6 Patrul Rinpoche: Le Istruzioni del Mio Perfetto Maestro.

Patrul Rinpoche: Salute, ricchezze, benessere, felicità e fama sono gli effetti di azioni compiute nel passato.

Patrul Rinpoche: Salute, ricchezze, benessere, felicità e fama sono gli effetti di azioni compiute nel passato.

6 Patrul Rinpoche: Le Istruzioni Orali del Mio Perfetto Maestro.

Una guida ai preliminari del Longchen Nyingthig dello Dzogchen.

Titolo originale: Kun bzang lama’i zhal lung (Dzog pa chenpo longchen nyingthig gi nongdro’i khird yig kun bzang lama’i zhal lung); Insegnamenti orali del maestro Samantabhadra sulle pratiche preliminari Dzogchen della serie “Essenza del cuore della vasta estensione”.

ALTRE SOFFERENZE LEGATE ALLO STATO UMANO

La paura di incontrare odiati nemici

La continua preoccupazione per i beni materiali non impedisce che talvolta si sia costretti a condividerli coi nostri nemici. Banditi, scassinatori, lupi, cani randagi e animali selvatici possono sopraffarci senza preavviso. Più beni e proprietà si possiedono e più ci preoccuperemo per accumularne altri e conservarli.

Nagarjuna ha scritto:

Ammassare ricchezze, proteggerle e incrementarle ti distruggerà.

Comprendi che i beni materiali sono causa di incessanti rovine.

Jetsun Milarepa ha detto inoltre:

All’inizio il benessere fa di te una persona felice e invidiata da tutti;

Tuttavia, per quante cose si abbiano, non sembrano mai abbastanza.

Perciò l’avarizia inizia a strangolarti:

Non puoi sopportare di dilapidare tutto in elemosine e offerte.

La tua ricchezza attira nemici e forze contrarie

Che si approfittano di tutto ciò che avevi accumulato.

In realtà, il benessere è un demone capace di minacciare la tua vita.

Certo, è frustrante dover badare a tutto questo a causa dell’invidia altrui!

Mi sono perciò liberato di questo fardello che conduce al samsara.

Mai più cederò alle lusinghe dei demoni.

Le nostre sofferenze sono direttamente proporzionali alla quantità di beni che possediamo. Se ad esempio alleviamo un cavallo, lo accudiamo assicurandogli tutto ciò di cui ha bisogno tentando di impedire che qualcuno ce lo porti via. Un singolo cavallo è già causa di molte preoccupazioni. Ma anche se possediamo una pecora, avremo tutte le ansie che ne derivano. Così, se possediamo una bustina da tè dovremo far fronte alle cure richieste da una bustina da tè.

Si rifletta dunque sull’importanza di pacificare la propria vita seguendo l’antico adagio: “nessun possesso, nessun nemico.” Ci si ispiri alle storie dei Buddha del passato sradicando ogni attaccamento al denaro e alle proprietà. Come gli uccelli, si viva di ciò che si ha, dedicando l’intera vita alla pratica del Dharma.

La paura di perdere le persone care

Vivere nel samsara comporta il provare sia attaccamento per coloro con i quali ci identifichiamo che avversione per tutti gli esseri umani che giudichiamo estranei. L’amore per la famiglia, i seguaci, i compatrioti, gli amici e coloro cui siamo affezionati, ci porta a sopportare ogni sorta di sofferenza. Tuttavia, dal momento che nessuno di quelli che condividono con noi legami di parentela o amicizia è destinato a vivere in eterno, prima o poi saremo costretti a separarcene. I nostri cari possono morire o trasferirsi in altri paesi; possono essere minacciati da nemici o correre ogni genere di rischio, a volte facendoci soffrire più profondamente che per noi stessi. Nessuno più di un genitore è sottoposto a questo tipo di sofferenza. Egli è costantemente preoccupato che il figlio possa prendere freddo, soffrire la fame e la sete, che cada ammalato o sia in pericolo di vita.

