Ghesce Ghedun Sanpo: Shiné

Sua Santità il Dalai Lama in meditazione

Ghesce Ghedun Sanpo: Shiné

Shiné sarebbe una capacità mentale che riesce a concentrarsi su una cosa, su qualcosa, e questa capacità di concentrarsi può essere utilizzata per vari scopi, per vari motivi e, in particolare, i praticanti utilizzano questa capacità di concentrazione per la propria realizzazione interiore.

E quindi Shiné è una capacità, una qualità indispensabile. La prima cosa che dovremmo ricordare è la nostra motivazione all’inizio di qualunque attività: se all’inizio di qualunque attività la nostra motivazione ha l’aspetto di natura buona, allora la nostra attività avrà maggior effetto positivo, vantaggio, benefici positivi. Quindi, anche all’inizio dell’ascolto è di beneficio controllare la propria motivazione, cioè le attitudini mentali, quindi parliamo dal punto di vista pratico, cioè la pratica del Dharma – parola sanscrita – e quindi all’inizio della pratica è necessario seguire l’ascolto, ovvero è necessario ascoltare, ascoltare con la giusta motivazione.

Ascoltare con la giusta motivazione perché le persone vedono un beneficio che deriva dall’ascolto. Nell’insegnamento del Sutra si parla di quattro vantaggi o benefici derivati dall’ascolto. I quattro vantaggi o benefici che si ottengono dall’ascolto sono:

1) la conoscenza, quindi la conoscenza si accumula dall’ascolto;

2) lo sviluppo della saggezza discriminante, cioè che discrimina correttamente ciò che è di beneficio da ciò che non è di beneficio, ciò che è utile da ciò che è inutile;

3) siccome c’è la comprensione e il riconoscimento, o la saggezza discriminante, che discrimina le cose correttamente, ecco quindi che si abbandonerà ciò che è inutile – cioè che produce ulteriore sofferenza o confusione – e si praticherà, si seguirà ciò che utile, ciò che è positivo, ciò che produce ulteriore felicità;

4) da tutto questo si ottiene la serenità, la tranquillità, la calma e la felicità, dette anche NIRVANA, lo stato al di là della sofferenza.

Quindi, per avere un’esperienza interiore spirituale di Dharma è necessario praticare, ma per praticare è necessario ascoltare, così come per un’azione mondana tipo l’imparare per conoscere, è necessario ascoltare – come per esempio gli studenti prima di riuscire a dare l’esame hanno necessità di ascoltare gli argomenti o le materie sulle quali dovranno dare l’esame.

E dall’ascolto si sviluppa, si realizza la saggezza discriminante, la saggezza cioè che discrimina ciò che è utile da ciò che è inutile. E questo è necessario proprio per il semplice motivo che tutti noi che siamo qui presenti questa sera abbiamo un desiderio comune, e questo desiderio, questa aspirazione comune consiste di due aspetti:

  • il primo aspetto è quello di essere più sereni, più soddisfatti, tranquilli e calmi, di poter godere di una minima felicità;

  • in più, di poter essere liberi da questa confusione interminabile delle sofferenze.

Quindi, avendo questa aspirazione, l’aspirazione di volere essere felici, di volere essere liberi dalla sofferenza, dai problemi, ecco che allora ci si impegnerà, si andrà alla ricerca di cosa possiamo fare per essere felici, per essere liberi dalla sofferenza. Perciò ci si impegnerà ad accumulare, praticare le cause e condizioni adatte alla felicità e ad abbandonare le cause e condizioni della sofferenza.

