La meravigliosa vita di Machig Labdrön

Machig Labdrön.

Machig Labdrön.

LA MERAVIGLIOSA VITA DI MACHIG LABDRÖN

Capitoli I e II di

Un’Esposizione della Trasformazione degli Aggregati

In un’Offerta di Cibo, che Illumina il Significato del Chöd

Phung po gzan skyur rnam bshad gcod kyi don gsal byed

VII La Vita Precedente di Machig, la Sua Nascita e i Primi Anni, Labdrön.

Al guru, alle deità yidam e all’assemblea di dākini, io porgo omaggio

Con prostrazioni intere.

Ai Tuoi piedi, Grande Madre, dākini non-umana di saggezza primordiale

Io mi prostro.

Ho composto questo trattato d i trasformare gli aggregati in

un’offerta di cibo, in accordo con le parole pronunciate da Machig.

Ma prima seguirà un breve resoconto storico della stessa Machig.

  1. La Vita Precedente

Machig fu una dākini di saggezza, Vajradākima, appartenente al gruppo di emanazioni della Mente di Yum Chenmo, Colei che dà la nascita a tutti i Buddha dei tre tempi. Animata dall’intenzione di lavorare per il beneficio degli esseri senzienti, Machig nacque come il figlio principesco del Re Śrīsura Ārya di Kapila, in India. Al bambino fu dato il nome di Pranidhāna Siddhi. –

Egli imparò a scrivere, a leggere e a conoscere tutti i rami del sapere senza bisogno di tanta istruzione dato che capiva e memorizzava tutto ascoltandolo o vedendolo una sola volta. All’età di cinque anni egli possedeva già un sapere illimitato in ogni campo e tutti lo consideravano una miracolosa emanazione del Buddha.

Poi, all’età di dieci anni, prese l’ordinazione monastica dal Pandita Piti Bhadra, ricevendo il nome dell’ordinazione di Arthasiddhi Bhadra. Per tre anni rimase con il suo guru, studiando grammatica e logica, il veicolo delle Pāramitā, le scritture Vinaya sulla disciplina e l’Abhidharma; e in queste raccolte i suoi ottenimenti scolastici presto sorpassarono quelli del suo guru. Il Maestro, pienamente cosciente delle capacità del suo discepolo, gli insegnò poi le quattro classi del Tantra, e in queste il ragazzo divenne uno studioso eccezionale.

Poi, alla presenza del suo Maestro, egli fece delle eccellenti correzioni sui Pitaka, e persino nel campo dei Tantra aveva qualche chiarimento da offrire. Non solo, ma presentò Piti Bhadra con l’intuizione sorta nella sua mente. Il guru rimase piacevolmente sorpreso e parlò: “Arthasiddhi Bhadra, Io non sono più degno di essere il tuo guru. A questo punto dovresti andare a trovare Guru Ratna a Tamradvipa, al Nord. Lui è un mahāsiddha di Chakrasamvara, ed è in grado di emanare il palazzo del mandala manifesto della deità.1 Lui è un Maestro eccelso in tutte le parti scritturali dei Pitaka e indossa, come ornamenti, tutte le eccellenti qualità senza alcuna eccezione. Grazie a lui riuscirai a recidere i dubbi che ti restano e a praticare l’insuperato Anuttāra2 all’interno del veicolo del Mantra Segreto. Una volta che otterrai la realizzazione, sarai di immenso beneficio per numerosi esseri senzienti!”

Così il giorno successivo Arthasiddhi partì e quando si incontrarono, Guru Ratna lo riconobbe come un degno ricettacolo per gli insegnamenti. Nel cielo sopra di loro egli emanò il palazzo del mandala di Chakrasamvara con le sessantaquattro deità e poi accordò le quattro iniziazioni complete in ogni dettaglio.

Alla fine Arthasiddhi ottenne il supremo siddhi3 e poté così viaggiare attraverso tutte le terre pure del Buddha senza alcun ostacolo.

Per tre anni Arthasiddhi rimase vicino al guru, svelando con successo tutti i suoi dubbi su tutti gli insegnamenti di Dharma sia di Sūtra che di Tantra. Inoltre raggiunse la completa padronanza degli stadi di generazione e di completamento all’interno dello Yoga Tantra più Elevato e ottenne la realizzazione. A questo punto il guru gli disse: “Ora dovresti andare a Bodhgaya, il Trono-Vajra, soggiogare i tirthika che troverai là e portarli nell’addestramento. Non c’è nessun altro, oltre a te, in grado di partecipare a un dibattito con loro.”