Il suo affetto può spingersi al punto da fargli desiderare la morte pur di evitare qualsiasi sofferenza al figlio. Per il bene di quest’ultimo, egli perciò trascorre l’intera vita nell’angoscia.

Per quanto possa essere forte la sofferenza causata dal timore di essere separati da parenti e amici, dovremmo riflettere attentamente su ciò. Siamo così sicuri che i nostri cari ci siano davvero cari come pensiamo? I nostri genitori, ad esempio, ritengono di amarci. Tuttavia il loro modo di amare può essere incauto ed avere effetti a lungo andare deleteri. Spingendoci infatti al benessere, alla ricchezza o al matrimonio, essi ci legano ancora di più al samsara. Insegnandoci il modo migliore di sopraffare i nostri avversari e blandire i nostri amici per assicurarci il benessere, un genitore potrebbe incautamente istruirci su un vasto numero di azioni che conducono inevitabilmente alla rinascita nei reami inferiori. Nei nostri confronti, non vi sarebbe azione peggiore di questa.

I nostri figli, poi, al principio assorbono l’essenza del nostro corpo, in seguito ci tolgono il pane di bocca e alla fine prosciugano le nostre ricchezze. In cambio di tutto il nostro amore, essi ci si rivoltano contro.

Noi cediamo ai figli i beni accumulati in una vita intera dopo errori, dilapidazioni, sofferenze e critiche ingiuste. Nonostante ciò, talvolta essi non mostrano la minima traccia di gratitudine. Se anche donassimo loro un’intera partita di argento cinese, essi ci sarebbero meno riconoscenti di un estraneo cui abbiamo regalato un pugno di tè. È loro opinione infatti che tutti i beni paterni siano anche loro proprietà.

I nostri fratelli e sorelle tendono anch’essi a prosciugare le nostre fortune senza alcuna gratitudine. Anzi, più cose concediamo loro, più essi ne pretendono da noi. Se non ci restasse altro che un falso turchese inserito in una mala, desidererebbero anche quello. Pur contribuendo nel migliore dei modi al benessere di persone estranee, essi non hanno alcun riguardo per noi. Non appena però le cose vanno male, essi si rifugiano nella loro casa natale disonorando tutta la famiglia.

Quanto agli altri parenti ed amici, finché siamo felici e godiamo di salute e benessere, essi ci lusingano come dèi aiutandoci in tutti i modi e regalandoci una quantità di cose di cui non abbiamo alcun bisogno. Se invece cadiamo in disgrazia, pur non avendo fatto loro alcun male, essi ci trattano come nemici restituendoci con cattiveria ogni gentilezza mostrata nei loro confronti.

Dovremmo iniziare a considerare la possibilità che parenti, genitori, figli e amici non sempre possiedono il valore che noi attribuiamo loro.

La sofferenza di non ottenere ciò che si desidera

Tutti in questo mondo vorrebbero sentirsi felici e in piena forma; anche se non vi è nessuno che in questo mondo riesce ad ottenere ciò che vuole. Una famiglia costruisce una casa più confortevole e questa crolla all’improvviso sterminando tutti i suoi componenti. Qualcuno prende del cibo per soddisfare la fame, ma ciò che mangia lo fa ammalare mettendo a repentaglio la sua vita. I soldati vanno in guerra sognando di vincere, ma spesso vengono uccisi il primo giorno. Un gruppo di mercanti si mette in viaggio nella speranza di ottenere alti profitti, ma le loro mercanzie sono depredate dai briganti. Finché le nostre azioni passate non avranno esaurito i loro effetti, per quanti sforzi facciamo, non riusciremo mai ad ottenere felicità e ricchezze in questa vita. Tutto il nostro affannarci non farà che portare ulteriori preoccupazioni a noi stessi e agli altri. L’unico risultato certo di queste nostre attività sarà la rinascita nei reami inferiori. Per questo motivo, una briciola di meriti ottenuti con la pratica del Dharma ha molto più valore di una montagna di attività mondane.

