L’incontro con Sua Santità il XVII Karmapa

L'incontro con Sua Santita il Karmapa

Il gran lama impavido dell’amore: incontro con Sua Santità il XVII Karmapa

Non ci sono parole, talvolta per descrivere certi grandi incontri. Avevo sentito parlare innumerevoli volte di Sua Santità il XVII Karmapa, ed ero riuscito anche ad intravederlo, ogni volta accanto a Sua Santità il Dalai Lama. Ma sempre piuttosto da lontano. Lo trovavo umile e forte, come sono pieni d’energia i nomadi degli altipiani da cui proviene. Il gran lama impavido proviene dal monastero di Tsurpu, non lontano da Lhasa, la capitale del Tibet. Il tempio venne fondato alla fine del XII secolo dal primo Karmapa Dusun Khyenpa, in tibetano “Il conoscitore dei tre tempi”, che, prima di morire, diede ad uno dei discepoli a lui più vicino, le istruzioni per riconoscere il suo successore. Il precedente XVI Karmapa prima di lasciare il corpo nel novembre del 1981, al pari dei suoi predecessori, annunciò dettagliatamente con una lettera accurata come riconoscere la sua emanazione. Il 26 giugno 1985 a Lharthok nel Tibet orientale, la comunità nomade fu protagonista d’un evento davvero straordinario: nel cielo si manifestarono inaspettatamente tre soli gemelli circondati da un arcobaleno. In quel mentre, era l’ottavo giorno del quinto mese tibetano dell’anno del Bue di Legno, venne alla luce tra quelle sterminate steppe d’alta quota il XVII Gyalwa Karmapa.

Serbo tuttora un ricordo vivido dell’incontro con Sua Santità il XVII Karmapa. e denso d’una comunicazione profonda, ben oltre quella della semplice stretta di mano; l’incontro è avvenuto nel suo palazzo in esilio in una gran sala in cui campeggiava la Tangkha raffigurante Mahakala, il potente protettore del Dharma dalla forma irata.

Domanda – Come possiamo sviluppare la vera compassione, la mente altruistica di bodhicitta? E’ più facile sviluppare la compassione o la vacuità, come praticarle?

SUA SANTITA’ IL XVII KARMAPA – E’ più facile meditare sulla compassione, proprio perché ritengo che occorra più sforzo e rigore meditare sulla vacuità. La meditazione su quest’ultima, se non condotta adeguatamente, ci può condurre su strade devianti e confuse: è più facile distrarsi, e può arrivare a farci perdere di vista l’orizzonte. Se non si è convenientemente preparati si possono imboccare molte vie che ci portano a perderci. A volte, tuttavia, ci sembra di meditare sulla compassione, ma non è così. Quindi è meglio, per iniziare a porre i primi semi della compassione, dedicarsi a meditare sull’amore verso tutti gli esseri. Perciò innanzitutto dobbiamo sviluppare un senso d’uguaglianza universale: dobbiamo sforzarci di vedere tutti gli esseri sullo stesso piano. Perché l’amore è già dentro di noi, in ogni essere senziente, anche in quello che ci sembra più aggressivo. L’amore è in ogni essere, in ogni individuo. Può succedere che l’amore non sia indirizzato verso il Dharma. Comunque l’amore esiste ed è positivo. Per quanto riguarda la compassione, non è la stessa cosa: la compassione occorre svilupparla. Ma ciascuno di noi già possiede un certo grado di compassione. L’amore, in questa successione, viene prima della compassione. Dobbiamo sviluppare compassione partendo dall’amore, altrimenti non praticheremo la compassione. incondizionata verso tutti gli esseri. Se non abbiamo meditato nel modo giusto, se non abbiamo fatto chiarezza in noi stessi, non percepiremo il senso autentico della compassione. Per esempio, se incontrando una persona povera, sofferente, proviamo disappunto, ci sentiamo dispiaciuti, significa che non abbiamo meditato correttamente. Se la nostra meditazione sulla compassione fosse autentica, allora, incontrando un qualsiasi essere bisognoso d’aiuto, proveremo slancio, un desiderio d’aiutare quella persona o quell’essere: e non saremo invece in preda a sensi di colpa o frustrazioni.

