La retta parola

bh1 – I tre addestramenti e l’ottuplice sentiero nella vita quotidiana. Prima sessione: la scienza e la filosofia buddista come contesto; la retta parola.

Alexander Berzin, Kiev, Ucraina, Giugno 2013.

Grazie mille per la vostra gentile presentazione. Sono molto felice di essere qui a Kiev ancora una volta.

Introduzione

Scienza, filosofia e religione buddhista

Quando Sua Santità il Dalai Lama parla ad un pubblico generale, opera una certa distinzione che credo sia molto utile. Parla di tre divisioni: scienza buddhista, filosofia buddhista, e religione buddhista.

Quando si parla di scienza buddhista, si sta parlando della scienza che riguarda le emozioni, il funzionamento della mente, di ciò che egli chiama igiene mentale ed emozionale. Il Buddhismo possiede un’analisi molto dettagliata di tutti i vari stati emozionali e del loro funzionamento, di come sono connessi, ecc.

Vi sono inoltre:

La scienza cognitiva, ovvero come funzionano le nostre percezioni, la natura della coscienza stessa (che cos’è?), i vari tipi di addestramenti per aiutarci a sviluppare la concentrazione.

Un’analisi piuttosto dettagliata della cosmogonia – come ha origine l’universo, come si mantiene e termina.

Un’analisi dettagliata della materia e dell’energia, delle particelle subatomiche, ecc.

La medicina e il modo in cui lavorano le energie all’interno del nostro corpo.

Tutto ciò rientra all’interno della sfera della scienza buddhista. E’ qualcosa da cui ognuno può trarre insegnamento, profitto o beneficio, e il Dalai Lama tiene spesso discussioni con gli scienziati su questi temi.

Vi è poi la filosofia buddhista, la seconda divisione, e questa include temi come:

L’etica, quindi la discussione sui valori umani fondamentali, che non sono necessariamente relativi ad una particolare religione. Chiunque può trarre beneficio da questi valori fondamentali, come la gentilezza, la generosità, ecc.

Vi è una presentazione molto dettagliata della logica e della metafisica. Questo ha a che vedere con la teoria degli insiemi, universali, particolari, qualità, caratteristiche, in che modo lavorano assieme e in che modo noi ne abbiamo conoscenza. Questo genere di cose.

Un’analisi dettagliata del principio di causalità, di causa ed effetto, e della comprensione di base della realtà e del modo in cui le nostre proiezioni mentali la distorcono.

Quindi, l’intera sfera della filosofia buddhista non è necessariamente limitata ai soli buddhisti. Si tratta, nuovamente, di qualcosa da cui tutti possono trarre beneficio.

La terza divisione infine è quella della religione buddhista. Questa è la sfera effettiva della pratica buddhista, essendo relativa a questioni come il karma e le rinascite, le pratiche rituali (come la recitazione di mantra, le visualizzazioni, ecc.). Si tratta pertanto dell’effettiva sfera della religione buddhista e di quanto è specifico per chi segue il sentiero buddhista.

Se pensiamo in termini di questa triplice divisione – scienza, filosofia e religione buddhista – possiamo esaminare il modo in cui l’argomento di cui stiamo trattando, i tre addestramenti, si inserisce in tale contesto.

I tre addestramenti

Quali sono dunque questi tre addestramenti?

Il primo addestramento è nell’auto-disciplina etica (tshul-khrims). Questo significa astenersi dai comportamenti distruttivi, dunque la disciplina che ci conduce effettivamente a far ciò, a cessare di agire in modo distruttivo (fondamentalmente in modo auto-distruttivo), impegnarsi in atteggiamenti costruttivi, e avere la disciplina di aiutare gli altri. Questo è il primo addestramento, la disciplina, ma si tratta di una disciplina etica e di un’auto-disciplina etica. Non è che stiamo provando a disciplinare gli altri, non è come se stessimo addestrando il nostro cane.

Il secondo addestramento è nella concentrazione (ting-nge-‘dzin), e si tratta di fare in modo che la nostra mente sia concentrata così da non avere costantemente divagazioni mentali, con tutte le sorti di pensieri irrilevanti. E quindi la nostra mente non è presa dal torpore; è acuta e concentrata. Inoltre, è necessario ai fini della concentrazione avere anche una stabilità emotiva, in modo tale da non essere sconvolti emotivamente dalla collera o dall’attaccamento, dalla gelosia, o da nulla del genere. Abbiamo quindi bisogno di una stabilità mentale ed emozionale.

Infine il terzo addestramento riguarda la consapevolezza discriminante (shes-rab). Consapevolezza discriminante: dobbiamo comprenderne il significato. Suona come un termine tecnico non è vero? Ma si tratta della capacità di distinguere o differenziare tra ciò che dev’essere accettato e adottato e ciò che va invece respinto. E’ come, ad esempio, quando si va a fare la spesa e vi è tutta una sezione di verdure che si sta per comprare. Si distingue in questo modo: “Beh, questa non sembra molto buona. Quell’altra sembra buona.” Così si fa una distinzione tra loro: quale è da accettare, quale va respinta.

Ma questa consapevolezza discriminante può essere di un livello molto più profondo dell’acquistare semplicemente verdure. Abbiamo questa consapevolezza discriminante:

  1. in termini del nostro comportamento: quale sia un comportamento appropriato, quale inappropriato a seconda delle circostanze, delle persone con cui stiamo, ecc.

  2. e, più in profondità, distinguere la realtà dalle nostre proiezioni di fantasia.

Dunque questi sono i nostri tre addestramenti nell’auto-disciplina etica, nella concentrazione e nella consapevolezza discriminante. Ora, questi addestramenti possono essere presentati semplicemente in termini di scienza e filosofia buddhista, il che li rende applicabili e appropriati per tutti, oppure possono essere presentati in termini di scienza, filosofia e religione buddhista.

Ciò corrisponde ad uno schema di divisione che a me stesso piace usare quando parlo di ciò che chiamo Dharma-lite e il “vero Dharma” (come Coca-Cola Light/Lite e la vera Coca-Cola). Dharma-lite significa praticare i metodi della scienza e della filosofia buddhista con il solo scopo di migliorare questa vita, e il “vero Dharma” significa adottare tutte e tre (scienza, filosofia, religione) con lo scopo di raggiungere i tre obbiettivi del Buddhismo: una rinascita migliore, la liberazione dalle rinascite, e l’illuminazione.