Ecco, quindi, che impegnandosi nell’accumulare le cause e le condizioni adatte alla felicità ed eliminando, abbandonando le cause e le condizioni della sofferenza, ecco che allora non ci sarà più la sofferenza dato che le cause e le condizioni della sofferenza vengono abbandonate. Quindi, ecco la libertà dalla sofferenza, ecco che abbandonando queste cause e condizioni della sofferenza si ottiene la liberazione dalla sofferenza, si è liberi dalla sofferenza. Questo significa si è raggiunto lo stato di felicità, lo stato di felicità reale, eterna. Il Maestro lo definisce: lo stato di Nirvana, la liberazione al di là, ovvero la liberazione dalla sofferenza dall’esistenza ciclica condizionata. Ecco, questi sono dei punti in relazione all’ascolto. Quindi l’ascolto non è un ascolto semplice, bensì ascoltare porta questi quattro vantaggi, questi quattro benefici. Quindi, è ricordando questi quattro benefici e vantaggi che noi questa sera ci dedicheremo a conoscere qualcosa riguardo questo argomento di Shiné o Samadhi, la concentrazione. Ci sono diverse traduzioni, naturalmente si parla anche di stabilità mentale.

Ecco, quindi, che per fare in modo che il nostro ascolto possa essere di maggior beneficio, possa produrre maggior effetto, un risultato positivo, questo dipenderà dalla motivazione, cioè l’attitudine mentale, lo scopo dell’ascoltare. Ecco perché si ricorda molto spesso e ripetutamente di osservare e fare introspezione relativamente alla propria motivazione. Quindi la motivazione, come minimo, deve essere l’aspirazione affinché da questo ascolto si possa ottenere la realizzazione interiore per essere in grado di beneficiare tutti gli esseri senzienti, ovvero si parla della motivazione altruistica, dell’amorevole gentilezza.

Ci sono vari livelli di motivazione: la motivazione più alta, la motivazione suprema viene definita Bodhicitta, parola sanscrita che ha un duplice aspetto e si riferisce ad una aspirazione di voler ottenere l’illuminazione allo scopo di essere di beneficio per tutti gli esseri senzienti. Questa viene definita la motivazione di Bodhicitta, la motivazione della mente dell’illuminazione, e questa è suprema.

Questa motivazione suprema, questa motivazione di Bodhicitta non è stata inventata da uno qualunque o per caso, ma ha una fonte, ha un’origine valida. L’origine di questa pratica della motivazione di Bodhicitta deriva da Buddha Maitreya. Buddha Maitreya nel suo insegnamento Abhisamayalamkara in lingua sanscrita, parla di questa motivazione suprema, la motivazione definita come l’aspirazione di volersi illuminare per essere in grado di beneficiare tutti gli esseri senzienti senza nessuna eccezione, questa è la Bodhicitta.

Ecco che quindi, affinché il nostro ascolto possa portare o produrre un maggiore effetto, possa essere di maggior beneficio, si consiglia di iniziare subito ad addestrare la nostra mente nella motivazione e nella Bodhicitta, che sarebbe: io vorrei illuminarmi, voglio illuminarmi il più presto possibile affinché possa essere di beneficio per tutti gli esseri senzienti, per questo scopo, per questo motivo ascolto, partecipo e ascolto.

Per illuminarsi, per raggiungere l’illuminazione, è necessario completare due aspetti del sentiero, detti il sentiero dell’aspetto del metodo e il sentiero dell’aspetto della saggezza. Un esempio della pratica dell’aspetto del metodo potrebbe essere, per esempio, la motivazione della rinuncia, del non attaccamento, la motivazione che abbiamo appena menzionato, cioè la Bodhicitta, l’aspirazione a volersi illuminare per essere in grado di beneficiare tutti gli esseri senzienti. Questi sono gli aspetti del sentiero del metodo.

Poi si parla dell’aspetto della saggezza, che si riferisce alla saggezza stessa, la saggezza discriminante. Quindi, ecco che dall’unione di questi due sentieri (dell’aspetto del metodo e dell’aspetto della saggezza) viene realizzata l’illuminazione.

