Fu per il buon Karma di un ricco mercante che il Bodhisattva nacque, molto tempo fa, come suo figlio. Il ragazzo seguì le orme paterne diventando, una volta adulto, il capo della Gilda dei Mercanti. Aveva ricevuto un’ottima educazione e possedeva un intuito innato per ogni genere di affari, ma era anche molto generoso e praticava la carità nel senso più ampio della parola. La sua ricchezza divenne così grande che fu chiamato il rè dei mercanti, ma il Bodhisattva grazie alla forza del suo carattere, continuò a procedere fermamente sulla Via della Compassione, dalla quale non potevano deviarlo ne vizi ne tentazioni di alcun tipo. Perciò fu chiamato Avishahya che significa: «invincibile».
La sua casa era sempre affollata da mendicanti, ognuno di loro veniva considerato un ospite, e qualunque cosa desiderasse non gli veniva mai negata. Al momento del congedo sia Avishahya che i suoi poveri amici si salutavano ridendo felici.
Infatti il Bodhiìattva non era attaccato alle sue ricchezze e, gioiva quando i mendicanti sceglievano e portavano via le cose più belle che possedeva. Per lui la ricchezza era solo un mezzo per compiere azioni meritevoli e mai nessun monaco mendicante lasciò la casa di Avishahya senza essere soddisfatto dei doni ricevuti.
Un giorno Sakra, il Re degli Dei, sentendo parlare della meravigliosa compassione di Avishahya si incuriosì e decise di vedere quanto lontano sarebbe andato il ricco mercante sulla strada della carità. Così fece in modo che i doni che il mercante aveva pronti per la distribuzione, provviste, grande, soldi e vestiti, sparissero ogni giorno. Avishahya si meravigliò per quelle improvvise e inspiegabili sparizioni, ma comprò nuove provviste giorno dopo giorno, in modo che nessun povero uscisse scontento dalla sua casa. – … E, da quel momento, benché le sue ricchezze diminuissero, il Bodhisattva diventò ancora più felice e generoso. Vedendo che Avishahya non cessava di elargire generose elemosine, Sakra decise di rendere il compassionevole mercante completamente povero in una sola notte, per scoprire se una simile disgrazia avrebbe fermato il suo desiderio di aiutare gli altri.
Un mattino, quando Avishahya si alzò all’alba, trovò la sua casa completamente vuota. Non c’era più niente, ne vestiti, ne provviste, ne denaro. Perfino i suoi domestici erano spariti. Sembrava che la casa fosse stata saccheggiata dai Rakshasa1.
Il Bodhisattva cercò dappertutto, ma trovò soltanto un rotolo di corda in un angolo e una piccola falce in un altro. Meravigliato, disse ad alta voce: – Chi ha portato via tutte le mie cose? Forse qualcuno che, non volendo mendicare, le ha rubate perché è solito procurarsi il necessario per vivere con la forza? Oppure le ha prese qualcun altro solo perché invidioso del mio alto rango? Ciò sarebbe un vero peccato perché le mie cose non servirebbero a un povero. Ora la mia ricchezza è completamente svanita. Che cosa farò quando i mendicanti verranno alla mia casa e io non potrò nutrirli e vestirli? Essi sono abituati a ricevere doni e ospitalità e ora il mio intero palazzo è come una pozza secca come l’assetato non può trovare acqua da bere.
Tuttavia il Bodhisattva non voleva vivere di elemosine, perché egli aveva donato per tutta la vita e adesso, che nel suo nuovo stato vedeva quanto dura fosse la vita del povero, la sua compassione per i mendicanti crebbe ancora. Così, in modo di riuscire a donare qualcosa, anche se poco, prese la fune e la falce, le sole cose che gli erano rimaste e si mise a tagliare erba, giorno dopo giorno. Dopo aver venduto l’erba comprò il cibo, che regalò quasi tutto ai mendicanti, tenendo per sé solo il minimo per sopravvivere. Così visse per qualche tempo, felice di poter aiutare pochi vecchi malati, che non erano in grado di badare a loro stessi. Sakra, vedendo che neppure quella grande povertà aveva reso egoista l’animo di Avishahya si sentì riempire di ammirazione. Allora si manifestò con il suo corpo celestiale e, levitando nell’aria davanti al Bodhisattva lo tentò ancora con queste parole:
– Mercante, ne ladri, ne principi invidiosi hanno rubato le tue ricchezze e neppure sono state distrutte dal fuoco o dall’acqua. Tu solo sei responsabile della tua rovina. Rinuncia da adesso al tuo esagerato amore per la carità. Se nella tua condizione attuale di povertà comincerai ad accumulare il poco che guadagni, grazie alla tua abilità diventerai infine di nuovo ricco, come un formicaio che cresce alto e forte, costruito poco per volta dalle alacri formiche.
