Dirigere la rinascita: il sistema tibetano dei tulku

Dirigere la rinascita: il sistema tibetano dei tulku

Alexander Berzin, Jaegendorf, Germania, Giugno 1996

Questa sera mi è stato chiesto di parlare di come si possono dirigere le nostre rinascite. Non si tratta di essere in grado di guidarle in modo da rinascere in una villa in riva al mare bella e confortevole, in piena salute e circondati da servitori; piuttosto si tratta del sistema dei lama reincarnati, che troviamo nel Buddhismo tibetano. Questi sono chiamati tulku (sprul-sku) in tibetano, e sono conosciuti con il titolo di Rinpoche (rin-po-che).
Comunque non tutti i rinpoche sono lama reincarnati che hanno diretto la propria rinascita, perché il titolo di Rinpoche viene dato anche agli abati dei monasteri.

Contesto storico

E’ piuttosto interessante osservare che questo sistema di lama (bla-ma, grande maestro), in grado di indirizzare le loro rinascite si trova non solo nel Buddhismo, e in particolare nella forma tibetana del Buddhismo, ma anche nel Bon che è la religione originaria del Tibet. 

E con mio grande stupore, viaggiando attraverso il Kazakistan, una delle repubbliche centrali dell’Asia non troppo distante dal Tibet, ho trovato nel Sufismo, una forma dell’Islam, un sistema simile di insegnanti reincarnati.

Questo sistema che consiste nel dirigere le proprie rinascite, è strettamente connesso alla pratica buddhista e nello specifico alla pratica del tantra. Non lo si trova solo in Tibet ma in tutte le regioni nelle quali è praticato il Buddhismo tibetano. E’ presente in tutte le regioni himalayane ed in tutte le aree abitate dai Mongoli. E’ proprio grazie ai Mongoli che i Sufi l’hanno adottato in Kazakistan. Ed il modo in cui viene praticato nel sistema Bon è molto simile a quello dei buddhisti. Si sta quindi parlando di una vasta area culturale all’interno della quale si sviluppò il sistema dei lama reincarnati. Questi lama reincarnati sono in genere considerati i più grandi insegnanti dell’area e solitamente hanno un monastero sotto il proprio controllo. Sono i lama che stanno al vertice; il principale insegnante del monastero.

Ottenere il controllo sulla rinascita

Ci sono moltissime cose che si possono dire su questi lama reincarnati, ma iniziamo dal modo in cui si fa. Un tema frequente nel Buddhismo è che tutti continuiamo a prendere rinascita e che non si ha normalmente alcun controllo su questo processo. Si rinasce in accordo al tipo di mente e stati della mente che si avevano durante la vita ed in particolare al momento della morte, ed anche, nello specifico, alla forza delle azioni, ai tipi di comportamento che abbiamo avuto. Si tratta di un qualcosa di compulsivo, nel senso che veniamo proiettati in determinate situazioni di rinascita in base alle nostre precedenti abitudini o modelli di comportamento. Ma se vogliamo davvero essere in grado di aiutare gli altri, il che è il nostro scopo nel Buddhismo ed in particolare nel Buddhismo Mahayana, allora non vogliamo essere trascinati in situazioni solo per via delle nostre abitudini. Vogliamo essere in grado di trovarci in situazioni future che ci consentano di beneficiare al massimo gli altri.

Avete presente quando a volte una persona ha le migliori intenzioni, ma c’è la partita di calcio in televisione e a causa di questo intenso attaccamento verso il calcio, anche se c’è un forte desiderio di aiutare in casa o aiutare i bambini con i compiti, questa persona è attratta in modo compulsivo verso la televisione? Allo stesso modo, è possibile avere un forte desiderio di aiutare gli altri nelle vite future, ma se si ha un fortissimo attaccamento ed abitudini molto radicate, come [nell’esempio di] una persona che ha un’attrazione magnetica verso la partita di calcio in televisione, allora verremo attratti in modo compulsivo verso molti tipi di rinascite che potrebbero non essere idonee ad aiutare gli altri.

Potremmo quindi essere proiettati in modo compulsivo in un tipo di rinascita molto piacevole o in una che non lo è per niente. Dipende da cosa siamo abituati. E’ come quando si è ubriachi. Quando siamo ubriachi, non abbiamo controllo e possiamo venire coinvolti in una situazione festosa e cantare con i nostri amici, oppure venir coinvolti in una rissa. Dipende dalle nostre abitudini. Allo stesso modo, anche quando si muore siamo fuori controllo, è [una situazione] molto più difficile di quando si è ubriachi, e se non abbiamo fatto nulla per prepararci a quel momento, a seconda delle nostre abitudini possiamo essere proiettati nella vita futura in una situazione più piacevole o in una peggiore.

Quindi se vogliamo davvero essere in grado di aiutare gli altri, abbiamo bisogno di ottenere un controllo su questo processo di morte e rinascita, in modo che in futuro potremo continuare a trovarci in situazioni che siano estremamente favorevoli per essere in grado di aiutare gli altri. Comunque, per fare questo, per ottenere un certo tipo di controllo sullo stato della nostra rinascita, non è necessario essere un Buddha, un essere completamente illuminato. Ci sono molti stadi del nostro sviluppo spirituale che possono consentirci di dirigere le nostre rinascite. Pertanto, diamo uno sguardo alla teoria che ci spiega come questo avviene perché è molto interessante, e può forse anche servirci da incoraggiamento per farlo anche noi.

