Corrado Pensa: Il nemico dell’equanimità

1bamb-monac-tib“Il nemico antitetico dell’equanimità” (Corrado Pensa)

Abbiamo continuato a leggere dal libro di Corrado Pensa, L’intelligenza spirituale: “L’equanimità è l’opposto dell’attaccamento, è non-attaccamento. […] L’equanimità è l’anima della presenza mentale che chiamiamo consapevolezza non giudicante […]. L’equanimità è il cuore della saggezza, non si può vedere in profondità senza l’intimo equilibrio dell’equanimità.
[…] Se è assente l’equanimità, può un sentimento di amorevole gentilezza essere davvero incondizionato e privo di riserve? È impossibile. Si tratterebbe di una preferenza e non di quell’apertura radicale cui si allude parlando di gentilezza amorevole incondizionata. Non possiamo nemmeno essere sinceramente compassionevoli, se al cuore della nostra compassione non c’è una reale presenza di equanimità. Saremmo identificati con la sofferenza, proveremmo dispiacere, amarezza, cordoglio, commiserazione, ma tutto ciò non è compassione. La compassione è una grande forza, perché è una combinazione di tenerezza e di stabilità, la stabilità che proviene, appunto, dall’equanimità.
[…] Talvolta viene usato il termine ‘egoità’, per sottolineare che il lavoro consiste nell’imparare a osservare, sempre di più, e in modo sempre più accurato e disteso, il sorgere dell’io-mio, che è pura pratica di
vipassanā. E la pratica di vipassanā è pratica di equanimità.
Se lavoriamo in questo modo, rivolgiamo la nostra attenzione in particolare all’area della reattività […], il nemico antitetico dell’equanimità. Ma rivolgiamo l’osservazione anche a ogni forma di indifferenza […], ricordandoci che l’indifferenza è un indurimento, un’avversione congelata […].
Un’accresciuta energia investe la nostra motivazione, il nostro impegno, allorché cominciamo ad assaporare momenti di vera equanimità, allorché cominciamo a gustare la qualità speciale di libertà che si accompagna all’equanimità. Si tratta di un primo assaggio di quella libertà interiore che non dipende dalle condizioni esterne. È un profondissimo sollievo quando cominciamo ad assaporarla […].Più lavoriamo allo sviluppo dell’equanimità, e più la parola ‘rilassamento’ acquista un significato più vasto. Comprendiamo cosa possa essere un
totale rilassamento […] Forse siamo stati contratti, senza saperlo, per un’intera vita. E quando cominciamo di nuovo a gustare qualche momento di vera distensione mentale, […] la forza di questa sensazione di sollievo ci fa letteralmente trasalire.
Ci accorgiamo, allora, di quanta sofferenza crei la reattività” (pp. 115-117).

Vorrei sottolineare, se ce ne fosse bisogno, questo intimo rapporto di vicendevole implicazione tra l’equanimità, il rilassamento e la non reattività. In altre parole – e mi sembra questo un elemento estremamente interessante: la pratica di equanimità è qualcosa di non meramente mentale. Anzi, a dire la verità, il lavoro dell’equanimità va contro la tendenza (la reattività) del mentale. È pratica di svuotamento delle considerazioni, delle valutazioni, delle tecniche, delle strategie, delle reazioni: è pratica di alleggerimento, di pulizia, di acquietamento, di scioglimento delle tensioni. Il corpo ne risente: si calma, si dà pace, si rilassa. Si percepisce nitidamente un forte senso di pulizia, di centratura; è uno stato di presenza a ciò che è, è prendersene cura, sciolti da qualsiasi condizione. Ciò che è condizionato, ciò che è motivato non è equanimità. http://www.lameditazionecomevia.it/pensa5.htm