L’amore e la compassione sono grandi energie potenziali. La pura essenza dell’amore e della compassione è ancora l’amore. Dentro di noi, alla nostra radice, c’è ancora l’amore. La compassione è un effetto dell’amore. In essenza l’amore e la compassione non si trovano fuori, ma dentro di noi. Per questo motivo è sbagliato cercarli all’esterno. Dobbiamo tener care queste energie, e dedicarle per il benessere degli altri. E l’amore è puro come il diamante che dobbiamo ripulire dal fango, perciò il diamante simbolizza la purezza della nostra mente primordiale. Ecco perché dobbiamo sviluppare questo enorme potenziale, esprimendo l’amore verso gli altri, per conseguire la felicità di tutti gli esseri. Ogni altro sentimento diverso dall’amore è una distorsione.

Domanda – Come sviluppare amore e compassione non in situazioni favorevoli come nella tranquillità d’un monastero, nella quiete d’un luogo isolato, ma nella quotidianità stressante della vita occidentale, nel nostro mondo pieno di tensioni e di conflitti?

SUA SANTITA’ IL XVII KARMAPA – A livello generale, è importante che tutti gli esseri sviluppino bodhicitta, l’aspirazione alla piena illuminazione per il beneficio di tutti gli esseri. Come anticipava nella sua domanda, l’ambiente riveste grande importanza nelle formazione d’ognuno. L’impronta dell’ambiente in cui ci si trova risulta determinante sia per la buona esecuzione delle pratiche che per la proficua maturazione delle intenzioni e, sostanzialmente, in ogni senso. Le nostre pratiche risentono certamente del luogo dove viviamo: sono senz’altro influenzate dalla tranquillità dell’ambiente o, viceversa, dalle tensioni che si sprigionano da situazioni di vita intensa. Per coltivare il cuore puro di bodhicitta è preferibile stare in un ambiente pacifico: in questo contesto si può sviluppare meglio l’altruismo e l’amore. Tuttavia, non dobbiamo dimenticare che l’elemento più importante della nostra pratica quotidiana, in qualsiasi luogo ci dovessimo trovare, è di sviluppare consapevolezza. E dovremmo produrre presenza mentale sia nella quiete del raccoglimento meditativo, sia nel caos d’una metropoli. Quanto più elevata è la consapevolezza che proviamo, quanto più risulteranno efficaci le nostre pratiche di buon cuore e di compassione, di bodhicitta, e ci risulterà più facile farle. Anche se ci dovessimo impegnare con tutte le nostre energie, ma con un limitato livello di consapevolezza, ci risulterà molto difficile non solo imboccare, ma anche proseguire sul giusto cammino.

Non dimentichiamo, inoltre, che le situazioni stressanti non sono più una peculiarità del solo ambiente occidentale, anzi, gli ambienti caotici sono ormai frequenti in oriente, dove la gente sta vivendo in modo sempre più congestionato. In entrambi i casi praticare il buon cuore di bodhicitta diventa sempre più difficile. Pertanto, non dovremmo preoccuparci di vivere o meno una vita troppo intensa, ma di riuscire a sviluppare pratiche di bodhicitta consapevole. Questo nostro sforzo si rivelerà di grande giovamento per la qualità della nostra vita. Non dimentichiamo, inoltre, che quotidianamente c’inventiamo un’infinità di pretesti per dilazionare al domani tutte queste pratiche.

Solitamente ci si sente dire: ”Ora sono troppo impegnato, non ce la faccio proprio a compiere questa pratica, la potrò fare solo domani. Ora non ho proprio tempo per coltivare il Dharma e praticare bodhicitta!”.

Ragionando in questo modo si continua a rimandare al domani quello che si può fare ora, finendo col dirsi: ”Domani sicuramente inizierò con le mie pratiche di Dharama”.

Comportandoci in questo modo continueremo a dilazionare nel tempo le nostre pratiche di Dharma. Viceversa, dobbiamo invece sforzarci di dedicare tutto il nostro tempo migliore alle pratiche, mettendoci tutta la consapevolezza possibile.

Se ci comporteremo in questo modo, sia che siamo impegnati o meno fino al collo, saremo in grado di raggiungere i più elevati livelli di consapevolezza dell’amore puro di bodhicitta.

Domanda – Come possiamo realmente riuscire a perdonare?