Quindi, per illuminarsi non è sufficiente solamente realizzare questo non attaccamento, questa rinuncia, questa motivazione di voler uscire fuori dalla sofferenza e dall’esistenza ciclica condizionata; non è sufficiente nemmeno la motivazione di Bodhicitta, bensì è necessario che il sentiero dell’aspetto del metodo venga sostenuto, appoggiato dall’intelligenza della saggezza che realizza la mancanza dell’esistenza a sé stante, o intrinseca, o indipendente.

Il famoso autore, il famoso Yogi (o realizzato) detto Lama Tzong Khapa nel suo insegnamento intitolato Tre Aspetti Principali del Sentiero dice:

per tagliare la causa radice dell’esistenza ciclica condizionata non è sufficiente solamente realizzare il sentiero dell’aspetto del metodo, ma il sentiero dell’aspetto del metodo deve essere appoggiato e sostenuto dal sentiero dell’aspetto della saggezza, la saggezza che realizza l’interdipendenza, la correlazione, l’interrelazione, la mancanza di esistenza a sé stante o intrinseca”.

Inoltre, sempre Lama Tzong Khapa in un altro testo dice: ma con il solo realizzare il sentiero dell’aspetto della saggezza, non può essere ottenuta l’illuminazione senza avere l’appoggio del sentiero dell’aspetto del metodo”.

Quindi, la saggezza che realizza l’aspetto dell’interdipendenza, l’aspetto, la mancanza di esistenza indipendente deve essere appoggiato, deve essere sostenuto dalla realizzazione di Shiné, la calma dimorante o stabilità mentale o concentrazione; ecco quindi nel testo radice è detto: “la saggezza deve cavalcare il cavallo di Shiné”.

Quindi, così come nel testo radice, Lama Tzong Khapa dice che questa saggezza che realizza l’interdipendenza e la mancanza di esistenza indipendente deve essere appoggiata, deve essere sostenuta dalla realizzazione o dalla comprensione del sentiero dell’aspetto del metodo, ovvero la motivazione della rinuncia e la motivazione di Bodhicitta. Allora, mi ricordo che nella mia prima vista mi pare che abbiamo parlato sulla saggezza che realizza la vacuità, cioè la visione della vacuità della non vera esistenza, e quindi questa volta parleremo, appunto, di Shiné.

Quando parliamo di questa calma dimorante mentale o Samadhi, il discorso viene classificato in tre punti fondamentali:

  • si parla della base per la pratica di Shiné e quindi ci sarà la spiegazione;

  • il secondo punto parla della persona, cioè il praticante della calma dimorante mentale, quindi ci sarà la spiegazione su questo punto;

  • il terzo punto fondamentale è la natura, l’aspetto, le caratteristiche di Shiné, quindi ci sarà la spiegazione riguardante questo terzo punto.

Questi sono i tre punti fondamentali.

E quindi parliamo della base. La base si riferisce anche al luogo nel quale il praticante potrà risiedere per iniziare la sua pratica.

Le caratteristiche del luogo sono cinque e sono le seguenti:

  • nella prima si parla dell’ambiente in generale, cioè l’aspetto del luogo in generale che deve essere favorevole, avere un panorama piacevole, un ambiente in generale più apprezzabile, che ha una certa attrattiva –questa è la prima caratteristica;

  • la seconda caratteristica è che il luogo è più favorevole se in questo luogo sono vissuti i santi nel passato, dove hanno lasciato delle tracce gli esseri santi;

  • la terza caratteristica è che la terra sia qualcosa di favorevole per la propria salute e che ci siano meno interferenze, che ci siano meno energie negative che ostacolano la propria salute, che sia favorevole per la salute, per la vita, senza interferenze provenienti dalla terra;

  • la quarta caratteristica è che sarebbe favorevole avere dei compagni che ti stimolano, che ti aiutano a continuare la pratica, quindi si parla di compagni favorevoli, compagni saggi;

  • la quinta caratteristica è che sia un luogo un po’ isolato, cioè silenzioso, ma che non sia completamente abbandonato dal resto del mondo, perché allora avrai difficoltà a raccogliere i mezzi di sopravvivenza, fare le spese e tante altre cose; quindi deve essere un po’ distaccato, ma che non sia completamente abbandonato, in modo che sia facilitata la comunicazione in caso di estrema urgenza oppure nelle spese.