E così, all’età di sedici anni, Arthasiddhi partì per Bodhgaya e nel corso di una serie di incontri, egli battè i tirthika, un centinaio di migliaio di loro, che entrarono tutti nella tradizione buddhista.

Per i successivi quattro anni Arthasiddhi rimase a Bodhgaya finché un giorno Sua Maestà Lady Tārā non parlò: “Ora dovresti partire per il Tibet e agire per il bene degli esseri che là troverai. Così intensificherai la tua pratica meditativa!”

Avendo pensato a queste parole, Arthasiddhi decise: “Condurrò una vita da eremita, vagando da un luogo al successivo.”

Si diresse verso Nord e arrivò a una terra di cremazione,4 , ma non appena si distese per dormire, comparve la dākini di quel campo di corpi morti, con addosso ornamenti di ossa e reggendo in alto una mannaia e un khatvānga.5 Ella gli disse: “Hey, tu! Non sei capace di trovare un altro posto in cui dormire fuori da questo campo di cremazione che è mio?” E con queste parole si mise a emanare tutti i tipi delle più strane apparizioni magiche. Ma Arthasiddhi la sopraffece con la sua stabilizzazione meditativa (Skt. Samādhi), così la dākini alla fine gli offrì la sua essenza vitale e giurò solennemente che avrebbe lavorato per proteggere il Dharma.

All’alba, Arthasiddhi sperimentò una visione diretta di Nairātmyā, Signora del Non-Sé, e delle quindici deità. La Signora parlò: “Yoghi, procedi per Potari e accelera la tua pratica perché presto dovrai andare in Tibet!” Poi si dileguò come un arcobaleno e se ne andò.

Arthasiddhi si chiese: “Sono ancora così giovane e quella mi dice di concludere con successo la mia pratica. Ma con quale pratica io raggiungerò la mia mèta con successo? Inoltre quei selvaggi di Tibetani devono essere molto difficili da domare. Io non ho la più pallida idea di come riuscirò a fare tutto questo!”

Non aveva ancora finito di elaborare tutti questi pensieri quando, al primo accenno di luce, all’alba, arrivò Mahāmāyā, la Dèa della Grande Illusione, con le cinque deità, dicendogli: “ Vai alla Grotta di Potari e là praticherai la meditazione di Kālikā, la Nera Signora, e il suo “entourage”.6 Yoghi, siccome molto presto dovrai domare gli esseri erranti, in Tibet, sviluppa svelto la tua perseveranza!” Con queste parole si dissolse in luce e svanì.

Dopo l’alba, la dākini della terra di cremazione gli disse: “Ti farò da guida.”

Essendo così diventato amico della dākini, Arthasiddhi viaggiò con il potere della velocità dei piedi e senza nessun problema raggiunse la Grotta di Bhadra dove praticò la meditazione sulla Maestà di Lady Kālikā e delle cinque deità. Nel giro di due settimane apparvero i siddhi comuni e un mese dopo Arthasiddhi sperimentò una visione diretta delle cinque deità del suo yidam che gli diede l’iniziazione completa del palazzo del mandala di Jñāguhya (Segreto di Saggezza). L’ultimo diede molti ordini profetici, come: “Devi procedere e domare gli esseri del Tibet,” poi si dileguò in luce che si sciolse al suo cuore.

Circa un mese più tardi, Sua Maestà Lady Tārā comparve e confidò ad Arthasiddhi una profezia che riguardava la sua imminente attività in Tibet, poi anche lei si dissolse al suo cuore.

Al terzo giorno di luna crescente, il Signore Amitāyus (Vita infinita) gli comunicò ulteriori profezie, numerose autorizzazioni a compiere rituali e lo benedì.

Allo stesso modo, l’ottavo giorno, Avalokiteśvara (Signore di Compassione) distribuì benedizioni con altre profezie.