SUA SANTITA’ IL XVII KARMAPA – Per eliminare il conflitto occorre che tutti i soggetti riescano a perdonare. Altrimenti il disaccordo permane. E se qualcuno si limita a non rispondere alle richieste di remissione dell’altro, non significa che abbia perdonato. Quando vediamo scaturire delle vere intenzioni positive, allora possiamo iniziare a parlare di vero perdono. Allora i soggetti in causa devono dimostrare d’avere una mente aperta e speciale: per sviluppare veri pensieri positivi, per realizzare il perdono. Il perdono è un profondo processo di pacificazione.

Domanda – Come possiamo praticare la vera rinuncia in questo mondo tanto teso al desiderio?

SUA SANTITA’ IL XVII KARMAPA – Per realizzarla non bastano gli insegnamenti dei lama, e nemmeno la si può identificare con gli insegnamenti stessi dei lama. Si tratta di praticare effettivamente tutte le attitudini pacifiche, perciò occorre sforzarsi di tener sempre ben presente quel che si vuole rinunciare. È necessario infatti evitare tutte le attività ostili che danneggiano gli altri. Perciò, chi vuole praticare veramente la rinuncia ha la potenzialità per metterla effettivamente in pratica. Ma è necessario, tramite diversi gradi anche sottili d’esperienza, essere in grado di capire cosa veramente danneggia gli altri, quindi procedere a mettere in pratica la rinuncia. Ma non basta un semplice momento di rinuncia, occorre saper capire cosa c’è nel nostro comportamento che può danneggiare noi stesi e gli altri esseri.

Domanda – “Non ci si deve mai arrendere, comunque vadano le cose, non importa cosa succede. Troppe energie sono sviluppate per gli strumenti di morte e non per il cuore”. Come è opportuno comportarsi rispetto al discorso sopraindicato fatto da SS il Dalai Lama?

SUA SANTITA’ IL XVII KARMAPA – Quello che accade in occidente si rispecchia in oriente, si verifica anche in oriente. Si arriva ad essere troppo coinvolti e troppo dipendenti in tutto. Siamo interdipendenti per qualsiasi esigenza. Ad esempio, poniamo il caso di voler ottenere un buon lavoro. Ne otteniamo uno che potrebbe anche andarci bene, ma non ne siamo contenti perché ne vorremmo uno ancora migliore. In tutto quel che facciamo finiamo per non essere soddisfatti del nostro momento presente: desideriamo invece ancor di più e sempre di più. Si finisce allora in un vortice di stress, in una situazione interdipendente, in cui non si apprezza l’impiego ottenuto e si è proiettati verso tutto quello che si vorrebbe. Sono tutti fattori stressanti, che destabilizzano la persona, la fanno sentire insoddisfatta, in modo da risultare sempre dipendente: e questo è un esempio di negatività relativa all’attaccamento.

Il processo degli eventi della nostra vita è soggetto a rapidi ed incessanti cambiamenti, a livello globale e della società. Ovunque ci muoviamo, ovunque ci volgiamo, siamo destinati ad incontrare dei problemi: sono gli stessi di cui è affetta la società, l’economia. Dobbiamo essere consapevoli che ognuno di noi va incontro ad innumerevoli difficoltà e situazioni spiacevoli. Siamo soggetti al repentino feedback della società. Il che finisce per snaturarci. Non dobbiamo subire passivamente il rapido cambiamento globale ed ambientale al quale soggiacciamo. Anzi, dobbiamo sentirci energicamente reattivi senza accettare supinamente, perché se se oggi siamo stati capaci di risolvere dei problemi, domani ne dovremo affrontare degli altri. Tutto ciò ci può provocare delle emozioni spiacevoli e ci può far credere di essere gli unici ad affrontare la situazione in cui siamo, a dover superare delle difficoltà: non è così. Anche agli altri è riservata la stessa sorte. Vivendo in quel modo frustrante e pieno di stress andremo sempre incontro a delle emozioni spiacevoli. Dovremmo invece dimostrare anzitutto meno attaccamento, a partire dai beni materiali, sapendo invece assumere posizioni che sappiano affrontare la sfida della vita, senza mai subirla, perché tutto ciò fa parte della natura del cambiamento, della trasformazione insita in ogni processo. Dovremmo assumere una posizione che sappia cogliere questa situazione come un’opportunità di sfida per far emergere la nostra vera natura: quella che si fa carico della sofferenza degli altri.

