L’equanimità viene talvolta descritta come una spaziosa tranquillità della mente, una calma radiosa o un equilibrio interiore. Tuttavia questo saldo equilibro non è qualcosa di lontano o distante dalla vita, ma si sviluppa all’interno della nostra disponibilità e capacità di andare incontro a tutti i momenti della vita con eguale rispetto, compassione e sensibilità.
Per incontrare tutti i momenti della nostra vita con eguale rispetto dobbiamo rinunciare a essere favorevoli o contrari a qualcosa, rinunciare al rigetto e al perseguimento, alla ricerca e al rifiuto. Nella tradizione tibetana l’equanimità viene descritta come qualcosa ugualmente vicina a tutte le cose, come un precursore della compassione, uno dei suoi aspetti essenziali.
Per sapere cosa significa rimanere tranquilli e aperti in mezzo alla sofferenza, dobbiamo in qualche modo rinunciare alle nostre idee su cosa sia giusto o sbagliato, su ciò che si dovrebbe o non si dovrebbe fare, in modo da poter ascoltare senza timore dolore e sofferenza.
Sembra che per ascoltare con attenzione la storia di un’altra persona o la storia della vita, dobbiamo in certa misura calmare la nostra stessa storia. Si dice anche che l’equanimità preceda la retta azione e la retta parola.
Ci rendiamo conto che le risposte che fanno realmente la differenza in questo mondo raramente nascono dall’agitazione, dalla paura o dal desiderio.
Le reazioni realmente differenti in questo mondo nascono dalla tranquillità e dall’equilibrio. Non credo che sia utile pensare sempre all’equanimità come a una condizione o un luogo poiché non è qualcosa che raggiungiamo e in cui poi ci ritiriamo.
L’equanimità è in realtà un continuo viaggio. La nostra vita non rimane congelata nel tempo per cui niente cambia più; l’equanimità deve rimanere fluida come la nostra vita, come un modo di andare incontro alla nostra esistenza mutevole, al nostro corpo e alla mente cangianti e a tutti gli eventi che ci capitano.
È facile convincerci che questo tipo di tranquillità interiore e di equilibrio siano irraggiungibili. Potremmo pensare che sia troppo difficile, se non impossibile, rimanere equilibrati e fermi nel bel mezzo di tutti i momenti estremi della vita. Ma io credo che ci basta solo un breve momento di riflessione per sapere quanto sia ben più duro essere continuamente persi nei due estremi di amore e odio, felicità e disperazione, dell’essere favorevoli o contrari a qualcosa.
Equanimità, almeno in inglese, non è una parola che viene usata molto spesso. Raramente incontriamo qualcuno e gli diciamo: Ho avuto una giornata profondamente equanime.. Ci sono altre parole nel nostro vocabolario che usiamo molto più spesso:
Mi piace molto questo, mi piace molto quest’altro. Non vedo l’ora che arrivi domani, oppure ne ho paura.. Se vogliamo drammatizzare, diciamo: .Ho veramente bisogno di questo o sono assolutamente contrario a quest.altro.. Se incontrate un amico che non avete visto da tempo e vi chiede come state, spesso la sua domanda apre la porta a un fiume di racconti di tutti gli eventi che ci sono accaduti.
Diciamo: .Ho avuto un periodo tremendo ., oppure .La vita è stata entusiasmante!., .Mi sono innamorato . oppure .Sono stato veramente triste.. Se dicessimo: .Non è accaduto nulla e la mia mente e il cuore sono rimasti impassibili. L’equilibrio e l’equanimità sono stati la mia casa. Ci sembrerebbe di presentarci come delle persone noiose e tristi che verranno trascurate o ignorate.
Un modo di concepire la nostra vita è quella di vederla come un interminabile flusso di eventi, in cui un fatto segue a un altro. La nostra vita è simile a un grande fiume che nasce come una piccola sorgente che giunge in superficie e che s’ingrossa sempre di più. E nel corso del fiume ci saranno punti in cui l’acqua è quieta e punti in cui ci sono delle rapide. Vi saranno zone in cui l’acqua scorre lenta che però potranno trasformarsi in cascate.
