La mente ed i suoi tipi

LA MENTE E I SUOI TIPI

Coscienza (san. Jnana, tib. shes pa), consapevolezza (san. buddhi, tib. blo) e conoscitore (san. samvedana, tib. rig pa) sono sinonimi; sono i termini più generali tra quelli che trattano la mente. Ogni mente (san. chitta, tib. sems) o fattore mentale (san. chaitta, tib. sems byung) è una coscienza, una consapevolezza ed è un conoscitore. Si dovrebbero intendere questi termini in senso attivo perché le menti sono coscienze momentanee che sono agenti attivi di coscienza. Nel Buddhismo non si ritiene che la mente sia semplicemente un deposito generale di informazioni o solo il meccanismo cerebrale, ma che sia i singoli momenti del conoscere, il cui continuum forma il nostro senso del conoscere.

La coscienza si può dividere in molti modi diversi; uno dei principali metodi la suddivide in sette punti:

  1. percettori diretti (tib. mngon sum),

  2. cognitori inferenziali (tib. rjes dpag),

  3. cognitori susseguenti (tib. bcad shes),

  4. coscienze che suppongono correttamente o credenze corrette (tib. yid dpyod),

  5. consapevolezze alle quali l’oggetto appare ma non è accertato o coscienze distratte (tib. snang la ma nges pa),

  6. coscienze dubbiose (tib. the tshom) e

  7. coscienze errate (tib. log shes).

  1. I percettori diretti sono, per definizione, conoscitori liberi da concettualità e non erronei. Essere liberi da concettualità significa che una coscienza di questo tipo entra in rapporto col suo oggetto direttamente, senza fare uso di un’immagine interna o mentale. Ciò è illustrato dalla differenza tra il vedere un vaso, come fa una coscienza sensoriale che percepisce direttamente, e il pensare ad un vaso, come fa una coscienza mentale concettuale. Nel primo caso, la coscienza è prodotta in seguito ad un contatto con un vero vaso, mentre nel secondo la mente ha a che fare solo con una immagine mentale di un vaso.

Essere non erronei significa che nessun elemento erroneo è implicato o coinvolto in ciò che appare alla coscienza. Le coscienze concettuali sono necessariamente erronee a questo riguardo, in quanto, come verrà spiegato più avanti, esse sono erronee rispetto all’oggetto che ad esse appare, la generalità di significato (l’immagine mentale del loro oggetto apparente); per questo si dice che sono tutte coscienze erronee. Il termine non erroneo elimina dalla classe dei percettori diretti anche le coscienze non concettuali, che sono erronee per via di una causa di errore superficiale, come un difetto nell’occhio, una malattia ecc. Queste sono libere da concettualità, ma non da errore.

In generale si dice che i percettori diretti sono di quattro tipi:

percettori diretti sensoriali,

percettori diretti mentali,

percettori diretti yogici e

percettori diretti autocognitori.

  1. Prasangika Madhyamika però non accettano il (IV) tipo, i percettori diretti autocognitori.

  1. I percettori diretti sensoriali sono di cinque tipi: quelli che percepiscono le forme, i suoni, gli odori, i sapori e gli oggetti tangibili.

Essi sono prodotti dall’unione di tre condizioni:

  1. condizione dell’oggetto osservato,

  2. condizione potenziante non-comune o soggettiva e

  3. condizione immediatamente precedente.

Prendendo come esempio una coscienza dell’occhio, la sua condizione oggettiva osservata (1) è la forma che essa percepisce. La sua condizione potenziante non-comune (2) è il potere sensoriale dell’occhio, un tipo di materia interna chiara che le dà potere, nel senso che le permette di comprendere le forme visibili come opposte a suoni, sapori e così via. La sua condizione immediatamente precedente (3) è un momento di coscienza che ha luogo immediatamente prima di essa e la rende un’entità capace di sperimentare.

Inoltre, anche un momento di apprendimento della sesta coscienza – la coscienza mentale – viene generato in dipendenza di queste tre condizioni:

  1. condizione oggettiva: i cinque oggetti esterni o un fenomeno (impermanenza sottile ecc., per questo viene detto che vi sono forme che dipendono dall’occhio e forme che dipendono dalla mente);

  1. condizione potenziante non-comune: l’organo mentale o la facoltà mentale che, non essendo fisico, non ha forma. Esso è un momento precedente di una qualunque delle sei coscienze, che agisce come facoltà o potere per la coscienza mentale;

  1. condizione immediatamente precedente: un momento precedente della coscienza mentale stessa.