Al decimo giorno, apparve Padmavajra, insieme ad un’assemblea di dākini, e lo interrogò su molti punti del Dharma; non ci fu una sola risposta a cui Arthasiddhi non seppe rispondere. Allora Padmavajra gli rivelò il mandala segreto di Haya(griva) e Vārāhī, gli diede le corrispondenti iniziazioni e fece profezie sulla sua futura attività in Tibet. Tutte le dākini gli porsero offerte e gli chiesero di partire per il Tibet.

Dal decimo al quattordicesimo giorno, le dākini, a turno, lo esortarono a partire subito.

E per finire, al primo accenno di alba del giorno di luna piena, una terrificante dākini blu scuro, piena di ornamenti di osso e reggendo un khatvānga e una mannaia gli disse: “Yoghi, preparati ad andare in Tibet. Sicome io devo ucciderti, dissolvi svelto la tua coscienza nel mio cuore!” Sollevando la mannaia, mimò l’azione di ucciderlo.7 Come suggeritogli, Arthasiddhi dissolse la sua coscienza nel cuore della dākini e lei benedì i resti mortali del ragazzo affinché non si deteriorassero.

Dopodiché, con la dākini terrificante della terra di cremazione ora diventata sua guida, Arthasiddhi raggiunse indenne E’i Gangwa nella regione di Labchi, in Tibet, ed entrò nel grembo della sua futura madre. Tutto questo ebbeluogo nel giorno di luna piena, il quindici del quinto mese nell’anno del Cavallo.

  1. La Nascita di Machig

Quanto segue riguarda il luogo di nascita di Machig e i suoi natali. Proprio sotto la valle più bassa conosciuta come Tamshö di E’i Gangwa, nella regione del Lachi, si trovava la minuscola città chiamata Tsomer. Il capo tribù, Chökyi Dawa (Luna del Dharma) era conosciuto sotto vari nomi, come Nomade Dotto, il Capo, il Capo Tribù o il più Anziano. Sua moglie, la figlia di una famiglia ricca, era conosciuta come Bumcham (La Signora Centomila). Entrambi erano di alto lignaggio, belli, benestanti e tranquilli. Erano estremamente gentili sia con i loro sudditi che con la servitù. In tutte le loro azioni essi si comportavano in accordo con il Dharma e usavano tutti i loro beni a servizio della religione. Grandemente devoti ai Tre Rari e Preziosi Gioielli, agivano nei confronti della comunità del sangha con un forte senso di altruismo. Erano decisamente ritenuti due bodhisattva la cui parola era ispirata dal Dharma. Il loro corpo, parola e mente erano del tutto rispettosi del Dharma e incoraggiavano gli altri ad agire allo stesso modo. Erano gli esseri nobili per eccellenza dell’intera regione del Tamshö, dove essi governavano si circa cinquecento paesetti.

Nella notte di luna piena in cui Arthasiddhi Bhadra entrò nel grembo di Lady Bumcham, subito dopo la mezzanotte, ella fece il sogno seguente: le apparvero quattro dākini bianche, ognuna delle quali portava una fiaschetta bianca con cui lavarono la Regina dalla testa ai piedi e poi si dissolsero in luce. Dopodiché, dākini rosse, gialle e versi, sette per ogni colore, si presentarono a lei con offerte e dicendo: “Omaggio a te, Madre. Ti preghiamo di fare da madre anche a noi.” Una dākini apparve un’altra volta, questa blu-notte e irata in apparenza, con addosso ornamenti di osso e reggendo una mannaia. Era circondata da una cerchia di quattro dākini di un azzurro color del cielo. Tutte reggevano mannaie e calotte craniche. Rimasero in piedi attorno a lei, una di fronte, una dietro, una alla sua destra e una alla sua sinistra. La dākini blu-scuro, in piedi, un cubito sopra la terra, lanciò la sua mannaia al cuore di Bumcham dicendole: “Questo tuo cuore, oscurato dall’ignoranza, te lo strapperò e me lo mangerò,” e dal petto aperto della Regina la dākini estrasse il cuore. Il sangue sgorgò ed entrò nella calotta cranica della dākini di fronte a Bumcham, poi tutte lo bevvero. Poi, la dākini soffiò in una bianca conchiglia in senso orario e il suono si udì in tutto l’universo. Poi la dākini mise la conchiglia, che al suo centro portava la bianca lettera A sfolgorante della luce dei cinque colori, nell’incavo del cuore di Bumcham, dicendole: “Ti do questa per sostituire il tuo cuore.” Ora dal cuore della dākini si emanava una luce di cinque colori che si dissolsero nella corona del capo di Bumcham. Poi la luce delle quattro dākini color celeste pervase tutto il suo corpo. Dopodiché, esse si dissolsero in luce che si mescolò con quella della dākini centrale color blu scuro, che, a sua volta, si dissolse nel mezzo di una luce che riempì tutto lo spazio.

