4 Patrul Rinpoche: Le Istruzioni del Mio Perfetto Maestro.

Patrul Rinpoche: La meditazione sull’impermanenza è la porta che conduce tutti i praticanti del Dharma sul giusto sentiero.

Patrul Rinpoche: La meditazione sull’impermanenza è la porta che conduce tutti i praticanti del Dharma sul giusto sentiero.

4 Patrul Rinpoche: Le Istruzioni Orali del Mio Perfetto Maestro.

Una guida ai preliminari del Longchen Nyingthig dello Dzogchen.

Titolo originale: Kun bzang lama’i zhal lung (Dzog pa chenpo longchen nyingthig gi nongdro’i khird yig kun bzang lama’i zhal lung); Insegnamenti orali del maestro Samantabhadra sulle pratiche preliminari Dzogchen della serie “Essenza del cuore della vasta estensione”.

Esempi d’impermanenza, l’incertezza delle circostanze che ci porteranno alla morte, l’impermanenza come intensa consapevolezza.

La compagnia degli altri esseri umani non può durare per sempre e spesso la nostra vita termina nella solitudine. Siamo come gli abitanti di diversi villaggi richiamati a migliaia o a decine di migliaia da una grande fiera o da una importante cerimonia per poi disperdersi ritornando ognuno a casa propria. Tutte le relazioni che abbiamo instaurato, per quante affettuose esse siano – tra maestro e discepolo, tra padrone e servo, tra il mecenate e i suoi protetti, tra gli amici spirituali, tra fratelli e sorelle, tra marito e moglie – non sono soggette a durare per sempre e non vi è modo di preservarle fino all’ultimo giorno. È sempre possibile infatti che domani la morte o qualche altro evento terribile possa separarci dai nostri cari. Per questo motivo, finché godiamo della loro compagnia, è preferibile non ricorrere alla rabbia alle dispute, alle parole offensive e ai litigi. Non sappiamo infatti quanto durerà la loro presenza fra noi. È bene perciò, per il breve tempo che ci resta, conformare la nostra mente all’affetto e alla cura per gli altri. Padampa Sangye ad esempio, ha affermato:

Le famiglie sono effimere come una folla al mercato;

Gente di Tingri, non litigate e risolvete i conflitti!

Tutto ciò che viene edificato è destinato a crollare. I villaggi e i monasteri una volta ricchi e famosi ora giacciono vuoti e abbandonati. Laddove vivevano i loro affezionati possessori, ora gli uccelli fanno i loro nidi. Persino il celebre convento di Samye, coi suoi numerosi ripiani, costruito dai favolosi operai apparsi durante il regno di Trisong Detsen e consacrato dal Secondo Buddha di Oddyana, è stato distrutto dal fuoco in una sola notte. Del Palazzo della Montagna Vermiglia, che ai tempi del Re Songtsen Gampo rivaleggiava col palazzo di Indra stesso, non è possibile ora ritrovare nemmeno le fondamenta.

Al confronto con questi celebri edifici, le nostre città, le case in cui abitiamo e i monasteri che ci circondano sono simili a tane di insetti. Perché dunque dovremo assegnare loro così tanta importanza? Non sarebbe forse meglio edificare il nostro cuore sull’esempio dei Kagyupa del passato, i quali lasciarono le loro case dirigendosi verso contrade selvagge? Essi abitarono ai piedi di precipizi rocciosi e la loro unica compagnia era costituita da animali selvaggi. Senza alcuna preoccupazione per il cibo, gli indumenti e la fama, questi sapienti si dedicarono interamente ai quattro scopi dei Kadampa:

Basa la tua mente sul Dharma,

Basa il tuo Dharma sulla semplicità di vita,

Basa la tua umiltà sul pensiero della morte,

Fa che la tua morte sia in una sterile caverna vuota.