Quando parliamo di Dharma-lite, io solitamente ne parlo in termini di una preparazione per quello che è il “vero Dharma,” una sorta quindi di passo preliminare. E’ necessario riconoscere “ho bisogno di lavorare sul miglioramento della mia vita ordinaria” per poter pensare poi ad ulteriori obbiettivi spirituali. Ma se pensiamo solo in termini di scienza e filosofia buddhista, non dev’essere necessariamente un preliminare alla religione; può essere assolutamente per chiunque. Ecco questo è il livello a cui vorrei discutere dell’argomento in linee guida generali e di base, fornendo consigli su come si possano usare questi tre addestramenti per migliorare la propria vita. Questo sia che li si veda in termini di preliminari al sentiero buddhista, sia soltanto in generale, per tutti.

Le quattro nobili verità

Ora, nella sfera della filosofia buddhista (suppongo la chiameremo così), abbiamo una presentazione generale del modo in cui lavora il pensiero buddhista. E’ chiamato solitamente le quattro nobili verità, ma potete pensarlo in termini di quattro fatti della vita:

  1. Guardando alla sofferenza e ai problemi che tutti quanti affrontiamo. Questo è il primo. Quindi questo è un fatto: tutti affrontiamo problemi. La vita è difficile.

  2. Il secondo fatto è che questi problemi derivano da cause.

  3. Il terzo fatto è che esiste una cosa come una cessazione, una liberazione dai problemi. Non è che siamo condannati a provarne sempre, e dobbiamo soltanto starcene zitti ed accettare la cosa.

  4. E il quarto fatto è che il modo in cui possiamo liberarci dai problemi è liberandoci dalle cause di questi problemi, e ciò avviene seguendo una sorta di… Solitamente viene chiamato sentiero, ma ci si riferisce ad un modo di comprendere, un modo di agire, di parlare, e così via.

Quindi, se la nostra maniera difettosa di agire e parlare, comunicare, e pensare, sta causando i nostri problemi, dobbiamo cambiarla. Questi tre addestramenti perciò sono parte di quanto dobbiamo fare per liberarci dalle cause dei nostri problemi. E’ una maniera molto utile di comprendere tali addestramenti in quanto spiega il motivo per cui ci si allenerebbe in essi. Se stiamo sperimentando difficoltà nella vita, allora vediamo:

  1. dunque, c’è un problema nella disciplina etica con la quale agisco?

  2. c’è un problema nella mia concentrazione – vago con la mente dappertutto, un caos emotivo?

  3. c’è un problema specialmente nel mio modo di distinguere la realtà dalle mie pazze proiezioni?

E ciò può essere applicato unicamente alla nostra vita ordinaria in questa esistenza, oppure in termini di problemi che potremmo incontrare in vite future, con la rinascita in generale, con le nostre limitazioni nell’aiutare gli altri (con obbiettivi più spirituali quindi). Ma credo che ad un livello iniziale, dovremmo davvero considerare questi addestramenti soltanto in termini di vita quotidiana: come ci possono aiutare? Cosa stiamo facendo per causare i nostri problemi? E cosa possiamo fare per rimediare, quali cambiamenti possiamo attuare? Va bene.

La causa della sofferenza

In generale, da un punto di vista buddhista – nuovamente, filosofia buddhista – diremmo che la causa della nostra sofferenza è la nostra inconsapevolezza. Siamo quindi inconsapevoli. Semplicemente non sappiamo due cose, oppure siamo confusi rispetto a due cose.

La prima cosa di cui non siamo consapevoli è fondamentalmente il principio di causa ed effetto, causa ed effetto rispetto a quello che è il nostro comportamento. Questo per dire che, se proviamo emozioni disturbanti – siamo sotto l’influenza della rabbia o dell’avidità, oppure dell’attaccamento, dell’orgoglio, della gelosia, ecc. – allora agiamo distruttivamente. Urliamo contro alle persone perché siamo arrabbiati, facciamo cose che le feriscono, oppure ci aggrappiamo a loro, e questo causa problemi. E tutto questo, come risultato, ci porta infelicità, non è vero? Quindi questo è il primo problema. Il problema è l’infelicità. E da dove proviene questa infelicità? Proviene dall’aver agito in modo distruttivo a causa di queste emozioni disturbanti: parlando, agendo, o comportandoci in un modo che è totalmente stupido. Giusto? E’ fondamentalmente un atteggiamento auto-distruttivo.

E’ molto utile guardare alla definizione di emozione disturbante. E’ uno stato mentale che, quando sorge, ci fa perdere la nostra pace mentale e il nostro autocontrollo. Urliamo contro a qualcuno in preda alla collera, e questo potrebbe scuotere le persone, oppure non scuoterle (potrebbero magari non sentire quello che diciamo; potrebbero soltanto ridere e pensare che siamo stupidi). Tuttavia noi non abbiamo pace mentale, siamo davvero molto sconvolti emotivamente (la nostra energia è sconvolta), e questo dura anche dopo che abbiamo finito di urlare, ed è un’esperienza spiacevole. E perdiamo l’autocontrollo perché diciamo cose di cui più tardi potremmo pentirci.

Quindi agiamo in tal modo perché:

  • davvero non capiamo il principio di causa ed effetto. Se agiamo in questa maniera, sotto l’influenza di questo tipo di emozioni disturbanti, questo ci renderà infelici.

  • Oppure siamo confusi al riguardo; comprendiamo questo fatto, ma al contrario. Pensiamo: “beh, se urlo a questa persona questo mi farà stare meglio,” il che, ovviamente, non succede mai. Oppure, a causa dell’attaccamento, urliamo contro qualcuno: “perché non mi chiami più spesso? Perché non vieni a trovarmi più spesso?” E questo naturalmente fa scappare via la persona non è vero? Non ci fa realizzare quello che vogliamo. Così siamo confusi a riguardo delle cause e degli effetti.