A che giovano le inconcludenti attività del samsara? Tutti gli sforzi che da un tempo senza inizio abbiamo applicato per soddisfare i nostri desideri non hanno fatto altro che arrecarci sofferenza. Se in passato avessimo dedicato le stesse energie alla pratica del Dharma, oggi saremmo dei Buddha o almeno avremmo eliminato del tutto le cause di rinascita nei reami inferiori.

Meditiamo dunque come segue: ora che conosco la differenza tra ciò che va fatto e ciò che va evitato, in luogo di riporre tutte le mie speranze nelle inconcludenti attività del samsara, praticherò il Dharma, che solo garantisce una realizzazione certa.

La sofferenza di non poter evitare le cose indesiderabili

Nessuno di noi vorrebbe che accadesse ciò che abbiamo descritto nei precedenti paragrafi. Eppure, che lo si voglia o no, questo è ciò di cui facciamo esperienza ogni giorno della nostra vita.

Vi sono alcuni di noi che, a causa delle loro azioni passate, sono destinati ad un ruolo subalterno alle dipendenze di uomini più ricchi e potenti. Ridotti contro la loro volontà in uno stato servile, costoro per tutta la vita non godono neanche di un istante di libertà. Ogni minima mancanza fa ricadere su di loro punizioni esagerate e il loro stato è tale da non presentare alcuna possibilità di cambiamento. Essendo la loro esistenza in balia di altre persone, se venissero condannati a morte, essi saprebbero di non avere alcuna possibilità di evitare tale destino.

Anche se non tutti condividiamo una tale impotenza nei confronti degli eventi, pure quasi mai siamo in grado di orientare la nostra vita al punto da poter evitare le cose indesiderabili. Il Grande Onnisciente Longchenpa ha infatti affermato:

Vorreste stare con la famiglia e gli amici

Per sempre, ma è certo che li lascerete.

Vorreste conservare la vostra bella casa

Per sempre, ma è certo che vivrete altrove.

Vorreste avere gioia, salute e prosperità

Per sempre, ma è certo che non sarà così.

Vorreste vivere questa libera e preziosa

condizione umana piena di opportunità

Per sempre, ma è certo che morrete.

Vorreste studiare il Dharma col vostro eccellente maestro

Per sempre, ma è certo che ve ne separerete.

Vorreste convivere con i vostri soavi amici spirituali

Per sempre, ma è certo che li perderete.

Amici, che provate un profondo disincanto per il samsara,

Io, da mendicante del Dharma, vi esorto:

A partire da oggi, indossate l’armatura dell’impegno,

È tempo, infatti,

Di percorrere la terra della grande beatitudine,

Là dove non vi è separazione.

Salute, ricchezze, benessere, felicità e fama sono gli effetti di azioni compiute nel passato. Avendo accumulato azioni positive, che lo si voglia o no, tutte queste cose si manifestano come loro esito scontato. In assenza di tali cause favorevoli, nessuno sforzo da voi compiuto sarà abbastanza grande da assicurarvi ciò che desiderate. Al contrario, tutto ciò che detestate si verificherà. Di conseguenza, quando si pratica il Dharma è bene affidarsi all’inesauribile appagamento che sorge dall’essere soddisfatti di qualunque cosa accada. In caso contrario, l’ambizione soffocherà la vostra pratica con le preoccupazioni mondane, scontentando gli esseri celesti che la presiedono.

Un canto di Milarepa dice:

La principale istruzione del Conquistatore,

Signore degli Uomini,

È stata la liberazione dalle otto preoccupazioni mondane.

Ma chi oggi pensa di averla compresa,

Forse non possiede tali apprensioni più di prima?

Il Conquistatore trasmise regole di disciplina

Che ci aiutano a limitare gli effetti delle azioni mondane.