Queste sono le cinque caratteristiche del luogo o della base.

Anche questa spiegazione non è che sia stata inventata da uno qualunque, ma ha una fonte valida che proviene dal Buddha Maitreya nel suo insegnamento del Sutra chiamato Sutra dell’Ornamento. In questo testo, chiamato Sutra dell’Ornamento, troveremo questa spiegazione che descrive i cinque punti, che parla di queste cinque caratteristiche. E questo è per quanto riguarda il primo punto fondamentale.

Il secondo punto fondamentale riguarda il praticante stesso, cioè la persona, quindi parliamo della caratteristica della persona. Si parla di sei caratteristiche favorevoli che il praticante dovrebbe in qualche modo realizzare.

Queste sei caratteristiche favorevoli per la propria pratica sono:

  • la prima caratteristica è avere meno desiderio, avere meno bramosia, avere meno attaccamento alle cose, quindi avere la mente più libera dall’attaccamento;

  • la seconda caratteristica del praticante è avere più soddisfazione, essere soddisfatto di come è, quindi accontentarsi, avere la soddisfazione;

  • la terza caratteristica è che non abbia troppi impegni, cose da fare, che non abbia impegni in troppi affari;

  • la quarta caratteristica è che abbia una certa capacità di auto disciplinarsi, cioè seguire la disciplina, come, per esempio, seguire correttamente eventuali impegni che avrà preso;

  • la quinta caratteristica è quella di riconoscere i cinque oggetti sensoriali nella natura, nell’aspetto sconveniente nel senso di non rimanere distratto dai cinque oggetti sensoriali o oggetti dei desideri;

  • la sesta caratteristica è che la persona sia in qualche modo riuscita a raggruppare, raccogliere tutte condizioni particolari per procedere nella sua pratica di Shiné.

Queste sono le sei caratteristiche del praticante stesso.

Queste sei caratteristiche del praticante non vengono inventate da uno qualunque, ma hanno una fonte, una origine da un Pandita indiano: Shantideva, no Atisha, scusa, Atisha. Nel suo insegnamento ecco che si parla di queste sei caratteristiche, delle persone che posseggono, o in cui sono presenti queste sei caratteristiche favorevoli e che riusciranno facilmente a realizzare questa capacità della concentrazione, questa qualità della calma dimorante. Altrimenti, il praticante, mancando una di queste sei caratteristiche, anche se si impegna per decine, centinaia di anni della sua vita a praticare, difficilmente realizzerà questa capacità e questa qualità della calma dimorante.

Ulteriore spiegazione riguardante il praticante stesso: ci sono dei consigli particolari per il praticante stesso a seconda del suo stato mentale. Ci sono varie persone disturbate maggiormente dalla bramosia, dall’attaccamento, dal desiderio, quindi per lui, prima di iniziare la pratica vera e propria, è consigliabile affrontare e superare questo disturbo di attaccamento, e quindi applicare un antidoto adatto al suo attaccamento. C’è una meditazione che si chiama: meditare visualizzando l’aspetto sgradevole dell’oggetto al quale uno è rimasto attaccato, verso cui prova desiderio o ne è rimasto attratto.

Nel caso del praticante che subisce o che ha questo disturbo, se il praticante è disturbato dal suo attaccamento, se non viene in qualche modo pacificato dal suo disturbo dell’attaccamento, se inizia subito la pratica vera e propria della concentrazione, allora cosa succederà durante la meditazione?

