Ghesce Ciampa Ghiatso: Riflessioni sugli stadi del sentiero 2

Ghesce Ciampa Ghiatso: Tutti i fenomeni non esistono intrinsecamente e sono delle mere imputazioni nominali, prive di esistenza intrinseca. Noi li percepiamo come esistenti intrinsecamente, ma questa è un’errata percezione cui ci afferriamo considerandola vera.

Ghesce Ciampa Ghiatso: Tutti i fenomeni non esistono intrinsecamente e sono delle mere imputazioni nominali, prive di esistenza intrinseca. Noi li percepiamo come esistenti intrinsecamente, ma questa è un’errata percezione cui ci afferriamo considerandola vera.

Ghesce Ciampa Ghiatso

RIFLESSIONI SUGLI STADI DEL SENTIERO

Insegnamenti conferiti dal ven. Ghesce Ciampa Ghiatso presso l’Istituto Lama Tzong Khapa nel 1998.

MORTE E IMPERMANENZA

La meditazione sulla morte e l’impermanenza si svolge in nove punti; tre sono i punti radice e da ciascuno di essi si sviluppano tre ulteriori ragionamenti:

a. la morte è certa,

b. il momento della morte è incerto,

c. al momento della morte non ci saranno di aiuto né i beni materiali, né i parenti o gli amici e neppure questo corpo; solo la pratica del Dharma potrà aiutarci.

Esaminiamo i diversi punti analiticamente.

La morte è certa1. Moriremo sicuramente. Sappiamo che tutti, anche grandi maestri come Buddha Shakyamuni o Gesù, sono morti. Di tutti questi esseri santi è rimasto solo il nome. Anche di re, cantanti e attori famosi non è rimasto nulla. Sono morti tutti ed è rimasto solo il loro nome. Questo ci fa capire l’impermanenza e la certezza della morte. A volte possiamo meditare sulla transitorietà, che nella vita quotidiana vuol dire ‘cambiamento costante’. Perciò, quando ci troviamo in una situazione difficile, possiamo pensare che anch’essa è impermalente e che quindi cambierà. I problemi sorgono per cause precise e si sviluppano in determinate condizioni, quindi possono essere risolti, le situazioni possono cambiare. Cerchiamo dunque di essere più rilassati. Cercare di sfuggire alla morte è impossibile. Non potremo eludere il signore della morte, non potremo sfuggirgli. Voglio raccontarvi la storia di un mona co che aveva per amico uno spirito al quale chiese:“Per favore, dimmi quando sarò vicino al momento della morte, così mi potrò preparare”. Un giorno lo spirito gli comunicò:“È tra una settimana”.Allora il monaco vendette velocemente tutti i suoi averi, pagò i suoi debiti e con il denaro rimasto pensò di fuggire ma, ciò nonostante, incontrò ugualmente la morte.

Anche gli animali da macello vorrebbero sfuggire dalla mannaia del macellaio, ma prima o poi egli andrà a prenderli per ucciderli. Non c’è scampo alla morte.

2. La durata della nostra vita non è estendibile, non possiamo allungare la durata della nostra vita che, per contro, si esaurisce di momento in momento.

3. La vita si consuma d’istante in istante, e andando avanti così moriremo senza avere praticato il Dharma. Facciamo molti progetti, siamo sempre occupati e non abbiamo mai tempo per la pratica spirituale, tanto da rimandarla continuamente, ma la morte arriverà comunque.

Il meditare sulla certezza della morte porta come effetto a determinarci a praticare il Dharma.

Il momento della morte è incerto

Il secondo punto, come abbiamo visto, è l’incertezza del momento in cui sopraggiungerà la morte.

1. La durata della vita nel nostro mondo non è certa. I figli o i nipoti possono morire prima dei genitori o dei nonni. Non conosciamo la durata della nostra vita, essa non è uguale per tutti.

2. Le condizioni che ci possono togliere la vita sono molte, e le stesse condizioni che abitualmente sostengono la vita possono trasformarsi in causa di morte. Lo stesso cibo, se avariato, contaminato o velenoso, può portarci alla morte. Oppure le abitazioni, che abitualmente ci proteggono, possono crollare uccidendo chi vi abita. Altre volte si muore per azioni che compiamo per divertimento, come lo scalare montagne o sciare, oppure a causa di incidenti stradali, sebbene le automobili solitamente rappresentino un aiuto alla nostra sopravvivenza. Quindi, anche condizioni che generalmente sono considerate favorevoli possono diventare cause di morte. Un ultimo esempio è quello del rapporto di coppia, considerato vantaggioso e piacevole, ma talvolta succede che uno dei due uccida l’altro. Accade anche questo!

3. Sebbene il nostro corpo ci sembri vigoroso e forte, è invece fragile come una bolla d’acqua. L’effetto dell’aver meditato sul fatto che il momento della morte è incerto, è il sorgere della determinazione di praticare il Dharma ora.

Al momento della morte non ci saranno di aiuto né i beni materiali, né i parenti o gli amici e neppure questo corpo; solo la pratica del Dharma potrà aiutarci

1. Al momento della morte dovremo abbandonare tutto; le nostre ricchezze, i beni materiali, non potranno aiutarci. Ci sono persone che posseggono molti gioielli e grandi proprietà, ma al momento della morte non potranno portarsi via nulla di tutto ciò.

2. Nessuno potrà esserci di aiuto. Abbiamo diversi parenti, amici, ma nessuno di loro potrà venire con noi quando moriremo.