Gli alti edifici e i più potenti eserciti non durano a lungo. Mandhatri, il re del mondo, fece girare la ruota d’oro che gli diede potere sui quattro continenti. Egli, governando i cieli abitati dalle Divinità dei Trentatre, condivise il suo potere con lo stesso Indra, il re degli dèi, conducendo una vittoriosa battaglia sugli asura. Alla fine, però, anch’egli precipitò sulla terra e morì senza soddisfare la sua immensa ambizione. Possiamo renderci conto da soli che nessun re, lama, principe o governatore che eserciti un potere su altri è capace di mantenere per sempre la sua autorità. Molti personaggi che hanno imposto le loro leggi al mondo intero, da un anno all’altro si sono ritrovati a languire in prigione. A cosa potrebbe servirci un potere così effimero? Dovremo invece determinarci a perseguire lo stato della perfetta Buddhità esente da diminuzioni o distruzioni e degno di venerazione da parte di uomini e dèi.

Amicizia e inimicizia sono di breve durata. Un giorno, mentre l’Arhat Katyayana era in giro per le sue elemosine, si imbatté in un uomo che teneva un bimbo sulle ginocchia. Costui, divorando un pesce con gran soddisfazione, gettava delle pietre a una cagna che si avvicinava ai resti del suo pasto. L’Arhat, nella sua chiaroveggenza, vide che in una vita precedente il pesce e la cagna erano stati rispettivamente il padre e la madre di quell’uomo, mentre un acerrimo nemico da lui ucciso in una passata esistenza, a guisa di riparazione karmica per quella vita sottratta, era rinato come suo figlio. Katyayana allora, gridando disse:

Mangia la carne di suo padre e scaccia via la madre,

Poi si trastulla tenendo sulle ginocchia il nemico che ha ucciso; La moglie divora le ossa del marito.

Che spassoso spettacolo è il samsara!

Anche nello spazio di una sola vita è possibile assistere alla riconciliazione fra persone prima nemiche che, instaurando un’intima amicizia, entrano persino in confidenza con le rispettive famiglie. D’altra parte, i coniugi o coloro che sono legati da vincoli di sangue spesso litigano provocandosi reciprocamente tutto il male possibile a causa di qualche futile ricchezza o eredità.

Gli sposi o gli amici fraterni possono separarsi per le ragioni più insignificanti, talvolta giungendo persino all’omicidio.

Considerando dunque quanto siano effimere l’amicizia e la discordia, è bene ricordare a se stessi l’importanza di trattare tutti con amore e compassione.

La buona fortuna e le privazioni non sono eterne. Spesso chi vive negli agi e nell’abbondanza termina la propria vita in povertà; mentre altri che sopravvivono nella miseria possono raggiungere invidiabili livelli di felicità e di benessere. Un mendicante può benissimo diventare re: vi sono moltissimi esempi di tali rovesci di fortuna.

Lo zio di Milarepa, ad esempio, organizzò al mattino una festa per la nuora, ma sul calare della sera pianse tristemente per il crollo della sua casa. Quando il Dharma vi riserva delle avversità, pensate che per quante sofferenze possiate provare, alla fine, come Jetsun Mila e gli antichi Conquistatori, la vostra felicità sarà incomparabile. Quando invece accumulate ricchezze per mezzo di azioni negative, sappiate che i temporanei appagamenti che avete ottenuto svaniranno e la vostra sofferenza sarà infinita.

La fortuna e il dolore sono del tutto imprevedibili. Molto tempo fa, durante il regno di Aparantaka, ebbe luogo una pioggia di semi che continuò per sette giorni, seguita da una pioggia di abiti e una di gioielli preziosi della stessa durata. Infine una pioggia di terra seppellì l’intera popolazione, che in seguito rinacque nei reami superiori. Tali repentine alternanze di felicità e sofferenza vengono spesso ignorate dai più, a causa della paura e della speranza che sempre ci pervadono. In realtà, sarebbe auspicabile che ciascuno di noi, abbandonati come uno sputo nella polvere gli agi, i piaceri e le ricchezze superflui, si accinga a seguire le orme degli antichi Conquistatori, accettando con coraggio qualunque avversità si presenti durante la ricerca del Dharma. Eccellenza e mediocrità sono impermanenti. L’autorità e l’eloquenza che dimostrate nella vita quotidiana, per quanto supportate dall’erudizione e dal talento, dalla forza e dalla capacità individuale, sono destinate a declinare. Una volta esauriti i meriti del passato che vi hanno concesso tali doni, tutto ciò che penserete diverrà confutabile e, causando mille controversie, non vi procurerà più alcun successo. La vostra infelicità si farà strada nel generale disprezzo e, come spesso accade, smarrirete gli scarsi vantaggi che avevate fino ad allora ottenuto.