Il secondo tipo di non consapevolezza, il secondo tema sul quale siamo confusi o che semplicemente non conosciamo, riguarda la realtà. A causa della confusione rispetto alla realtà, acquisiamo atteggiamenti disturbanti. Un esempio di questo è la preoccupazione verso se stessi. Stiamo sempre a pensare a me, me, me e me stesso, e a come dovrei essere. Può essere un atteggiamento molto critico. E quindi poi abbiamo tutta una sindrome di come dovremmo essere perfetti: “devo essere perfetto,” e cadiamo nel perfezionismo, ad esempio. Anche se agiamo in una maniera costruttiva, tentando di essere perfetti e di fare in modo che tutto sia in ordine e via dicendo, è tutto molto impulsivo, non è vero? Sebbene potremmo sentirci temporaneamente felici, questo stato si tramuta molto, molto velocemente in infelicità ed insoddisfazione. Pensiamo ancora: “ma non sono bravo abbastanza,” e allora dobbiamo provare di più e sempre di più e spingerci oltre.

Un esempio semplice è quello di qualcuno che è un perfezionista rispetto alla pulizia della casa. Tale persona è vittima dell’idea sbagliata secondo cui potrebbe in qualche modo avere il controllo su tutto e tenere tutto in ordine e pulito. Beh, è una cosa impossibile, no? Pulisci tutto, cerchi di fare in modo che sia perfetto, e ti senti molto bene, e poi tornano a casa i bimbi e rovinano tutto, e allora sei scontento e devi pulire di nuovo. E’ impulsivo, non è vero? E ogni volta che provi infine un po’ di felicità, “Ahh, ora è in ordine,” questa se ne va velocemente, non è così? C’è sempre un posto che hai mancato di pulire.

E dunque, reiterando questi stati mentali, che si tratti di emozioni disturbanti o di un atteggiamento disturbante, e reiterando questo tipo di comportamento impulsivo, si ha quella che chiamiamo sofferenza onnipervasiva. La sofferenza onnipervasiva tratta di come noi costruiamo le nostre abitudini rispetto a tutto questo e in tal modo perpetuiamo i nostri problemi, che si ripetono più e più volte, in quanto abbiamo creato un’abitudine tale di pulire costantemente, oppure costantemente perdere la nostra calma.

E questo incide anche sul nostro corpo. Siamo sempre arrabbiati, e via dicendo, e quindi abbiamo la pressione alta, e ci viene un’ulcera dalla preoccupazione, e questo genere di cose. Oppure si è un perfezionista, tutto dev’essere pulito e in ordine, e allora si è sempre tesi, non è vero? Non si è mai rilassati, perché si pensa: “oh, devo stare in guardia nel caso entri dello sporco.”

Quindi ciò di cui abbiamo bisogno sono questi tre addestramenti:

· Abbiamo bisogno della consapevolezza discriminante per liberarci da questa inconsapevolezza, da questa confusione. Ad esempio, è impossibile avere il controllo sullo stato di ordine e di pulizia della casa. E’ una cosa impossibile. E quindi c’è bisogno di differenziare, di distinguere tale fantasia per la quale tutto in qualche modo può essere perfetto e sotto controllo e “Io sono la persona in grado di controllarlo.” Si deve vedere che questo è assurdo; non si riferisce alla realtà. Voglio dire, naturalmente si cerca di tenere la propria casa pulita, ma non si pensa: “devo farlo in modo che non si sporchi mai.” Ovviamente si sporcherà. Si è quindi più rilassati. Perciò, questa consapevolezza discriminante si pone tra ciò che è la realtà, “ovviamente si sporcherà, nessuno può controllarlo,” e la fantasia. I testi usano l’esempio del tagliare un albero. E’ come l’ascia affilata che taglia la nostra confusione.

· Tuttavia, per tagliare un albero con quest’ascia, è necessario colpirlo sempre sullo stesso punto, e dunque questa è la concentrazione. Se la nostra mente sta vagando ed è distratta e via dicendo, allora perdiamo la consapevolezza discriminante. Anche se siamo sconvolti emotivamente perdiamo questa capacità discriminante. Abbiamo quindi bisogno della concentrazione per colpire lo stesso punto con l’ascia.

· Ma per poter usare quest’ascia, dobbiamo avere forza, se non si ha la forza, non si è neanche in grado di tirarla su; e tale forza proviene dall’auto-disciplina, dall’auto-disciplina etica.

Bene, questo è il modo in cui possiamo comprendere questi tre addestramenti nel contesto di ciò che possiamo fare per superare la fonte dei nostri problemi. E come dicevo, possiamo poi applicare questo alle nostre vite ordinarie. Va bene?

Quindi, facciamo una pausa per digerire questo prima di proseguire:

  • Vogliamo usare questa consapevolezza discriminate per distinguere la realtà dalla fantasia, in modo tale che comprendiamo chiaramente causa ed effetto in termini del nostro comportamento e della realtà. Perché quando siamo confusi rispetto a questo, o non realizziamo che questa è la causa dei nostri problemi, con il nostro comportamento e i nostri atteggiamenti ci rendiamo infelici, oppure creiamo quel tipo di felicità che non è mai in grado di soddisfarci, e restiamo quindi insoddisfatti. Come negli esempi, da una parte perdere sempre la calma o tormentare qualcuno: “perché non mi chiami? Perché non vieni più spesso?” E dall’altra essere un perfezionista. Abbiamo bisogno della capacità di distinguere per capire che agire sotto questa confusione causa soltanto problemi.

  • Ma per comprendere ciò e applicarlo, dobbiamo stare concentrati su questo, e quindi abbiamo bisogno della concentrazione.

  • E per essere concentrati abbiamo bisogno di disciplina, in modo che quando la nostra mente si distrae, la riportiamo indietro.

  • E vogliamo applicare tutti questi addestramenti e sviluppare noi stessi al fine di liberarci dai nostri problemi ed essere felici, per migliorare la qualità della nostra vita.

Va bene? Quindi digerite questo per un momento.

Credo che l’intuizione chiave in tutto questo sia che l’infelicità e l’insoddisfazione che proviamo nella vita derivino fondamentalmente dalla nostra confusione. Invece di incolpare per tutti i nostri problemi gli altri e le circostanze, la società, l’economia, o qualunque altra cosa, concentriamoci su di un livello più profondo. Potremmo avere problemi economici, finanziari, e situazioni difficili in famiglia e malattie e via dicendo. Questa è una cosa. Ma qui stiamo parlando di un livello più profondo, ossia del nostro stato mentale nell’affrontare queste situazioni. Potremmo avere un sacco di situazioni difficili, ma qui si sta parlando del fatto di essere infelici in generale, o di provare un tipo di felicità che non è mai durevole e mai soddisfacente, e noi vogliamo qualcosa di migliore, un tipo di felicità che proviene con la pace mentale, e che è durevole.