3. Nemmeno il nostro corpo potrà esserci di aiuto. Ci prendiamo molta cura di questo corpo ma, al momento della morte, dovremo abbandonare anch’esso. Ce ne andremo completamente soli! Il nostro corpo diventerà un cadavere e gli stessi amici e i nostri cari, che prima provavano piacere a stare con noi, ora avranno disgusto e paura del nostro cadavere. Un giorno questo accadrà certamente e ci troveremo esattamente in questa situazione. In quel momento non ci saranno di aiuto né le ricchezze (o quanto piacere avremo goduto), né gli amici, le persone care, né il nostro corpo; al momento della morte, l’unica cosa che ci potrà aiutare saranno le realizzazioni

ottenute in vita tramite la pratica spirituale. Da questa consapevolezza nasce la terza determinazione, quella di praticare il Dharma immediatamente in modo puro. È estremamente importante meditare su questi nove punti. Se non ci ricordiamo della morte e dell’impermanenza, non ci ricorderemo nemmeno di praticare il sentiero spirituale. Riflettendo sull’impermanenza, possiamo capire che ora, ad esempio, siamo insieme in questa stanza ma tra poco dovremo separarci. O, ancora, da posizioni di prestigio si precipita in posizioni umilianti; qualunque

accumulazione, di denaro o di altri beni materiali, si esaurisce e questo è dovuto alla natura delle cose che è l’impermanenza, la temporaneità dei fenomeni.

Comunque, dal momento che siamo nati dovremo morire. Anche nelle coppie in cui c’è amore, rispetto, armonia e non c’è il desiderio di separarsi, un giorno verrà la morte e ci sarà la separazione. Pensate che secondo la tradizione antica indiana, quando il capofamiglia moriva anche la moglie veniva bruciata insieme al corpo del marito. Entrambi venivano vestiti molto elegantemente con ghirlande di fiori. Comunque, una ventina di anni fa, in un villaggio nei pressi di Delhi, morì un giovane sposato a una moglie giovanissima e particolarmente bella. I parenti prepararono la pira per bruciare il corpo del marito e a un certo punto la moglie saltò volontariamente nel fuoco e morì. Queste persone arrivano a desiderare di morire insieme pur di non separarsi, ma non c’è nessuna garanzia che le loro menti possano in tal modo restare unite. Dobbiamo accettare la realtà della separazione e riflettere sull’impermanenza. Ovunque nel mondo avvengono separazioni e divorzi. Se ci accadesse di essere abbandonati dovremmo pensare: ‘Mi sto separando, sto perdendo una persona cara, ma sicuramente in futuro ci saremmo dovuti separare comunque’, e quindi non essere troppo infelici. Si nasce e si muore da soli. Cosa cambia, in definitiva, l’essere accompagnati o l’essere soli? Cerchiamo di rendere forte la nostra mente.

LE SOFFERENZE DEI TRE REAMI INFERIORI

Vi prego beneditemi affinché io sia capace di liberare velocemente tutti gli

sventurati esseri migratori che sono stati miei genitori,

tormentati per interminabili eoni da ciò che è difficile da sopportare –

caldo, freddo, fame, sete, stupidità, ignoranza, confusione e il divorarsi

l’uno con l’altro.

Per meditare sulle sofferenze dei tre reami inferiori, si inizia pensando alle sofferenze sperimentate nei reami infernali: il caldo e il freddo insopportabili. Ci sono otto inferni caldi, otto freddi, otto cosiddetti ‘periferici’ e molti altri detti ‘occasionali’.Tra gli inferni caldi vi è quello ‘dei rianimati’,‘della linea nera’. Troviamo dettagliate spiegazioni nei testi sugli stadi del sentiero che a volte risultano piuttosto complesse. Possiamo comunque cercare di immaginare la sofferenza che si può provare a vivere immersi nella lava incandescente di un vulcano. Immaginiamo l’esperienza del nostro corpo che diventa di un’unica natura col fuoco. Potremmo sopportare una simile sofferenza?

Negli inferni freddi il nostro corpo si congela completamente. Alcuni anni fa dei giovani monaci tibetani fuggirono dal Tibet percorrendo i sentieri di alta montagna innevati perdendo, a causa del congelamento, chi le dita, chi il padiglione auricolare, chi una gamba. Ho visto di recente, quando sono stato in Svizzera a casa di una famiglia tibetana, le foto di questi monaci mutilati. Sono cose che succedono, l’esperienza di provare un grande freddo fino al congelamento esiste. Perciò meditiamo immedesimandoci in queste situazioni. Meditare sugli stati infernali significa provare ad immaginare quanto siano insopportabili simili sofferenze, e questo perché consapevolezza ci determina a uscire dall’esistenza ciclica e a ottenere la liberazione. Ora pensiamo alle sofferenze della sete e della fame. Queste sofferenze sono particolarmente intense nelle rinascite come spiriti famelici o preta. Tali esseri, a causa del karma creato in passato, non possono trovare né cibo né bevande e sono

continuamente tormentati dai morsi della fame e dall’arsura della sete. Anche se andassero sulle sponde del fiume Gange, non riuscirebbero a percepirne l’acqua, e ancora, correndo verso un albero carico di frutti visto in lontananza, una volta arrivati lo troverebbero completamente secco, privo delle foglie e dei frutti. Tali spiriti non trovano cibo e acqua per molti anni e quando finalmente riescono a trovare qualcosa non riescono a deglutirla perché hanno l’esofago molto sottile, pur avendo un’enorme pancia. Soffrono tremendamente di fame e di sete. Possiamo provare a immaginare queste sofferenze tramite le scene mostrate, per esempio, nei documentari sulla fame nel terzo mondo, dove si vedono uomini e bambini che si trovano in queste situazioni drammatiche, e vedere anche come il loro aspetto si modifichi a causa di tali privazioni. Proviamo a pensare di non riuscire a trovare bevande per qualche giorno. Domandiamoci come ci sentiremmo al posto loro e se riusciremmo a tollerare una simile situazione. Perciò dobbiamo far sorgere in noi il pensiero: ‘Devo liberarmi dall’esistenza ciclica, pertanto è

