Giuseppe Baroetto. Dopo la morte: l’ipnosi regressiva ed il bardo tibetano

Il  ciclo della vita, un’espressione dell’illusione del saṃsāra indicata dal Buddha.

Giuseppe Baroetto. Dopo la morte: l’ipnosi regressiva ed il bardo tibetano

Nel 1974 lo psichiatra canadese Joel Whitton (1945-2017), all’età di ventotto anni, mentre praticava l’ipnosi regressiva su una volontaria soprannominata Paula Considine, «si imbatté nel bardo». Aveva già condotto numerose sedute di regressione ipnotica a vite passate, ma «non aveva mai pensato che la vita attiva si svolgesse fra le incarnazioni». (Joel L. Whitton, Joe Fisher, Dopo la morte, p. 28. 2 Ivi, p. 31.)

Il termine tibetano bardo in generale indica lo stato intermedio tra la morte e l’eventuale rinascita, ciò che Whitton chiamò “intervita”. Paula in ipnosi profonda raccontò di una propria esistenza in cui si chiamava Martha; accadde che, sollecitata improvvisamente a passare «alla vita prima di essere Martha», incominciò a descriversi “in cielo”: «Sto… aspettando… di… nascere», disse allo stupefatto psichiatra. «Poteva darsi che la mente inconscia di Paula avesse bussato alla porta del favoloso bardo degli antichi tibetani?»

L’anno successivo, inspirato dalla pubblicazione di Life After Life (La vita oltre la vita), «un fecondo studio del dott. Raymond Moody, che riferiva le esperienze di persone tornate in vita dopo essere state dichiarate clinicamente morte», Whitton decise di esplorare i “misteri del bardo” tramite lo strumento dell’ipnosi regressiva; così scoprì che, mentre le esperienze di “quasi morte” sono limitate, perché consentono soltanto di «dare un’occhiata di sfuggita nell’intervita», i soggetti sottoposti a regressione ipnotica «non incontrano questa influenza limitante nei loro viaggi nell’aldilà, perché la loro transizione è stata completa».

La narrazione dell’indagine condotta da Joel Whitton sull’intervita è dovuta alla collaborazione di Joe Fisher (1947-2001), scrittore investigativo specializzato in tematiche metafisiche. In precedenza Fisher aveva pubblicato in The Case for Reincarnation la sua relazione preliminare su un caso studiato da Whitton, che fu poi presentato integralmente nel capitolo 11 del libro qui recensito. Quest’ultimo uscì nel 1986, per i tipi della Grafton Books. La prima edizione italiana di Armenia (1988) recava il titolo Vita tra le vite.

I primi sei capitoli di Dopo la morte prima della rinascita sono dedicati ad illustrare gli esiti della ricerca di Whitton sull’intervita. I capitoli 7-12 riportano sei casi, in cui i dati relativi alle esistenze passate vengono interpretati alla luce delle indagini sulle intervite. Il penultimo capitolo offre alcune indicazioni sulle visualizzazioni che possono facilitare «l’autoesplorazione del passato». L’ultimo capitolo vuol essere una riflessione conclusiva sull’importanza terapeutica e spirituale della conoscenza dell’intervita. «Il bardo è il luogo a cui apparteniamo,» scrivono Whitton e Fisher, «il pianeta Terra non è altro che un necessario terreno di prova, che conduce all’evoluzione spirituale».

Data questa premessa, il lettore impreparato sulla dottrina buddhista del bardo (in sanscrito antarā-bhava) potrebbe attendersi che il libro di Whitton e Fisher confermi o anche chiarifichi l’insegnamento del cosiddetto Libro Tibetano dei Morti (LTM); invece, nonostante i reiterati richiami al bardo, non solo la suddetta tradizione indo-tibetana è travisata, ma la sua stessa essenza viene esplicitamente contestata.