Nemmeno una volta la giovane donna sperimentò un allarme o una cosa spiacevole. Anche se stavano strappando il suo cuore, Machig non provava alcun dolore. Al contrario, il suo sogno fu pervaso dalla gioia, uno stato di benessere mentale e fisico, cognizione chiara e lucidità. Non aveva mai sperimentato prima tanta beatitudine in un sogno, e questa sensazione di benessere durò anche dopo il risveglio.

Il giorno successivo, dopo il sorgere del sole, una donna del villaggio chiamata Amen arrivò da loro per riferire un sogno di buon auspicio che aveva fatto e che riguardava la famiglia del suo padrone.

Entra,” le dissero ed ella entrò nella loro principale stanza delle reliquie.

Ho fatto un sogno a dir poco straordinario. Nella vostra famiglia si generano meriti da molte generazioni senza alcuna interruzione. Ma ora sta per arrivare qualcuno la cui attività meritoria sarà uguale allo spazio!”

Così ella parlò. Lady Bumcham, non appena udì ciò, pensò:”Ieri sera, anch’io ho fatto un sogno straordinario ed ora il mio corpo e la mia mente, come tutto il mondo visibile, sono ancora pieni di tale gioia e pace. Ora sono veramente curiosa di ascoltare questo sogno di Amen.”

Quando tutta la famiglia reale fu riunita tutta, diede alla donna una calorosa accoglienza e le chiese di raccontare la sua visione della notte precedente.

Ieri, circa all’alba, questa vostra dimora improvvisamente è diventata tre volte più alta del normale e anche la guglia d’oro divenne tre volte più grande. In cima, un ombrello d’oro con tre cerchioni ruotava lentamente. C’erano specchi che pendevano da lui in ognuna delle quattro direzioni, come quattro lune. Erano mossi con delicatezza dalla brezza e la loro brillantezza illuminava l’intera regione. Non appena questa luce si fu diffusa nelle quattro direzioni, apparvero quattro giovani donne che si presentarono: ‘Noi siamo dākini.’ Poi ognuna soffiò in una conchiglia in un modo tale che il suono poteva essere udito in ognuno dei quattro continenti. Ai quattro angoli della casa c’erano grandi bandiere di seta, ognuna delle quali sventolava nella sua direzione. Erano state accese numerose lampade al burro e tutta la regione brillava luminosa sotto il loro bagliore. Poi, dal cielo, un raggio di luce rossa entrò nel palazzo. Siccome io, in quel momento, ero sul pendio di una collina, quando apparve questa luce, chiesi a una delle donne che soffiavano nella conchiglia: ‘Cosa succede qui?’ ‘Stiamo preparando la residenza della Madre,’ ella replicò. Dalla stanza delle reliquie giungeva il suono di molti strumenti e io mi chiesi: ‘Che cosa faranno là? E di che madre stanno parlando? Forse scoprirò qualcosa se vado là e do un’occhiata dentro,’ ma proprio mentre mi alzavo, mi sono svegliata…”.

Anche molte altre persone avevano fatto eccellenti sogni, tra cui la figlia dei reali Bummé che aveva appena compiuto sedici anni. Nella stessa notte lei aveva visto una luce bianca scendere dal cielo su sua madre e illuminare tutto il palazzo. Allora apparve una ragazzina di circa otto anni, che reggeva un vajra. Ella chiese: “Come stai, sorella?”

Da dove vieni?” chiesi io e lei disse: “Vengo da Potari.”

Potari?. Dov’è?”

In India.”

Ma tu chi sei?”

Non mi conosci? Io sono Tārā!”

Mentre Bummè si stava chiedendo se tutto ciò potesse essere vero o no, tentò di tendere la mano per trattenere (Tārā), ma la ragazzina volò in braccio a sua madre dove si dileguò. In quel momento Bummè si svegliò.