necessario che io ottenga la liberazione’. Il testo parla poi di ‘stupidità, ignoranza, confusione e il divorarsi l’uno con l’altro’ riferendosi alle sofferenze del reame animale. Sappiamo come vivono gli animali feroci in Africa, ad esempio i leoni che assaltano e divorano le zebre. Le formiche, invece, mangiano altri insetti. Gli uccelli si nutrono di insetti e i gatti cacciano i topi o gli uccellini. Gli animali si mangiano gli uni con gli altri. Oltre a questo, soffrono anche a causa della loro stupidità. Per esempio, alcuni di loro sono sfruttati dagli esseri umani come accade alle pecore, alle capre, alle mucche, ai tori. Delle pecore usiamo la lana e il latte; quindi le si uccidono per usarne la pelle e la carne. Gli esseri umani hanno l’abitudine di cibarsi di questi animali, anche se ciò non sarebbe corretto. Alcuni popoli raggiungono degli eccessi e mangiano tutto quello che si muove, dagli insetti ai serpenti, agli scorpioni, ai topi. In India, in alcuni luoghi si possono trovare piatti a base di carne di topo o di gatto. Qualcuno mi disse di non andare a mangiare in un determinato villaggio, perché lì cucinavano proprio questo tipo di carni. Gli induisti, comunque, sono per lo più vegetariani e non mangiano nessun tipo di carne, ma esistono anche questi eccessi, sono cose che accadono tra gli esseri umani. Una volta rinati come animali, si rimane tormentati per interminabili eoni da queste sofferenze. Immaginiamo di vivere queste esperienze di sofferenza proprie degli animali e facciamo di conseguenza sorgere un intenso desiderio per la liberazione, il nirvana. Nel testo si legge: ‘tutti gli sventurati esseri migratori che sono stati miei genitori’. Tutti gli esseri in passato sono stati a volte nostro padre, altre nostra madre, nostro fratello, il nostro migliore amico, la nostra amica, l’amato o l’amata, hanno tutti avuto con noi questi tipi di relazione.

Immaginiamo ora i nostri maestri nell’aspetto di Guru Lama Tzong Khapa sul nostro capo e chiediamo: “Ti prego, donami l’energia per poter liberare tutti gli esseri senzienti e condurli alla liberazione e all’illuminazione”.

IL RIFUGIO NEI TRE GIOIELLI

Vi prego beneditemi affinché io possa ottenere la convinzione profonda

nei Tre Supremi – superiori a tutti gli altri, che proteggono

noi ciechi conformisti dall’abisso delle migrazioni sfortunate – e nei

risultati di virtù e negatività, non esauriti in centinaia di eoni.

Molti esseri senzienti sono simili ai ciechi, poiché non posseggono l’occhio della saggezza. Quando qualcuno suggerisce loro o li condiziona a compiere una determinata azione o ad avere un certo comportamento, fanno quello che viene detto loro; oppure, se qualcun altro dice loro di non farlo, allora evitano di farlo.

Non hanno saggezza. In ogni decisione seguono le scelte degli altri. Nel testo sono chiamati ‘ciechi conformisti’.‘L’abisso’ è riferito al rinascere nei reami inferiori, quindi negli inferni, nel reame degli spiriti famelici o degli animali, da cui è molto difficile liberarsi.

Solo i Tre Gioielli ci possono proteggere da queste sofferenze. Se venissimo accusati di un reato, chiederemmo l’aiuto di un avvocato che ci possa difendere. I Tre Gioielli sono come il nostro avvocato che si può occupare di noi, qualcuno che ci sostiene. I Tre Gioielli – Buddha, Dharma e Sangha – sono in grado di proteggerci dai tre reami inferiori se ci rivolgiamo a loro chiedendo protezione.

Per prendere rifugio sono necessarie due cause:

la paura di rinascere negli stati inferiori di esistenza,

la fede nella capacità dei Tre Gioielli di proteggerci.

Generando queste due cause, riponiamo piena fiducia nei Tre Gioielli. Questo è il significato essenziale del prendere rifugio, mentre le spiegazioni dettagliate le possiamo trovare in altri testi.

I Buddha possiedono:

il potere di proteggere, perché la loro mente onnisciente conosce ogni cosa;

la grande compassione: costantemente, giorno e notte, sono attenti al grado di maturazione degli esseri senzienti;

la perfetta abilità nell’aiutare gli esseri, infatti per aiutarli occorre assumere diverse manifestazioni, e un Buddha ha questi poteri.

Il Dharma è il vero rifugio. Quando siamo ammalati, ci rivolgiamo al medico chiedendogli di diagnosticarci la malattia e di prescriverci una cura adatta. Buddha è come il medico che diagnostica la malattia mentale degli esseri e prescrive loro le medicine e la cura, cioè i suoi insegnamenti da mettere in pratica, il Dharma.

Così, come ciò che porta alla guarigione è la cura, allo stesso modo è il Dharma che guarisce effettivamente gli esseri dalle loro sofferenze. Il Sangha, il terzo componente del rifugio, è simile agli infermieri che si occupano di offrire assistenza all’ammalato, dandogli le medicine al momento opportuno, somministrando le cure e occupandosi del paziente secondo le prescrizioni mediche. Il Buddha è come un medico, il Dharma è la terapia e il Sangha sono gli infermieri. Noi, infatti, possiamo considerarci come i malati dell’ospedale dell’esistenza ciclica. Solo guarendo potremo essere dimessi dall’ospedale. Se ci curiamo dai veleni mentali potremo liberarci dell’esistenza ciclica e con tale intento prendiamo rifugio nei Tre Gioielli. La liberazione dall’esistenza ciclica è il rifugio finale. Nella lingua italiana con il termine rifugio ci si riferisce anche ad alcuni alberghi di alta montagna in cui ci si può proteggere dal freddo, dalla fame e dalla sete. Sono molti i luoghi che possono dare un rifugio temporaneo. Ad esempio, le foreste o il buio, nel caso si sia inseguiti da qualcuno che ci vuole uccidere, possono rappresentare un rifugio. Il rifugio definitivo è comunque rappresentato dai Tre Gioielli, il Buddha, il Dharma e il Sangha.