Come non potremmo decidere di fermare il fiume così non possiamo pensare di fermare il sorgere e passare degli eventi nella nostra vita. Non possiamo scegliere di avere solo i periodi di calma e probabilmente non siamo nemmeno sicuri di volerlo. Non potremmo nemmeno scegliere di rimanere sempre in acque agitate. Nel corso della nostra vita avremo tutti la nostra razione di lodi e rimproveri, approvazione e disapprovazione, guadagno e perdita, momenti di piacere e di dolore. In questa tradizione, per descrivere gli eventi nel corso della vita, si parla degli otto dharma mondani. In generale vi sono gli estremi di felicità e dolore, gli estremi di disperazione e speranza, di desiderio e avversione.
Se pensiamo a tutti gli accadimenti di una singola vita, quelli che il Buddha chiama le diecimila gioie e dolori, molti di questi eventi sembrano quasi essere stati creati per farci perdere l’equilibrio. Non penso che possiamo nemmeno immaginare di raggiungere un punto della nostra vita in cui avremmo una corazza o una difesa che ci tenga a distanza dal mondo degli eventi. Non penso che si possa immaginare di raggiungere un punto della nostra vita in cui diremmo: .Ora è tutto sotto controllo. Non sarò mai più sorpreso dal cambiamento. e che in qualche modo l’ordine e la prevedibilità siano stati raggiunti.
La sola cosa su cui possiamo realmente contare in questa vita è che niente ci apparterrà veramente, niente rimarrà e niente sarà immutato. Questo lo vedo spesso nell’insegnamento quando faccio un discorso di Dharma e poi ricevo alcuni commenti entusiastici e altri assolutamente tiepidi o critici.
Certamente possiamo ottenere approvazione in questa vita e quindi trascorrere momenti o addirittura ore compiacendoci con noi stessi, dicendoci quanto siamo meravigliosi, mentre solo alcune ore più tardi possiamo vergognarci se qualcuno ci disapprova. La nostra bella meditazione, il nostro grande amore, lo stato di salute, la nostra gioventù, tutte queste cose possono andare perdute e talvolta si trasformano in qualcosa di meno gradito.
Anche il piacere può trasformarsi rapidamente in dolore. Una donna che abita in una cittadina vicina, mi disse che dopo lo tsunami in cui era morto il figlio, aveva ricevuto una sua cartolina in cui le scriveva: .Sono in paradiso, questo è il periodo migliore della mia vita.. I cambiamenti tra piacere e dolore non sono sempre così distruttivi.
Possiamo gustare il canto degli uccelli e poi arriva sulla strada il camion dei rifiuti. Un momento possiamo essere occupati da una piacevole fantasia e il momento dopo trovarci in un incubo di ossessioni. Possiamo anche notare che il dolore talvolta si trasforma in gioia. Possiamo essere persi in qualche tremendo spazio limitato, ne possiamo uscire e ritrovarci all.improvviso profondamente toccati dalla vista del sole al di sopra degli alberi.
Il dolore del corpo che pensiamo sia interminabile, d’un tratto si trasforma in un grande senso di benessere. Penso che ripetutamente nella vita sperimentiamo come il senso di equilibrio appare così fragile, così precario e nonostante ciò continuiamo a respirare, il nostro cuore batte ancora e rimaniamo presenti nella nostra vita. Talvolta penso che ci chiediamo come i nostri cuori possano assorbire questo continuo flusso di eventi senza andare in pezzi. Ci chiediamo come poter trovare l’equanimità che ci permetta di andare incontro a tutti questi eventi con eguale rispetto. Ci chiediamo anche quanto profondamente possiamo capire che tutti i nostri sforzi di controllare l’incontrollabile siano vani e facciano solo soffrire.