Molti altri prodigi come questo si verificarono. La stessa Bumcham, sebbene avesse già quarantotto anni, notò come le rughe fossero scomparse dal suo viso, come la sua carnagione fosse fosse ringiovanita e come avesse ottenuto un fresco splendore, al punto che la gente cominciò a dire: “Tra tutti, Jomo Bumcham ha sempre accumulato meriti grazie alla sua pratica del Dharma. Ora questa è la beatitudine, effetto logico di questo. E’ tornata giovane al punto che è impossibile distinguere chi è la madre e chi è la figlia!”

E Bumcham si sentiva leggera e felice. Durante questo periodo ella ebbe innumerevoli chiare visioni e, di notte, riusciva a vdere chiaramente oggetti e posti, come se una lampada fosse stata accesa e non c’era più nessuna oscurità. A volte ella riusciva a leggere i pensieri degli altri, brutti o belli, al punto tale che divenne famosa per i suoi sogni chiaroveggenti.

Poi, a partire dal ventottesimo giorno del secondo mese dell’anno successivo, l’anno della Pecora, dentro il suo grembo Bumcham sentì che venivano recitate le sillabe A e HA RI NI SA. 8

Al mattino del terzo giorno del mese successivo, comparve una voce che chiamava e diceva: “Madre, ho bisogno di un vestitino di cotone purificato con incenso e mirra e cosparso di profumo.” Bumcham preparò i vestitini del piccolo come richiestole.

Infine, il giorno di luna piena del terzo mese dell’Anno della Pecora, alle prime luci dell’alba, nacque il bebè.

Tutta la casa fu riempita di dolci profumi, incenso e colori di arcobaleno, mentre una musica celestiale risuonava dallo spazio e iniziarono a piovere fiori. Tutti gli abitanti della regione portarono offerte agli dei della famiglia reale. Essi poi dichiararono che, mentre facevano ciò, videro arcobaleni e una pioggia di fiori e sentirono melodie provenienti dal cielo.

Subito dopo la nascita, in mezzo ad un arcobaleno di luce, il neonato assunse una postura come se danzasse, con una gamba distesa e una piegata, e poi si rivolse a sua madre chiedendole: “Madre, state bene?” dopodiché la piccina recitò la sillaba A come un mantra.

Sulla lingua della bambina si poteva chiaramente vedere una sillaba HRI rossa risplendente di luci.9 La sua fronte era adorna di un luminoso terzo occhio che emanava cinque luci di differenti colori disposti come in un arcobaleno, ciascuno sottile come un crine di cavallo. Alla corona della sua testa brillava una luce bianca della misura della punta di un dito, marcata dalla sillaba A bianca.10

La sorella Bummè avvolse la neonata nel drappo di cotone e la tenne in braccio. Dopo un po’, la sillaba HRI si sciolse nella lingua della piccola e non fu più visibile. Bummè preparò una mistura di burro ghee disciolto e zucchero d’orzo e lo diede alla bambina, ma questa non volle saperne di mangiarla e la sputò immediatamente. Con i suoi tre occhi fissava lo spazio senza sbattere le palpebre. Lentamente, la luce sulla corona del suo capo iniziò a mescolarsi con la quintupla luce che proveniva dall’occhio alla sua fronte, e alla fine si assorbì in esso.

Poi, accostandosi leggermente al mento della sorella, la piccina la guardò dritto negli occhi fissandola, fece schioccare la lingua un paio di volte, e alla fine accettò il pezzo di burro. Avendo ora assunto le sembianze di una bambina normale, guardò sua madre e sorrise. Quanto alla madre, non soffrì per la nascita durante il parto e la sua felicità e la sua gioia continuarono solo ad aumentare.

Al mattino, quando Bummè vide la neonata fissare dritto davanti a sé, chiamò la madre: “Madre, la piccola mi sta guardando con i suoi tre occhi! Non è meraviglioso?”

Ma sentendo che stava arrivando il padre, Bumcham disse: “Bummè, dobbiamo nascondere la piccola!”