LA LEGGE DI CAUSA ED EFFETTO

Come riportato nel testo ‘possa io ottenere la convinzione profonda […] e nei risultati di virtù e negatività, non esauriti in centinaia di eoni’, dobbiamo sviluppare una profonda comprensione della legge di causa ed effetto, comprendere che se non creiamo le cause non possiamo sperimentarne i risultati. Le azioni virtuose producono come risultato felicità e quelle negative sofferenza. Facciamo molte esperienze nella vita quotidiana; a volte siamo felici, altre infelici, e questo dipende dalle azioni virtuose o non virtuose che abbiamo compiuto in passato. Dobbiamo comprendere e riconoscere la relazione tra causa e risultato. Per esempio, se io amo qualcuno ma non vengo ricambiato e mi chiedo il perché, dal punto di vista buddhista la causa di ciò risiede nel karma. Facciamo l’esperienza di non essere amati in quanto in passato non abbiamo contraccambiato l’amore di quella persona.

Quando ci prendiamo cura di qualcuno, ci aspettiamo che a sua volta egli ci aiuti, invece in certi casi egli si rivolta contro di noi e ci danneggia. Comunque vada, in futuro sperimenteremo il risultato di averlo aiutato. Il male che ci sta facendo ora è il risultato delle azioni che noi, in una vita passata, abbiamo compiuto verso di lui, oppure di quando lui per esempio ci aveva aiutato e noi non l’avevamo ricambiato. Se non purifichiamo le impronte negative delle azioni non virtuose tramite i quattro poteri opponenti, allora il risultato di tali azioni può maturare anche dopo vari eoni. Questo vale anche per le azioni virtuose: a meno che non siano distrutte dalla collera o dalle visioni erronee, i meriti creati matureranno anche dopo molti eoni. La relazione che esiste tra una causa e un risultato è molto difficile da comprendere e può essere percepita solo da un Buddha. È più semplice comprendere la vacuità che la legge di causa ed effetto. Anche se la vacuità è più piacevole come argomento, cerchiamo di comprendere in profondità la legge di causa ed effetto perché è molto importante.

Ci sono molti livelli di virtù e di non virtù; ad un livello grossolano si parla di dieci azione virtuose e dieci non virtuose in relazione alle tre porte di corpo, parola e mente.

Le azioni negative che si compiono in relazione al corpo sono: uccidere, rubare e avere una condotta sessuale scorretta; in relazione alla parola sono quattro: mentire, usare parole che dividono creando così discordia o separazione, usare parole dure e parlare a vanvera; tre invece sono in relazione alla mente: avere malevolenza, bramosia e avere visioni erronee.

L’abbandono di queste dieci azioni non virtuose è la pratica delle dieci virtù.

Un’azione produce quattro diversi risultati: di maturazione, corrispondente alla causa come comportamento, corrispondente alla causa come esperienza e ambientale.

Prendiamo ad esempio l’azione di uccidere:

il risultato di maturazione è la rinascita in un reame inferiore;

il risultato corrispondente alla causa come comportamento sarà la propensione a ripetere quell’azione;

il risultato corrispondente alla causa come esperienza sarà che, riottenuta una rinascita umana, si sperimenterà una vita breve, diversi tipi di malattie e vari tipi di sofferenza;

il risultato ambientale sarà una vita in un luogo privo di armonia, dove vi sono conflitti.

Evitando di uccidere invece:

il risultato di maturazione sarà una rinascita umana o in un reame superiore;

il risultato corrispondente alla causa come esperienza sarà quello di avere buona salute e pochissime malattie;

il risultato corrispondente alla causa come comportamento sarà quello di non aver l’impulso o il desiderio di uccidere;

il risultato ambientale sarà quello di vivere in un luogo armonioso e pacifico.

Dal punto di vista buddhista, tutto quello che sperimentiamo è frutto delle nostre azioni; questo punto va compreso a fondo. Nel buddhismo si afferma che tutto è creato dalla mente; secondo il cristianesimo, invece, tutto è creato da Dio. Si potrebbe discutere a lungo su questo punto. Partendo dalla considerazione che tutto è creato dalla mente, possiamo osservare come un progetto, per essere attuato, debba essere concepito e quindi disegnato dagli ingegneri, e venga pertanto creato dalla mente stessa delle persone. Un cristiano potrebbe invece affermare che Dio è entrato nella mente dello scienziato, lo ha benedetto e questi ha avuto l’idea di inventare quel determinato congegno, e sostenere così che è stato Dio il vero creatore. In ogni caso possiamo osservare come sia la nostra mente, con le sue differenti motivazioni, a farci agire. Se non nasce una vera decisione nella nostra mente, se non siamo motivati, non riusciremo a realizzare nulla; se vogliamo davvero ottenere qualcosa, dobbiamo impegnarci mentalmente, concentrare la nostra mente sul nostro progetto. Consideriamo a questo punto che siamo influenzati dalla mente nel compiere le nostre azioni ma che essa, a sua volta, è sotto il dominio delle afflizioni mentali, responsabili quindi del farci compiere azioni negative nonché del farci rallegrare di averle compiute. Questo punto va esaminato con molta attenzione.

I DODICI ANELLI DEL SORGERE DIPENDENTE

La radice dell’esistenza – conflitti, nascita, invecchiamento, e la morte di

dèi, semidei ed esseri umani – è ignoranza.

Possa io recidere i lacci della rinascita nell’esistenza ciclica sotto il potere

delle azioni meditando sulla relazione interdipendente in sequenza

diretta e inversa.

A questo punto abbiamo esaminato i soggetti di meditazione in relazione all’individuo di scopo inferiore; passiamo ora ai temi dell’individuo di scopo intermedio. Anche le rinascite come dèi o esseri umani avvengono sempre per il potere di azioni che hanno come radice l’ignoranza, dobbiamo quindi tagliare questa che è la radice di ogni rinascita nell’esistenza ciclica. Senza nascita non vi è vecchiaia, malattia, morte e il dover nuovamente riprendere un corpo. Il nostro essere legati all’esistenza ciclica può essere spiegato attraverso i dodici anelli del sorgere dipendente. Il primo è l’ignoranza, l’incapacità di riconoscere la mancanza di un sé della persona e l’afferrarsi con forza ad esso come se fosse esistente in un modo a sé stante, mentre un tale sé non esiste. Per tagliare le radici dell’esistenza ciclica e porre fine alle rinascite dobbiamo comprendere la mancanza di esistenza intrinseca.