Succederà che, anziché riuscire a concentrarsi, cioè anziché riuscire a stabilire la propria mente sull’oggetto prescelto come oggetto della sua concentrazione, questo oggetto durerà per pochi istanti alla sua mente e poi inizierà a manifestarsi l’oggetto dal quale lui è rimasto attratto, quindi non è possibile realizzare questa capacità della concentrazione. Ecco perché, allora, si consiglia di purificare l’attaccamento prima, cioè abbassare, ridurre prima di iniziare la pratica.

Qui dice che anche se non riesci a purificare completamente l’attaccamento prima di iniziare la pratica, che almeno l’intensità della propria capacità di concentrarsi e l’intensità del proprio desiderio e attaccamento siano in qualche modo pari, oppure se possibile inferiore, cioè, se possibile, l’attaccamento sia inferiore o, se non è possibile, almeno pari. Se è superiore non è possibile concentrarsi perché si viene disturbati.

Allora, così dunque via via dicendo ci sono vari altri disturbi. Anche prima ho accennato che ci sono i disturbi mentali della collera, dell’odio, dell’aggressività e così via, quindi questi vengono affrontati applicando gli antidoti appropriati.

A questo punto si parla di scegliere l’oggetto della concentrazione, cioè l’oggetto sul quale noi dovremmo rimanere, sul quale la nostra mente deve essere concentrata. Si parla di oggetti esterni, oggetti interni, si parla di oggetti segreti e si parla di oggetti consigliati. A questo punto il Maestro parla degli oggetti consigliati: gli oggetti consigliati sono quegli oggetti, oggetti dell’immaginazione mentale, cioè una immagine creata mentalmente, un’immagine del Buddha, di una misura estremamente piccola, di una misura piccola – e lui ha mostrato la misura di un pollice. Allora l’oggetto consigliato sarebbe l’immagine della divinità, scusa, l’immagine della divinità della misura di un pollice. E il motivo per cui è consigliato di scegliere l’immagine della divinità è perché c’è un duplice vantaggio: da una parte viene addestrata la propria mente per riuscire, per essere capaci a concentrarsi, dall’altra parte viene, in qualche modo… vengono accumulate le impronte positive o i semi positivi in modo che in futuro il praticante possa perfezionare la pratica del Tantra. Naturalmente nel testo se ne parla, si parla di quando abbiamo appena scelto l’oggetto della nostra concentrazione, cioè l’immagine di una divinità, all’inizio, cioè prima di concentrarsi su questa figura, su questa immagine. Dopo aver scelto, si fa una meditazione che viene chiamata la meditazione della apparenza, questa è la traduzione letterale. Il significato che il maestro ha spiegato sarebbe fare una rapidissima meditazione sul Sentiero Graduale. Quando si parla del Sentiero Graduale si parla dell’inizio del sentiero, che comincia con la relazione, con il rapporto con il maestro, fino alla completa illuminazione. Quindi ci sono i sentieri graduali, ed ecco che il praticante dovrebbe fare una rapida riflessione, dall’inizio del sentiero fino all’illuminazione, del Sentiero Graduale. Stiamo sempre parlando del secondo punto principale, la caratteristica del praticante; in particolare stiamo parlando della sesta caratteristica della persona, cioè la completa condizione favorevole per procedere nella propria pratica effettiva, vera e propria, ovvero della concentrazione, A questo punto si dice che il praticante deve prepararsi un cuscino comodo sul quale sedersi, assumendo una posizione più costruttiva, più favorevole alla propria meditazione, e qui nel testo si parla di assumere la posizione del corpo in sette punti. Dopodiché, per il grosso disturbo, il grosso ostacolo per noi, che è l’agitazione mentale, cioè il vagabondare della nostra mente, l’agitazione mentale, la distrazione mentale, si consiglia di iniziare calmando la nostra mente, raccogliere, richiamare la nostra mente dalla distrazione, concentrandosi sul proprio respiro. Quindi concentrarsi sulla propria espirazione e inspirazione, contare queste due, questa coppia, come uno, e quindi mantenere sia la consapevolezza della propria espirazione e inspirazione, e sia mantenere anche la consapevolezza nel contare da uno fino a ventuno. Se si va oltre vuol dire che non si è più consapevoli. Ci si deve fermare a ventuno e poi tornare, ricominciare da uno, due e via dicendo, e quindi concentrarsi sul proprio respiro e contare per ventun volte. Questa è una tecnica per calmare la nostra mente dalla agitazione o distrazione.