Potremmo affrontare una situazione difficile con la depressione, essendo totalmente miserevoli. Oppure potremmo affrontarla con più pace mentale, perché vediamo in maniera più chiara cosa sta succedendo, cos’è coinvolto, quali sono i modi per trattarlo, non solamente dispiacendoci per noi stessi. Oppure, sapete come a volte quando si ha un figlio e questo esce la sera, si è davvero molto preoccupati del fatto che torni a casa sano e salvo. E pertanto, nuovamente, è quest’atteggiamento con il quale crediamo di poter in qualche modo avere il controllo sulla sicurezza di nostro figlio, il che è ovviamente una fantasia. E quando torna a casa sano ci sentiamo felici, molto sollevati, ma la volta dopo che esce, ci preoccupiamo di nuovo. Dunque questo tipo di sensazione di tranquillità non è duratura, l’abbiamo resa una tale abitudine che ci preoccupiamo di tutto, e incide sulla nostra salute, ed è uno stato molto spiacevole.

Quindi la vera chiave sta nel comprendere che la causa di tutto questo è la mia confusione. Penso che agire in una certa maniera mi renderà felice. O penso che il mio atteggiamento rispetto alla realtà, che io sia in grado di controllarla, sia corretto, ma non lo è. Dobbiamo quindi tagliare questo, “questo è assurdo,” e restare in questo stato, rimanere concentrati su questo, ed avere la forza di rimanere concentrati sempre.

Bene, ecco questa è un’idea generale dei tre addestramenti.

Domande e risposte

Ci sono domande a proposito di questo prima che entriamo nel merito di cosa siano i tre addestramenti e come ci si alleni in essi?

Partecipante: Puoi dire qualcosa a proposito della sequenza in cui vanno adottati questi addestramenti? C’è una sequenza, o li facciamo tutti allo stesso tempo?

Alex: Vengono presentati in diverse sequenze. Discuterò di questo. Ma l’addestramento di base con il quale si inizia è la disciplina, e quindi si può applicarla. Se si riesce a disciplinare il proprio modo di agire e parlare, allora questo conferisce la forza per essere in grado di disciplinare la propria mente attraverso la concentrazione. Quando si è dunque in grado di utilizzare la concentrazione, si può sviluppare la consapevolezza discriminante.

Ma vi è un’altra presentazione, secondo cui se si è in grado di sviluppare questa capacità di distinguere, allora si agirà e parlerà, e via dicendo, in una maniera corretta. Si acquisisce quindi la disciplina a seguito di ciò. E questo poi porta alla concentrazione. E attraverso la concentrazione, si può ritornare alla consapevolezza discriminante.

In ogni caso, quando ci si è allenati sufficientemente in questi tre addestramenti, si combinano e si applicano tutti e tre insieme allo stesso tempo.

Partecipante: La mia domanda è a proposito della differenza tra perfezionismo ed efficienza. C’è una linea molto stretta, molto sottile, che li separa e differenzia. Ad esempio, se sei un manager ed hai alcune persone attorno a te che stanno lavorando, se non sei un perfezionista potresti non preoccuparti di quello che stanno facendo e quindi in questo modo saresti meno efficiente. Come affrontiamo questa cosa? Come troviamo questo equilibrio tra efficienza e perfezionismo?

Alex: Credo che la differenza tra l’essere efficiente e il cercare di essere un perfezionista abbia a che fare con la preoccupazione per se stessi. Perfezionismo implica tutta quest’idea del “devo essere perfetto,” è un concentrarsi su di me: “devo essere in grado di avere il controllo su tutto, in modo che sia perfetto.” E siccome è basato su questa fantasia per cui è possibile avere il controllo di tutto indipendentemente da tutte le altre cause, circostanze e situazioni, si è sempre tesi. E’ un atteggiamento disturbante per cui, tornando alla definizione, non si ha pace mentale quando si è un perfezionista, perché si è sempre in tensione per il fatto che qualcosa possa andare storto, e allora “lo devo correggere. E se va storto, è colpa mia.” Ed essendo un perfezionista, si tende a perdere il proprio autocontrollo per cui si urla contro ai propri dipendenti se sono in ritardo o se non stanno facendo qualcosa correttamente.

Essere efficiente non ha a che vedere con un atteggiamento superiore del tipo “io, io devo essere perfetto.” Efficiente significa solamente vedere cosa funziona, cosa non funziona, e fare le cose nella maniera ottimale. Ma per essere veramente efficienti, è necessario essere realisti. Ed essere realisti significa sapere che a volte i propri dipendenti si ammalano, a volte i macchinari si rompono, e non si è tesi: “oh, devo averne il controllo.” Si affronta qualsiasi cosa capiti: questo dipendente è malato, allora lo si sostituisce. La macchina si è rotta, “ok, allora oggi non saremo produttivi come gli altri giorni,” e la si fa riparare. Si è quindi molto più rilassati. Questo funziona nel mondo degli affari, della famiglia, della vita personale, e così via.

Qualcuno dietro aveva una domanda.

Partecipante: La mia domanda è a proposito dell’etica. In alcuni testi e libri, ho visto descrizioni di grandi maestri i quali, loro stessi, non si sono comportati eticamente. E paesi differenti hanno differenti usanze. Ad esempio, nell’antica Grecia era normale vivere con un ragazzo giovane, ma la mia domanda non riguarda questo. La mia idea è che forse l’etica è soltanto un modo di escogitare queste diverse categorie e che culture diverse hanno convenzioni differenti. E’ così?

Alex: Beh, hai posto due domande qui.

Primo, rispetto all’aver letto di vari maestri che agiscono in un modo non etico: devi fare una differenziazione tra chi si sta comportando impropriamente perché non è veramente un maestro qualificato, e quindi persone di questo tipo sono maestri offensivi, e certamente vi sono molti esempi di ciò; e quelli che si comportano in una maniera forte per uno scopo specifico, e che sarà di beneficio. Ad esempio, il mio insegnante (Serkong Rinpoche) mi rimproverava sempre e mi chiamava idiota, era praticamente l’unico nome che usava per chiamarmi, perché arrivai da lui con un solido passato all’università di Harvard, dove avevo eccelso, ed ero molto arrogante. Il suo rimproverarmi quindi era in effetti molto, molto utile, perché mi mostrò come davvero fossi un idiota e non fossi così intelligente, e questo mi aiutò molto a sviluppare l’umiltà. Fu perciò molto molto utile. Si comportava in questo modo rimproverante, che potrebbe essere distruttivo in alcuni contesti, ma stava agendo con la motivazione di cercare di aiutarmi. Non si comportava così con la motivazione di essere arrabbiato con me o di volermi ferire. Quindi questa è la differenza.