D’altra parte, vi sono alcuni che, dapprima considerati falsi e bugiardi, privi di talento e di buon senso, più tardi diventano ricchi e agiati dopo aver acquistato la fiducia e l’apprezzamento delle persone stimate. Come dice il proverbio: “la fama onora il vecchio impostore”

Passando poi all’ambito religioso, vi è un detto che afferma: “Con la vecchiaia, i saggi diventano ignoranti, gli asceti ammassano ricchezze e gli abati si fanno capifamiglia.” Coloro infatti che all’inizio della vita hanno rinunciato alle attività mondane, in seguito possono aver accumulato beni e provvigioni; mentre chi è stato destinato ad insegnare e trasmettere il Dharma può diventare prima o poi un ladro o un assassino. I precettori eruditi dei monasteri che in gioventù fecero i voti del Vinaia, nel corso della loro vita possono ritrovarsi ad aver generato molti figli; ma vi è d’altro canto chi, dopo aver accumulato molte azioni negative, in seguito consacra la propria vita alla pratica del sacro Dharma traendone, se non una completa realizzazione, almeno le premesse per rinascite in dimensioni sempre più pure.

Dal momento che le qualità individuali sono del tutto transitorie e non possiedono alcuna stabilità intrinseca, non bisogna lasciarsi impressionare dall’apparente bontà o malvagità delle persone. Noi stessi potremmo sviluppare una parziale delusione verso il samsara ed un vago desiderio di liberarcene, assumendo le sembianze dello zelante allievo del Dharma fino a destare una impressione favorevole nelle persone ordinarie, le quali saranno spinte a chiederci insegnamenti o a mettersi sotto la nostra protezione. In tal caso, senza un costante e rigoroso esame di noi stessi, finiremo per guardarci con gli occhi di chi ci ammira e, gonfiati dalla superbia, ci lasceremo persuadere dalle apparenze a ritenerci capaci di esaudire ogni nostro desiderio. Per evitare dunque di essere del tutto ingannati dalle forze negative, disponiamoci a bandire ogni pensiero egoistico manifestando la saggezza che contempla la vacuità dell’io e dei fenomeni. Dal momento che non abbiamo ancora realizzato il sublime livello dei Bodhisattva, consideriamo che nessuna apparenza, piacevole o esecrabile che sia, è destinata a durare. Meditiamo costantemente sull’impermanenza e la morte e analizziamo i nostri errori con modestia e semplicità. Alleniamoci a mantenerci pacificati, diligenti e consapevoli coltivando l’insoddisfazione per il samsara e il desiderio della liberazione. Sviluppiamo un costante senso di profonda mestizia al pensiero della natura insoddisfacente del samsara e della transitorietà di tutti i fenomeni relativi. Jetsun Milarepa disse:

Nell’aspra caverna di una contrada solitaria

La mia tristezza è incessante.

Costantemente mi struggo per te, o maestro, Buddha dei tre tempi.

Se non manterremo costantemente questo stato d’animo, i mutevoli pensieri che senza sosta si presentano alla nostra coscienza ci condurranno chissà dove. A tale proposito, vi è una storia molto istruttiva che narra di un uomo che, dopo aver condotto una lunga faida coi propri familiari, si era consacrato al Dharma diventando noto come il Praticante Gelong Thangpa. Egli aveva appreso a controllare la mente e l’energia fino a potersi librare nell’aria, senza saper tuttavia controllare le emozioni perturbatrici né conoscere la natura della mente. Un giorno, osservando uno stormo di piccioni radunatisi a beccare le offerte di cibo all’aperto, pensò che un’armata di altrettanti uomini sarebbe stata in grado di sterminare tutti i suoi nemici. In quel momento, non sapendo come integrare tale pensiero nella via, egli abbandonò il Dharma e tornò al suo paese, dove divenne comandante di un’armata.

Grazie al maestro ed ai compagni spirituali ora iniziamo a comprendere qualcosa del Dharma. Tuttavia, tenendo presente la natura effimera dei nostri sentimenti, integriamo i nostri pensieri e le nostre emozioni per mezzo degli insegnamenti e sviluppiamo la determinazione di praticare per tutta la vita.