I corpi di un Buddha

Quando si diviene un Buddha, quello che aspiriamo a diventare, si ottengono quelli che sono chiamati i vari tipi di corpo (sku, sct. kaya, Corpus). Riferito alle nostre menti, questi diventano il corpo di conoscenza o corpo di saggezza. Ed avremo anche dei corpi di tipo fisico con i quali aiutare gli altri. Per spiegare ciò, viene spesso usato l’esempio del sole e della luna. Ad esempio c’è il sole o la luna che appaiono in cielo. C’è la luce primaria, il calore ecc. del sole, ed esso appare. C’è luce, c’è calore, c’è energia, queste fanno tutte parte del sole ed hanno l’aspetto del sole. L’aspetto del sole o della luna nel cielo sarebbe l’aspetto primario; poi vedremmo anche l’aspetto del sole o della luna riflesso in vari specchi d’acqua sulla terra.

Pertanto, quando guardiamo agli aspetti fisici del Buddha, questo è un aspetto primario conosciuto con il termine sanscrito di sambhogakaya (longs-spyod rdzogs-pa’i sku, longs-sku, Corpo di Pieno Uso): un corpo fisico che, letteralmente, fa pieno uso di tutti gli insegnamenti. Ma questo è un aspetto molto sottile del Buddha e per la maggior parte delle persone è molto difficile vederlo. Bisogna avere un alto livello di realizzazioni per vederlo effettivamente. Ma le sue emanazioni, come nell’esempio dei riflessi della luna o del sole negli specchi d’acqua, sono cose che le persone possono essere in grado di vedere più facilmente. E queste emanazioni o riflessi del corpo primario, questo corpo sottile di un Buddha, in sanscrito sono chiamate nirmanakaya (sprul-sku, Corpo delle Emanazioni), che è lo stesso termine usato per i lama incarnati, i tulku. Quindi questi lama reincarnati sono in un certo modo manifestazioni o emanazioni. Non sono tutti Buddha però. In realtà molto, molto pochi tra essi sono dei Buddha.

In effetti, ci sono molte pratiche che possono consentirci di ottenere questi tipi di corpi di un Buddha. Faccio un esempio affinché possiate capire, anche se non è un’analogia totalmente esatta: potrebbe essere difficile vedere di persona qualcuno come Sua Santità il Dalai Lama, ma molte persone possono vederlo apparire in televisione. Questo per spiegare che esiste un certo tipo di aspetto come quello che si vede in televisione o che appare alla memoria di qualcuno ecc., che è più accessibile dell’aspetto primario. Quindi ciò che vogliamo fare è essere in grado di generare noi stessi in un tipo di forma molto primaria ma anche in un tipo di forma che possa essere molto più diffusa, in modo da essere d’aiuto agli altri. Ad esempio si può essere di aiuto insegnando ad un ristretto numero di persone, ma se si scrive un libro che verrà letto da milioni di persone, si apparirà e si porterà aiuto a molte, molte, molte più persone ad un livello più generale.

Ottenere i corpi di un Buddha attraverso la pratica di Anuttarayogatantra

Il nostro obiettivo è quindi di ottenere, grazie alla nostra pratica, lo stato di un Buddha la cui mente è consapevole di tutte le cose, conosce come aiutare tutti gli esseri, e vede la realtà, ed essere poi in grado di apparire in modi molto diretti ed anche in modi molto più diffusi. Per ottenere questo, viene usata una tecnica che fa parte della pratica della più elevata classe del tantra, il tipo di pratica più sofisticata ed impegnativa. Osserviamo come nella vita ordinaria si presenti una struttura di base che è analoga a questi diversi corpi di un Buddha:

  1. Il confronto più evidente si ha con la morte. Quando si muore, la nostra mente si riduce ad uno stato molto, molto sottile, come la mente di un Buddha.

  2. Vi è poi un periodo di tempo tra le nascite chiamato bardo (bar-do) in tibetano, ed in questo periodo di bardo abbiamo un aspetto sottile.

  3. Poi, dal momento della nostra nascita, che inizia con il concepimento, assumiamo un aspetto più grossolano.

Questo è anche paragonabile al processo in cui ci si addormenta:

  1. Quando ci addormentiamo c’è una trasformazione, la mente diventa molto sottile.

  2. Quando poi sogniamo abbiamo, nel sogno, uno speciale tipo di aspetto molto raffinato.

  3. E quando ci svegliamo abbiamo un aspetto più grossolano che proviene dall’aspetto sottile.

Pertanto, quello che si cerca di fare nel tantra, è praticare lo sviluppo di questi differenti corpi di un Buddha che possono apparire in modi differenti, e lo si fa con una pratica che è simile al processo della morte, dello stadio intermedio e della rinascita.

Ci sono due stadi in questa pratica. Nello stadio più elevato chiamato lo stadio di completamento (rdzogs-rim), si lavora con il sistema di energia sottile del corpo. Ciò che si vuole fare con questo sistema di energia sottile è concentrarla fino a un punto estremamente fine, e poi emanarla in un tipo di forma e poi in un tipo di forma più grossolana. E al suo livello più grossolano ci si riferisce con lo stesso termine, tulku, che si usa per i lama incarnati. Nello stadio iniziale di questa pratica tantrica che viene chiamato stadio di generazione (bskyed-rim), svolgiamo questo processo interamente con la nostra immaginazione. Quindi immaginiamo che la nostra energia diventi sempre più sottile e concentrata e poi assuma un aspetto più sottile e poi un aspetto più grossolano. E questa apparenza più grossolana è anche chiamata tulku, la stessa parola.