I dodici anelli possono essere presentati secondo un ordine diretto dal primo all’ultimo o viceversa. L’ordine progressivo causale comincia con il primo anello che è appunto l’ignoranza; il secondo anello è quello delle formazioni karmiche, cioè delle azioni, che possono essere meritorie, non meritorie o inamovibili e che pongono i semi nella coscienza, o terzo anello. Da questo sorge, al momento del concepimento, il quarto anello detto nome e forma. Infatti, il periodo che va dal concepimento al momento in cui le facoltà non sono completamente formate, viene definito ‘nome e forma’; in particolare, gli aggregati di sensazione, discriminazione, fattori di composizione e coscienza vengono identificati con ‘nome’, mentre l’ovulo fecondato è detto ‘forma’. Sia i quattro aggregati mentali (nome) sia quello del corpo (forma) non sono ancora manifesti e per questo motivo vengono definiti in un modo così generico. Il formarsi delle facoltà della vista, dell’udito, dell’olfatto, del gusto, del tatto o corporea, e di quella mentale, è il quinto anello o anello delle sei sorgenti, e comprende il periodo di formazione fino a quando non avverrà il primo contatto tra l’oggetto, la facoltà e la coscienza. In quel momento, allora, si originerà il sesto anello detto del contatto. Sulla base di tale contatto si verrà a originare una sensazione che potrà essere piacevole, spiacevole o neutra: si sarà creato quindi il settimo anello o anello delle sensazioni. Le sensazioni fanno sorgere la bramosia, che è l’ottavo anello. Quando la bramosia, intendendo come tale il desiderio di ottenere un corpo, diventa ancora più forte, si origina l’afferrarsi, che è il nono anello. I semi posti nella coscienza dal secondo anello, il karma o azioni, sono ora attivati dall’ottavo e nono anello, la

bramosia e l’afferrarsi, diventando molto intensi, e vengono a formare il decimo anello o anello del divenire o esistenza. L’anello successivo che si origina è quello della nascita e si riferisce al momento del concepimento nell’utero materno. Immediatamente dopo il concepimento si crea l’anello dell’invecchiamento e morte che è il dodicesimo, intendendo per invecchiamento tutto il periodo successivo al primo istante del concepimento fino alla morte, quando si interrompe la relazione tra corpo e mente.

Per meditare su i dodici anelli del sorgere dipendente secondo l’ordine inverso, iniziamo chiedendoci: “Da dove si origina l’anello dell’invecchiamento e morte?” Osserviamo che è sorto dall’undicesimo anello, quello della nascita. Quindi chiediamoci: “La nascita da dove si origina?” Dal decimo anello, l’anello del divenire. Il divenire da dove è sorto? Dall’afferrarsi (o intensificarsi della bramosia di possedere un corpo) che è il nono anello. L’afferrarsi è causato dall’ottavo anello della bramosia (desiderio intenso di possedere un corpo). La bramosia è sorta per via delle sensazioni, il settimo anello. Le sensazioni sorgono a causa del contatto (tra oggetto, facoltà e coscienza), il sesto anello. Il contatto si è verificato a causa dell’esistenza delle sei sorgenti, il quinto anello. Le sei sorgenti da dove si originano? Dal quarto anello, ‘nome e forma’. Come possono esistere il nome e la forma? Esistono perché vi è la coscienza, il terzo anello. Da dove ha avuto origine quella coscienza? Dal secondo anello, le formazioni karmiche, che è sorto a causa dell’esistenza del primo anello, l’ignoranza. Perciò possiamo comprendere che la radice di tutto è l’ignoranza e che essa va sradicata.

Quindi i dodici anelli possono essere divisi in due categorie, causa e risultato.

Cause:

proiettanti: ignoranza, formazioni karmiche e coscienza;

attivanti: bramosia, afferrarsi e divenire.

Risultati:

proiettati: nome e forma, sei sorgenti, contatto e sensazioni;

attivati: nascita e invecchiamento e morte.

Un’altra possibile divisione è in tre parti:

afflizioni mentali: ignoranza, bramosia e afferrarsi;

azioni contaminate: formazioni karmiche e divenire;

sofferenze risultanti: gli altri sette anelli cioè coscienza, nome e forma, sei sorgenti, contatto, sensazione, nascita, invecchiamento e morte.