Questo breve esempio è riferito alla coscienza mentale generale, quella comunemente utilizzata dagli esseri ordinari.

  1. La seconda categoria di percettori, i percettori diretti mentali, si divide in due tipi. I Ghelugpa affermano che al termine di un continuum di percezione diretta sensoriale viene generato un momento di percezione diretta mentale; questo a sua volta induce una cognizione concettuale di quell’oggetto, che lo designa ecc. Quel singolo momento al termine della percezione diretta sensoriale è il primo tipo di percezione diretta mentale. È troppo breve per essere notato dagli esseri ordinari, ma può essere osservato dagli esseri superiori (gli esseri arya).

Il secondo tipo di percezione diretta mentale comprende i vari tipi di chiaroveggenza, come la capacità di conoscere la mente degli altri, il ricordo di vite precedenti, il percepire forme e suoni estremamente sottili e distanti e così via.

  1. A differenza delle forme di chiaroveggenza che possono manifestarsi nel continuum di ognuno – buddhista o non buddhista – e che non richiedono necessariamente uno sviluppo mentale avanzato, i percettori diretti yogici si manifestano solo nel continuum degli esseri superiori (gli esseri arya). Questi esseri tra i cinque sentieri – accumulazione, preparazione, visione, meditazione e non più apprendimento – hanno raggiunto il sentiero della visione o uno ancora più elevato. Mentre la condizione potenziante straordinaria dei cinque percettori diretti dei sensi è il loro rispettivo potere sensoriale, come quello dell’occhio, dell’orecchio, del naso e così via, la condizione di potenziamento straordinario dei percettori diretti yogici è una stabilizzazione meditativa che è un’unione di calma dimorante (san. shamata, tib. zhi- gnas) e di visione speciale (san. vipashyana, tib. lhag mthong). Quindi, i percettori diretti yogici sono un livello di coscienza molto diversa dalla comune percezione sensoriale, nonostante abbiano la stessa similarità nell’essere conoscitori di oggetti non erronei e non concettuali.

Lo sviluppo dei percettori diretti yogici è uno dei maggiori obiettivi della pratica meditativa. Sebbene si possa avere senza sforzo la capacità di percepire direttamente cose come forme e suoni con una coscienza dell’occhio o dell’orecchio, non si ha la stessa capacità per quanto riguarda i fenomeni profondi come l’impermanenza sottile e la mancanza del sé. Pertanto questi all’origine devono essere compresi concettualmente, il che significa che essi vengono compresi mediante un’immagine mentale piuttosto che direttamente. Poi, acquistando una crescente familiarità con l’oggetto compreso, è possibile sviluppare una comprensione sempre più chiara, finché alla fine il bisogno di un’immagine mentale è trasceso e si comprende l’oggetto direttamente. Tali percettori diretti yogici hanno grande forza, avendo la capacità di superare le concezioni erronee che tengono legati all’esistenza ciclica. I percettori diretti, dunque, includono sia le coscienze comuni che quelle altamente progredite.

  1. Benché i percettori diretti autocognitori non vengono accettati dalla scuola Prasangika-Madhyamika, in questo contesto, a titolo di pura conoscenza, li descriverò brevemente. Per le scuole che asseriscono l’esistenza dell’autocognitore (Sautrantika, Cittamatra e Yogachara Svatantrika Madhyamaka), la sua funzione è solo quella di rendere possibile il ricordo delle proprie cognizioni. I suoi sostenitori dicono che se non ci fosse nessuna coscienza che osserva la coscienza che percepisce un oggetto, non ci sarebbe modo di sapere che si è percepito qualcosa. I sistemi che non asseriscono gli autocognitori negano che essi siano necessari per ricordare le proprie cognizioni (in quanto questo è possibile tramite il fattore mentale memoria) e dicono che il fatto di affermare tale esistenza di un autocognitore, porta a un infinito regresso di autocognitori che conoscono gli autocognitori e così via.