Ora, riguardo agli aspetti culturali dell’etica, vi sono certe azioni che sono considerate distruttive per natura: ad esempio, uccidere. Consideriamo ad esempio il caso in cui si abbia una cultura che dice che se una persona uccide qualcuno della mia famiglia devo anch’io per vendetta uccidere qualcuno della sua. E secondo questo sistema di etica ciò è corretto, e se non uccido qualcuno come vendetta allora è sbagliato; beh, dal punto di vista di ciò che è naturale, questo è ancora distruttivo. Quest’etica è un po’ distorta su questo punto. Mentre se si è di un’etica culturale per la quale le donne devono indossare sempre il velo in testa, beh, questo indossare un velo non è distruttivo di per sé (è un’azione neutra), e pertanto è specifico della cultura. Quindi, in termini di etica, è necessario differenziare certe cose che sono distruttive per natura da altre cose che sono considerate non appropriate o distruttive solamente all’interno di un dato contesto, e non in un contesto generale.

Nient’altro? Bene. Allora proseguiamo.

Addestramento nella disciplina etica

Quando ci alleniamo in questi tre addestramenti, un modo, od una presentazione, con cui ciò viene fatto è attraverso quello che viene chiamato ottuplice sentiero. Si tratta di otto tipi di pratiche, nelle quali ci alleniamo, che svilupperanno questi tre aspetti: auto-disciplina etica, concentrazione e consapevolezza discriminante. E ciascuna di queste otto pratiche ha un modo scorretto di essere applicata (del quale ci vogliamo liberare) ed una forma corretta o giusta che vogliamo invece adottare.

Quindi, iniziamo con la disciplina etica. Si hanno tre aspetti qui, tre pratiche:

  • quella che chiamiamo retta parola (yan-dag-pa’i ngag), dunque un modo di parlare, comunicare.

  • il giusto confine di, il termine tecnico è il giusto confine delle nostre azioni (yan-dag-pa’i las-kyi mtha’). In altre parole, in che modo abbiamo intenzione di agire? Qual è il limite che non superiamo in termini del nostro comportamento fisico?

  • e quindi il retto sostentamento (yan-dag-pa’i ‘tsho-ba), il modo in cui ci guadagniamo da vivere.

Implicano perciò l’astenersi da un modo distruttivo di parlare, un modo distruttivo di agire, e un modo distruttivo di guadagnarsi da vivere, e l’impegnarsi in un modo costruttivo nel compiere ciascuna di queste azioni, che beneficerà gli altri.

Parola scorretta

Vediamo cosa potrebbe essere considerata la parola scorretta, il tipo di parola che causerebbe infelicità e problemi:

  • il primo è mentire, dire quello che non è vero. Quindi è, fondamentalmente, ingannare gli altri. E qual è il problema qui? Beh, il problema con ciò è che se siamo conosciuti come persone che mentono e imbrogliano e ingannano gli altri, allora nessuno ci crederà; nessuno avrà intenzione di fidarsi di noi. Questa è dunque una situazione infelice, insoddisfacente.

  • Il secondo modo distruttivo di parlare è il parlare in modo da creare divisioni, che significa parlare male alle persone dei loro amici o dei loro parenti. E cosa succede come risultato di ciò? Quando sono con te e ti dico qualcosa, “oh, il tuo amico (il tuo compagno, marito, o moglie) è una persona così orribile” e via dicendo, allora cosa penserai? Penserai: “beh, cosa dirà di me alla mie spalle?” Se diciamo sempre brutte cose sugli altri, nuovamente i nostri rapporti si romperanno. Le persone ci lasceranno, perché penseranno che faremo la stessa cosa e diremo cose brutte su di loro. La motivazione qui, naturalmente, è che vogliamo che esse si separino.

  • Il terzo è parlare in una maniera dura e crudele. Se stiamo sempre ad urlare contro gli altri e ad imprecare contro di loro e a parlare in questo modo molto offensivo, anche gli altri cominceranno a parlare con noi alla stessa maniera. E, a meno di non essere masochisti, nessuno vuole stare con qualcuno che gli urla costantemente contro.

  • E poi il quarto sono le chiacchiere. Se stiamo a parlare tutto il tempo, “bla, bla, bla, bla, bla,” e interrompiamo gli altri, e parliamo assolutamente di niente, di cose senza senso, allora qual è il risultato? Nessuno ci prende sul serio. Le persone pensano che sia soltanto una seccatura stare con noi, stiamo costantemente a parlare, e sprechiamo tutto il nostro tempo, e pure quello degli altri.

Quindi questi sono i quattro modo impropri di parlare:

  • mentire;

  • parlare male degli altri in modo che riusciamo a farli dividere;

  • dire parole dure e crudeli, parole che possono ferire qualcuno;

  • e le chiacchiere, “bla, bla, bla, bla, bla,” solo su cose completamente prive di senso. O può anche trattarsi di pettegolezzi, questo genere di cose: raccontando ogni sorta di cose su altre persone, che non sono affari di chi ci ascolta e neanche nostri.

Retta parola

Dunque quale potrebbe essere la parola corretta con la quale vorremmo applicare la disciplina? La parola costruttiva è quella che si astiene dalle quattro precedenti. Giusto? Quindi il primo livello di disciplina che sviluppiamo è quello per il quale, quando sentiamo di voler dire qualcosa di non vero, o sentiamo di voler urlare contro qualcuno, o soltanto blaterare, riconosciamo che questo è distruttivo, che causerà infelicità, e non lo facciamo.