Riflettendo sugli esempi precedenti saremo certi che nulla, dalle dimensioni più pure fino ai più bassi stadi infernali, presenta la minima traccia di stabilità. Tutto è soggetto al cambiamento ed ogni cosa che nasce, prima o poi si estingue.

  1. L’INCERTEZZA DELLE CIRCOSTANZE CHE CI PORTERANNO ALLA MORTE

Ogni essere umano che viene al mondo è certo di dover morire. Il luogo, il tempo e le modalità di tale evento sono tuttavia ignoti. Nessuno di noi può prevedere con certezza la causa della propria morte; giacché pochi sono i fattori che favoriscono la vita, mentre, al contrario, molti ne minacciano la perpetuazione. Il maestro Aryadeva rilevò che:

Le cause della morte sono innumerevoli;

Mentre quelle che perpetuano la vita sono scarse

Ed anche esse possono condurre al trapasso.

Il fuoco, l’acqua, i veleni, i dirupi, le bestie e gli uomini feroci, tutto ciò che arreca danni mortali abbonda in questo mondo, mentre sono poche le cose che prolungano la nostra esistenza. Persino ciò che consideriamo utile, come il cibo e gli indumenti, può diventare causa di morte. Molte fatalità accadono per l’ingestione di cibo contaminato; così come alcuni alimenti dotati di certe proprietà benefiche, in alcuni casi possono diventare tossici o possono risultare intollerabili per alcuni individui. Ai nostri giorni è poco diffusa l’abitudine a consumare con la dovuta circospezione alimenti a base di carne, ignorando i possibili danni che possono essere causati dalla carne stantia o dagli spiriti che abitano i tessuti e il sangue. Una dieta e uno stile di vita disordinati possono dare luogo a tumori, disordini del flemma, idropisia e altre patologie potenzialmente mortali. Inoltre la brama di fama, ricchezze e altre conquiste spinge gli uomini a combattersi tra loro affrontando bestie feroci, fiumi impetuosi ed altri pericoli senza curarsi delle conseguenze.

Un altro fattore del tutto imprevedibile è il momento in cui tali svariate cause mortali potranno mostrare i loro effetti. Alcuni muoiono già nell’utero materno, subito dopo la nascita o prima di imparare a camminare. Altri abbandonano la loro vita terrena in gioventù oppure già vecchi e decrepiti. Altri ancora sono uccisi da una malattia prima di poter fare uso delle medicine appropriate, oppure, immobilizzati da una lunga infermità, trascinano per anni la propria esistenza in un letto come scheletri viventi, guardando il mondo circostante con gli occhi della morte. Molti se ne vanno all’improvviso, sorpresi al lavoro, mentre mangiano o camminano, oppure interrompono volontariamente la propria vita.

Come una candela al vento, la nostra esistenza, circondata da così tante cause mortali, ha poche possibilità di durare. Potremo morire proprio ora e risvegliarci domani come animali dotati di corna e zanne. È bene perciò riflettere sulla imprevedibilità del momento della morte e sulla impossibilità di conoscere la destinazione della nostra prossima rinascita.

L’IMPERMANENZA COME INTENSA CONSAPEVOLEZZA

Meditate sulla morte in ogni tempo e in qualunque circostanza. Quando sedete, vi alzate o state sdraiati, dite a voi stessi: “Questa è l’ultima cosa che faccio nella mia vita” e restate per un po’ con questa acuta consapevolezza. Qualunque direzione abbiate preso nel vostro cammino, dite a voi stessi: “Forse morirò adesso e non vi è alcuna certezza che potrò ritornarmene da qui.” Quando partite per un viaggio o vi fermate per una pausa, dite a voi stessi: “Morirò qui?” Ovunque voi siate, chiedetevi se quello sarà il luogo della vostra morte. Di notte, chiedetevi se morirete nel sonno e se perciò il vostro risveglio sia davvero così certo. Quando vi alzate, pensate se durante la giornata non sarete colti alla sprovvista dalla morte e riflettete sul fatto che non è per nulla assodato che a sera potrete tornare a casa per il meritato riposo.