  1. Cognitori inferenziali.

Un cognitore inferenziale è un tipo di coscienza concettuale che comprende o raggiunge in modo incontrovertibile un oggetto di comprensione, che non può essere compreso inizialmente attraverso la percezione diretta. Generato come culmine di un processo di ragionamento, si dice che sia prodotto sulla base di un segno corretto, che ne costituisce il fondamento. Il significato di ciò può essere illustrato con un esempio; se si guarda dalla finestra e si vede del fumo fuoriuscire da una casa vicina, si dedurrà immediatamente che all’interno di quella casa c’è del fuoco. Il fondamento, il segno in base al quale è generata questa inferenza, è il fumo. A causa del fatto che vi è una relazione invariabile tra la presenza di un effetto – in questo caso il fumo – e l’esistenza precedente della sua causa – il fuoco – si può correttamente inferire che il fuoco è presente. Una conoscenza di questo tipo non è percezione diretta, perché non si è visto effettivamente il fuoco; però anch’essa è una conoscenza valida, attendibile.

Dal momento che un cognitore inferenziale realizza in modo incontrovertibile il suo oggetto di cognizione, esso è una forma di conoscenza altrettanto attendibile come il percettore diretto. Tuttavia c’è la differenza che, mentre un percettore diretto entra in contatto con il suo oggetto in modo diretto e non erroneo, il cognitore inferenziale, essendo concettuale, deve arrivare al suo oggetto tramite un’immagine. Quest’immagine mentale che è chiamata ‘generalità di significato’, appare al pensiero come se fosse il vero oggetto anche se non lo è. In questo senso una coscienza concettuale è erronea rispetto all’oggetto che le sta apparendo (è erronea nei confronti dell’oggetto apparente). Questo elemento di errore, ad ogni modo, non interferisce con l’accuratezza con cui quella coscienza comprende l’oggetto rappresentato dalla generalità di significato, e così è un conoscitore corretto e incontrovertibile.

Tutte le coscienze concettuali sono erronee rispetto all’oggetto che ad esse appare, la generalità di significato; si dice così che sono tutte coscienze erronee. Comunque, solo alcune sono erronee rispetto all’effettivo oggetto che esse stanno comprendendo, l’oggetto in cui il pensiero è effettivamente impegnato. Le coscienze concettuali che non sono erronee rispetto all’oggetto con cui sono in contatto sono coscienze erronee, ma non coscienze errate; invece quelle erronee rispetto all’oggetto che hanno ottenuto sono anche coscienze errate. I cognitori inferenziali sono, per definizione, non erronei rispetto all’oggetto compreso (in questo caso è sinonimo di oggetto di impegno), e incontrovertibili nel senso che la loro realizzazione è stabile; ciò loro forza e validità.

  1. Cognitori susseguenti.

  1. primo momento di un percettore diretto comprende il suo oggetto attraverso la forza dell’esperienza; il primo momento di un’inferenza lo comprende sulla base di un segno, che implica sempre la presenza di un ragionamento valido corretto. Per entrambi questi tipi di percezione, i momenti successivi nello stesso continuum di percezione, cioè mentre viene ancora percepito lo stesso oggetto, non si basano più sull’esperienza o su un segno ma sono semplicemente indotti dalla forza del primo momento di cognizione. Questi momenti posteriori sono chiamati cognitori susseguenti. La forza della comprensione iniziale non è andata perduta, e per questo i cognitori susseguenti sono conoscitori incontrovertibili che comprendono i loro oggetti. Comunque, essi non raggiungono l’elemento di realizzazione attraverso il loro potere, perché essi non operano la rimozione di sovrapposizioni che permette alla realizzazione di attuarsi. Piuttosto, essi realizzano ciò che era già stato realizzato dal precedente momento di coscienza, che ha già rimosso la sovrapposizione che li induce.