Il Bodhisattva non fu persuaso dai discorsi di Sakra e rispose:
– Nessun uomo caritatevole, qualunque disgrazia lo colpisca, farà mai qualcosa di malvagio. Non accumulerei mai ricchezze se potessi farlo solo diventando un avaro. Non accetterei ne oro ne gioielli e neppure il Cielo, se non potessi usarli per rendere più felice il cuore dei poveri. Se aumentando la ricchezza cresce l’egoismo, allora bisogna donare tutto, per salvarsi dal male. La ricchezza va e viene come il lampo dei fulmini, ma la compassione porta una costante felicità.
– Mercante – disse Sakra – tu parli come un uomo potente ma ora non sei più ricco. Se tu accumulerai un nuovo patrimonio poi se vorrai elargire un po’ delle tue ricchezze in elemosina, nessuno ti potrà biasimare. Ma colui che ama la carità senza avere i mezzi per praticarla è come un uccello che vuole volare prima che siano cresciute le sue ali. Che significato può avere il desiderio ardente di donare se non c’è nulla da dividere?
Il Bodhisattva replicò:
– Ogni persona deve essere caritatevole, perché non esiste una felicità maggiore di quella provata per gli atti di compassione. Inoltre i ricchi, se non praticano la carità, non possono raggiungere il Cielo e neppure sconfiggere l’egoismo e gli altri vizi. Chi, mosso dalla compassione, è pronto a donare anche se stesso per proteggere i vecchi, i poveri e i malati, sarà benedetto per l’eternità. Se un carro ha tracciato una pista, altri possono seguirla più facilmente. Quando ero ricco ho guidato questo primo carro e ora so che posso farlo ancora e ancora, senza abbandonare la giusta via. Se diventerò di nuovo ricco, donerò tutti i miei averi ai poveri. Intanto offro il poco che ho.-
Sakra colpito dalle parole del Bodhisattva lo guardò con rispetto e disse:
– Molti cercano di conquistare ricchezze senza alcuno scrupolo perché per loro la ricchezza è un modo per ottenere potere e piacere. Tu non hai mostrato alcuna emozione per la perdita dei tuoi beni e non hai ceduto ai miei consigli. Vedo che la tua mente è rivolta solo al benessere dei deboli. Il tuo compassionevole cuore risplende come una luce in un luogo oscuro e soffre per la perdita delle ricchezze solo perché senza di esse non può aiutare i poveri come prima. Vedo che le prove che ti ho mandato non ti hanno scosso così come il vento non scuote una possente montagna ricoperta di neve. Io ho fatto sparire la tua ricchezza perché il bisogno purificasse e rendesse più grande la tua fama così come la fiamma purifica l’oro. Da ora o Grande Santo la ricchezza ritornerà da te come la pioggia che riempie i pozzi e gli stagni asciutti. Grazie al mio favore non perderai più la tua prosperità e ti prego di dimenticare i miei tentativi di traviarti.-
Così chiedendo perdono al Bodhisattva il Re degli Dei svanì dalla terra.
Avishahya ridiventò molto ricco e la sua casa accolse nuovamente i poveri e gli afflitti, che ne uscivano con i volti ed i cuori raggianti di gioia. La prosperità del caritatevole mercante non diminuì fino al giorno della sua morte, ed egli fu conosciuto come il “Padre dei Poveri”. Questa storia insegna che colui che è veramente virtuoso non cessa mai di essere compassionevole e anche nella disgrazia e nella povertà, trova la maniera di aiutare chi ha bisogno di lui.