Ma i monaci che oggi seguono tali regole,

Non affondano più di prima nelle loro quotidiane occupazioni?

Egli ci mostrò l’antico stile di vita dei rishi

Che ci permette di tagliare i legami con parenti e amici.

Ma coloro che ancora oggi lo imitano,

Non prestano attenzione più di prima al loro aspetto esteriore?

In breve, praticare dimenticandosi della morte,

rende il Dharma del tutto inefficace.

Gli esseri umani che in quest’epoca di decadenza abitano i quattro continenti sono sprovvisti della più piccola opportunità di essere felici. Le loro vite sono immerse nell’insoddisfazione. In più, la degenerazione di quest’era cosmica accelera non solo ogni anno che passa, ma ogni mese, ogni giorno, ogni metà del giorno, ogni mattina e ogni sera di più. Il kalpa va di male in peggio. Gli insegnamenti del Buddha e la felicità degli esseri si eclissano progressivamente. È bene dunque meditare su queste cose sviluppando un senso di disincanto riguardo al destino di questo mondo. Oggi più che mai è necessario essere in grado di vedere le cose nella loro vera natura chiarendo a se stessi cosa è bene fare e cosa invece va evitato. Si metta in pratica dunque il consiglio dell’Onnisciente Longchenpa:

Talvolta, osserva le cose che ritieni favorevoli;

Se sai che è solo la tua percezione,

ogni circostanza volgerà a tuo favore.

Talvolta, osserva le cose che ritieni dannose;

Stupirti per la falsità della tua visione è vitale.

Talvolta, confronta i tuoi amici spirituali con gli altri maestri;

Distinguere il vero bene dalle vie errate ispirerà la tua pratica.

Talvolta, ammira il sorgere dei fenomeni prodotti nello spazio dai quattro elementi;

Saprai in che modo l’energia riposa nella natura della mente.

Talvolta, osserva il tuo paese, la tua casa e i tuoi beni;

Riconoscendoli illusori, proverai orrore per averli percepiti diversamente.

Talvolta, volgiti al benessere e alle ricchezze altrui;

Pensando alla loro inconsistenza, ti libererai dall’ambizione mondana.

In breve, esaminando la natura dei fenomeni multiformi,

Non ti attaccherai ad ogni cosa come se fosse reale.

Sono dunque gli affanni e le occupazioni legati a questa vita che ci impediscono di liberarci ora e per sempre dalle dolorose dimensioni del samsara. Solo un autentico maestro è in grado di mostrarci il metodo per tagliare i legami che ci incatenano al mondo e raggiungere l’illuminazione nelle vite future. Non lasciamoci condizionare dalle preoccupazioni della vita, considerando genitori, parenti e amici, compagni e amanti, cibo, ricchezze e proprietà alla stregua di uno sputo nella polvere. Cerchiamo di essere soddisfatti del cibo e degli abiti che la vita ci propone dedicando l’intera esistenza al Dharma.

Padampa Sangye afferma:

Gli oggetti materiali sono come una nuvola di foschia:

non pensare che durino.

La fama è come un’eco:

non aspirare alla stima degli altri, ma alla tua vera natura.

I begli abiti sono come i colori dell’arcobaleno:

indossali con semplicità e applicati nella pratica.

Questo corpo è come un sacco pieno di sangue,

pus e linfa: non invaghirtene.

Ogni pasto delizioso si trasforma in escrementi:

non dare importanza al cibo.

I fenomeni si ergono come nemici: ritirati sulle montagne.

Le spine delle percezioni illusorie

trapassano la mente: considerale tutte della stessa natura.

Desideri e bisogni sono un tuo prodotto:

serba la vera natura della mente.

Il gioiello più prezioso è dentro di te:

non spasimare per cibo e vestiti.

Molte parole portano discordia: agisci come il muto.

Hai una mente idonea per natura:

non ascoltare il tuo stomaco

Le benedizioni sorgono dalla mente:

prega il lama e lo yidam.