Per la verità, l’equanimità richiede la saggezza di un Buddha. Non sono solo gli eventi esteriori della vita a richiederci di trovare questa calma radicale, ma anche gli eventi interni delle nostre emozioni e stati mentali.
Un paio d’anni fa mi trovavo in America durante le ultime elezioni presidenziali. Ero con alcuni amici a guardare i primi risultati in televisione. Era così interessante vedere come la serata era cominciata con un po. di speranza, che poi si era gradualmente trasformata in disperazione, poi era riemersa ancora un po. di speranza, mentre eravamo in attesa dei risultati dell’Ohio, per essere poi definitivamente distrutta ancora. Ma la cosa evidente era che in tutto il paese vi erano tante persone che guardavano lo stesso evento e sperimentavano gli stessi alti e bassi in momenti completamente opposti. Quindi la mia speranza significava la disperazione di qualcun altro e quelle che per me erano cattive notizie erano buone per qualcun altro. Talvolta ci chiediamo: .Equanimità significa che non avremo più emozioni o sensazioni?.. Penso di no. Vorrei leggervi qualcosa che forse alcuni di voi già conoscono.
Se riuscite a restare tranquillamente seduti dopo delle cattive notizie, se in un momento di difficoltà finanziarie rimanete perfettamente calmi, se vedete i vostri vicini fare un viaggio in paesi esotici senza una fitta di gelosia, se riuscite a mangiare con soddisfazione qualsiasi cosa vi si metta nel piatto, se riuscite ad amare incondizionatamente quelli che vi circondano, se potete addormentarvi dopo una giornata impegnativa senza prendere una bevanda alcolica o una pillola, se potere essere sempre contenti dovunque vi troviate, siete probabilmente un cane.
L’equanimità non è l’assenza di sensazioni bensì la presenza di equilibrio nel mondo delle sensazioni. Vediamo ora qual è l’elemento di saggezza dell’equanimità. La prima pietra angolare dell’equanimità è la nostra disponibilità e capacità di abbracciare la realtà dell’impermanenza e la nostra capacità di farlo dipende dalla nostra disponibilità.
Possiamo comprendere veramente che in ogni cosa che sorge vi è la storia della sua scomparsa e della sua morte, con i suoi momenti di fama e disgrazia, di amore e odio, di guadagno e perdita. Nessuno di questi si può afferrare in quanto fanno tutti egualmente parte del tessuto dell’impermanenza. Lo sappiamo e tuttavia è lì che abbiamo l’amnesia più grande. Sempre è un pensiero che abbiamo spesso. Vogliamo che qualcosa duri per sempre oppure temiamo che sia per sempre. Se non abbracciamo l’impermanenza ci perdiamo nell’avversione e nella resistenza o ci perdiamo nello sforzo di trattenere e mantenere eventi che stanno già passando. In entrambi i casi siamo egualmente persi nella dimenticanza del cambiamento.
Quando cadiamo nei due estremi di cercare di mantenere qualcosa o di liberarcene, sacrifichiamo la nostra capacità di essere egualmente vicini a tutte le cose e di andare incontro a tutti i momenti con lo stesso rispetto. Alcuni anni fa all’Insight Meditation Center, il centro negli Stati Uniti dove insegno, c’era una serie di piatti di tutte le forme e colori e delle tazze scheggiate con delle scritte sopra per cui lo staff aveva deciso di sostituirli con dei semplici piatti bianchi. Questa semplice scelta dette l’avvvio a una serie di commenti da parte dei meditanti: .Come posso rinunciare alla mia tazza preferita? oppure Come posso iniziare il ritiro così turbato?.. E ricordiamoci che si tratta di un centro di Dharma in cui si danno continuamente insegnamenti sull’impermanenza.
Penso che non sempre ci rendiamo conto di quanto il nostro sentirci equilibrati e calmi dipenda dal fatto che le grandi e piccole cose della nostra vita rimangono immutabili. Ce ne rendiamo conto solo quando cambiano.