Molto probabilmente dovreste, o sapete già qual è la posizione in sette punti. La posizione in sette punti è favorevole, ma non per tutti, non è definitivamente favorevole per tutti.

In ogni caso i sette punti della posizione, cioè della posizione in sette punti sono:

  • incrociare le gambe;

  • tenere le spalle bilanciate;

  • il collo inclinato leggermente in avanti;

  • il palmo della mano destra va sopra il palmo della mano sinistra, con i due pollici che si uniscono a toccare l’ombelico;

  • assumere la posizione degli occhi socchiusi, non completamente spalancati;

  • i denti devono essere lasciati nel loro stato normale, non aprire troppo, non chiudere troppo con forza;

  • la punta della lingua deve in qualche modo toccare la parte sopra del palato (c’è un motivo per questo).

Questa è la posizione in sette punti.

Questa posizione, la posizione in sette punti è la posizione di Buddha Vajrochana. Vajrochana è il nome di un Buddha e quindi lo scopo di assumere la posizione in sette punti non è soltanto per favorire la propria pratica, ma anche per lasciare questa impronta, questo auspicio che in futuro, quando ci illumineremo, ci illumineremo nell’aspetto di Buddha Vajrochana, in questa posizione

Quindi ricapitolando, ripetendo: le gambe incrociate, le spalle bilanciate,; la spina dorsale eretta, il collo, la gola da non inclinare indietro ma leggermente in avanti, appena appena; la posizione della mano destra, con il palmo sopra quello della mano sinistra, i due pollici che si uniscono, si toccano, e l’unione dei due pollici che tocca l’ombelico; i due occhi sono abbassati, non completamente chiusi, non aperti, non completamente aperti, ma lasciarli appena aperti, come per guardarvi la punta del naso (non dovete forzare, non è detto che dobbiate vedere la punta del naso); e le labbra della bocca e i denti devono essere lasciati nel loro stato normale, non aprire con la forza, non chiudere con la forza; la punta della lingua – ecco, lui ci spiega – si dice dovrebbe toccare il palato, ma senza forzare, non che dobbiate sentirvi obbligati, ma lasciate un po’ sollevata la cima della lingua: questo serve per bloccare eventuali uscite di saliva involontaria. Molto spesso le persone che meditano con la lingua abbassata emettono saliva involontariamente e quando questo succede provoca poi la sensazione di sete. Quindi è necessario che la saliva rimanga dentro. Ogni singola posizione ha una spiegazione, la spiegazione di ogni singola azione, cioè posizione, scusa, viene spiegata nel testo intitolato Lam Rim, il Sentiero Graduale.

Però non possiamo perdere tutto il tempo solamente a parlare della posizione, cioè dei vantaggi di assumere la posizione in sette punti. Ma, per fare un esempio, appunto il toccare con la cima della lingua la parte superiore del palato in qualche modo trattiene la saliva all’interno da una eventuale uscita involontaria. E lo scopo, il motivo, il vantaggio di non chiudere completamente gli occhi è che altrimenti si potrebbe prendere sonno, si potrebbe subire un disturbo mentale chiamato torpore mentale, nebbia mentale o affondamento mentale. Si parla di questi disturbi: se l’occhio è completamente spalancato, aperto allora subisce altri disturbi chiamati agitazione o distrazione, per cui la mente si distrae sui fenomeni percepiti. Via via, ogni singola posizione ha vantaggi e svantaggi.