La madre avvolse di nuovo la figlioletta nel drappo di cotone e la mise in un angolo buio dietro la porta. Il padre entrò nella stanza delle reliquie e Bummè gli disse: “Signore della Famiglia, la Madre ha dato vita ad una strana bambina con tre occhi. Ci siamo sbarazzate di lei…”.

Al che il padre replicò: “Comunque sia, portatela qui!”

E così Bummè andò a prendere la piccina e la portò da suo padre. Il quale, dopo aver esaminato la figlia con attenzione, disse: “Nel mezzo dell’occhio centrale della piccola c’è una sillaba A bianca, sottile come un capello, e ha anche tutti gli altri segni che caratterizzano una dākini. Prendetevi cura di questa bambina con la massima attenzione! E, Bummé, non portarla fuori, non portarla in città. Tieni segreta l’esistenza di questa bambina!”11

La ragazzina crebbe in fretta, circondata da una cura e un affetto eccezionali. All’età di tre anni mostrava già molta diligenza nel compiere le prostrazioni davanti alle immagini divine della stanza delle reliquie. Era in grado di recitare il mantra dalle sei sillabe (il mantra di Avalokiteśvara), il TARE (il mantra di Ārya Tārā), le sillabe HRI e A, come anche il GATE (il mantra della Prajñāpāramitā) e l’HA RI NI SA (il mantra di Vajrayoghini). All’età di cinque anni sua madre le aveva già insegnato l’alfabeto ed essendole stato mostrato una volta sola, (Machig) fu in grado di memorizzarlo.

C’era un monaco chiamato Jowo Dampa che, in qualità di prete della famiglia, recitava i testi per loro. I reali gli chiesero di insegnare alla bambina a tracciare le lettere e le loro forme combinate.

All’età di otto anni (Machig) era in grado di scrivere le lettere sulla carta,12 e ogni giorno recitava due volte gli Ottomila Versi (della Perfezione della Saggezza). Un giorno il monaco disse alla madre (di Machig): “Jomo, questa figlia non è un individuo ordinario, ma sembra piuttosto un qualche tipo di dākini. Io non sono in grado di contenere tutta la sua intelligenza. La sua saggezza è come un incendio nella foresta: consuma tutto. Dovresti chiamarla Sherab Drönmé, Luce Brillante di Conoscenza.”

E così la madre le diede il nome di Dröntsema, Piccola Luce.

Comunque si sparse la voce che Bumcham aveva una figlia con tre occhi ed ora tutti volevano vederla. Coloro che vedevano la ragazzina rimanevano fortemente attratti da lei, pieni di ammirazione, tanto che la sua fama crebbe ancora di più. Tutti gli abitanti della regione concordavano: “Questa Piccola Luce di A è veramente un’emanazione dei buddha,” e continuavano ad andare a offrirle prostrazioni e a chiederle benedizioni.

Quanto a Bummé, richiese l’ordinazione monastica a Geshé Atön, che le diede il nome di ordinazione Töntso Rinchen Bum, “Maestro dei Centomila Gioielli dell’Oceano.” Divenne la più importante tra i suoi discepoli dotti.

  1. Labdrön

Avendo sentito parlare di Machig, il governatore del distretto, un giorno organizzò una grande festa a cui invitò Chökyi Dawa e Jomo Bumcham, chiedendo loro di portare con sé anche la loro figlia minore. Egli mandò un messaggero che condusse la bambina e i suoi genitori, insieme con la loro cerchia di ventidue persone, alla presenza del sovrano.

Per celebrare il loro arrivo, il sovrano diede uno splendido ricevimento in onore di Machig e poi chiese a Bumcham di presentargli sua figlia. Quando si avvicinò al sovrano, Bumcham divenne così timida che non riuscì a rispondere a nessuna delle sue domande. La sua voce iniziò a tremare, così la figlioletta rispose al suo posto. I numerosi pandita, geshé e cortigiani rimasero impressionati dalla sicurezza di sé di Machig e quando videro che aveva tre occhi, capirono che non era una persona ordinaria.