Se siamo in grado di svolgere questa pratica e se lo facciamo correttamente, non si tratta solo di manipolare le energie; dobbiamo combinarle, come in tutte le pratiche buddhiste, con la compassione e la saggezza. E’ necessario avere una certa motivazione di compassione: ottenendo il controllo di questo intero processo, desideriamo aiutare gli altri. Inoltre vogliamo usare questa mente che diventa estremamente sottile per raggiungere la chiara comprensione della realtà. Se vogliamo diventare un Buddha tramite il metodo del tantra, allora come mezzo per ottenere lo stato di Buddha useremo quella struttura di base che è simile al processo di morte e rinascita.

Abbiamo quindi una forte determinazione ad aiutare gli altri. Per essere di aiuto agli altri dobbiamo superare la nostra confusione e gli stati compulsivi della nostra vita, giusto? Se mi trovo sotto il controllo della televisione e del calcio, non posso aiutare gli altri. Quindi dobbiamo avere un profondo desiderio di beneficiare gli altri ed un certo livello di saggezza che ci fa dire: “Beh, è solo un gioco e non è la cosa più importante al mondo. Non è che se la mia squadra vince questo servirà a riaffermare la mia identità e che tutto il mio valore come essere umano dipende dalla vittoria o meno di questa squadra.” Quindi come posso superare questo stato compulsivo che mi attira verso la TV? Beh, devo riordinare la mente in qualche modo e concentrarmi intensamente. La mia mente sta andando in tutte le direzioni, è lì sul campo di calcio. Quindi vogliamo focalizzarci su questo tipo di mente estremamente sottile, che ha abbandonato tutti quegli oggetti che ci attirano come calamite. Questo è simile a ciò che accade quando si muore o ci si addormenta: si abbandona quel coinvolgimento compulsivo verso gli oggetti incontrollati che ci ruotano intorno. Poi quando si è profondamente concentrati e raccolti in questo livello estremamente sottile, si è in grado di generare la propria energia in un certo modo: “Bene, ora vado ad aiutare mio figlio.” Quindi l’energia assume una forma. L’energia mentale assume una certa forma al nostro interno. Ed in seguito a quella forma di energia, al modo in cui è formulata dentro di noi, ci alziamo e ad un livello più grossolano andiamo effettivamente a fare ciò che avevamo in mente: aiutare il bambino.

C’è quindi una struttura parallela che fa questo con l’immaginazione, con il sistema delle energie (ma è difficile riuscire a sostenerlo bene), e che lo fa in maniera totale come un Buddha. In tutti questi esempi, sia che lo si faccia con l’immaginazione o con il sistema di energia o come un Buddha, il livello di apparenza grossolana è chiamato “tulku.” Come dicevo, questo è il termine che si usa per i lama incarnati. Quindi, quando si parla di questi lama incarnati, questi tulku, ci si riferisce a qualcuno che è stato in grado di generare questo tipo di emanazione ad uno di quei tre livelli. Potrebbe darsi che siano riusciti a farlo con l’immaginazione, o con il sistema di energie, o che siano effettivamente un Buddha. E quando erano in vita, svolgevano questa pratica meditativa e lavoravano con lo stato di sonno e dei sogni, nei quali vi è una situazione simile per la quale ci si assottiglia per poi diventare sempre più grossolani. Quando si è in vita lo si fa nella meditazione, meditando sul processo della morte o lavorando con il sonno ed i sogni. E grazie a questo lavoro svolto durante la vita, quando al momento della morte accade qualcosa di molto simile, si è in grado di usare quella situazione con un certo grado di controllo.

Abbiamo meditato e praticato rendendo la mente estremamente sottile e usandola per vedere la realtà e poi facendo in modo che la mente assumesse un certo livello di apparenza, e poi un’apparenza grossolana. E’ questo che abbiamo praticato nella nostra meditazione. E durante la nostra vita abbiamo usato l’opportunità del sonno per praticarlo, perché quando ci addormentiamo la mente diventa più sottile in modo naturale, ed in modo naturale, quando sogniamo, assumiamo un qualche aspetto sottile e poi sempre in modo naturale, un aspetto più grossolano quando ci svegliamo. Questo accade naturalmente nel processo del sonno, del sogno e del risveglio.

Attraversiamo il processo del sonno e così via, in maniera estremamente cosciente, e poi usiamo quella situazione per aiutarci ulteriormente nella pratica, per cercare di diventare come un Buddha; per dirla con parole molto semplici, avremo il livello estremamente sottile della mente del Buddha con tutti quei differenti livelli di apparenza. Poi quando moriamo, grazie alla familiarità con questo processo nella meditazione e nel sonno, saremo in grado di svolgere lo stesso tipo di pratica durante il processo della morte. Possiamo fare esperienza della morte, dello stadio intermedio e della rinascita in modo simile all’esperienza vissuta durante la pratica del sonno, del sogno e del risveglio che abbiamo praticato in vita. Questo ci consente di guidare le nostre rinascite come fanno questi lama reincarnati.