Non è così facile, perché bisogna sorprendere se stessi nel momento in cui si sente di voler fare quella data cosa, prima che la si faccia impulsivamente. E’ come, ad esempio, quando si sente che si vuole un altro pezzo di torta. Quindi, prima impulsivamente si andava al frigorifero a prenderlo, ora si realizza che “anche se mi sento così, allora? Non lo devo fare. E se lo faccio diventerò solo sempre più grasso. Perciò non lo voglio fare.” E quindi non si va al frigorifero. Voglio dire, a volte abbiamo l’opportunità di farlo. Ricordo l’altro giorno, avevo voglia di un pezzo di torta, per questo sto usando l’esempio, e in casa non ne avevo. Quindi stavo tornando a casa, e iniziai ad andare verso il mio posto preferito dove hanno il tipo di torta che mi piace molto. Ma dal momento che stavo camminando (quindi avevo dello spazio per pensarci), ho detto: “allora, sto cercando di perdere un po’ di peso. E non ho davvero bisogno del pezzo di torta,” per cui poi, disciplina etica, mi sono girato e son tornato a casa. Questo è ciò di cui stiamo parlando in termini di disciplina.

Shantideva, un grande maestro buddhista indiano, usa l’esempio di rimanere come un pezzo di legno quando si sente di voler fare queste cose. Per cui, sento di volerti urlare contro o di dirti qualcosa di brutto, e realizzo che questo mi renderà soltanto scosso, e scuoterà te, e quindi semplicemente non lo faccio. Rimani come un pezzo di legno. Ho voglia di raccontare uno scherzo stupido o fare uno stupido commento, e realizzo che questo è soltanto chiacchierio, e non lo dico. Cose di questo tipo. Va bene?

Questo è il primo livello della disciplina etica, che è quando si sente di voler parlare in uno di questi quattro modi distruttivi, ricordarsi che questo causerà solamente infelicità e problemi, e non lo si fa; non si dice nulla.

Dunque il secondo livello è la disciplina con la quale effettivamente si fa ciò che è costruttivo, dunque parlare in un modo costruttivo, nuovamente, avendo realizzato che ciò porta più felicità, e rende una situazione più armoniosa. Quindi cosa si sta facendo qui? Si sta pensando in termini di causa ed effetto.

Coltivare la retta parola richiede uno sforzo molto cosciente ed una forte determinazione a parlare in modo sincero, gentile, educato, al momento appropriato e nella misura appropriata, e solamente in modo significativo:

  • per cui non si starà costantemente ad interrompere le persone chiamandole continuamente o scrivendo continuamente loro messaggi, e via dicendo, a proposito di quello che si ha appena mangiato a colazione, oppure: “oh, non mi piace ciò che ha detto questa persona,” e via dicendo. Voglio dire, sono chiacchiere senza senso, ed interrompono gli altri.

  • Oppure parlare nella misura appropriata. Noto che ho un problema ad essere paziente con le persone. Qualcuno prova a convincermi di qualcosa da fare con il mio sito web o qualsiasi altra cosa, e me lo spiega una volta, e io dico “va bene, lo farò,” e poi questo continua a provare a convincermi, e va avanti , ma ho già detto di sì a questa cosa. Quindi, questo significa nella misura appropriata: quando la persona accetta, è d’accordo, fine della conversazione; si va avanti con qualcos’altro.

Cerchiamo dunque di essere utili nella maniera in cui parliamo, e di creare armonia invece che divisione.

Ora, ovviamente si deve usare la capacità di distinguere (voglio dire, tutti e tre questi addestramenti combaciano). Quindi, parlare in modo sincero: beh, se qualcuno sta indossando una brutta maglia o un brutto vestito e sappiamo che lo ferirà molto, non gli diciamo “beh, quella è davvero brutta,” oppure “sei terribile.” A volte si dev’essere abili, e nuovamente dipende dalla persona.

Mia sorella era venuta a trovarmi a Berlino. Stavamo uscendo a fare un giro, e si mise una camicetta, e questa le era un po’ stretta e così via. Beh, è mia sorella. Posso dire a mia sorella che “questa davvero è terribile. Dovresti metterti un’altra giacca.” Ma se fosse stato qualcun altro, non avrei potuto dire questo. Quindi, voglio dire, si usa nuovamente la propria capacità discriminante. Quello che puoi dire a tua sorella è un po’ diverso da quello che puoi dire agli altri. Non diresti questo alla tua nuova fidanzata: “è brutta la camicetta che indossi, mettiti qualcos’altro,” quando stai uscendo per un appuntamento con lei, anche se questa sarebbe la verità.

E il linguaggio duro: potresti aver bisogno di dire qualcosa di forte. Diciamo se tuo figlio sta giocando con i fiammiferi, un fuoco, un accendino, qualcosa del genere, devi parlare in maniera forte. Ma non dura. La tua motivazione non è la collera. E la tua motivazione per non dire la verità in termini di “quella è terribile” non è la volontà d’ingannare la persona. La motivazione quindi è molto importante.

Per cui abbiamo la disciplina, la disciplina etica, l’auto-disciplina, per astenerci dai modi distruttivi di parlare, e la disciplina per impegnarci in modi costruttivi.

Altri esempi di parola scorretta

Ora, vi è la presentazione classica di questi modi distruttivi di parlare, tuttavia in un programma che ho sviluppato, chiamato addestramento alla sensibilità, ho esteso l’analisi di essi per includere non solamente il fatto di dirigere discorsi distruttivi verso gli altri, ma anche il dirigerli verso noi stessi nel momento in cui abbiamo a che fare con noi stessi. Quindi dobbiamo pensare, credo, in una maniera più ampia rispetto a questi modi distruttivi, impropri, di parlare.

Il fatto di mentire può anche includere mentire agli altri sui nostri sentimenti o intenzioni, oppure ingannare noi stessi rispetto a quelli che sono i nostri sentimenti o le nostre effettive intenzioni nei confronti dell’altro. Potremmo essere molto carini con qualcuno e parlargli in modo gentile, e così via, dicendo “ti amo” ecc., e potremmo anche ingannare noi stessi sul fatto di pensarlo, ma in realtà quello che vogliamo sono i suoi soldi, o qualcos’altro. Stiamo, in un certo senso, mentendo al riguardo, ingannando. Questo non significa che dobbiamo dire alla persona: “beh, veramente non ti amo, voglio solo i tuoi soldi.” E’ un po’ inappropriato. Ma il punto è esaminare dentro di noi se siamo stati sinceri riguardo a quello che davvero proviamo per qualcuno, quali sono le nostre intenzioni con questa persona, e correggerle se esistono sulla base di un’emozione disturbante: avidità per il denaro, e via dicendo.