Se stai troppo a lungo in un posto,

troverai difetti persino nel Buddha: spostati di frequente.

Agisci umilmente e abbandona

l’orgoglio per la tua condizione.

Non vivrai in eterno: pratica senza interruzione.

Sei come un pellegrino in questa vita:

non erigere castelli là dove non ti fermerai a lungo.

Nessuna attività ti sarà di aiuto: porta a compimento la tua pratica.

Non sai quando il tuo corpo sparirà o sarà buono per i vermi:

evita di lasciarti distrarre dalle apparenze.

Relazioni e amicizie sono come uccelli

sul ramo di un albero: non restarvi attaccato.

La fede è una base eccellente:

non lasciarla fra le immondizie delle emozioni negative.

Questa forma umana è come una gemma che esaudisce i desideri:

odiando, non lasciarla in mano al nemico.

Il Samaya è il nostro guardiano, non contaminarlo con le azioni negative.

Mentre il Maestro del Vajra è ancora fra noi, non abbandonare il Dharma alla pigrizia.

Il segno di aver ben meditato su queste cose è sentirsi come Geshe Langri Thangpa. Un giorno, il suo attendente gli rivelò un nomignolo con cui la gente lo aveva soprannominato: “Langri Thangpa dalla faccia triste”. “Come posso avere un viso allegro e luminoso, quando ancora penso alle sofferenze dei tre mondi del samsara?”, replicò il Geshe.

Si dice infatti che egli sorrise una sola volta nella sua vita. Egli scorse un topo che tentava di trasportare un turchese poggiato sul suo mandala. Il roditore, non potendo sollevare la pietra, chiamò in aiuto un suo simile. Sicché, l’uno spingeva la pietra e l’altro la tirava. A quel punto Langri Thangpa sorrise.

La meditazione sulle sofferenze del samsara è la base e il supporto di tutte le buone qualità del sentiero e volge la nostra mente verso il Dharma. Essa ci persuade sulla legge di causa ed effetto in tutte le sue forme e ci fa abbandonare le preoccupazioni mondane suscitando amore e compassione per tutti gli esseri.

Il Buddha stesso, indicando l’importanza del riconoscere la sofferenza, diede inizio a ciascuno dei tre cicli di insegnamento con queste parole: “Monaci, questa vita è sofferenza.”

Si metta in pratica il contenuto di questo capitolo fino ad essere persuasi della realtà di tutto ciò.

Vedo che il samsara è sofferenza, ma ancora lo desidero,

Percepisco gli abissi dei reami inferiori, ma continuo a peccare.

Benedici me e tutte le persone smarrite come me

Affinché si possa davvero rinunciare alle cose di quaggiù.

Premessa al capitolo quarto (a cura del Traduttore)

Numerosi passi dei paragrafi I e II di questo capitolo possono suscitare una comprensibile perplessità e a nostro avviso vanno opportunamente chiariti. Si tratta perlopiù degli esempi relativi alle azioni negative da evitare. Nel paragrafo relativo all’atto di uccidere, ad esempio, accanto al divieto, per noi comprensibile, di uccidere esseri umani in guerra o di macellare animali, si cita anche l’eventualità di uccidere involontariamente insetti o altri esseri microscopici. Allo stesso modo, nel paragrafo sull’atto del rubare, si considera il commercio come una attività irredimibile che “inevitabilmente conduce a commettere tutte le dieci azioni negative”. Questi ed altri numerosissimi esempi (l’allevatore che, tosando una pecora, uccide gli insetti presenti nel vello; il contadino che, irrigando il campo, provoca l’annegamento delle piccole bestie annidate nei solchi) danno l’impressione che, non solo gli atti che di solito riteniamo negativi, ma forse qualunque atto conduca inevitabilmente alla rinascita nei livelli più bassi dell’esistenza. A pensarci bene, anche i capitoli precedenti forniscono talvolta una visione pessimistica della vita ordinaria, come nel caso della critica spietata che il Capitolo Terzo muove verso i cattivi sentimenti che si sviluppano in ambito familiare nelle amicizie e la visione funesta, fornita dallo stesso capitolo, dell’impermanenza e della morte.