Naturalmente c’è la possibilità che qualcuno sia effettivamente un Buddha. Come Buddha, potete emanarvi in vari aspetti e rinascere in vari modi; quindi non avete bisogno di una pratica meditativa al momento della morte perché avete un controllo totale. Ma come dicevo, pochissime persone sono dei Buddha. Se invece state praticando sul sentiero del tantra per diventare un Buddha, allora non potrete avere il controllo totale di questo intero processo, ma potrete ottenere un ampio margine di controllo su di esso, e la maggior parte dei tulku si trovano a quel livello.

Prerequisiti per generare una linea di tulku

Se non si è ancora un Buddha, ci sono tre cose fondamentali necessarie per generare una discendenza di tulku (lama reincarnato numero uno, poi la vita successiva, la vita successiva, la vita successiva ecc.). Prima di tutto è necessario avere una fortissima bodhicitta. Bodhicitta è la motivazione per la quale tutta la nostra mente, il nostro cuore e la nostra energia sono concentrate verso l’obiettivo di diventare un Buddha per poter essere in grado di aiutare al meglio tutti gli esseri.

La seconda cosa necessaria sono intense preghiere o desideri che in qualche modo spingano la nostra energia al fine di trovarci nelle migliori circostanze per aiutare gli altri. Perché ciò avvenga bisogna volerlo. Qui preghiera si riferisce al dirigere la propria energia verso un certo scopo e quello scopo tornerà nella vita successiva sotto forma di una situazione, una famiglia ecc., nella quale le opportunità saranno quelle migliori per poter aiutare gli altri. Preghiera non vuol dire che preghiamo un Dio o Buddha o qualcuno di esterno. Si tratta semplicemente di indirizzare le nostre energie: “Che io possa avere la chiarezza della mente che mi consenta di comprendere ed aiutare qualcuno.” Non è che lo stiamo chiedendo a qualcuno di esterno. Abbiamo una forte determinazione per svilupparla noi stessi. In realtà non è una cosa così lontana dal nostro modo di pensare. Lo facciamo normalmente. Non è così strano. Ad esempio accade quando siamo stanchi o qualcosa di simile, ma il nostro bambino ha bisogno di noi, ed in un certo senso, grazie a questo forte desiderio, siamo in grado di recuperare le nostre energie. Magari non formuliamo quel desiderio in maniera conscia, ma diciamo: “Mi devo occupare del mio bambino.” Raccogliamo le nostre energie. E’ una forte intenzione indirizzata verso un obiettivo. E’ proprio questo ciò che si intende per preghiera dal punto di vista del Buddhismo tibetano.

Quindi c’è bisogno di questa forte motivazione di bodhicitta e di preghiera. E la terza cosa è una certa capacità o livello di abilità, o nella pratica tantrica dello stadio di generazione, il che vuol dire riuscire a fare ciò che abbiamo descritto al livello di immaginazione, o in quello dello stadio di completamento, che vuol dire riuscire a farlo effettivamente con il nostro sistema di energia. E questo è sufficiente per essere in grado di fare questa pratica al momento della morte, ed avere un certo controllo sulla propria rinascita. Questo è sufficiente.

Quindi non è necessario essere un Buddha per essere in grado di farlo. Non è neppure necessario avere la comprensione diretta della vacuità o realtà. Naturalmente bisogna avere una certa comprensione, ma non la realizzazione diretta non concettuale della vacuità. Essere in grado di generare una discendenza di tulku non è quindi così difficile, perché ce ne sono circa un migliaio nella famiglia del Buddhismo tibetano, ed i più conosciuti sono il Dalai Lama, il Karmapa e così via.

Se si analizza quanto detto, probabilmente il prerequisito più difficile è una piena ed intensa bodhicitta. Questo è probabilmente l’aspetto più difficile. Quando davvero tutto è indirizzato all’ottenimento dell’illuminazione: “Devo diventare un Buddha per aiutare gli altri. Devo riuscire ad ottenere controllo sulle mie rinascite.” Perché è quello che ci consentirà di superare la paura al momento della morte, ciò che in generale fa sorgere ansia nella maggior parte delle persone causando la perdita di controllo. Potremmo avere una grande abilità tecnica nel fare le visualizzazioni o perfino nel manipolare il nostro sistema di energia, ma senza quella bodhicitta, al momento della morte, possiamo ancora spaventarci e perdere il controllo. Se al contrario il nostro cuore è così commosso dalle difficoltà che le persone devono affrontare nel mondo, tanto che la nostra mente è completamente pervasa dal pensiero “devo mantenere la calma durante il processo della morte,” allora riusciremo a farlo e ad aiutare gli altri. Allora non avremo paura al momento della morte, paura che, nonostante la nostra abilità tecnica, ci farebbe sentire persi e senza essere in grado di fare nulla. E facciamo molte preghiere, il che vuol dire cercare sempre più di indirizzare la nostra energia in quella direzione: “Che io possa essere in grado di fare questo. Devo raccogliere le mie energie per riuscirci.”

Ottenere il controllo sulle situazioni quotidiane

Potremmo guardare a questa lezione come a una serie di interessanti informazioni sul sistema sociale tibetano dei tulku. Oppure potremmo prenderla da un altro punto di vista, comprendendo che sono aspetti di grande importanza che possiamo applicare a noi stessi, perché ci danno un’idea chiara di come sia possibile superare la paura. Il modo per superare la paura è bodhicitta ed intense preghiere.