  1. Coscienze che suppongono correttamente o credenze corrette.

Una coscienza che suppone correttamente è necessariamente un corretto modo di pensiero; essa deve essere anche una coscienza concettuale in opposizione alla cognizione diretta. Ciò che la distingue dai tre precedenti tipi di coscienza – percettori diretti, cognitori inferenziali e cognitori susseguenti – è che, a differenza di questi, essa non realizza il suo oggetto; non è incontrovertibile. Così, si crea una distinzione tra la semplice correttezza rispetto a un oggetto e il realizzarlo effettivamente o comprenderlo. La ragione di questa differenza risiede nel modo di generazione. Mentre per prima viene generata la percezione diretta attraverso la forza dell’esperienza, poi, in un secondo momento viene generato un cognitore inferenziale, come culmine di un esteso e convincente processo di ragionamento. Vengono poi i cognitori susseguenti che sono continuazioni dei percettori diretti e delle coscienze inferenziali, le coscienze che suppongono correttamente (o credenze corrette); esse giungono alle loro conclusioni o senza ragione, in maniera contraria al ragionamento corretto, o sulla base di un ragionamento corretto ma senza portarlo alla sua conclusione completa (ossia a generare un’inferenza tramite lo stabilire il segno del sillogismo che è alla base del ragionamento). La maggior parte delle informazioni che riceviamo ascoltando i maestri o leggendo libri ecc. ricade nella categoria della credenza corretta; molto viene solamente accettato, e anche la maggior parte di ciò a cui pensiamo e che analizziamo non è stato compreso con la piena forza dell’inferenza. A causa della debolezza della base da cui è generata, una coscienza che suppone correttamente non è una forma di conoscenza attendibile in quanto manca di incontrovertibilità. Si perderà facilmente la forza della propria convinzione come, per esempio, quando ci si troverà a confronto con qualcuno che presenti con forza un punto di vista opposto.

  1. Consapevolezze alle quali l’oggetto appare ma non è accertato o coscienze distratte Una consapevolezza alla quale un oggetto appare ma non è accertato, è un tipo di percettore diretto che, nella settuplice divisione di consapevolezze e conoscitori, è spiegato a parte per dare rilievo al fatto che non tutti i percettori diretti sono menti che realizzano i loro oggetti. Come i percettori diretti, sono coscienze non-concettuali, che sono non-erronee rispetto all’oggetto che stanno comprendendo. Tuttavia, sono menti che, per qualche ragione, come il fatto che l’attenzione della persona sia rivolta intensamente altrove o che la durata della coscienza sia troppo breve per essere notata, sono incapaci, successivamente, di indurre un accertamento che conosca che si è avuta quella particolare percezione. Un esempio familiare di ciò si ha quando uno passeggia per strada mentre è, allo stesso tempo, intensamente impegnato a conversare con qualcuno, e ha una sensazione di persone che gli passano accanto ma, poco dopo, non riesce a identificare chi fossero. Una mente di questo tipo non è erronea, perché essa non percepisce in un certo modo qualcosa che non è effettivamente in quel modo, non ha introdotto un elemento di errore; pertanto viene inclusa nei percettori diretti. Tuttavia, poiché non fornisce un’informazione attendibile e non ha un fattore di certezza, è considerata una consapevolezza che non realizza il suo oggetto in modo incontrovertibile.

  1. Coscienze dubbiose.

Di natura necessariamente concettuale, le coscienze dubbiose sono menti che si distinguono soprattutto per la loro caratteristica di essere indecise e di oscillare tra due poli. Il dubbio può tendere verso un lato o un altro di un problema, o può essere completamente indeciso, ma è sempre accompagnato da un elemento di incertezza. La più forte conclusione a cui il dubbio può giungere è: “Probabilmente è così o così”. Tra le coscienze dubbiose vi sono quelle corrette, quelle non corrette, e quelle che non sono né l’una né l’altra. Per esempio, una mente che si chiede se le vite future esistono o meno e pensa che probabilmente esistono è un esempio di dubbio che tende verso la realtà, è un dubbio corretto; una mente che si chiede se le vite future esistono o meno, e pensa che probabilmente non esistono, è un esempio di dubbio che tende verso la non- realtà o non correttezza; e una che si chiede semplicemente se esistono o meno, e accetta entrambe le ipotesi, allo stesso modo è un caso di dubbio equo, né corretto né non corretto.

Sebbene inferiore per forza di realizzazione perfino alla credenza corretta e lontano dalla incontrovertibilità della percezione diretta, il dubbio che tende alla realtà è non di meno un potente passo iniziale per indebolire il potere di una forte adesione a opinioni sbagliate e intraprendere il processo di sviluppo di una comprensione corretta. Mettendo in rilievo la forza del dubbio che tende alla realtà, Aryadeva nelle Quattrocento Stanze dice: “Coloro il cui merito è anche piccolo non hanno dubbi su questa dottrina (la profonda natura dei fenomeni). Anche solo avere un dubbio sulla realtà dell’esistenza ciclica, questa viene ridotta in pezzi”.