Sai anche leggere?” le chiese il sovrano. Dröntsé replicò che, sì, conosceva le lettere, e si mise a recitare in tre diversi modi la Perfezione Condensata della Saggezza (Skt. Sañcaya-gātha-prajñā-pāramitā-sūtra), una copia della quale giaceva lì. Tutti riconobbero la sua abilità nella lettura e la sua competenza nella recitazione. E quando poi i pandita le chiesero se anche capiva il significato (di quello che leggeva), Machig spiegò il passaggio che aveva appena letto. Ora tutti erano convinti che non era assolutamente un essere ordinario. “E’ decisamente un’emanazione della dākini della saggezza,” esclamarono.

Il sovrano poi chiese a Machig di andare più vicino perché voleva esaminarla. Egli la osservò attentamente e quando notò l’occhio alla sua fronte, con la sillaba A al centro, più tutta la gamma di segni tipici delle altre dākini, rimase molto impressionato e le chiese: “Come ti chiami?”

Lei gli disse: “Mi chiamano Rinchen Drönmé (Luce Preziosa) o Dröntsé, o anche Adrön.”

Siccome il tuo nome è Drönmé e tu sei nata nel Labchi, d’ora in poi noi ti chiameremo Labdrön, la Luce Splendente di Lab! Sarà di grande auspicio nel futuro.”

Tutti i presenti, i pandita, i monaci, i capi di stato e una folla di trecentomila abitanti, fu d’accordo (nel riconoscere che) questo nome era il più bello e da allora Machig fu conosciuta da tutti come Labdrön, la Luce Splendente di Lab. Tutti, nella folla, volevano vederla con i loro occhi ed erano pieni di gioia, di devozione e di fiducia in lei.

Alla fine, il sovrano fece indossare a Labdrön nuovi vestiti e stivali, conservando quelli vecchi come oggetti di culto. Ai genitori, il sovrano offrì tre cavalli e una trentina di regali preziosi. Raccomandò a tutti loro, genitori e servi, di avere grande cura della piccola Labdrön e di non lasciarla andare in giro ovunque affinché non incontrasse gente malvagia che avrebbe potuto esercitare un’influenza negativa su di lei.

Per favore, statele sempre molto vicino perché questa bambina sarà di immenso beneficio per tutti noi nella Terra delle Nevi,” disse.

Al loro ritorno Tsomer, per un periodo di cinque anni, madre e figlia, ogni giorno, studiavano e recitavano la Perfezione della Saggezza nella sua forma estesa, media e abbreviata mentre stavano nella stanza delle reliquie. All’età di dieci anni, Labdrön era in grado di leggere quattro volumi al giorno, e otto quando raggiunse l’età di tredici. Nello stesso anno, sua madre mancò e sua sorella Tönso Rinchen Bum badò a lei. La portò a visitare Geshé Atön che disse: “Bummé, la tua sorellina possiede tutti i segni di una dākini. Vorrei che leggesse un testo per me.”

A quel punto Machig lesse la Perfezione della Saggezza in Ottomila Versi (Skt. Asta-sāhasrikā-prajñā-pāramitā-sūtra) in meno tempo di quanto ci voglia a macinare una misura di orzo. Il geshé rimase visibilmente compiaciuto: “Stupefacente! Sa anche modulare la recitazione in otto diversi modi! Diventerà la più famosa dei miei discepoli! Voglio insegnarle il significato.

Insieme alla sorella Bummé, Machig restò per un periodo di tre anni dal geshé e lui insegnò alle due ragazze la Prajñāpāramitā, le sei perdezioni, i dieci bhūmi del bodhisattva e i cinque sentieri.13 Inoltre, in merito all’esegesi nessuno poteva competere con la sua abilità, né insegnanti né gli altri discepoli, né i geshé, incluso lo stesso Geshé Atön.

Un giorno egli si rivolse a Machig come segue: “Io non sono più in grado di farti da insegnante. A Dratang, in Yoru, al monastero di Dobtrang, c’è un Monaco Chiaroveggente, una vera autorità, che segue numerosi monaci. Tra le sue innumerevoli qualità, la sua comprensione è vasta e la sua realizzazione profonda. Con lui, imparerai a risolvere i dubbi (che ti rimangono). Sotto di lui raggiungerai la vera padronanza. E’ là che dovresti andare.”

E così, all’età di sedici anni, accompagnata da sua sorella, Machig partì per andare a incontrare Lama Trapa, il Monaco Chiaroveggente.

Bummé, è questa la tua sorella più giovane, quella così dotata di talento per la lettura?”

