Ven. Ghesce Yesce Tobden: La sofferenza dell’esistenza ciclica

Ven. Ghesce Yesce Tobden: Non riusciamo a trovare un oggetto che esiste come tale, di per se stesso.

Ven. Ghesce Yesce Tobden: Non riusciamo a trovare un oggetto che esiste come tale, di per se stesso.

Ven. Ghesce Yesce Tobden: La sofferenza dell’esistenza ciclica

6. Insegnamenti del Ven. Ghesce Yesce Tobden al Centro Ewam, Firenze.

Parlando della sofferenza della esistenza ciclica parliamo di sei tipi di sofferenze generali:

1. la prima sofferenza dell’esistenza ciclica in generale, vale a dire il primo tipo di sofferenza che viene affrontato da qualsiasi essere senziente, da qualsiasi forma di vita, è l’insoddisfazione, cioè finché qualsiasi tipo di essere senziente, all’interno di questa esistenza ciclica ottiene una certa felicità, ma non riesce mai a raggiungere la massima soddisfazione, continua a desiderare sempre di più. Questa è la prima sofferenza detta insoddisfazione.

2. la seconda sofferenza della esistenza ciclica in generale, affrontata da tutti gli esseri senzienti, è l’instabilità, o meglio l’incertezza. Vale a dire che i nostri amici e nemici non sono stabili, non sono certi, essi cambiano continuamente: gli amici diventano nemici e viceversa.

3. la terza sofferenza dell’esistenza ciclica in generale è perdere il corpo ripetutamente, vale a dire morire. Ogni volta che nasceremo, inevitabilmente moriremo e così via

4. la quarta sofferenza dell’esistenza ciclica, che viene affrontata da tutti quanti, è quella di riprendere il corpo ripetutamente, vale a dire rinascere dopo la morte. Ogniqualvolta si muore si rinasce e così via.

5. la quinta sofferenza che viene affrontata da tutti gli esseri senzienti è l’instabilità nella posizione, cioè nei livelli dell’esistenza. Vale a dire che alcune volte l’essere senziente raggiunge il livello dell’esistenza degli deva, quindi una esistenza di un livello molto superiore, poi, finita la durata della sua esistenza, cade di nuovo nell’esistenza inferiore. Finita la durata della sua esistenza nella dimensione più bassa risale e poi di nuovo ricade e così via continua a cambiare anche nella posizione della esistenza.

6. la sesta sofferenza che viene affrontata da tutti quanti è quella di dover morire da soli, senza poter essere accompagnati dai propri cari o amici. Questo essere senziente che durante la vita è circondato da tantissimi cari, parenti, amici, nel momento della morte non potrà essere accompagnato né dai suoi genitori, né da parenti, né da amici.

Quindi se analizziamo la realtà della esistenza ciclica, scopriamo, purtroppo, che è caratterizzata da queste sei sofferenze. Per noi è già molto affrontare tutte queste sei perché anche una sola sofferenza per noi è insopportabile. Perciò bisogna scoprire che la realtà dell’esistenza ciclica è caratterizzata da queste sei sofferenze delle quali noi non ne sopportiamo neanche una e quindi bisogna far nascere il desiderio di voler uscire dall’esistenza ciclica.

Il primo passo è conoscere la sofferenza: ciò significa comprendere la sofferenza, identificare, avere la comprensione della sofferenza. Avendo la comprensione della sofferenza sorge la motivazione, o il pensiero, che dice: “Devo assolutamente liberarmi da questa sofferenza che per me è del tutto inutile”.

Queste prime sei esperienze che abbiamo citato sono comuni a tutti gli esseri senzienti, cioè sono sei esperienze che vengono affrontate non esclusivamente dagli esseri umani, ma da tutti quanti. Invece, parlando esclusivamente di noi esseri umani, si parla di otto tipi di esperienze di sofferenza.

1. la sofferenza della nascita.

2. la sofferenza della malattia.

3. la sofferenza della vecchiaia.

4. la sofferenza della morte.

5. la sofferenza di essere separati dai propri cari. La parola cari può includere parenti, amici, moglie etc.