Il secondo anello, le formazioni karmiche, è costituito dalle azioni dette proiettanti in quanto ci spingono nei reami di esistenza superiori o inferiori. Infatti, le azioni meritorie conducono ai reami superiori, quelli degli esseri umani, dei semidei e degli dèi del reame del desiderio; (N.d.E. quelle non meritorie invece fanno maturare rinascite in reami inferiori: inferni, regno animale e reame degli spiriti famelici). Il karma inamovibile è così chiamato perché produce rinascite nei reami della forma e del senza forma in maniera inamovibile, ossia è un karma che produce un risultato che non può mutare, mentre nel caso delle cause create dalle azioni meritorie o non meritorie i risultati possono essere lievemente modificati. Per esempio, se si è creata un’azione che darà come risultato una rinascita come cane, un cambiamento di condizioni può determinare una rinascita come lupo anziché come cane. Ci possono essere, quindi, lievi variazioni nella maturazione del risultato, cosa che non avviene con le azioni dette inamovibili. Dal momento che ogni giorno creiamo un’infinità di azioni, positive e negative, ogni sera dovremmo cercare di purificare quelle negative che abbiamo creato e accrescere invece l’energia delle azioni positive. Tramite la meditazione sui ‘due ordini’ dei dodici anelli (diretto e inverso), si ottiene la ‘realizzazione del sorgere dipendente’. I realizzatori solitari hanno come meditazione principale proprio questa meditazione nei due ordini. Sono stati così presentati i dodici anelli dal punto di vista della verità dell’origine della sofferenza e della verità della sofferenza. Le afflizioni (l’ignoranza, la bramosia, l’afferrarsi) e le azioni contaminate (formazioni karmiche e divenire) sono le vere origini delle sofferenze mentre gli altri sette anelli sono le vere sofferenze. Continuiamo così a vagare in questo ciclo da cui non riusciamo a emergere. I dodici anelli possono essere analizzati anche dal punto di vista della loro purificazione, seguendo sia l’ordine diretto sia quello inverso. Secondo l’ordine inverso, cessando l’ignoranza non si producono formazioni karmiche. Cessando il formarsi del karma cessa anche l’anello della coscienza. Purificando l’anello della coscienza non si producono nome e forma. Avendo estinto nome e forma non si producono le sei sorgenti, e così via. Purificando la nascita non si ha invecchiamento e morte. Quindi, estinguendo l’anello precedente non sorge il successivo. Nell’ordine inverso di purificazione degli anelli si avrà: come far cessare l’anello dell’invecchiamento e morte? Estinguendo la nascita. Come estinguere l’undicesimo anello della nascita? Facendo cessare il decimo, l’anello del divenire; e si continua così fino ad arrivare al secondo anello delle formazioni karmiche, che cessa con il cessare dell’ignoranza. In questo modo si sono evidenziate invece le due nobili verità, quella del sentiero e quella della cessazione. I dodici anelli sono quindi in relazione alle quattro nobili verità: è necessario comprendere la sofferenza, quindi avere chiara l’origine della sofferenza e cercare di abbandonarla praticando il sentiero. Vediamo alcuni esempi. Quando siamo ammalati, occorre anzitutto diagnosticare la nostra malattia, quindi cercare di capire a fondo ciò che l’ha prodotta. Le cause che portano ad ammalarsi sono tante; per fare l’esempio più semplice prendiamo in considerazione una malattia dovuta a una dieta sbilanciata, a una cattiva alimentazione. Secondo un detto tibetano, in tutte le malattie degli umani il cibo è sempre coinvolto. Se capiamo, ad esempio, che la causa della nostra malattia è un errore dietetico o che comunque

un determinato cibo non ci aiuta o ci nuoce, dovremmo identificarlo ed evitarlo. Un altro esempio riguarda le persone alle quali piace bere alcolici fino a ubriacarsi. Come si può guarire dall’intossicazione da alcool? Evitando di bere alcolici. È un intervento relativamente semplice. Comunque, solo comprendendo da dove si origina la sofferenza, qual è la sua causa, potremo capire come porvi rimedio. Dobbiamo anche capire che tutto ciò che sperimentiamo deriva da cause.

Facciamo un altro esempio ancora: quando nel rapporto di coppia vi è disarmonia, questa è ‘la verità della sofferenza’. Allora dobbiamo cercare di risalire alle cause che hanno portato alla disarmonia e impegnarci nell’evitare di crearle nuovamente; solo evitandole si potrà vivere in armonia. Le cause principali della disarmonia sono la rabbia, la gelosia e così via, ma la radice di tutte è l’ignoranza; non siamo in grado di capire quali siano i veri desideri dell’altro e a causa di questa incomprensione si creano conflitti, malessere e infelicità. Per avere buone relazioni, dobbiamo invece comprendere e sviluppare le cause fondamentali dell’armonia, cioè vero amore, rispetto reciproco e fiducia. Questi sono fattori importanti. Nella nostra vita quotidiana abbiamo degli stati di infelicità che dobbiamo eliminare intervenendo sulle cause. Quindi, poiché siamo esseri umani dotati di intelligenza, abbiamo la possibilità di attuare con successo la meditazione analitica.

LA MENTE DELL’ILLUMINAZIONE

Avendo abbandonato tutte le distrazioni e i diversivi per giungere al culmine

di una genuina mente dell’illuminazione, alle sei perfezioni, ai

quattro modi di radunare discepoli e così via,

possa io focalizzarmi senza sforzo su un oggetto osservato virtuoso, libero

dagli errori di torpore ed eccitazione.

Le distrazioni di cui dobbiamo sbarazzarci sono moltissime. Talvolta persino i pensieri virtuosi possono diventare tali; per esempio, se siamo concentrati su un oggetto di meditazione e ci ricordiamo di esserci dimenticati di recitare un mantra, in questo contesto il ricordo virtuoso diventa una distrazione. Si possono individuare due tipi ostacoli alla concentrazione. I diversivi sono un ostacolo di tipo materiale, intendendo con questo termine il trovarsi fisicamente in mezzo ad altre persone per chiacchierare, giocare, ballare e cantare. Un ostacolo di tipo mentale consiste nell’essere sommersi da pensieri che, costituendo vere e proprie distrazioni, impediscono la concentrazione. Dobbiamo cercare uno stato di quiete mentale senza distrazioni. Così facendo avremo tempo per praticare le sei perfezioni e ottenere realmente la mente dell’illuminazione. Tra i vari metodi per generare una genuina mente dell’illuminazione, vi è quello chiamato ‘Sei cause e un effetto’.

Le sei cause sono:

  1. riconoscere che tutti gli esseri sono stati nostra madre,

  2. riconoscere che la loro gentilezza è pari alla gentilezza della nostra attuale madre,

3. generare gratitudine, il desiderio di ricambiare la loro gentilezza,

4. riconoscere che le nostre madri attualmente sono prive di vera felicità e, facendo sorgere in noi il desiderio che siano invece felici, generare amore per loro,

5. far sorgere la compassione, il desiderio che esse possano essere liberate dalla sofferenza,

6. quindi, generare l’attitudine straordinaria che desidera assumersi personalmente la responsabilità di liberarle da ogni sofferenza e dar loro ogni felicità.

L’effetto risultante di questi passaggi di meditazione è la generazione effettiva della mente dell’illuminazione.