E poi ci rendiamo conto di come questo filo dell’attaccamento percorra tutta la nostra vita. Non ci mancano le opportunità per contemplare l’impermanenza. Basta aprire i nostri cuori alla verità di un singolo giorno, di una singola seduta, di una singola ora, e vedere quante nascite e morti, inizi e fini. Allora ci chiederemo che cosa in realtà ci stia insegnando tutto questo. Una lezione è che anche questo passerà e comprendere ciò costituisce una delle pietre angolari dell’equanimità.
La seconda pietra angolare dell’equanimità è la comprensione della natura della nostra intossicazione. Se qualcuno ci offrisse una tessera a vita per le più alte montagne russe del mondo, all’inizio, anche in base al nostro temperamento, potremmo pensare che si tratti di un bel regalo. Nei primi giorni potreste provare l’eccitazione e il divertimento della corsa anche con grande intensità. Ma provate a immaginare di doverlo fare, giorno dopo giorno, per il resto della vita.
Immaginate tutta la vostra vita a Disneyland! Penso che dopo un pò di tempo l’eccitazione comincerebbe a logorarsi. Ma in qualche modo sembra che noi non perdiamo l’intossicazione di percorrere come fossero montagne russe gli eventi della nostra vita, sia internamente che esternamente.
Con questo tipo di intossicazione l’equanimità scompare. Allora penso che sia utile chiederci che cosa ci conduce a questa intossicazione di intensità, cosa ci spinge ad attraversare la vita alla ricerca di esperienze eccitanti sempre nuove, che cosa nutrono in noi gli estremi di amore e odio, guadagno e perdita.
Credo che ci voglia solo un po’ di consapevolezza per vedere che il nostro senso dell’io, il nostro senso di chi siamo, è anch’esso un evento che sorge e passa in innumerevoli forme differenti in una singola giornata.
Pensate, ad esempio, a quanti diversi stati dell’io avete sperimentato oggi: la noia, l’eccitazione, la fame, l’interesse, la monotonia, l’irrequietezza. Pensate a quanti stati dell’io avete sperimentato nella vostra vita: la felicità, la tristezza, l’andare da qualche parte, il non andare da nessuna parte, essere giovane, essere vecchio, essere ansiosi ed eccitati.
Lo stato dell’io sorge e passa sempre ed è collegato a tutti gli altri stati che sorgono e passano. Il nostro senso dell’io è un evento unito a tutti gli eventi delle emozioni e dei pensieri, e fa parte del mondo degli eventi esterni. Talvolta vediamo che lo stato dell’io è influenzato da un fatto esterno. Ora che siete seduti qui nella sala e siete molto calmi, questo è uno stato molto calmo dell’io. Poi all’improvviso la persona accanto a voi comincia a tossire e starnutire e immediatamente vedete la reazione ansiosa e avversiva dell’io in risposta a questo evento.
Talvolta gli avvenimenti esterni della nostra vita prendono il sapore e colore dello stato interiore dell’io. Se vi è uno stato di tristezza o impazienza dell’io, d’un tratto ogni cosa del mondo diventa potenzialmente irritante e tanti di questi eventi sembrano sorgere dal nulla. La domanda da farci è: chi saremmo al di fuori di questi eventi dell’io? Chi saremmo senza definire un evento? La fonte della nostra intossicazione è il bisogno di avere un evento per essere qualcuno, in quanto il pensiero di non essere nessuno ci è così inconsueto e inquietante che vi opponiamo una forte resistenza.
In realtà non c’è fine agli eventi della vita che ci danno la possibilità di essere qualcuno. Essere equanimi è la risposta alla domanda di chi saremmo senza un evento che ci definisca.
c’è una splendida poesia nella tradizione Zen che dice:
10.000 fiori in primavera
la luna in autunno
una fresca brezza in estate
e la neve in inverno.
Se la vostra mente non è annebbiata da pensieri inutili, questa è la stagione più bella della vostra vita. Le cose inutili sono le nostre posizioni a favore o contro qualcosa, gli attaccamenti e le avversioni, le paure e le aspettative. Le cose inutili sono le definizioni mutevoli dell’io, senza le quali la nostra equanimità sarebbe ricca e profonda.