Sì,” replicò Bummé.

Vorrei vedere come va in confronto al nostro chöné.14 Noi lo chiamiamo ‘Perfezione in Sei Modi,’ di quattro volumi della (Perfezione della Saggezza in) Centomila (Versi) (Skt. Śata-sāhasrikā-prajñāparamitā-sūtra).”15

E così, un giorno, lo chöné e Machig iniziarono a recitare i testi. Lo chöné completò quattro volumi e Labdrön, nello stesso arco di tempo, completò dodici volumi, ognuno dei quali recitò nei diversi otto modi.

Trapa esclamò: “Questo è assolutamente meraviglioso! Questa signorina, non solo sorpassa il nostro chöné di due ulteriori modi di recitazione, ma fino dove arriva la purezza della recitazione, non ha eguali! C’è qualche probabilità di far rimanere qui la ragazza per recitare i testi?”

Bummé obiettò: “Adrön e io dovremmo praticare la meditazione per raggiungere il reame di Kecari, quello di Coloro che percorrono lo Spazio.”16

Ma Labdrön interruppe la sorella: “Per quanto mi riguarda, io rimarrò qui, siccome vorrei svolgere il mio compito per il bene di tutti gli esseri. Ma se è questo che volete, voi dovreste iniziare a praticare subito e entrerete nella beatitudine del Reame dei Dāka. Una volta che avrò svolto il mio compito per gli esseri qui, vi incontrerò là.”

A quel punto, Tönso Rinchen Bum trascorse i tre anni successivi in meditazione, poi lasciò il reame delle dākini senza lasciare dietro di sé nessun residuo umano.

Lama Trapa vide chiaramente che Labdrön era un recipiente ideale e per questo passò a lei la lettura delle trasmissioni e delle spiegazioni di molti sūtra, incluse le versioni dei Centomila, dei Venticinquemila e degli Ottomila (-versi) della Prajñāparamitā. Presto Machig padroneggiava anche i commentarî, tutti, da quello corto sui Ventimila, al più esteso sui Centomila, ad un livello tale che sapeva come spiegare il loro significato fino all’ultima sillaba. Una realizzazione genuina era nata in lei che presentò la propria interiorità come un’offerta al lama.

Lui era estremamente compiaciuto. “Jomo, ora che hai assorbito perfettamente il significato di tutte e tre le versioni della Perfezione della Saggezza, e hai ottenuto la piena padronanza dei sūtra, ho qualche difficoltà nell’essere alla tua altezza nella realizzazione.”

Come segno della sua ammirazione, il Lama fece fare un cappello da cerimonia per Machig, di broccato rosso scuro foderato di bianco e al forma di loto a dieci petali. Aveva fiocchi di seta di uguale lunghezza, cinque dietro, cinque a destra e cinque a sinistra, ognuno fatto di cinque colori diversi. Il Lama le offrì (anche) vestiti nuovi e un paio di stivaletti. Poi le chiese di sedere sul trono, con tre cuscini e ricoperto di un tappeto appena tessuto.

Poi Lama Trapa fece a Machig questa formale richiesta: “Per favore, rimani qui per quattro anni a recitare i testi per noi.”

Guardando dritta di fronte a sé, senza sbattere le palpebre, Machig indossò il cappello da cerimonia. Con i nastri blu e rossi che le arrivavano fino alla vita, era veramente magnifica!

La nostra giovane ācārya è splendida con quel cappellino!” esclamò il Lama, e da allora tutti cominciarono a chiamarla (machig) Jomo Shachung, Signora dal Cappellino, che è come divenne famosa.

Come figura di primo piano, Machig dimostrava una riservatezza piena di dignità nelle sue azioni. Era sempre ben pulita e dotata di gentilezza e nobiltà nel suo corpo, parola e mente. Essere coscienziosa e meticolosa le divenne presto facile. Era felice nella comunità monastica , e andare al villaggio non le interessava molto perché per lei la vita ritirata del monastero era puro piacere. Verso il Lama e il sangha era molto devota, rispettosa e totalmente sincera. Così promise di fare da Lama chöné e di recitare i testi per un periodo di quattro anni, e l’intera comunità fu felice perché era ispirata da fede genuina nei confronti della Giovane Ācārya. Così la sua fama crebbe.