7 . Coscienze errate.

Le coscienze errate sono quelle che sono erronee (in errore) rispetto all’oggetto verso cui sono impegnate, l’oggetto che viene effettivamente compreso. Come tali, esse vanno distinte dalle coscienze erronee che, come si è già spiegato nel contesto dell’inferenza, sono erronee rispetto a ciò che ad esse appare. Per esempio, le coscienze concettuali sono erronee in quanto un’immagine dell’oggetto appare ad esse come l’oggetto effettivo, ma non di meno esse sono capaci di realizzare correttamente il loro oggetto di comprensione. Non è questo il caso delle coscienze errate che non possono realizzare i loro oggetti e sono completamente in errore rispetto ad essi.

Le coscienze errate sono di due tipi, non concettuali e concettuali. Non concettuali sono, per esempio, una coscienza dell’occhio che vede montagne ricoperte di neve come se fossero blu, una coscienza dell’occhio che, a causa dell’itterizia, vede ogni cosa gialla, una coscienza dell’occhio che vede una doppia luna e così via. Poiché ciò che appare a una coscienza non concettuale è proprio l’oggetto che essa sta comprendendo, o nel quale è impegnata, una coscienza erronea rispetto all’oggetto che le appare è necessariamente in errore rispetto al suo oggetto di impegno e così le coscienze errate non concettuali sono erronee rispetto ad entrambi.

Le coscienze concettuali errate sono, per esempio, una mente che ritiene che non vi siano esistenze precedenti o future o una che concepisce che vi sia un sé sostanzialmente esistente o intrinsecamente esistente. Essendo concettuali, queste menti sono necessariamente erronee rispetto al loro oggetto apparente – l’immagine di ciò che viene compreso, che erroneamente appare come essere l’oggetto effettivo (reale). Inoltre esse sono erronee rispetto all’oggetto nel quale sono impegnate, il pensiero, nel caso della visione della non-esistenza delle vite precedenti e future, ossia, che ciò che esiste non esista e, nel caso della visione del sé, che ciò che non esiste, esista. Queste coscienze concettuali errate forniscono la raison d’ètre per la pratica meditativa del buddhismo, perché ciò che il buddhismo pone come causa-radice, l’antecedente fondamentale che causa l’infinito ciclo di nascita, vecchiaia, malattia e morte, in cui gli esseri ruotano impotenti e soffrono senza limiti, è proprio una coscienza errata – la percezione erronea di un sé, dove in realtà non ve ne è alcuno. Il modo per liberarsi da questa sofferenza, per poter ottenere la liberazione dall’esistenza ciclica (samsara), è di identificare la sua radice in questa erronea percezione dell’io/sé e quindi di impegnarsi in un metodo per superarla. Il metodo identificato dalla tradizione Ghelugpa è il ragionamento, e si può prendere la settuplice divisione di consapevolezza e conoscenza come una illustrazione degli stadi che si possono attraversare mentre si sviluppa la corretta comprensione attraverso il suo uso. Si comincia con la visione errata, come l’idea che vi sia un sé sostanzialmente esistente o intrinsecamente esistente. Sino a quando questa idea viene mantenuta con forza, essa è una coscienza errata. Poi, ascoltando degli insegnamenti sulla mancanza del sé, si può cominciare a chiedersi se, in realtà, questo io/sé ci sia per davvero. A questo punto si dovrebbe aver generato il dubbio. All’inizio la propria tendenza potrebbe ancora essere quella di pensare che vi sia un sé –questo sarebbe un dubbio che tende al non-fatto, o alla non realtà. Continuando a pensare, si passa allo stadio del dubbio equo o egualmente bilanciato in cui, chiedendosi se vi sia o no un sé sostanzialmente esistente o intrinsecamente esistente, non si raggiunge una conclusione né in un senso né nell’altro. Alla fine, quindi, si sviluppa il dubbio che tende al fatto o alla realtà, quando si sente che probabilmente non vi è alcun sé/io, ma ciò nonostante si è ancora dubbiosi.