Ad esempio la nostra casa potrebbe andare a fuoco e noi potremmo avere grande paura del fuoco, ma nostro figlio è intrappolato dentro casa. Se il bambino ci è estremamente caro, anche se il fuoco ci spaventa, non lo temiamo, superiamo la paura. Questa situazione è simile all’esempio nel quale si raccoglieva l’energia all’interno e poi la si emanava verso l’esterno: si fa un grosso respiro e si torna padroni di se stessi poi si fa in modo che questa energia esca fuori, si corre dentro il fuoco per salvare il bambino. E’ simile al processo della morte. E non c’è bisogno di una situazione così traumatica come un fuoco per riuscire a fare questo nella nostra vita.

Ci sono molte situazioni che ci spaventano e che dobbiamo affrontare nella vita, semplici situazioni che in molti devono fronteggiare. Vi nasce un bambino. La prima volta che lo tenete in braccio, la prima volta che lo portate a casa, siete terrorizzati: “Non so cosa fare, ho paura che mi cada per terra.” Ma ciò non vuol dire che non superate questa paura. E come fate a superarla? Con il forte desiderio di aiutare il bambino. O con qualunque tipo di situazione difficile, al lavoro, in una relazione o qualunque cosa, spesso c’è della paura e quello di cui si è parlato ci indica il modo per superarla, per poterci emanare nel modo migliore affinché possiamo essere di aiuto in quella situazione. Diamo forma alla nostra energia, e nel farlo, diamo forma a ciò che facciamo effettivamente con il nostro corpo fisico. Quindi lavoriamo ad un livello sottile e poi ad un livello più grossolano. Siamo in grado di dare forma alla nostra energia ritrovando la padronanza di noi stessi attraverso una qualche percezione della realtà: “Non c’è nulla di cui aver paura. C’è questo bambino nella casa” e così via. Allora si è in grado di dare forma all’energia. E per riuscire a fare tutto ciò, dobbiamo prima avere questa forte motivazione: amore, interesse, compassione e così via.

Quindi questo è qualcosa che possiamo imparare dal sistema dei tulku. Non è una cosa che ci è così sconosciuta. C’è un metodo per generarlo.

Relazionarsi ai tulku in occidente

Dobbiamo distinguere chiaramente tra il modo in cui i buddhisti si relazionano con l’insegnante, in questo caso un tulku, e quello proprio del sistema culturale tibetano. La società tradizionale tibetana era medievale. Medievale non vuol dire necessariamente negativa, ma questa era la realtà. I principi fondamentali nella società medievale sono le relazioni tra le persone di differente livello, basate su fedeltà e servizio da una parte, e protezione dall’altra. Questi tulku in Tibet avevano la responsabilità di un monastero o di un distretto. Per la maggior parte erano monaci, ma non tutti; non era necessario essere monaco. Ed anche se per la maggior parte erano uomini, c’erano anche alcune donne. Si trovavano in una posizione simile a quella di un signore medievale, offrivano protezione spirituale e a volte anche protezione materiale alle persone del luogo. Queste andavano da loro a chiedere consiglio ed aiuto per problemi di vario genere, ed il modo in cui si ponevano era quello tipicamente medievale di estrema fedeltà ed obbedienza. Tutto ciò si è mischiato all’insegnamento buddhista sulla relazione con il proprio maestro, visto come un Buddha.

Quando al giorno d’oggi gli occidentali si relazionano con gli insegnanti tibetani, siano essi tulku o meno, è molto importante che seguano ciò che il Buddhismo dice circa questo aspetto, ma non è affatto necessario seguire quel risvolto medievale. Non sto dicendo che le modalità medievali tibetane fossero negative. Funzionavano molto bene nella loro società ma non sono appropriate per la nostra e per la nostra relazione con questi tulku.

Ci sono molte altre cose che si possono dire sui tulku nel contesto della società tibetana. Prima di tutto, come dicevo prima, si può creare una certa confusione. Non tutti sono Buddha, in realtà quasi nessuno di essi è un Buddha, ma questo è un argomento totalmente diverso rispetto a quello per il quale il proprio maestro è visto come un Buddha. E’ un tema completamente diverso e lo discuteremo durante il fine settimana; adesso ne parlerò solo in breve.

Se vogliamo che la nostra pratica buddhista diventi più realistica e concreta, una delle principali cose che dobbiamo avere chiara è la relazione con il nostro maestro. Quando uno vede il proprio maestro come un Buddha, fondamentalmente si tratta di un contratto con quell’insegnante, nel quale diciamo: non importa ciò che egli fa o perché fa questa cosa, ma per me è un Buddha. Significa che tutto ciò che fa il maestro lo prenderò come un insegnamento. Questo non vuol dire che sono diventato un soldato semplice: “Tu sei il generale e io eseguo gli ordini,” ma piuttosto “Tutto ciò che tu fai lo vedrò come un modo per aiutarmi a crescere e a diventare io stesso un Buddha.”

C’è un esempio classico: in una vita precedente il Buddha studiava con un maestro che disse a tutti i suoi discepoli di andare a rubare. Tutti dissero “Va bene, signore!” Uscirono ed andarono a rubare per lui, eccetto il Buddha che invece andò in camera sua. Il maestro andò dal Buddha e gli disse: “Perché non vai a rubare per me? Non vuoi farmi contento?” E il Buddha rispose: “Come può il rubare far contento qualcuno?” Ed il maestro disse: “Ah, tu sei l’unico che ha capito la lezione.”