6. la sofferenza di essersi incontrati o di incontrarsi con delle persone spiacevoli, indesiderabili, come ladri, delinquenti, banditi, nemici e via dicendo.

7. la sofferenza di non riuscire di portare a compimento, o arrivare all’ottenimento, di ciò che noi stiamo cercando, o di ciò che noi stiamo desiderando. Quindi, incapacità di riuscire ad ottenere quello che noi andiamo a cercare

8. in breve il nostro corpo di per sé rappresenta sofferenza, il corpo è un simbolo della sofferenza, è la rappresentazione materiale della sofferenza. Infatti, finché viviamo con questo corpo, avremo sempre delle esperienze di sofferenza.

Finché noi abbiamo questo corpo abbiamo bisogno di curarlo, di proteggerlo, di mantenerlo; di conseguenza abbiamo bisogno di una casa, di vestiti, di cibi e così via. Un esempio estremamente banale è che noi non siamo capaci di dormire sulla terra, sul pavimento, abbiamo bisogno di un letto e appena ci siamo alzati dal letto non possiamo andare in giro nudi, abbiamo bisogno di vestiti. Poi non possiamo passare tutto il resto della giornata senza mangiare e senza bere. E’ abbastanza complicato anche nell’alimentazione: al mattino si chiama colazione, quindi viene consumato un certo tipo di cibo; a mezzogiorno viene chiamato pranzo e viene mangiato un certo tipo di cibo e la sera viene chiamata cena e si consuma un altro tipo di cibo. Questa monotona azione continua fino alla morte. Allo scopo di mantenere in vita questo corpo, dalla nascita fino alla morte, spenderemo tantissimi soldi. Siccome abbiamo bisogno di spendere tanti soldi, abbiamo bisogno di accumulare tanti soldi. Dato che abbiamo bisogno di accumulare tanti soldi dovremo lavorare tanto, per questo se noi ci guardiamo attorno, da mattina a sera, vediamo tutta questa gente correre qua e là, tutti quanti frettolosamente: alla fin fine tutto questo movimento è per sostenere in vita il proprio corpo.

Quindi, dalla nascita in poi noi e gli altri con tanta buona volontà, mettendo anche l’impegno, facciamo tantissime cose, lavoriamo tanto per mantenere in vita in nostro corpo e proprio alla fine questo corpo diventa del tutto inutile, cioè nel momento della morte il corpo diventa completamente inutile e non ci dà niente. Questo significa che noi dovremmo fare in modo di non riprendere mai più un corpo, cioè quel corpo che produce una sofferenza.

Come si può fare? Il corpo che produce la sofferenza ha una sua causa. Quali sono le cause che fanno maturare un corpo particolare che produce a sua volta sofferenza? La causa sono le attitudini mentali distorte che sono parecchie, le principali sono:

l’ignoranza, che è la fondamentale,

il rancore o odio,

l’attaccamento, quindi la brama,

l’orgoglio, della stessa famiglia dell’arroganza,

il dubbio, nel senso negativo,

visioni, o opinioni errate, riguardo alla realtà.

Questi sono alcuni esempi di attitudini mentali distorte. Tra queste sei quelle principali, fondamentali, sono le prime tre cioè: ignoranza, attaccamento e odio.

L’attaccamento è un tipo di desiderio, cioè quando veniamo in contatto con un oggetto che viene percepito come se fosse particolarmente desiderabile, di conseguenza il desiderare di possederlo, o di conquistarlo, o di averlo, o di non separarsi da quell’oggetto. Questo tipo di attitudine viene chiamato attaccamento.

L’avversione, o odio, è completamente opposto all’attaccamento, Cioè quando incontriamo un oggetto, una cosa, una persona, si percepisce quella cosa o quella persona in modo particolarmente indesiderabile, particolarmente disgustoso, spiacevole, quindi si desidera di esserne separati, di non averlo più o comunque si desidera di allontanarsi da quell’oggetto.

