodhisattva Sarvanivaranaviskambini, il Bodhisattva Akasagarba, il Bodhisattva Maitreya, il Bodhisattva Samantabadra. Generalmente tutti i sutra sono stati scritti dai tre discepoli principali, realmente esistiti sul piano storico: Ananda, Mahakasappa, Njevarkor (in tibetano). Invece, come abbiamo detto, i sutra del maha-yana non hanno un riscontro storico e gli autori, gli otto bodhisattva, non sono registrati da nessuna fonte storica e anche questo fatto è una sorta di mistero; probabilmente furono discepoli monaci, forse apparsi come ascoltatori. Può darsi che il Buddha, in virtù delle loro capacità misteriose, possa aver impartito loro questi insegnamenti maha-yana.

Poi c’è un’altra questione, riguardante il Bodhisattva Avalokitesvara, che si è soliti immaginare come la figura con quattro braccia, undici teste, o come quella con 1000 braccia e 1000 occhi. In realtà non bisogna identificare il bodhisattva Avalokitesvara del sutra né con questa né con quella figura, giacché deve essere apparso sotto forma di monaco. Era un ascoltatore, perché i monaci dovrebbero sempre avere l’apparenza esterna di ascoltatori, e dentro, magari, possono essere bodhisattva. Questo insegnamento segreto è il risultato di una speciale comunicazione fra un discepolo, dalla forma esterna di monaco ma interiormente Bodhisattva, e il Buddha. Così possiamo dire che questo insegnamento proviene veramente dal Buddha.

Andare a fondo nel sutra del cuore è qualcosa di molto complicato, tant’è vero che vi sono tantissimi commentari su di esso. Quando recitiamo il sutra del cuore, possiamo visualizzare come si sviluppa questa storia, come avviene il discorso, il contesto, così da avere anche una pratica di visualizzazione.

Fonte http://geshetharchin.blogspot.it/2013/11/commentario-sul-sutra-del-essenza-della.html che si ringrazia di cuore per la sua infinita gentilezza.