Pertanto, anche quando l’insegnante ci dice di fare qualcosa di completamente inappropriato e dannoso, a prescindere da quella che può essere la motivazione dell’insegnante, la vediamo come un insegnamento: “Mi sta insegnando a non fare questa cosa.” E ci si deve relazionare in questo modo al proprio maestro sia che questi sia un tulku, e questi in molti casi sono i maestri più conosciuti, sia che il maestro non sia un tulku. Non ha importanza. Il principio di come relazionarsi è lo stesso.

I giovani tulku

Ora qualche parola su come vengono trovati i tulku. Coloro che sono ad un livello estremamente elevato possono effettivamente predire dove rinasceranno e dare delle indicazioni; ad esempio i Karmapa lasciano una lettera. Nella maggior parte dei casi le indicazioni provengono dai sogni di esseri altamente realizzati o da mezzi soprannaturali, come un oracolo che va in trance e dà degli indizi sul luogo in cui si trova il bambino. Oppure c’è un lago in Tibet dove alcuni esseri altamente realizzati si recano e dove vedono apparire determinate visioni. Spesso i Dalai Lama vengono trovati così: alcune visioni appaiono nel lago, ma queste danno solo un’indicazione sul luogo in cui cercare. Quello che è molto importante è che il bambino o la bambina mostri un segno della sua identità. Sua Santità il Dalai Lama dice che questo è il fattore più importante. In genere vengono mostrati alcuni degli oggetti appartenuti al lama scomparso assieme ad altri simili, ed il bambino identifica gli oggetti giusti. Questo è il segno identificativo più affidabile per stabilire chi sia questa reincarnazione, e non soltanto il fare affidamento sui sogni di un oracolo.

A volte gli indizi sono estremamente evidenti come avvenne per il mio maestro Serkong Rinpoche, uno degli insegnanti del Dalai Lama. Egli morì in una certa regione dell’India al confine con il Tibet e rinacque nella stessa regione. Il precedente Serkong Rinpoche era il lama principale di quella zona e tutti avevano una sua immagine in casa. Quando questo bambino fu abbastanza grande da poter parlare, puntò il dito verso l’immagine in casa dei suoi genitori e disse “Quello sono io!” E quando il seguito del precedente lama arrivò presso la sua abitazione per esaminarlo, egli corse tra le braccia del suo passato attendente – conosceva anche il nome di una di quelle persone- e da quel momento volle andare con lui e non mostrò alcun interesse a voler restare con i suoi genitori e la sua famiglia. Aveva tre anni. Questo è l’esempio di un indizio molto chiaro proveniente dal bambino.

Sua Santità dice che l’unica cosa certa che si può dire su questi tulku è che sono bambini nati con un immenso potenziale positivo dalla loro vita precedente. Comunque, affinché in questa vita essi possano riuscire a sviluppare quelle disposizioni ed attitudini, è necessario vi siano circostanze favorevoli. Ricordate, si può dire che quasi nessuno di questi tulku, da un punto di vista oggettivo, sia un Buddha illuminato, a prescindere dal fatto che i propri discepoli li vedano come tale. Questo vuol dire che anche se questi tulku hanno un potenziale positivo, non si sono liberati da tutto il loro karma negativo, e se non vi sono le circostanze favorevoli affinché abbiano un’educazione adeguata e così via, allora questi potenziali positivi non potranno svilupparsi, ed invece quelli negativi si svilupperanno.

A volte troviamo dei tulku che si comportano in un modo assolutamente non buddhista, in vari modi non illuminati. E’ perfino possibile che abbandonino qualsiasi tipo di vita religiosa. Questo non vuol dire che non siano veramente tulku o che non abbiano quei potenziali positivi. Vuol solo dire che le circostanze non erano favorevoli al loro sviluppo. Si può osservare qualcosa di simile per i Buddha. Ci sono molti esempi di Buddha apparsi durante periodi bui quando nessuno era ricettivo verso di loro, e che sono rimasti solo per un momento e poi se ne sono andati. Sicuramente l’apparizione anche di un solo momento avrà avuto un’influenza positiva, ma se fossero rimasti più a lungo sarebbe stato uno spreco di tempo, così sono andati via. Un Buddha non ha alcun karma negativo, quindi non è possibile che qualcosa di negativo potesse sorgere da quelle circostanze negative. Ma possiamo vedere che è simile: sia per un Buddha che per un tulku c’è bisogno di circostanze favorevoli affinché possano svilupparsi ed agire per aiutare gli altri. Questo vuol dire che abbiamo una grande responsabilità verso questi giovani tulku, specialmente verso quelli nati in occidente (e ce ne sono molti adesso). E’ molto importante creare le circostanze favorevoli affinché ricevano un’educazione buddhista adeguata, vengano fatti crescere nella giusta maniera, e così via, così che le loro qualità positive possano svilupparsi.

Bisogna rendersi conto che questi giovani tulku sono bambini. Non sono dei. Il sistema dei tulku non è come quello induista degli avatar, non c’è un piccolo dio o il figlio di un dio. Non è assolutamente così. Piuttosto, questi sono bambini che hanno un grandissimo potenziale positivo ma che, anche se hanno la continuità di un grandissimo potenziale positivo dal loro predecessore della vita precedente, non sono la stessa identica persona con la stessa personalità. Ho avuto il privilegio di conoscere alcuni di questi tulku in due vite, ed una delle cose che i giovani tulku non sopportano è essere trattati come se fossero il loro predecessore. Vogliono essere considerati per quello che sono. Quindi se li trattiamo, è scontato, con grandissimo rispetto, ma diamo loro anche ciò di cui ha bisogno un bambino e cioè una casa stabile, una situazione stabile, una buona educazione e così via, allora le loro qualità positive potranno svilupparsi e tutti noi possiamo trarne grande beneficio.