«Il bardo è il luogo a cui apparteniamo». Dunque, cos’è il bardo? Il LTM descrive tre tipi di bardo connessi col processo di morte e rinascita: (1) – il bardo del momento della morte, (2) – il bardo della dharmatā e (3) – il bardo del divenire.

(1) – Il primo stato intermedio è quello che intercorre tra la cessazione della respirazione e il momento in cui la coscienza abbandona il corpo. (2) – Durante il secondo stato intermedio la coscienza, avendo lasciato definitivamente il corpo, percepisce le manifestazioni della propria “vera realtà” (dharmatā). Alcuni aspetti di questo bardo possono caratterizzare un’esperienza di premorte o “quasi morte”, definita in inglese Near Death Experience (NDE). «Una luce accecante, un’illuminazione opprimente è la caratteristica predominante dell’ingresso nella vita fra le vite», dichiarano Whitton e Fisher; ma il LTM riporta questa esperienza solo in riferimento al secondo stato intermedio. (3) – Il terzo stato intermedio è caratterizzato principalmente dalla revisione o valutazione della vita appena trascorsa e termina con l’avvicinamento alla fase della rinascita.

La finalità ultima dell’insegnamento del LTM non è raggiungere il bardo in quanto «luogo a cui apparteniamo», bensì realizzare la liberazione dal saṃsāra, il ciclo delle rinascite, in uno dei tre stati intermedi: se essa non accade nel primo bardo, occorre cercare di conseguirla nel secondo, oppure nel terzo.

Whitton e Fisher considerano l’accesso al bardo come equivalente all’entrata nella “meta-coscienza”, la qual cosa «significa essere uno con la superanima senza tempo che è la pietra angolare dei poteri dell’individuo». La superanima è descritta come ciò «che contiene numerose personalità materializzate in precedenti esistenze».
Tale concezione potrebbe collimare in parte con la nozione buddhista della “coscienza di base” (san. ālayavijñāna), che è il fondamento psichico del saṃsāra, in quanto ha la funzione di conservare le energie karmiche delle vita trascorse; infatti, è proprio nel terzo stato intermedio che tali forze riemergono potentemente.

Cosa accade, secondo le ricerche di Whitton, quando si accede al bardo «a cui apparteniamo»? Due sono gli eventi fondamentali: l’incontro con un “collegio giudicante” e la scrittura dei “destini karmici” per la prossima vita.

«La testimonianza dei soggetti del dott. Whitton conferma interamente la presenza di un collegio giudicante».

Il collegio di giudici è suggestivamente dipinto come «un gruppo di esseri saggi, di età avanzata – di solito tre, a volte quattro e in rari casi sette – percepiti in una varietà di forme. Possono avere un’identità indefinita o possono assumere l’aspetto di dèi mitologici o di maestri religiosi».

«I membri di questo tribunale etereo sono molto avanzati spiritualmente e possono anche avere terminato il loro ciclo di incarnazioni terrene. Conoscendo intuitivamente tutto ciò che deve essere conosciuto circa la persona che è davanti a loro, il loro compito consiste nell’aiutare quell’individuo a valutare la vita che ha appena finito e, infine, nel dargli consigli relativi alla prossima incarnazione». «I giudici irradiano un’energia che ristora e risana».

Sebbene questa descrizione del tribunale abbia toni rassicuranti, il giudizio post mortem non viene sempre percepito dagli esaminandi come un evento piacevole. «Se vi è un inferno personale nella vita fra le vite, è il momento in cui l’anima si presenta per l’esame. Questo avviene quando il rimorso, il senso di colpa, le recriminazioni per gli errori compiuti nell’ultima incarnazione si scaricano con un’intensità viscerale che produce angoscia e amare lacrime in misura che può essere sconvolgente».
Per quale motivo avviene la revisione della vita alla presenza del collegio giudicante?