Entrambi, attaccamento e odio, nascono sulla base dell’ignoranza, cioè dalla incomprensione della vera realtà dell’oggetto. Vale a dire che quando incontriamo un oggetto, una cosa, non capiamo la sua vera natura, la sua vera caratteristica, realtà, e non avendo capito la sua vera natura saremo ingannati: infatti se percepiremo l’oggetto come bello, coltiveremo attaccamento, se lo percepiremo come brutto, coltiveremo odio. Quindi odio e attaccamento sono la conseguenza dell’ignoranza riguardo all’oggetto, cioè dell’incomprensione della vera natura dell’oggetto.

Nella nostra vita povera come esseri umani non viviamo sempre con la sofferenza, miserabilmente; ogni tanto abbiamo i nostri problemi, ma ogni tanto siamo anche felici. Quindi, ci sono momenti di infelicità ma ci sono anche momenti di felicità. Però la poca felicità che noi possiamo ottenere, che abbiamo o che noi godiamo non è ancora la felicità reale, ma fa parte di una felicità chiamata samsarica, dell’esistenza ciclica, e non solo abbiamo poca felicità durante questa esistenza ciclica, ma la sofferenza è maggiore. Cioè è più frequente la sofferenza ed è meno frequente l’esperienza di felicità.

Tutta questa nostra esperienza, di gioia, di felicità, di dolore, di infelicità, di sofferenza, è tutta una conseguenza o un effetto di come funziona l’interno dell’individuo. All’interno, nell’interiorità, dell’individuo c’è un funzionamento mentale molto complesso, chiamato la funzione delle attitudini mentali positive, che producono delle esperienze di felicità, e la funzione delle attitudini mentali distorte che causano dolori, esperienze di infelicità. Perciò man mano che l’individuo abbandonerà sempre di più le attitudini mentali distorte, allora si libererà sempre di più dalle esperienze di infelicità, di dolorosa sofferenza. E, man mano che questo individuo svilupperà sempre di più le attitudini mentali positive, aumenterà sempre di più il suo benessere interiore, quindi la felicità e la gioia.

In ogni caso, quando si parla delle attitudini mentali positive, sono quelle attività mentali valide, corrette, che sono utili per se stessi e per gli altri. Quelle attitudini mentali vengono chiamate positive.

Mentre le attitudini mentali negative, non valide, false, non corrette, che non corrispondono alla realtà, e che causano danni a se stessi ed agli altri, vengono chiamate distorte. L’attitudine mentale distorta basilare in assoluto, cioè la base fondamentale in assoluto delle attitudini mentali distorte è l’ignoranza dell’aggrapparsi al sé. Tutti questi problemi che abbiamo, cioè le attitudini mentali distorte, non li possiamo eliminare attraverso la medicina, nemmeno attraverso un’operazione chirurgica, nemmeno con il suicidio: cioè nemmeno il suicidio può essere la soluzione per liberarsi da queste attitudini mentali distorte. Quindi soltanto la pratica, l’impegno, più specificatamente l’applicazione dell’antidoto opponente, può essere la soluzione per eliminare, o meglio abbandonare, le attitudini mentali distorte.

Come già anticipato, la base fondamentale in assoluto tra le attitudini mentali distorte è quella che viene chiamata “l’ignoranza dell’aggrapparsi al sé”, sé come persona. Questa ignoranza dell’aggrapparsi al sé è un tipo di visione di ignoranza della realtà, della persona, cioè quella di sostenere l’esistenza di una cosa che in realtà non esiste. Quindi è una visione distorta. Questa è la base fondamentale in assoluto dalla quale poi, successivamente, sorgeranno poi tutte le altre attitudini mentali distorte.

Per esempio nel pomeriggio tardi, prima di sera, camminando si incontra un mucchio di corda multicolore e da una certa distanza quel mucchio di corda viene scambiato per un serpente, cioè si percepisce la forma di un serpente, una apparenza simile ad un serpente e siamo convinti che lì ci sia un serpente. Noi abbiamo quindi la convinzione dell’esistenza di un serpente là dove il serpente che noi vediamo in realtà non esiste né sopra la corda, né dentro la corda e nemmeno la corda è un serpente, eppure noi vediamo un serpente e siamo convinti che lì ci sia un serpente. Questo è un esempio di una visione distorta, cioè l’ignoranza dell’aggrapparsi al sé, al sé del serpente. Percependo quel mucchio di corda come un serpente e scambiandolo per tale, convinti che lì ci sia un serpente sorge anche paura e non abbiamo il coraggio di avvicinarci.