Parole che causano discordia: non è solamente dire cose che possano separare qualcuno dai propri amici, ma può anche essere parlare in una maniera così oscena che i nostri amici rimangono disgustati di noi e ci lasciano. Dunque non si tratta soltanto di fare in modo che i tuoi amici ti lascino, ma il modo in cui parliamo è talmente orribile, ad esempio ci lamentiamo in continuazione, che manda via tutti gli altri da noi. Non vogliamo stare con le persone che sono costantemente negative: si lamentano sempre, dicono sempre come tutto sia brutto, e così via. Per cui, allo stesso modo, se siamo sempre così, chi vuole stare con noi? Oppure parlare senza fermarsi in modo tale da non dare neanche un’opportunità all’altra persona di dire niente. Anche questo fa sì che le persone si allontanino. Voglio dire, conosco persone che hanno questo modo di parlare, e non voglio particolarmente stare assieme ad esse. Perciò, se parlo così, nessuno vorrà stare con me. E’ quindi molto importante dire cose belle sugli altri, non [dire] cose brutte e lamentarsi di loro, dire cose belle riguardo agli altri ed essere positivi, non negativi tutto il tempo.

Poi, linguaggio duro. Vogliamo cessare non soltanto di offendere verbalmente gli altri, ma anche noi stessi. Ci sono un sacco di persone che dicono cose terribili a se stesse: “oh, sei così idiota,” “sei così stupido,” “sei così orribile,” “come puoi piacere a qualcuno?” E così via. Dici cose molto cattive. E se le dicessi a qualcun altro, sarebbe molto crudele. Ma è molto crudele dirlo a noi stessi. Certamente non ti rende più felice, non è vero? Quindi, quello che è molto importante è il nostro atteggiamento nei confronti di noi stessi, e il modo in cui trattiamo noi stessi e parliamo a noi stessi nelle nostre menti.

Chiacchiere. Non è solamente sprecare il tempo degli altri e il proprio, interrompendoli con sms e post su Facebook e tweet su cose banali e insignificanti tutto il tempo. Non è soltanto questo, queste sono davvero chiacchiere (ciò spreca il loro tempo; spreca il mio tempo); ma in questa categoria di pettegolezzi, che sono un’altro tipo di chiacchiere, il non tradire la fiducia degli altri, rivelando le loro questioni private ad altre persone. Qualcuno ti dice una cosa in confidenza, che è omosessuale, o che ha il cancro, o qualunque cosa sia, ma la devi tenere per te. “Avevo bisogno di dirlo a qualcuno, ma non dirlo ad altri,” e poi tu vai immediatamente a dirlo a tutti. Queste certamente sono chiacchiere. E’ tradire la loro fiducia.

Ma ora lo vediamo rispetto a noi stessi. Non parliamo indiscriminatamente agli altri delle nostre questioni private: i nostri dubbi, le nostre preoccupazioni, e via dicendo. Non c’è bisogno di condividerli, ad esempio, con i propri figli. Si è un genitore, si ha un figlio piccolo, e gli si dice: “oh, sono così preoccupato. Come farò a guadagnare abbastanza per sfamarci? Come pagherò l’affitto?” Voglio dire, non c’è bisogno di condividerlo con il proprio figlio. Oppure: “oh, ho problemi con il mio ragazzo (o ragazza).” Vi sono persone con le quali ciò non si condivide. Dobbiamo astenerci perciò dal parlare indiscriminatamente a certe persone riguardo ai fatti che sono nostri e di nessun altro, oppure che non sono appropriati.

Quindi, questo è il primo aspetto. Viene chiamato retta parola, parola corretta. Pensate a questo per un momento, e poi avrete forse delle domande. Quando ci pensate, comunque, quello che dovete fare è riesaminare, nella propria mente: in che modo effettivamente parlo con gli altri? In che modo parlo a me stesso?

Va bene. Credo che possiamo anche estendere la cosa ulteriormente fino all’intero argomento del parlare in una maniera appropriata alle persone appropriate, in date situazioni. Vi sono certe situazioni (e certe persone) dove è necessario parlare in una maniera molto educata, e altre situazioni in cui si parlerebbe in una maniera molto informale. Quindi parlare in modo informale in una gruppo dove è necessario parlare educatamente, non è appropriato, non è vero? Mette tutti a disagio. O quando si cerca di spiegare qualcosa ad un bambino, lo si deve fare in un modo in cui il bambino possa capire. Non lo spiegheresti allo stesso modo in cui lo spiegheresti ad un professore universitario.

Domande e risposte

Che domande avete a proposito del modo in cui comunichiamo e della disciplina che sarebbe implicata nell’astenersi dal parlare in modi distruttivi o non appropriati, la disciplina implicata nel parlare in modi costruttivi, e quella implicata nel parlare in un modo che aiuterà gli altri?

Partecipante: La mia domanda riguarda la disciplina stessa. Quando stiamo cercando di allenarci nella disciplina, commetteremo degli errori mentre lo facciamo, per cui la mia domanda riguarda il modo in cui reagire a questi errori, in una maniera sana senza accusare noi stessi.

Alex: Beh, la disciplina implica stabilire dei limiti, che “non ho intenzione di superare.” Per cui, se andiamo oltre il limite, cosa che inevitabilmente faremo, quindi ti imbroglio o ti urlo contro, o qualsiasi altra cosa, allora la prima cosa che dobbiamo fare è renderci conto che abbiamo fatto un errore. Voglio dire, ci sono una serie di antidoti che vengono utilizzati in tal caso:

  • prima lo si deve realizzare, il che significa essere onesti con se stessi.

  • Quindi il pentimento. Il pentimento è molto diverso dalla colpa. Pentimento significa che “vorrei non averlo detto, ma non significa che sono una brutta persona.” La colpa è identificarsi con “sono una brutta persona,” continuare a pensare che “quello che ho detto è stato così brutto,” e non lasciare andare la cosa.

  • Quindi si decide di cercare di non ripeterlo più.

  • E si riafferma la direzione nella quale si sta andando, la propria motivazione quindi, per la quale “voglio evitare di andare oltre quel limite, perché mi rende soltanto infelice; causa problemi.” Si riafferma questo.