È importante cercare di far evolvere la mente degli altri attraverso l’amore, ispirandoli ad accrescere i loro buoni sentimenti. Dovremmo comportarci con modi gentili e gradevoli per renderli felici. Sarebbe meraviglioso se queste attitudini si sviluppassero in tutta la società. Generiamo e accresciamo la grande compassione, che desidera che tutti gli esseri siano liberi dalla sofferenza e dalle sue cause, e quindi la mente straordinaria che si assume in prima persona la responsabilità di prendersi cura di tutti gli esseri per condurli alla felicità definitiva e liberarli dalla sofferenza, facendo loro generare le cause della felicità e rimuovere quelle della sofferenza. Questa è unapromessa che deve essere compiuta con grande intensità. Analizzando però il nostro attuale stato, ci rendiamo conto di non avere ancora la capacità di agire in tal senso. Per poter quindi realizzare la nostra aspirazione, nasce in noi il desiderio di ottenere velocemente l’illuminazione o stato di un Buddha. Generiamo così bodhicitta, la mente che desidera raggiungere l’illuminazione per poter essere in grado di aiutare tutti gli esseri, mettiamo in pratica le sei perfezioni e pratichiamo i quattro modi per radunare i discepoli.

LE SEI PERFEZIONI

Avendo generato la mente dell’illuminazione dobbiamo praticare le sei perfezioni cominciando dalla generosità, un’attitudine mentale che desidera donare agli altri esseri oggetti materiali, il Dharma, protezione e amore. Mediante la pratica di questi quattro diversi tipi di generosità dobbiamo cercare di abbandonare l’avarizia. Se siamo attualmente incapaci di donare i nostri possedimenti, allora possiamo cercare di accrescere l’attitudine alla generosità offrendoli anche solo mentalmente.

La pratica della moralità, in sanscrito scila, letteralmente significa freschezza. La moralità è una mente che nutre il desiderio di abbandonare le cause di sofferenza prodotte con il corpo, la parola e la mente, cioè i comportamenti e le attitudini negativi. Cerchiamo di salvaguardare i comportamenti virtuosi. È importante abbandonare sempre di più le azioni negative e cercare di accrescere i comportamenti che sono di aiuto per gli altri esseri senzienti; cerchiamo di compiere quindi il maggior numero possibile di azioni positive. Proviamo a farlo! La terza perfezione è la pazienza, quella mente che resta imperturbata anche quando qualcuno ci fa del male. Anche se non è facile, è molto importante cercare di sviluppare la pazienza. Dobbiamo provarci! Per esempio, nello studio degli insegnamenti incontriamo difficoltà e dobbiamo avere pazienza se vogliamo comprenderli, ciò significa sviluppare la pazienza nel praticare il Dharma. Allo stesso modo è importante accettare gli stati di sofferenza che incontriamo, accogliendoli di buon grado. Pazienza significa anche non reagire, non vendicarsi. Se qualcuno ci dice: “Come sei brutto!”, noi immediatamente reagiamo rispondendogli:“Tu sei brutto!” e ci irritiamo. Questo è un esempio di reazione da abbandonare, mentre dovremmo accettare e non alterarci per quel ci viene detto. Quando invece qualcuno ci dice:“Come sei bello!”, subito ci mostriamo contenti e questo dimostra come anche delle semplici parole possano scuotere con forza la nostra mente. Quando Atisha andò in Tibet, aveva con sé due assistenti indiani. Erano particolarmente irascibili tanto che qualcuno si recò da lui per chiedergli di mandarli via. La risposta fu:“No. Questi due sono i miei Maestri”. “Ma cosa ti possono insegnare?“ gli replicarono. “Mi insegnano la pazienza. Grazie a loro posso sviluppare la mia pazienza, la loro collera mi permette di farlo.” Questa fu la risposta di Atisha! La pazienza si può coltivare solo quando qualcuno ci colpisce o ci critica, mentre se nessuno ci crea problemi non possiamo affermare che la stiamo praticando. Voglio raccontarvi, a tale proposito, un’altra storia. In Tibet, vicino al monastero di Sera, stava seduto un monaco sulle rive di un fiume. Passò lì accanto un altro monaco e gli chiese: “Che cosa fai?” “Sto meditando sulla pazienza” rispose il primo. “Ma davvero?” disse l’interlocutore, “allora mangiati questa cacca!” Per tutta risposta questi si arrabbiò e, alzatosi, lo colpì con un pugno.“Ah, è questo il tuo modo di praticare la pazienza?”, gli chiese il monaco che era stato colpito. È importante anche per noi cercare veramente di coltivare la pazienza e di non agire nello stesso modo. La quarta perfezione è la perseveranza entusiastica. Se cerchiamo di mantenere continuità nella nostra pratica virtuosa e nello studio, facendo sì che essi scorrano come un fiume privo di interruzioni, ciò consentirà di accrescere le nostre qualità positive. La costanza è essenziale. La perseveranza entusiastica viene descritta come l’entusiasmo nel compiere azioni positive. Per poter compiere le attività che sono di aiuto agli esseri senzienti, dobbiamo cercare di eliminare la pigrizia e di praticarle con forza. Uno dei principali ostacoli al conseguimento dei nostri scopi è la pigrizia e il suo antidoto è, appunto, la perseveranza entusiastica, la costanza. La quinta è la perfezione della concentrazione o calmo dimorare sull’oggetto di meditazione. Per sviluppare la concentrazione possiamo utilizzare qualunque oggetto; per esempio possiamo fissare l’attenzione sul respiro con continuità e, ogni volta che la nostra attenzione si interrompe, ricominciare. È necessario acquisire un’intima familiarità con l’oggetto di meditazione fino a far sì che la mente vi dimori senza sforzo. Essa va praticata con disciplina. Se dovessimo sentirci infelici o a disagio durante la meditazione, dovremmo cercare di superare questi stati mentali e continuare ad impegnarci nella concentrazione. Pacificata la mente, si cercherà di raggiungere un assorbimento meditativo univoco. La meditazione sul calmo dimorare produce flessibilità mentale e fisica. Il corpo diventa instancabile e si manifesta una beatitudine fisica che produce a sua volta beatitudine mentale. In quel momento avremo realizzato il calmo dimorare. Gli ostacoli principali all’ottenimento di questa realizzazione sono il torpore e l’eccitazione mentale che, quindi, vanno eliminati. È vantaggioso cercare di sviluppare la concentrazione, coltivare la meditazione focalizzata su di un oggetto; istruzioni dettagliate possono essere trovate in altri testi.