Devo anche dire che quando a causa di circostanze negative un tulku si allontana dalla vita religiosa, questo non vuol dire che la discendenza dei tulku finisce. Il potenziale positivo proveniente dalla rinascita che ha dato origine alla discendenza è sempre presente. E quindi anche se c’è una sorta di caduta nella vita numero due, o se essi non fanno alcuna pratica meditativa al momento della morte, non fa niente. Grazie alla forza di quel potenziale positivo originario e all’aver acquisito controllo sul sistema, ci sarà una certa reincarnazione in una certa forma che avrà di nuovo quel potenziale positivo che potrà poi essere sviluppato.

Quando pensiamo ad indirizzare le nostra rinascita, potrebbe esserci uno stadio, a seconda del nostro livello di realizzazione, in cui potremmo guidarla in maniera specifica verso una certa famiglia o una certa situazione. Ma in genere non è così. Normalmente la si indirizza verso una situazione che è favorevole in generale, non ha importanza il nome della famiglia. E quando di solito scegliamo una famiglia per rinascere, ecco che interviene la forza delle preghiere per indirizzare intensamente la propria energia “Che io possa rinascere come un bambino in questa particolare famiglia.” Questo è un dare forma all’energia, stabilire una forte connessione, in modo che essa sia parte del meccanismo che consente di guidarla verso una specifica famiglia. Ma bisogna avere una notevole lungimiranza per essere in grado di sapere se quella è veramente una situazione favorevole. E’ molto più sicuro esprimere un generico “Che io possa rinascere in una situazione favorevole, non ha importanza in quale famiglia.” E’ molto più sicuro. Perché se state facendo questa pratica senza la percezione diretta della vacuità, allora c’è ancora attaccamento e quindi la scelta di quella famiglia verrebbe influenzata dall’attaccamento, che potrebbe offuscare il vostro giudizio.

Questo è un punto importante quando si pensa ad agire con compassione, ad aiutare gli altri e cercare di rendere i nostri sforzi il più possibile liberi dall’attaccamento. Possiamo pensare “Che io possa essere in grado di aiutare gli altri portandoli in giro con la mia grossa Mercedes-Benz.” Beh, qui ci potrebbe essere dell’attaccamento. Quindi è meglio aprirsi: “Che io possa essere di aiuto agli altri in qualsiasi modo possibile.” In questo modo si evita il pericolo dell’attaccamento, che deriva dal descrivere la situazione in modo troppo particolareggiato.

Conclusione

Questa è un’introduzione generale al sistema dei tulku, i lama reincarnati. Come dico spesso, non bisognerebbe guardare a quanto detto come ad un’interessante lezione di sociologia su una cultura straniera. Ci dà molto da pensare per quanto riguarda la nostra vita, morte e rinascita. Tutti noi rinasceremo, ed invece di essere proiettati verso le cose in modo compulsivo, come accade per l’attrazione che può esercitare su di noi una partita di calcio in televisione, sarebbe molto più di beneficio avere un certo controllo su questo processo. E non dobbiamo scoraggiarci pensando, “prima di essere in grado di fare ciò devo diventare un Buddha;” è qualcosa che possiamo ottenere in uno stadio molto precedente. Naturalmente non è così facile, ma neppure così distante da essere irraggiungibile. E non ha importanza se nessuno ci cerca o ci riconosce. E’ irrilevante. Ma se abbiamo questo forte desiderio di aiutare gli altri e di trovarci in situazioni nelle quali possiamo aiutare gli altri, allora saremo in grado di affrontare la nostra morte e l’esperienza della morte senza paura, perché abbiamo saldo in mente l’obiettivo di ciò che vogliamo fare nel processo della morte e dopo di esso. E come ho già detto, questo ci può anche aiutare ad affrontare nella nostra vita situazioni in cui abbiamo paura, non soltanto la morte. Quindi tutto ci riporta sempre alla bodhicitta, la profonda determinazione di svilupparci al massimo livello possibile per poter davvero beneficiare gli altri.

Domande e risposte

Avete domande?

Partecipante: Un tulku può assumere diverse forme contemporaneamente?

Alex: Sì, è possibile per un tulku reincarnarsi in varie forme simultaneamente ma ciò accade ad un livello molto alto. Dipende dal livello.

Partecipante: Cosa accade se nascono dei gemelli? Condividono la stessa mente?

Alex: Le menti, o in maniera più specifica, i continua mentali dei gemelli, non sono gli stessi. Se un gemello mangia non è che si riempie lo stomaco dell’altro, non soddisfa l’appetito dell’altro. Hanno continua mentali separati.

Partecipante: quanto dura il periodo del bardo?

Alex: Nei testi si legge che normalmente quello che intercorre tra le incarnazioni è un periodo di bardo che potrebbe essere di sette o quattordici giorni ecc., fino a quarantanove giorni. Ma non necessariamente è un multiplo di sette, potrebbe essere qualunque momento all’interno dei quarantanove giorni. C’è il caso di Serkong Rinpoche, il mio insegnante. E’ rinato esattamente nove mesi dopo il giorno in cui è morto, quindi non c’è stato bardo, o solo per un paio di minuti. Ma è stato esattamente nove mesi dopo quel giorno. Non voleva perdere tempo nel bardo. Nessun riposo. Questo indica una fortissima determinazione. Ci sono altre situazioni in cui dura molto più di quarantanove giorni. Potrebbe durare anni. Nella discendenza dei Karmapa, non ricordo quale numero, c’è stato un periodo in cui sono trascorsi alcuni anni tra le incarnazioni. Anche questo accade. In questo caso viene spiegato che “Beh, hanno preso rinascita in qualche campo di Buddha o in qualche altro luogo dove ciò era di beneficio.” Ci sono esempi di reincarnazioni avvenute prima di nove mesi. Questo è più difficile da capire.