Domanda – Come possiamo riconoscere i benefici derivanti dalla protezione delle divinità? Come possiamo trovare conforto, protezione e benefici nella divinità?

SUA SANTITA’ IL XVII KARMAPA – Nella storia ci sono dei racconti in cui il Buddha della Compassione Cernesi sia apparso a persone in difficoltà e che li abbia aiutati a ritrovare la giusta strada.

Oggi non è così. Ho in proposito una mia convinzione: anche se lo preghiamo, non riusciremo a vederlo. Se ci limitiamo solamente a pregarlo, anzi a supplicarlo, non riusciremo a risolvere i nostri tanti problemi ed a poter vedere il Buddha della compassione. Per ricevere veramente la sua benedizione dobbiamo conseguire meriti. Intendo dire che dobbiamo essere in grado di saper accumulare molti meriti. Per realizzare innumerevoli meriti, e le potenzialità connesse ai meriti stessi, non dobbiamo generare molto attaccamento. Facciamo un esempio. Dobbiamo abbandonare l’attaccamento in ogni sua espressione, non solo alle risorse materiali, ma anche ai condizionamenti mentali, proprio come l’artista non deve rimanere vincolato agli schemi della tecnica, ma lasciarsi andare: altrimenti non riesce a trasmettere nulla.

Sono tutti questi meriti che ci permettono d’ottenere la benedizione di Cernesi.

Il XVII KARMAPA Orgyen Trinley Dorje Pal Khyabdak Orgyen Gyalway Nyugu Drodul Trinley Dorje Tsal Chokle Nampar Gyalway De nato nel 1985 è il primo lama reicarnato approvato ufficialmente dal governo cinese e riconosciuto da Sua Santità il Dalai Lama. É il Lama principale della scuola Karma Kargyu Kamtsang, risalente alla tradizione orale dei Mahasiddha indiani Tilopa e Naropa.

Il lama impavido viene dal monastero di Tsurpu fondato alla fine del XII secolo dal primo Karmapa Dusun Khyenpa, in tibetano “Il conoscitore dei tre tempi”, che, prima di morire, diede ad uno dei discepoli a lui più vicino, le istruzioni per riconoscere il suo successore. Il XVI Karmapa prima di lasciare il corpo nel novembre del 1981, al pari dei suoi predecessori, annunciò dettagliatamente con una lettera accurata come riconoscere la sua emanazione. Il 26 giugno 1985 a Lharthok nel Tibet orientale, la comunità nomade vide un evento davvero straordinario: nel cielo apparvero improvvisamente tre soli gemelli circondati da un arcobaleno. In quel mentre, era l’ottavo giorno del quinto mese tibetano dell’anno del Bue di Legno, venne alla luce tra quelle steppe d’alta quota il XVII Gyalwa Karmapa.