Dopo essersi seduti nella posizione in sette punti ecco che allora si inizia a concentrarsi sul proprio respiro per calmare la propria mente dalla sua distrazione e agitazione. Dopo aver fatto la meditazione sul respiro, cioè la concentrazione sul respiro, completando il contare fino a ventuno, inizierà la visualizzazione dell’oggetto della concentrazione e quindi di fronte a noi, all’altezza della nostra testa, nello spazio, immaginiamo, creiamo un’immagine mentale della figura di Buddha Sakyamuni. Il suo colore è oro con sfumature rosso zafferano, quindi sfumato da rosso zafferano. Ha un volto e due braccia, la sua mano destra tocca la Terra e questo si chiama gesto o mudra della protezione, la sua mano sinistra è nella posizione della meditazione e tiene la ciotola dell’elemosina riempita con il nettare, le sue gambe sono incrociate. Indossa naturalmente i vestiti, non ci sono ornamenti. Questa è la figura, cioè l’immagine scelta per la propria concentrazione, scusa, questa immagine di Buddha che, ai praticanti avanzati, è consigliato di visualizzare come inseparabile dal proprio maestro spirituale. Il proprio maestro spirituale e questa figura, questa apparenza di Buddha sono identici, uniti, inseparabili. Ulteriore caratteristica è che emana raggi di luce dal suo corpo e il suo corpo è dotato dei segni maggiori e minori delle sue qualità interiori dell’illuminazione. Si parla di 32 segni maggiori e 80 segni minori che rappresentano, che simbolizzano la sua realizzazione interiore dell’illuminazione.

Ecco, questa figura di Buddha Sakyamuni che è dotata di 32 segni maggiori e 80 segni minori – che rappresentano e simbolizzano la sua realizzazione interiore dell’illuminazione – appare, ma non esiste realmente. Ecco, questo bisognerebbe pensare, bisognerebbe ricordarsi che c’è soltanto un’apparenza, ma non esiste realmente, non esiste assolutamente, cioè nel modo assoluto non esiste, esiste soltanto come semplice apparenza, come semplice apparenza senza esistenza sostanziale, come l’arcobaleno nel cielo. La misura, l’altezza di questa immagine, di questa figura di Buddha Sakyamuni è di un pollice, è della misura di un pollice. Se i praticanti che hanno una certa capacità vogliono ridurre ancora a una misura ancora più piccola, possono ridurre alla misura di un “pea”, in inglese si dice così. Volevo fare una premessa: se non mi sbaglio esiste una verdura che si chiama pisello? Sì. Rotondo? Sì. Ecco nel testo si parla della misura di un pisello cinese.

Ecco, qui nel testo, man mano che… Nel testo si dice che il praticante più visualizza l’immagine a piccole dimensioni, più è facile la concentrazione, più è facile riconoscere, più è facile non perdere, più è facile concentrarsi, più è facile percepirla interamente. Altrimenti, se uno visualizza una dimensione più grande, si distrae su questa immagine perché è grande, ma con una dimensione più piccola è più facile concentrarsi, più facile percepirla completa, senza distrarsi. Quindi, se nel testo il maestro dice: se il praticante si sente facilitato nel concentrarsi più facilmente visualizzando una dimensione sempre più ridotta, vuol dire che lui ha sviluppato la capacità della concentrazione o del concentrarsi.

Ecco, tutte queste sono le caratteristiche. Parlavamo di sei caratteristiche della persona, del praticante, in particolare questa ultima spiegazione riguarda la sesta caratteristica della persona, cioè avere tutti gli elementi necessari per la pratica vera e propria della concentrazione.