La paura corrisponde alla nostra sofferenza; quando abbiamo visto un mucchio di corda scambiandolo per un serpente abbiamo avuto paura. Come si risolve questa nostra paura del serpente? L’unico modo di eliminare la nostra paura è quello di andare a scoprire che cosa è realmente quell’oggetto, cioè bisogna scoprire l’inesistenza del serpente avvicinandosi per scoprire se è realmente un serpente oppure no. Soltanto scoprendo che è soltanto un mucchio di corda e non un serpente reale elimineremo la nostra paura.

Quando ci siamo avvicinati a quell’oggetto ed abbiamo scoperto che in realtà era soltanto un mucchio di corda per prima cosa avremo il sollievo di non avere più paura del serpente. Poi non ci sarà più nemmeno la convinzione che quello sia un serpente, cioè non ci sarà più quella visione distorta che avevamo precedentemente di credere che lì ci fosse realmente un serpente.

Questo è un esempio e il significato è questo: qualsiasi cosa, quindi qualsiasi fenomeno esistente, esiste in dipendenza, cioè in rapporto alla etichetta della nostra concezione, cioè l’esistenza della cosa dipende dalla nostra etichetta della concezione; quindi senza l’etichetta concettuale non può esistere la cosa, ma la nostra visione è quella che prima abbiamo chiamato “l’ignoranza dell’aggrapparsi al sé” che sarebbe quella di credere che la cosa esiste di per sé, oggettivamente, senza essere da noi etichettata concettualmente. Quindi, abbiamo questa convinzione che la cosa esiste in modo inerente, a sé stante, in modo oggettivo, senza dipendere dalla nostra etichetta concettuale. Questo si chiama precisamente “l’ignoranza dell’aggrapparsi al sé”.

Dovremo seguire parallelamente anche l’esempio che abbiamo iniziato. Quando ci siamo avvicinati al mucchio di corda non abbiamo trovato il serpente che avevamo percepito da distante, non riusciamo più a trovare quel serpente che avevamo percepito precedentemente. Allo stesso modo nella realtà vera quando andremo a cercare l’oggetto non riusciremo ad individuarlo o a trovarlo nell’oggetto che esiste dalla propria parte, a sé stante, in modo inerente.

Andando a cercare quell’oggetto (percepito) nell’oggetto, non riusciremo ad individuarlo come tale che esiste di per sé; sembrerebbe come se non esistesse nulla, ma non è vero perché la cosa esiste.

Non riusciamo a trovare un oggetto che esiste come tale, di per se stesso, ma non è vero che tutta questa osservazione porta alla nullità dell’oggetto: l’oggetto esiste anche se non riusciamo a trovarlo, anche se non esiste di per sé.

Un altro esempio ancora: la collina di qua e la collina di là. Oppure: questo è corto e l’altro è lungo. Ora, se chiamiamo la collina dalla nostra parte, quella su cui ci troviamo, la collina di qua e la collina opposta alla nostra viene chiamata la collina di là, è interessante la nostra osservazione e inizialmente noi abbiamo la convinzione che la collina sulla quale noi ci troviamo sia di per sé la collina di qua. Cioè noi abbiamo la convinzione che la collina sulla quale noi ci troviamo sia oggettivamente la collina di qua e la collina di là sia oggettivamente, indipendentemente, la collina di là. Questa è la nostra convinzione. Se la cosa sta così e andiamo sulla collina di là, cosa succede? Succede che quando saremo arrivati sulla collina di là non la chiameremo più la collina di là, perché quando saremo sulla collina di là quella collina, che prima era di là, non appena saremo arrivati sarà diventata la collina di qua. Quindi, la collina di qua dove eravamo diventerà la collina di là. Tutto questo spiega che la collina qua e la collina là sono semplici etichette concettuali.

Allo stesso modo succede per lungo e corto: anche questo è relativo, concettuale.

6. Insegnamenti del Ven. Ghesce Yesce Tobden al Centro Ewam, Firenze. Fontehttps://www.facebook.com/ciampa.yesce?fref=ts che si ringrazia di cuore.