La sesta è la perfezione della saggezza. Essa si riferisce alla corretta comprensione delle due verità: convenzionale e ultima. Per verità convenzionale si intende il modo convenzionale di esistere di tutti i fenomeni percepibili con i sensi, compresi i cinque aggregati (forma, sensazione, discriminazione, fattori di composizione

e coscienza). Per verità ultima si intende il modo di esistere di tutti i fenomeni, le centotto categorie di fenomeni (dalla forma alla mente onnisciente), come vuoti di esistenza intrinseca, in quanto tutti i fenomeni, dalla forma alla mente onnisciente, esistono in modo interdipendente. La pratica della perfezione della saggezza consiste anche nell’usare la nostra intelligenza e saggezza per capire ciò che va abbandonato e ciò che va adottato.

I quattro modi di radunare i discepoli

I quattro modi di radunare i discepoli sono:

donare loro oggetti materiali,

parlare in modo gradevole al fine di avvicinarli,

insegnare loro la pratica spirituale,

essere coerenti con quanto si insegna.

In questo modo è possibile portare beneficio agli esseri.

LA MANCANZA DI ESISTENZA INTRINSECA

Tutti i fenomeni, primordialmente in natura non prodotti

e incessanti, esistono meramente in dipendenza del nome e concettualizzazione

per un conoscitore di convenzionalità;

possa io essere capace di sradicare l’oggetto determinato,

la vera esistenza dell’ambiente e dei suoi abitanti la quale,

benché appaia, è errata.

Tutti i fenomeni, a livello ultimo, non sono prodotti e non cessano, mentre a livello convenzionale tutte le cose sono prodotte e cessano. Se i fenomeni esistessero intrinsecamente, di conseguenza essi sarebbero immutabili e pertanto non soggetti al cambiamento. Tutti i fenomeni non esistono intrinsecamente e sono delle mere imputazioni nominali, prive di esistenza intrinseca. Noi li percepiamo come esistenti intrinsecamente, ma questa è un’errata percezione cui ci afferriamo considerandola vera. Questa esistenza intrinseca, l’oggetto ‘determinato’, non esiste. Dal momento che non esiste dobbiamo cercare di sradicare questa percezione errata. L’esistenza intrinseca è l’oggetto di negazione. Gli oggetti, sia animati sia inanimati, l’ambiente e i suoi abitanti, sono solo delle convenzioni nominali che non posseggono vera esistenza. Cerchiamo di comprendere bene le due verità e l’oggetto di negazione. Parlando di vacuità è indispensabile comprendere quale sia l’oggetto da confutare.

L’oggetto di negazione è l’esistenza intrinseca, indipendente. Per esempio, se affermiamo che gli esseri umani non posseggono corna, indichiamo come oggetto di negazione le corna. Occorre capire che cosa si vuole negare. Se non si ha idea di cosa siano le corna, non si potrà capire che cosa si vuole negare. Prima di confutare qualcosa occorre identificare l’oggetto che viene confutato.

LA PRATICA DEL TANTRA

Possa io essere in grado di generare le realizzazioni dei due stadi nel

mio continuum,

le chiare visualizzazioni e così via dello stadio di generazione – la base

da purificare, ciò che purifica e il risultato della purificazione,

tramite la forza di una stabile chiara apparenza e orgoglio divino.

Nel tantra vi sono due stadi: generazione e completamento. Lo stadio di generazione ha tre basi di purificazione: la morte, lo stato intermedio e la rinascita. La purificazione della morte si ottiene portandola nel sentiero, e questo produce come risultato il corpo della verità (dharmakaya). Durante la morte, al termine delle dissoluzioni degli elementi e delle coscienze, si ha l’esperienza della chiara luce in cui tutte le forme cessano e si percepisce solo la vacuità. Si immagina di realizzare il dharmakaya e si pensa: ‘Sono il dharmakaya’. Lo stadio intermedio o bardo si purifica emergendo dalla vacuità nel corpo di godimento (sambhogakaya) e si pensa: ‘Io sono il sambhogakaya’. Si medita sull’orgoglio divino e sulla chiara apparenza. La rinascita purificata diviene il corpo di emanazione (nirmanakaya). Nel tantra si pratica manifestando se stessi come la divinità nella sua dimora celestiale. Ci si identifica nella divinità pensando per esempio: ‘Io sono Chakrasamvara’, oppure ‘Io sono Yamantaka’, ‘Io sono Kalachakra’. Si percorre così lo stadio di generazione del tantra, il sentiero della trasformazione di morte, stato intermedio e rinascita nei tre corpi illuminati. Non esporrò in questa sede lo stadio di completamento.

La dedica

In breve, a causa di qualunque virtù io abbia creato

con le mie tre porte,

possano gli insegnamenti diffondersi, le attività illuminate

dei detentori degli insegnamenti fiorire,

la raccolta di degenerazioni discordanti essere pacificata,

e possano tutti i migratori velocemente ottenere

l’insuperabile completa illuminazione.

Una recitazione giornaliera virtuosa di Gomo Tulku – Mangalam

Mangalam è una parola di auspicio. Ho cercato di completare la spiegazione di questo testo. Cercate di accrescere il buon cuore. Mantenetevi rilassati e pacifici. Cercate di essere più soddisfatti e avere meno desideri. Questo credo sia davvero importante. Abbiamo delle insoddisfazioni molto forti e tanti problemi quotidiani. Cercate di mantenere sempre una mente quieta.

Insegnamenti conferiti dal ven. Ghesce Ciampa Ghiatso presso l’Istituto Lama Tzong Khapa nel 1998.

Trascrizione di Ivan Zerlotti, Revisione di Francesco La Rocca, Annalisa Lirussi, Joan Nicell.

Fonte: Je Tzong Khapa Edizioni, Pomaia (PI) – e-mail: jtk@iltk.it, http://www.jtkedizioni.org/freedownload.php che si ringrazia.