Partecipante: Ma è possibile che il periodo del bardo duri più di quarantanove giorni?

Alex: Tutti assumono una qualche forma dopo quarantanove giorni. Poi se si è un Buddha, allora tutto questo sistema del bardo e così via non è necessario. Possono apparire quando vogliono. Ma se si sta parlando di uno stato precedente alla Buddhità, allora il massimo sarebbe quarantanove giorni e poi si apparirà sotto qualche forma in qualche luogo (non necessariamente in questo mondo).

Partecipante: il Dalai Lama è un Buddha o un tulku?

Alex: Il Dalai Lama è un tulku. Ma, come dicevo, un tulku può trovarsi a molti stadi. Quindi un tulku può anche essere un Buddha. Ora la domanda è: il Dalai Lama è un Buddha? Quale mio insegnante, è un Buddha. Ma oggettivamente è un Buddha? Beh, solamente un Buddha può riconoscere un altro Buddha. Quindi è molto difficile per chiunque si trovi ad un livello ordinario poter dire con certezza: “Questa persona è un Buddha.” Questo vuol dire che la cosa non ha importanza. Voglio dire, in ogni caso non saremmo in grado di riconoscerlo. Ma certamente Sua Santità è uno degli esseri più altamente realizzati che io abbia mai incontrato, e questo è abbastanza.

E’ una domanda molto interessante. Che si riferisca al Dalai Lama o al Karmapa o a chiunque altro, è una domanda interessante. Sono veramente dei Buddha? Noi occidentali abbiamo la tendenza a voler rendere le cose molto concrete. Ad esempio, potremmo analizzare un testo tibetano, un testo buddhista e dire: “Cosa vuol dire?” Un insegnante tibetano risponderebbe: “Beh, da questo punto di vista vuol dire questo. E se lo interpretate da quel commentario, vuol dire quest’altro. E a questo livello vuol dire questo” e vi illustrerebbe un’ampia gamma di possibilità di significati. E allora noi occidentali diremmo: “Ma cosa vuol dire veramente?” Credo che questo provenga dall’educazione religiosa occidentale per la quale c’è un solo Dio, una sola verità: “Così è.”

In un modo simile quando si dice: “Ma allora, questa persona è veramente un Buddha?” Questo va compreso nel contesto della vacuità, perché tutto dipende dal contesto. Se il punto di vista è che questa persona è il proprio insegnante allora è un conto. Se il punto di vista è quello del proprio livello di realizzazione nel quale il proprio insegnante è visto come questo o quest’altro, allora è un altro conto. Quindi non c’è una risposta definitiva a questa domanda, proprio come non può esserci una risposta definitiva alla domanda “Qual è veramente il significato di questo testo?” E’ una questione analoga. Ed è difficile da accettare per un occidentale. Per questo l’unica risposta può essere: “Non preoccupartene.” Quello che conta è la propria relazione con quell’insegnante e poi il vedere quell’insegnante nel contesto di quella relazione.

Terminiamo con una dedica. Qualunque comprensione o qualunque energia positiva possa derivare da questo, possa essa andare sempre più in profondità ed agire da causa per ottenere l’illuminazione per il beneficio di tutti.

Poscritto, Giugno 2013

Sua Santità il Dalai Lama ha spiegato, con riferimento specifico al suo lignaggio di Dalai Lama, che i membri successivi in un lignaggio di tulku non sono necessariamente membri successivi dello stesso continuum mentale. Persone con una forte connessione con un grande maestro spirituale, che ad esempio sono stati il suo discepolo stretto [maschio o femmina], possono, sulla base di una forte bodhicitta, di preghiere e di un grande accumulo di potenziale positivo, reincarnarsi come tulku quale emanazione di quel maestro. Le loro preghiere, ad esempio, potrebbero aspirare a proseguire il lavoro di quel maestro spirituale.

Così, se accade che grandi maestri spirituali si reincarnino in vari corpi più o meno allo stesso momento (negli aspetti di corpo, parola e mente), questi tulku sarebbero indubbiamente esseri individuali con continua mentali individuali. Sarebbero tutte persone con una forte connessione spirituale con quel maestro ed avrebbero l’intenso desiderio di proseguire il suo lavoro spirituale.

Inoltre Sua Santità ha spiegato che quando alcuni lignaggi di tulku sono considerati emanazioni di Avalokiteshvara, Manjushri, Amitabha e così via, possono essere effettivamente emanazioni o possono essere semplicemente dei tramite della forte ispirazione proveniente da questi Buddha, che agiscono per loro conto in questo mondo. (TRATTO DAL SITO: http://www.berzinarchives.com/web/it/archives/approaching_buddhism/teachers/spiritual_student/directing_rebith_tibetan_tulku_system.html che devotamente ringraziamo per la sua compassionevole gentilezza verso tutti gli esseri che soffrono in questa dolorosa esistenza samsarica.)