La terza pietra angolare della saggezza, che fa parte dell’equanimità, è la comprensione profonda del rapporto con le sensazioni (vedaná), che sono il secondo fondamento della consapevolezza. Vale a dire riconoscere il piacevole come piacevole, lo spiacevole come spiacevole e il neutro come neutro.
Quando non siamo consapevoli delle nostre sensazioni muoviamo il primo passo verso l’intossicazione, verso lo squilibrio. Per coltivare l’equanimità è necessario praticare quando non siamo equanimi, vale a dire in quella gamma di sensazioni che sorgono. Nella vita ci sono molte sensazioni piacevoli, quali suoni, pensieri, gusti e contatti, ma forse non ce ne sono abbastanza rispetto ai nostri desideri. L’equanimità non richiede che noi resistiamo al piacevole, che è la radice della gioia, della gentilezza amorevole e dell’apprezzamento.
Ma il piacevole è anche il luogo in cui il desiderio intenso può costruire la sua dimora, vale a dire quando accompagniamo il piacevole con la mancanza, il bisogno, e quando ci perdiamo nell’evento del piacevole. È come fare una passeggiata in un giardino in cui c’è molto di piacevole, come gli alberi e l’erba.
Possiamo goderne, ma possiamo anche fare dei passi ulteriori. Possiamo dirci: .Non tornerò in quella sala buia., .Sposterò il mio cuscino all’esterno. La prossima volta che verrò porterò con me il mio libro sugli uccelli in modo da poterli identificare tutti. Forse porterò la merenda..
Tutto ciò che abbiamo elaborato sul desiderio, quando ci dimentichiamo del cambiamento e dell’intossicazione, è che abbiamo trasformato il piacevole in un progetto o in un evento che vogliamo rendere .nostro.. Nella vita vi sono più sensazioni spiacevoli di quelle che vorremmo, ma le nostre avversioni non ci proteggono dallo spiacevole e noi tendiamo a trasformare lo spiacevole in un evento o in un progetto. Forse abbiamo voglia di uscire anche se piove e ci diciamo che la prossima volta faremo un ritiro in Spagna. C’è anche molto nella vita che è neutro, né piacevole né spiacevole. Il neutro è l’evento più difficile cui l’io possa appigliarsi, perché nella condizione neutra sembra che non accada nulla e pertanto la nostra risposta consueta a tutto ciò è di dirci che è noioso. La vita va naturalmente avanti, invitando la nostra presenza sensibile e pronta, ma ciò che scopriamo è il sentirci incapaci di riposare in uno spazio senza eventi, per cui entriamo rapidamente nel moto del desiderio, in modo da far accadere qualcosa.
Imparare a lasciare andare il desiderio, l’avversione e lo spazio fra i due significa cominciare a coltivare l’equanimità, vale a dire trovare quella calma radiosa che illumina e abbraccia tutte le cose, conoscere veramente e profondamente che in questo momento non manca nulla.
Ciò che si libera nel lasciar andare è la nostra capacità di incontrare tutti i momenti della vita con la stessa attenzione. Trovare l’equilibrio è una pratica, e per farlo abbiamo bisogno di provare interesse per i momenti in cui lo perdiamo. Il sentiero dell’equanimità non è separato dal mondo della sofferenza e del caos, in quanto vi fonda le sue radici. In tutti i momenti in cui troviamo il coraggio e la fermezza in mezzo al cambiamento e alla sofferenza, impariamo che possiamo abbracciare questo mondo di eventi senza esserne sopraffatti e senza provare amarezza o paura.
La pratica dell’equanimità è assolutamente centrale nel cammino della compassione.
È una profonda e imperturbabile calma interiore.
Articolo di Christina Feldman. Discorso tenuto a Roma il 28 gennaio 2006.
http://www.pomodorozen.com/zen/equanimita/