Iniziate subito e con tutto il vostro cuore a meditare sulla morte. Praticate come gli antichi Geshe dei Kadampa, che in ogni istante ponevano dinanzi a sé il pensiero della morte. Di notte essi mettevano la loro ciotola a rovescio, come è usanza in Tibet per i defunti, senza coprire le braci del focolare, pensando che da morti il giorno dopo non avrebbero avuto alcuna necessità di riscaldarsi.

Il solo pensiero della morte tuttavia non basta, poiché, al momento del trapasso, l’unica cosa che ci sarà davvero di aiuto sarà il Dharma. È bene dunque determinarsi a praticare senza negligenze né distrazioni, ricordando che le attività condotte nel samsara sono effimere e prive di scopo intrinseco. Fare affidamento su questo composto di corpo e attività mentale, del tutto impermanente nella sua essenza, è pressoché inutile. Si tratta di una condizione provvisoria della nostra esistenza, come una casa in affitto.

Tutte le vie ed i sentieri sono impermanenti; perciò, ovunque si vada, si prenda sempre la direzione del Dharma. La sintesi della saggezza trascendente afferma infatti:

Se procedete rivolgendo lo sguardo a non più di un tiro di sasso dinanzi a voi,

la vostra mente non sarà mai confusa.

I luoghi dove ci rechiamo nel corso della nostra vita sono impermanenti, perciò teniamo ferma la nostra mente nel pensiero che tutto lo spazio si manifesta nei Campi di Buddha. Cibo, acqua ed altre necessità sono impermanenti, dunque alimentiamoci col nostro profondo raccoglimento. Il sonno è impermanente, perciò al risveglio purifichiamo le illusioni del sogno nella chiara luce. (Si riferisce ad una pratica ben precisa in cui, poco prima di cadere nel sonno e nell’attimo precedente il risveglio, è possibile percepire la luce naturale della natura della mente. Cfr, C.N. Norbu, Lo yoga del sogno e la pratica della luce naturale Ubaldini Editore, 1993.) La salute, per chi ce l’ha, è impermanente, perciò sforziamoci di applicare le sette nobili ricchezze. (Fede, disciplina, apprendimento, generosità, coscienziosità, modestia e saggezza.) Gli amici, i familiari e le persone che amiamo sono impermanenti, perciò in un luogo solitario suscitiamo in noi il desiderio della liberazione dal samsara. La fama e una posizione sociale elevata sono impermanenti, così privilegiamo sempre un’attitudine umile e priva di presunzione. La parola è impermanente, perciò destiamo in noi il desiderio di recitare mantra e preghiere. La fede e il desiderio della liberazione dal samsara sono impermanenti, perciò trasformiamo il nostro impegno in una tendenza stabile del nostro carattere. I pensieri e i concetti sono impermanenti, così sviluppiamo la nostra buona indole. Le esperienze meditative e le realizzazioni sono impermanenti, dunque perseveriamo nelle pratiche finché non diveniamo capaci di dissolvere tutti i fenomeni nella loro essenza. In quel momento, il legame fra morte e rinascita si dissolverà e raggiungeremo una tale fiducia da essere pronti in ogni momento ad accettare la morte. Avendo raggiunto la cittadella dell’immortalità, saremo come l’aquila che si libra nei vasti spazi celesti senza incontrare ostacoli. A quel punto, come disse Jetsun Mila nella sua canzone, ogni meditazione sulla morte sarà inutile:

Temendo la morte, ho valicato montagne inaccessibili.

Sempre più in alto, ho meditato sull’imprevedibilità del mio trapasso Fino a toccare la fortezza della natura immutabile.

Sono dunque al di là di paura e morte!

L’imperituro Dagpo Rinpoche ha inoltre affermato: “All’inizio, come un cervo che tenta di evitare una trappola, dovremo farci scuotere dalla paura per morte e rinascita. In seguito, come chi lascia un campo ben curato, dovremo giungere a non avere più alcun rimpianto al momento della morte. Infine, come chi ha appena terminato un’opera straordinaria, dovremo poter provare un senso di sollievo e di felicità per la nostra dipartita.

All’inizio, come uno che è colpito da una freccia, il pensiero che non c’è tempo da perdere è di estrema utilità. In seguito, come una madre che ha perso il suo unico figlio, dovremo meditare sulla morte come se non avessimo più altro a cui pensare. Infine, come un pastore il cui gregge è stato disperso dai nemici, dovremo avere la sensazione che non vi sia rimasto più niente di cui occuparci”.