  • E poi si applica un antidoto. Per cui, ad esempio, se si urla contro a qualcuno, ci si scusa: si dice “mi dispiace, scusa. Ero proprio di cattivo umore. Mi pento di quello che ho detto. Spero di non rifarlo più.” Quindi si cerca di contrastarlo, neutralizzarlo.

Una cosa molto molto utile come linea guida è, quando si sta chiamando qualcuno… Voglio dire, le persone si mandano sms tutto il tempo e interrompono gli altri, il che è un tipo terribile di parlottio quello di interrompere sempre le persone. Ma se si chiama qualcuno, la prima cosa da dire è: “sei impegnato? Hai un momento? E’ un buon momento?” Si controlla per vedere. Magari sono impegnati. Magari non è un buon momento. Non insistete sul fatto che quello che avete da dire è così importante che gli altri dovrebbero mettere tutto da parte ed ascoltarvi.

Questa abitudine degli sms: ci si arrabbia un sacco se le persone non ci rispondono immediatamente. E’ la stessa cosa: riteniamo che quanto abbiamo chiesto o detto richieda che la persona fermi tutto, lo legga, e risponda. Questo di sicuro non fa bene alla concentrazione, la persona non è in grado di concentrarsi, quindi è distruttivo per l’altra persona e distruttivo per se stessi (perché si pensa: “sono così importante”). Quindi, nuovamente, ci si scuserà con l’altra persona per averle mandato sms totalmente insignificanti, non importanti, e le si dice “ti scriverò solo quando è veramente importante. E, per favore, rispondi soltanto se hai tempo.”

Partecipante: La mia domanda riguarda il fatto di unire, al nostro modo di parlare, la nostra motivazione positiva per aiutare qualcuno. Ad esempio, se la nostra motivazione è quella di portare beneficio all’altra persona, ma è necessario parlare in una maniera poco gentile, sarebbe meglio stare zitti? O dovremmo dire quella cosa che non sarebbe così gentile, ma dirla con una motivazione positiva?

Alex: Oh, senza dubbio è necessario parlare in maniere molto forti in certe situazioni, come ad esempio quando il proprio figlio sta giocando con un accendino.

Partecipante: Il mio esempio non riguarda la persona con la quale sto parlando, ma una terza persona che non è presente. Quindi, se stiamo parlando di una terza persona che potrebbe avere un brutto carattere, dovremmo parlare di lei a questo modo?

Alex: Si tratta di un argomento molto delicato. Ad esempio, vostro figlio adolescente se ne va in giro con amici che si drogano, rubano, o qualsiasi altra cosa, e allora è molto difficile (se parlate male dei suoi amici ad un ragazzo adolescente, di solito si ribella e fa l’esatto contrario di quello che vorreste). Quindi la vostra motivazione di separarlo dai suoi amici è che volete fargli del bene; non è che volete quegli amici per voi e siete gelosi. Affinché lasci i suoi amici, bisogna essere abili nel motivarlo, dicendogli: “beh, come incide questo su di te?” Non è quindi facile.

Credo che in realtà ci si debba concentrare non tanto sul dividere i propri figli dai loro amici quanto dividerli piuttosto dalle cattive abitudini. Il Dalai Lama sottolinea sempre questo punto, ossia come sia necessario differenziare le persone dai loro comportamenti. Dovete differenziare i loro amici come persone, dal comportamento dei loro amici. In questo modo, se riescono a vedere che prendere droghe od ubriacarsi tutto il tempo, e via dicendo, sta avendo un effetto negativo su di loro, allora smetteranno di andare in giro con queste persone, oppure, pur stando con loro, non berranno o prenderanno droghe.

Questo è molto difficile con gli adolescenti, ma ancora più rilevante è il caso di persone che stanno con maestri ingannevoli, o persone che stanno con… Sto pensando all’esempio di un certo tale il quale era un consulente finanziario. E un consulente finanziario fondamentalmente vuole soltanto fare soldi a vostre spese (“beh, se compri quest’azione o se compri questa polizza…” e il consulente prenderà il cinque percento). Quindi, mettere in guardia qualcuno e dirgli “ehi, stanno solo cercando di venderti qualcosa per trarne profitto,” nuovamente la vostra motivazione è quella di aiutare questa persona a non essere truffata. Piuttosto che dire “questa persona è una cattiva persona e vuole soltanto prenderti soldi e ingannarti,” la cosa più intelligente da fare è dire solamente la verità: “qualunque cosa ti vendano, queste persone prenderanno il cinque percento della quota, pertanto è nel loro interesse venderti qualcosa. E’ per il tuo bene cercare di indagare e scoprire, renderti conto, se quanto ti stanno consigliando è appropriato oppure no.” Dunque non si sta dicendo nulla di brutto su quelle persone; si sta solamente dicendo la verità, cioè che il loro scopo principale è trarre profitto e che sono addestrati per essere amichevoli in modo tale che ci si fidi di loro.

E’ come qualcuno che cerca di venderti una macchina usata. Non ci si fida mai. Sono solamente interessati a venderti quella macchina. Non ti diranno cos’è che non funziona. Cercheranno solamente di convincerti, essendo amichevoli e così via, a comprarla. Sta a te provarla. Quindi questo è quanto diremmo: prova.

Un’ultima domanda.

Partecipante: Come capiamo quale sia la nostra vera motivazione? A volte, in alcuni casi, in superficie può sembrare che abbiamo una motivazione positiva nell’aiutare qualcuno, ma nel profondo la nostra motivazione è distruttiva. Quindi come differenziamo le due?

Alex: Sii onesto con te stesso e analizza: osserva sempre più profondamente. E la cosa che è molto, molto utile, è considerare la definizione di un’emozione disturbante: fa perdere la propria pace mentale. Esaminando il modo in cui hai agito o parlato o affrontato una situazione, la tua energia è calma o agitata? Cerca di calmarti in modo da essere sufficientemente sensibile rispetto alla tua energia e vedi: “beh, sono a disagio o no?”

Va bene, terminiamo qui per oggi, e continueremo a lavorare sul cosiddetto ottuplice sentiero domani. Grazie.

(TRATTO DAL SITO: http://www.berzinarchives.com/web/it/archives/approaching_buddhism/introduction/3_trainings_8-fold_path_in_daily_life/session_1.html che devotamente ringraziamo per la sua compassionevole gentilezza verso tutti gli esseri che soffrono in questa dolorosa esistenza samsarica.)