«Per potersi valutare, l’anima viene messa davanti a una istantanea visione panoramica che presenta ogni particolare dell’ultima incarnazione». «La conoscenza di sé tratta dal processo di revisione permette all’anima di prendere decisioni vitali che determineranno la forma della sua prossima incarnazione. Ma l’anima non agisce da sola. La decisione è profondamente influenzata dai membri del collegio giudicante, i quali, pensando ai debiti karmici dell’anima e al suo bisogno di insegnamenti specifici, danno consigli di vasta portata […]. Le raccomandazioni dei giudici vengono fatte a seconda delle esigenze dell’anima, non della sua volontà […]. Il progetto della prossima vita viene spesso fatto consultando altre anime con le quali ci siamo legati nel corso di molte esistenze […]. I “copioni karmici” spesso parlano di rinnovate relazioni con persone che hanno figurato, piacevolmente o spiacevolmente, nelle incarnazioni precedenti».

L’incontro con il “collegio giudicante” e la scrittura del “copione karmico” della vita successiva sono eventi raccontati anche nella sezione del LTM che descrive il bardo del divenire, ma l’interpretazione ad essi data è alquanto differente. Nel buddhismo, così come nell’induismo, il collegio giudicante è presieduto da Yama, il “Re della Morte”, assistito da svariati attendenti. Generalmente Yama personifica la morte, in quanto preludio di una rinascita karmica; tuttavia, nel contesto del bardo Yama è raffigurato come un individuo, sebbene il suo ruolo possa essere ricoperto da diverse entità. A causa della loro funzione e del timore che essa incute, Yama e i suoi accoliti sono descritti come esseri terrificanti; nondimeno, la loro apparenza è ingannevole e deve essere riconosciuta come un’illusione per poter conseguire la liberazione dal saṃsāra. Se avviene il riconoscimento, la liberazione è possibile anche nel terzo stato intermedio, perché il bardo del divenire non è assolutamente «il luogo a cui apparteniamo». Ma, nel caso in cui non si consegua la liberazione, la rinascita karmica in una condizione inferiore o superiore è inevitabile.

La rinascita o reincarnazione intesa come trasmigrazione è soltanto una facile ma erronea definizione del saṃsāra dal punto di vista dell’ego. La persona che si identifica con sensazioni, emozioni e ricordi, sia di questa vita sia di altre, può ben credere che tali contenuti costituiscano la sua identità personale, però l’io così concepito è solo un’immagine illusoria, per natura transitoria. Se l’illusorietà di questa percezione di sé è riconosciuta e trascesa grazie alla consapevolezza della propria vera natura, non nata ed incessante, la liberazione dal saṃsāra è possibile in qualsiasi momento.

Nonostante il libro contenga alcuni confusi rimandi al bardo tibetano, all’insegnamento del Buddha e alle dottrine delle Upaniṣad, è evidente che la concezione della reincarnazione rivelata da Whitton non è equivalente a quella indiana del saṃsāra.

Fisher nota questa discrepanza chiarendo che, «Mentre i testi indù e buddhisti presentano il genere umano legato alla ruota delle rinascite dalle cinghie del karma, i soggetti del dott. Whitton presentano una visione più educativa dell’operare karmico. Raffigurano l’intera razza umana al lavoro in un’aula cosmica dove, nel corso di molte vite, ci diamo continue lezioni».
Life Between Life è stata la prima pubblicazione ad indagare sui “misteri del bardo” tramite l’ipnosi regressiva.