Ogni mese, decine di tibetani raggiungono Dharamsala (India), fuggendo la repressione Cinese: dunque nessuno ha prestato molta attenzione quando all’alba di mercoledì 5 gennaio un piccolo gruppo di monaci ha raggiunto Dharamsala, la “Piccola Lhasa” dell’India, sede del governo tibetano in esilio e dimora da oltre quarant’ anni di S.S. il Dalai Lama. Tra i rifugiati appena giunti c’era pure un giovane monaco di 14 anni, Ugyen Thinley Dorje. Ugyen Thinley Dorje non è un monaco qualunque, si tratta del 17° Karmapa, capo della setta karma-kagyun, detta “dei berretti neri”, numero tre della gerarchia tibetana (dopo il Dalai Lama ed il Panchen Lama). Appena scoperto la voce si è sparsa veloce: il 17° Karmapa è fuggito a piedi con alcuni suoi fedelissimi riuscendo ed eludere la stretta sorveglianza delle guardie cinesi. Un viaggio estenuante e pericoloso, di oltre 700 km attraverso montagne e passaggi innevati a più di 5000 m. Il Karmapa è una delle rare personalità del buddismo tibetano ad essere state riconosciute sia dal governo di Pechino che dal Dalai Lama e nel 1992 si erano conclusi i difficili accordi fra i monaci esiliati e le autorità cinesi. Ugyen Thinley Dorje poteva essere ufficialmente riconosciuto, solo se avesse ricevuto l’educazione indispensabile al suo rango. I Cinesi in cambio chiedevano che restasse confinato nel suo monastero di Tolung Tsurphu, vicino a Lhasa e che si sottomettesse alle autorità di Beijing. Il 16° Karmapa, morto in esilio nel 1981 aveva predetto la nascita del suo successore. Ma solo dopo 11 anni un lama di alto rango scoprì in un amuleto le predizioni del Karmapa e fu così che Ugyen Thinley Dorje nato nel 1985 da una famiglia di nomadi fu riconosciuto come 17° capo dei Kagyupa. Il “ritorno” del “Budda vivente” in Tibet aveva ridato speranza ai tibetani. Il Karmapa era infatti la più alta autorità spirituale del paese, dopo la partenza di S.S. il Dalai Lama e la disputa ancora in corso sulla successione del Panchen Lama tra il governo cinese ed i responsabili in esilio. Col tempo però si sono creati seri contrasti con le autorità cinesi dopo che non era stata concessa a Ugyen Thinley Dorje l’autorizzazione di recarsi in India per un viaggio di studi e ciò in completo disaccordo con quanto si era deciso durante la sua nomina. La fuga sembra sia stata preparata nei minimi dettagli. Quindi, giunto il giorno stabilito, il Karmapa ha annunciato alle sue guardie cinesi che si sarebbe rinchiuso durante vari giorni nella sua camera da letto per una pratica di meditazione. Durante questi ritiri solo il cuoco ed il maestro personale possono vedere ed entrare in contatto col Karmapa. Le guardie, eseguendo gli ordini, sono rimaste fuori dalla porta e, il 28 dicembre, mentre come di consueto si divertivano guardando la TV nazionale, Ugyen Thinley Dorje è scappato con alcuni suoi assistenti lama e sua sorella, monaca buddista. Per diversi giorni il cuoco ed il maestro hanno continuato ad entrare nella camera vuota fingendo che il Karmapa fosse presente. Arrivati a Katmandu, i fuggiaschi hanno chiamato tramite una linea diretta i due amici a Lhasa per riferire loro che finalmente si trovavano in salvo, ma all’apparecchio ha risposto una voce sconosciuta. La fuga era già stata scoperta e finora nessuna notizia è trapelata sulla sorte del cuoco e del maestro. Fonti degne di fede hanno dichiarato che tutti i monaci sono prigionieri nel loro monastero, assediati dalle guardie cinesi. Secondo l’agenzia stampa Cina Nuova, il Karmapa ha lasciato uno scritto in cui dice di recarsi all’estero per procurarsi “degli strumenti musicali” utilizzati nella liturgia buddista e “i cappelli neri” tradizionali della setta. Continua poi affermando che”ciò non significa tradire lo Stato, la nazione, il monastero o i dirigenti”. L’arrivo del giovane lama ha posto il Governo di Nuova Delhi in una situazione molto imbarazzante. Infatti permettere al Karmapa di restare in India incrinerebbe ancor di più i non facili rapporti con la Cina, mentre rifiutare l’ospitalità al giovane Lama metterebbe in cattiva luce la nazione e sarebbe come soccombere alla potenza cinese. Intanto il Karmapa ha fatto la sua prima apparizione pubblica venerdì 18 febbraio per i festeggiamenti dei 60 anni d’intronizzazione di S.S. il Dalai Lama, dove ha recitato un suo poema scritto durante la recente fuga. Sembra che durante un incontro con l’ “Indo-Tibetan Friendship Association” Ugyen Thinley Dorje abbia espresso l’ intenzione di poter rimanere in India, in un monastero nella regione di Dharamsala (Himachal Pradesh). http://www.ticino-tibet.ch/articoli/art_1.htm

Il Karmapa sul web

– http//www.nalandabodhi.org/

Il sito aggiornatissimo con gli articoli di tutti i giornali del mondo sul karmapa.

  • http//www.maui.net/-tsurpu/karmapa

E’ il sito ufficiale della Tsurpu Foundation, con informazioni sul XV, XVI e XVII Karmapa e fotografie.

  • http//www.kagyu.org

E’ il sito della Karma Triyana Dharmachakra, la sede principale del Karmapa negli U.S.A.

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