Si mediti fermamente su morte e impermanenza finché non si raggiungano gli stadi finali appena descritti dalle parole di Dagpo Rinpoche.

Il Buddha poi ha dichiarato:

Meditare senza sosta sull’impermanenza è come fare offerte a tutti i Buddha. Meditare senza sosta sull’impermanenza è come essere sollevati dalla sofferenza da parte di tutti i Buddha.

Meditare senza sosta sull’impermanenza è come ricevere la guida di tutti i Buddha. Meditare senza sosta sull’impermanenza è come essere benedetti da tutti i Buddha.

Di tutte le impronte, quelle dell’elefante sono le più notevoli. Allo stesso modo, per un seguace del Buddha il pensiero dell’impermanenza oltrepassa tutti gli altri oggetti di meditazione.

Nel Vinaya, il Buddha ha affermato:

Un istante di meditazione sull’impermanenza dei fenomeni relativi supera ogni offerta fatta ad un centinaio fra i miei più perfetti discepoli, quali i bhiksu Sariputa e Maudgalyayana, che ricevono il mio Dharma come dei purissimi vasi.

Un discepolo laico chiese a Geshe Potowa quale, fra le pratiche del Dharma, fosse così importante da non poter essere trascurata essendo costretti a portarne a termine una sola. Il Geshe replicò:

Se vuoi fare uso di una sola fra le pratiche del Dharma, la meditazione sull’impermanenza è la principale.

All’inizio, la meditazione su morte e impermanenza ci fa intraprendere il sentiero del Dharma; in seguito, ci conduce ad una pratica efficace; infine, ci aiuta a realizzare l’identità di tutti i fenomeni.

All’inizio, la meditazione su morte e impermanenza ci induce a rompere i legami con questo mondo; in seguito, essa ci ripulisce dalle tracce del samsara; infine, ci conduce sulla via del nirvana.

All’inizio, la meditazione su morte e impermanenza sviluppa la fede; in seguito, fa crescere la diligenza nella pratica; infine, manifesta in noi la saggezza.

All’inizio, la meditazione su morte e impermanenza ci coinvolge nella ricerca del Dharma fino alla sua definitiva adozione; in seguito, ci orienta verso la pratica; infine, ci conduce alla meta finale.

All’inizio, la meditazione su morte e impermanenza ci persuade a farci scudo di una pratica perseverante fino a che essa non diventi la nostra ragione di vita; in seguito, essa suscita in noi una perseveranza attiva; infine, ci aiuta a praticare con perseveranza insaziabile. (Si tratta dei tre aspetti della perseveranza, una delle sei paramita. La perseveranza iniziale è detta “simile a un’armatura” e consiste nel non impigrirsi, né scoraggiarsi o svalutarsi applicandosi ai doveri quotidiani. La perseveranza attiva si esercita nell’applicazione costante delle pratiche spirituali. La perseveranza insaziabile infine spinge alla pratica anche chi, non avendo ottenuto la liberazione, ha tuttavia già conseguito dei risultati e potrebbe erroneamente ritenersi appagato.)

Padampa Sangye inoltre ha detto:

All’inizio, la certezza dell’impermanenza ci persuade a seguire il Dharma;

in seguito, sviluppa in noi la diligenza;

infine, ci manifesta il raggiante dhamrakaya.

Finché non saremo del tutto persuasi del principio dell’impermanenza, qualunque insegnamento riceveremo e metteremo in pratica ci porterà sempre più distanti dal Dharma. Infatti, Padampa Sangye ha affermato:

Non ho mai visto un solo praticante tibetano pensare alla morte;

Né ne ho mai visto uno vivere in eterno!

Osservando come essi accumulano tesori, una volta indossato l’abito giallo,

mi chiedo: salderanno in cibo e denaro il loro debito con la morte?

Pensando a come non si fanno mai mancare le cose di valore,

mi chiedo: distribuiranno doni sotto banco all’inferno?

Ha-ha! Guarda come sono buffi, questi praticanti tibetani!

Il più dotto è anche il più altezzoso,

Il più bravo a meditare ammassa beni e ricchezze,

L’eremita solitario è assorbito in futili passatempi,

Chi ha rinunciato alla patria e alla famiglia è uno spudorato.