Una ricerca indipendente condotta dall’ipnoterapista californiano Michael Newton ha confermato sostanzialmente le scoperte dello psichiatra canadese, accumulando però molti altri dati che fanno apparire il lavoro di Whitton e Fisher semplicemente pionieristico. (Il primo resoconto della ricerca di Michael Newton fu il libro Journey of Souls: Case Studies of Life Between Lives, pubblicato nel 1994. Trad. it. Ricordi dell’Aldilà, Milano, Armenia, 2011). Ad esso fece seguito Destiny of Souls: New Case Studies of Life Between Lives, pubblicato nel 2004. )

Tuttavia, mentre Whitton e Fisher nel 1986 avevano intuito confusamente ed evidenziato diplomaticamente la differenza tra la loro comprensione della reincarnazione e la concezione buddhista e induista del saṃsāra, Michael Newton nei suoi due libri principali pubblicati nel 1994 e nel 2004 sembra sorvolare seraficamente su questa non irrilevante questione. Invece essa è affrontata in The Wisdom of the Soul: Profound Insight from the Life Between the Lives, un saggio scritto da Ian Lawton con la collaborazione dello psicoterapeuta Andy Tomlinson, pubblicato nel 2007.

In quest’ultimo libro, basato principalmente sulle informazione raccolte durante le ipnosi regressive condotte da Tomlinson, Lawton ribadisce con maggiore nettezza la distinzione concettuale già evidenziata da Whitton e Fisher: «le nostre fonti sono unanimi sul fatto che lo scopo della reincarnazione è l’apprendimento e la crescita delle anime individuali tramite l’esperienza. Chiaramente ciò è l’opposto dell’idea secondo cui un’anima possa liberarsi dal ciclo in qualsiasi momento, semplicemente riconoscendo l’illusione dell’individualità.

Queste due visioni non possono essere conciliate e si escludono reciprocamente». (Ian Lawton with Andy Tomlinson, The Wisdom of the Soul, Milton Keynes, Rational Spirituality Press, Second Edition 2010, pp. 55-56.)
Lawton e Tomlinson definiscono le due visioni rispettivamente “modello dell’esperienza” e “modello dell’illusione”, ma un buddhista preparato che leggesse i sei casi presentati nel libro di Whitton e Fisher non avrebbe nessuna difficoltà a concludere che il “modello dell’esperienza” è precisamente un’espressione dell’illusione del saṃsāra indicata dal Buddha.

Contempla il mondo, Mogharaja

come vuoto,
sempre con presenza mentale

rimuovi ogni idea

di un sé.
In questo modo si è al di là della morte.

Così si contempla il mondo
senza essere visti
dal re della Morte.

Recensione a: Joel L. Whitton, Joe Fisher, Dopo la morte prima della rinascita: un’affascinante indagine sul “bardo”, il periodo intermedio tra la morte e una nuova vita (titolo originale: Life Between Life: Scientific Explorations into the Void Separating One Incarnation from the Next), traduzione italiana a cura di Mario Monti, Milano, Gruppo Editoriale Armenia, 2005, 187 pp. – 2015 – Rev. 2023. 

(Tratto dal sito https://www.academia.edu/27870982/Dopo_la_morte_lipnosi_regressiva_e_il_bardo_tibetano che devotamente ringraziamo per la sua compassionevole gentilezza verso tutti gli esseri che soffrono in questa dolorosa esistenza samsarica.)

Il Canone Pali. Sutta-nipāta 5.15: Mogharaja-manava-puccha – La domanda di Mogharaja

[Mogharaja:]
Per due volte, o Sakya,
ti ho chiesto,
ma tu, Veggente
non mi hai risposto.
Quando si chiede soltanto alla terza volta
il Veggente divino risponde:
così ho sentito.
Questo mondo, il prossimo mondo,
il mondo di Brahma con i suoi deva:
Io non so come li vede
Gotama il glorioso.
Perciò a colui che vede
molto lontano,
gli faccio una domanda:
Come si può contemplare il mondo
per non essere visti
dal re della Morte?
[Il Buddha:]
Contempla il mondo, Mogharaja
come vuoto:
sempre con presenza mentale
rimuovi ogni idea
di un Sè.
In questo modo si è al di là della morte.
Così si contempla il mondo
senza essere visti
dal re della Morte.

Sutta-nipāta 5.15 (canonepali.net).