Allora, qui si parla del processo graduale del meditatore. Il meditatore, il praticante non si deve preoccupare, sin dall’inizio, di tutte le particolarità dell’immagine, deve soltanto iniziare a preoccuparsi in qualche modo far apparire più chiaramente possibile almeno la testa e le due braccia, non preoccuparsi troppo di altri particolari. Poi, successivamente aggiunge, man mano abituandosi, familiarizzando, aggiunge le due gambe; man mano, gradualmente, quindi aggiunge l’apparenza del fiore di loto che è sotto di lui, sul quale lui è seduto e, scusa, fiore di loto sopra al quale c’è il disco lunare sul quale lui è seduto. Allora, cominciando dalla testa, quindi, man mano che aggiungi alcune parti del corpo, quando arriverai, quando avrai completato in qualche modo il livello grossolano dell’intero, ecco, non avere fretta nel penetrare nei particolari dettagliati, bensì ancora concentrati di più su questa figura grossolana in generale.

Ecco, quindi, fin qui continua ancora ad addestrarti, familiarizzarti con l’immagine, con l’immagine grossolana, ma in qualche modo completa; cioè ancora continua a familiarizzarti, addestrarti su questa apparenza grossolana generale, ma in qualche modo completa.

Ecco, da quando noi abbiamo iniziato ad addestrare la nostra mente nel percepire l’immagine o la figura dell’apparenza della testa fino ad arrivare a concentrarci sull’apparenza grossolana, ma in qualche modo completa, non dobbiamo preoccuparci di dover correre nel penetrare i punti dettagliati e particolari, perché altrimenti questo diventa un ostacolo alla propria concentrazione, crea l’ansia, e questo diventa un ostacolo. Quindi, se nei primi giorni riesci soltanto a concentrarti sulla apparenza della testa, bisognerebbe accontentarsi e continuare su questo e, gradualmente, aumentare altre parti del corpo, cioè altre apparenze di altre parti del corpo. In caso contrario, se si aggiunge con troppo forza, questo diventa ostacolo, perché, ecco… il maestro dice che si forza troppo, cioè oltre il limite: non è bilanciato, non è equilibrato alla propria capacità di potersi concentrare, quindi non è di beneficio.

Ecco, quindi, nella capacità di concentrarsi si parla di due caratteristiche fondamentali:

  • la prima caratteristica fondamentale viene chiamata la stabilità mentale sull’oggetto, cioè l’intensità dell’afferrarsi all’oggetto, l’oggetto della concentrazione, cioè il porre la mente, porre la mente sull’oggetto della concentrazione, quindi afferrarsi all’oggetto, l’intensità di afferrarsi all’oggetto;

  • la seconda caratteristica fondamentale si riferisce alla chiarezza dell’immagine o dell’apparenza dell’oggetto alla mente, quindi queste sono due caratteristiche fondamentale.

Il meditatore, all’inizio, non dovrebbe preoccuparsi dell’intensità dell’apparenza dell’immagine dell’oggetto, ma deve preoccuparsi di più nell’accumulare la capacità di porre la mente sull’oggetto. Quindi, finché il meditatore in qualche modo non si è addestrato sufficientemente per porre la mente, cioè afferrare l’oggetto della concentrazione, dovrà continuare. Quindi, una volta che avrà ottenuto questa capacità di porre la mente sull’oggetto da afferrare, allora ecco che può iniziare a intensificare la chiarezza della apparenza dell’oggetto della concentrazione. Quindi, il maestro dice che, all’inizio, non vi dovete preoccupare di tutte e due, ma di iniziare almeno ad addestrare la mente nel rimanere sull’oggetto di concentrazione.

Non lo so se voi siete stanchi o avete domande… Meglio fermarci perché sono già le dieci e mezza.

Questo insegnamento è stato dato da Ghesce Ghedun Sanpo presso il Centro Terra di Unificazione Ewam il 4 agosto 1993.

(Tratto dal sito https://nalandaedizioni.it/2020/11/17/shine/?mc_cid=2b24fe0b07&mc_eid=13bdd293c8 che devotamente ringraziamo per la sua compassionevole gentilezza verso tutti gli esseri che soffrono in questa dolorosa esistenza samsarica.)