Il passo successivo nello sviluppo della visione della mancanza del sé è generare una coscienza che suppone correttamente (la credenza corretta), che definitivamente decide che non vi è alcun sé/io che esiste sostanzialmente o intrinsecamente. A questo punto si possiede il punto di vista corretto o la visione corretta. Comunque, non si è ancora realizzata la mancanza del sé, anche se la tradizione orale descrive la generazione iniziale della credenza corretta rispetto alla mancanza del come un’esperienza molto potente. A questo punto, è necessario contemplare la mancanza del sé ripetutamente, usando il ragionamento, cercando di sviluppare una certezza da cui non si potrà più essere scossi.

Un’inferenza è il risultato finale di uno specifico processo di ragionamento. Si stabilisce che se ci fosse un sé/io sostanzialmente esistente o intrinsecamente esistente, esso dovrebbe esistere almeno in uno tra un limitato numero di modi e che se non esiste in nessuno di questi modi, non esiste affatto. Quindi, tramite l’investigazione ragionata si giunge a stabilire che esso – il sé/io – non esiste in alcuno di questi modi, per cui si conclude che non esiste affatto. Perché questa conclusione abbia la forza della convinzione ragionata, si devono ripetutamente percorrere i gradini di questa indagine, in modo che essa ci diventi familiare e che si sia profondamente convinti di essa. Le proprie coscienze durante questo processo di familiarizzazione sono delle credenze corrette; quando esso viene portato al punto di incrollabile certezza, si genera un’inferenza.

Con la generazione di un cognitore inferenziale si può dire di avere realizzato la mancanza del sé e di aver ottenuto una conoscenza incontrovertibile di essa. Tuttavia, con questo, il processo non è finito, perché a questo punto la propria comprensione o realizzazione è ancora concettuale, in quanto si giunge alla mancanza del sé solo per mezzo di un’immagine mentale. L’obiettivo è sviluppare ulteriormente la propria realizzazione fino a portarla finalmente al punto di una percezione diretta, in cui ogni bisogno di un’immagine è scomparso e la propria coscienza mentale è in grado di entrare direttamente in contatto col suo oggetto. Tale percezione diretta della mancanza del sé è l’antidoto effettivo che, se coltivato estesamente, è in grado di sradicare per sempre la concezione del sé, come pure tutte le altre visioni errate e le emozioni afflittive che tale concezione porta con sé, rendendo così possibile la liberazione dall’esistenza ciclica.

Il modo in cui un’inferenza viene trasformata in percezione diretta consiste semplicemente in una ripetuta familiarizzazione con l’oggetto della meditazione. La propria inferenza iniziale è stata generata in dipendenza di un segno, a conclusione di una linea di ragionamenti legati gli uni agli altri da validi sillogismi. I momenti successivi di quella realizzazione sono cognitori susseguenti, non più direttamente dipendenti dal ragionamento. Attraverso il riportare ripetutamente alla mente la mancanza del sé, tramite la forza della propria realizzazione, la chiarezza dell’apparenza aumenterà gradatamente, finché alla fine l’immagine dell’oggetto scomparirà e verrà sostituita dalla chiara apparenza dell’oggetto stesso. Quando ciò accade, si è generata la percezione diretta del proprio oggetto di meditazione. Questa percezione diretta iniziale della mancanza del è in grado di sradicare completamente e per sempre una porzione della percezione del sé, ma non è in grado di eliminare tutti i livelli di tale concezione (o percezione). Poiché la concezione del sé è la radice dell’esistenza ciclica – è questa visione che ha legato innumerevoli esseri a una sofferenza incommensurabile da un tempo senza inizio essa è profondamente radicata e la sua forza è estremamente grande. La percezione diretta iniziale supera (elimina) solo i livelli più grossolani della concezione del sé, quelli basati su falsi ragionamenti e così via. Si deve allora continuare a coltivare la realizzazione della mancanza del sé, sviluppando così la forza della propria percezione diretta. I percettori diretti, la cui forza è crescente, superano (eliminano) i livelli sempre più sottili della concezione del sé, fino a che essa non sarà finalmente estirpata del tutto.

Colophon: estratto dal materiale di studio del Masters program, Madhyamakavatara, classe di revisione con Lorenzo Rossello, 25 gennaio 2000.

TIPI DI COGNITORI

Tabella del Basic Program On-line 2008-2012: Mente e Cognizione

DIVISIONE DELLA MENTE