Ritornando agli esempi sulle azioni negative, un modo per superare l’avversione causata da alcuni passi di questo capitolo è considerare il fatto che esso non costituisce un semplice decalogo pratico di divieti e prescrizioni.

Il capitolo infatti si intitola “Karma, il principio di azione ed effetto”. Ora, la parola “karma” ha in sanscrito una accezione molto estesa, equivalente al nostro termine “azione”; ed è l’intera estensione del suo significato che dovremmo tenere presente.

L’autore del testo esprime la visione onnicomprensiva tipica del Buddismo, in cui si supera la comune distinzione tra azione individuale buona o cattiva. Egli pertanto giunge a distinguere tra “azione” (buona o cattiva) compiuta con i mezzi ordinari (vivere, far la guerra, lavorare, distruggere, amare, sposarsi e così via) e l’ “azione” buona per eccellenza, ossia seguire un maestro e praticare il Dharma.

Per tale motivo, egli include fra le azioni negative (ordinarie) non solo quelle ragionevolmente evitabili da parte di chi intende migliorare se stesso e proteggere gli altri esseri, ma anche le azioni ordinarie che la mente non illuminata non considera negative e che spesso sono indispensabili alla nostra sopravvivenza e perciò non sono affatto evitabili. Queste ultime danno appunto l’idea che per una mente illuminata che domina le cause e gli effetti più riposti e inafferrabili, nessuna azione è in realtà esente da qualche effetto negativo. Pertanto, non basta semplicemente astenersi dalle azioni negative evitabili e perseguire le azioni positive. L’unico modo per porre definitivo rimedio anche agli errori inevitabili è la pratica del Dharma, l’ “azione” per eccellenza, pura ed esente da involontari effetti negativi. Con essa, non solo si acquisisce la visione pura che consente di scoprire la natura insoddisfacente del ciclo delle esistenze, ma si rende possibile anche alle persone ordinarie trasformare tutte le azioni comuni in pratica costante.

Non dunque puro e semplice elenco di divieti per l’uomo ordinario, ma espressione della visione della mente illuminata per mezzo di immagini ed esempi. In realtà, tutto il testo di Patrul Rinpoche, anche nei momenti di apparente pessimismo presenti negli altri capitoli, si confà a questa possibilità di interpretazione. Esso infatti intende spingere la nostra mente offuscata verso una visione più chiara della realtà, facendoci soffermare sui più impercettibili palpiti di vita degli animali, sull’imprevedibilità della condotta umana, sulla reale sofferenza di tutti gli esseri, mostrandoci lo sguardo attento e compassionevole con cui la mente illuminata si sofferma su ogni cosa. Pensare che ciò debba implicare una condotta rigidamente controllata e attenta al minimo errore vuol dire snaturare l’essenza stessa dell’illuminazione. La mente illuminata non è rigida, ma neanche si volta dall’altra parte di fronte alla sofferenza e alla morte di tutti gli esseri, pur se la somma ripugnante di queste morti e sofferenze sembra al di là delle nostre forze. Essere compassionevoli, implica davvero il doversi armare di un coraggio sovrumano:

Avvicina ciò che trovi ripugnante

Aiuta chi pensi non si possa aiutare

Non vedere le cose come appaiono

Visita i luoghi che ti fanno paura.

(Machik Labdrön)

Prima edizione tibetana: Gangtok 1974. Prima edizione occidentale: The Words of My Perfect Teacher, San Francisco 1996. Traduzione di Cristoforo Andreoli, © 2006. Fonte che si ringrazia per la sua gentilezza www.realizzazione.it, http://www.realizzazione.it/perfettomaestro/IstruzioniOrali.pdf