Tutti costoro sono totalmente impermeabili al Dharma!

Crogiolandosi in malefatte di ogni genere,

Essi hanno modo di constatare la morte altrui, ma non si preoccupano

Della loro stessa fine.

Ed è questo il loro primo errore.

La meditazione sull’impermanenza è dunque la porta che conduce tutti i praticanti del Dharma sul giusto sentiero. Quando qualcuno chiese a Geshe Potowa un insegnamento sul modo di disperdere le circostanze avverse, egli rispose:

Pensa a lungo all’impermanenza e alla morte.

Una volta che ti sarai davvero persuaso di dover morire, abbandonerai senza difficoltà le abitudini errate per compiere buone azioni.

Dopo di ciò, medita a lungo sull’amore e la compassione.

Una volta che l’amore traboccherà dal tuo cuore, non sarà arduo per te agire a beneficio degli altri.

Infine, contempla a lungo la vacuità, che è lo stato naturale di ogni cosa.

Una volta che la comprenderai alla perfezione, disperderai facilmente ogni pensiero illusorio.

Modellati dal pensiero dell’impermanenza, riusciamo a percepire il lato ripugnante di tutte le attività ordinarie, come un pasto troppo ricco che ci provoca nausea.

Il mio riverito Maestro, spesso diceva: Lo spettacolo del potere, del prestigio, del benessere e della bellezza non producono alcun desiderio in me. Guardando infatti alla vita che conducevano i nobili esseri del passato, ho acquisito una vaga idea dell’impermanenza. Non ho dunque alcun insegnamento più profondo di questo da offrirvi.

Fino a che punto siamo stati permeati dalla contemplazione dell’impermanenza? Dovremmo imitare Geshe Kharak Gomchung, che penetrò le solitudini montane del Jomo Kharak, nella provincia dello Tsang, per immergersi in meditazione. Di fronte alla caverna dove viveva, vi era un cespuglio spinoso. Il suo primo pensiero fu di tagliarlo; tuttavia, egli si disse: “Non so quanto ancora durerà la mia vita. Dopotutto, potrei morire all’istante, perciò è più urgente per me continuare a praticare.” Quando egli, dopo aver meditato a lungo, fece per abbandonare la caverna, si trovò ancora di fronte quel cespuglio e pensò: “Se esco di qui, non è certo che potrò farvi ritorno;” sicché rimandò la sua decisione e praticò fino a diventare una esperta guida spirituale. Quando egli lasciò quei luoghi, il cespuglio era ancora al suo posto.

Rigzin Jigme Lingpa trascorreva il periodo detto della costellazione dei Rishi, in autunno, presso una certa sorgente di acqua calda. Poiché le sponde della piscina erano prive di scale, non era agevole per lui immergervisi e sedersi nell’acqua. Quando i suoi discepoli proposero di intagliare per lui dei gradini, egli disse, “Perché darsi tanto da fare, visto che non sappiamo neanche se saremo qui l’anno prossimo?” Secondo il mio Maestro, egli spesso usava parlare dell’impermanenza con simili esempi.

Quanto a noi, finché non saremo pienamente assorbiti in tale attitudine, dovremmo abituarci a meditare sull’impermanenza. Iniziando con lo sviluppo del bodhicitta, è bene allenare la mente con le pratiche principali fino a che l’impermanenza davvero permei ogni nostro pensiero. Ogni sessione infine, deve essere sigillata con la dedica dei meriti. Praticando in questo modo, ci sforziamo di fare del nostro meglio per emulare i grandi del passato.

L’impermanenza è ovunque, eppure mi illudo che ogni cosa possa durare.

Ho raggiunto un’età avanzata, eppure mi vedo ancora giovane.

Benedici e distogli gli esseri come me da queste idee errate,

affinché noi si possa abbracciare l’impermanenza.

Prima edizione tibetana: Gangtok 1974. Prima edizione occidentale: The Words of My Perfect Teacher, San Francisco 1996. Traduzione di Cristoforo Andreoli, © 2006. Fonte che si ringrazia per la sua gentilezza www.realizzazione.it, http://www.realizzazione.it/perfettomaestro/IstruzioniOrali.pdf