1 – S.S. Karmapa apre l’Incontro di Dharma a Bodh Gaya

Sua Santità Gyalwang Karmapa: E' il Dharma che ho praticato fino ad oggi, l'effettivo, vero Dharma?

Sua Santità Gyalwang Karmapa: E' il Dharma che ho praticato fino ad oggi, l'effettivo, vero Dharma?

Sua Santità Gyalwang Karmapa apre il Terzo Incontro d’Inverno di Dharma Arya Kshema.

Giovedì 14 Gennaio 2016 Monastero di Tergar, Bodh Gaya, Bihar, India. Appunti ed editing del Dr. Luciano Villa, revisione dell’Ing. Alessandro Tenzin Villa e di Graziella Romania nell’ambito del Progetto Free Dharma Teachings per il beneficio di tutti gli esseri senzienti.

In una giornata calda e soleggiata, inusuale in questo periodo dell’anno, s’apre il Terzo Incontro d’Inverno di Dharma Arya Kshema con Sua Santità il Karmapa che fa ingresso nella sala principale del Monastero di Tergar a Bodhgaya, India, offrendo tre prostrazioni al Buddha ed alle statue dei Maestri, come il sedicesimo Karmapa. La sala stessa è gremita da oltre 410 monache di nove monasteri in Nepal, India e Bhutan e da centinaia e centinaia di monaci. Ai lati della sala sono allineati gli osservatori tra cui molte monache e laici provenienti da tutto il mondo. Il webcast in inglese, cinese e spagnolo rende la sessione di questa mattina fruibile a più di due mila ascoltatori sparsi in tutto il mondo. Tra mille peripezie dopo voli infiniti e sconvolgenti fusi orari siamo riusciti finalmente a raggiungere l’albero della Bodhi dove il Buddha raggiunse l’illuminazione ed il Monastero di Sua Santità il Karmapa per ascoltare le sue parole di saggezza.

I partecipanti sono giunti fin qui per ascoltare ogni mattina per quattordici giorni l’insegnamento del Karmapa sul “Prezioso Ornamento della Liberazione” di Gampopa. Lo scopo per cui si tiene questo incontro è di migliorare le abilità di dibattito delle monache attraverso gli insegnamenti e la pratica quotidiana. Come momento culminante di questo incontro formativo, le monache parteciperanno a quattro giorni di sadhane e pratiche rituali: Tara Bianca Che Conferisce Tutti i Siddhi; Karma Pakshi Guru Yoga; le Offerte alle Cinque Sorelle di Lunga Vita (Tseringma), e l’ampio Rituale del Chӧ, Una Ghirlanda di Gioielli composta dal Terzo Karmapa Rangjung Dorje. L’ultimo giorno, il 3 febbraio, le monache si impegneranno in un dibattito formale di chiusura. Inoltre, in un giorno astrologicamente propizio, offriranno una puja speciale per la fioritura del Dharma delle monache.

Questo programma completo di studio, pratica, e dibattito incarna il desiderio del Karmapa che le monache si impegnino e diventare abili nei tre addestramenti della disciplina, la meditazione, e la saggezza. Come Sua Santità il Karmapa ha detto in passato: “Penso che per me sia importante fare tutto il possibile per sostenere gli insegnamenti e la pratica delle monache, per aiutarle a sviluppare l’ascolto, la contemplazione e la meditazione. Quindi, dal profondo del mio cuore, voglio dedicare tanto impegno a questo scopo, secondo le mie possibilità. Ritengo che sia per me appropriato adoperarmi, da ora fino alla fine di questa vita, in accordo con le attività del precedente Karmapa, il che è anche di assoluta necessità nella società contemporanea “.

Oggi, il canto delle monache inizia in modo appropriato con il Sutra del Cuore e la lode della Grande Madre:

La Perfezione della Saggezza oltre la parola, il pensiero e l’espressione,

L’essenza stessa dello spazio non ancora nato ed incessante,

Il reame dell’esperienza della saggezza consapevole della sua natura

Alla madre dei Buddha di tutti e tre i tempi, mi prostro.

Al che ha fatto seguito l’offerta a Sua Santità di un mandala lungo e le sue preghiere personali.

Sua Santità il Karmapa

Dò il benvenuto e ringrazio tutti coloro che sono venuti qui da lontano e da località più vicine e ringrazio coloro che hanno reso possibile l’incontro. Mi complimento con le monache per il loro rapido miglioramento nel breve periodo di due anni e ringrazio loro ed i loro maestri per il loro interesse ed entusiasmo.

Inizio l’insegnamento di oggi sul Prezioso Ornamento della Liberazione, dal Capitolo Nove: la corretta pratica della Bodhicitta. Conferisco ora la trasmissione orale del nono capitolo del testo sulla natura essenziale della bodhicitta ed a seguire l’offerta del tè, quindi inizierò con le sue spiegazioni.

Le ragioni per studiare questo testo sono abbastanza chiare: siamo seguaci di Dakpo Kagyu, l’effettivo lignaggio di Gampopa (che è anche conosciuto come Dakpo Lhaje, il Medico da Dakpo). Inoltre, mentre stava per morire, Gampopa disse ai suoi discepoli: “Voi tutti potreste pensare: ‘La gente del futuro non sarà in grado di incontrarlo.’ Tuttavia ho scritto dei Testi, come “Il Prezioso Ornamento della Liberazione” e “La Preziosa Ghirlanda del Sentiero Supremo”. Il loro studio non è diverso dall’incontrarmi.”

Il lignaggio Dakpo Kagyu è conosciuta come la confluenza della tradizione Kadampa col lignaggio della Mahamudra di Milarepa, essi non si contraddicono l’un l’altro e Gampopa impartì loro insegnamenti privi di errori. In questi giorni, tuttavia, non si presta molta attenzione al lato Kadampa della tradizione e tendiamo a dimenticare il loro insegnamento sui tre tipi di individui. Eppure Gampopa ha dichiarato che la sua capacità di beneficiare gli esseri viventi fosse dovuta alla gentilezza della Kadampa.”

Se saltiamo questi preliminari od il percorso comune e saltiamo ad insegnamenti avanzati, come la Mahamudra, sarà molto difficile che la nostra mente ne venga da loro beneficiata. Iniziamo dunque con la formazione nelle tre tipologie di individui e, gradualmente, lavorando con la nostra mente, miglioreremo noi stessi al punto che saremo ben preparati per entrare nella pratica Mahamudra. In questo modo, il Dharma funzionerà come Dharma (il secondo dei quattro Dharma di Gampopa).

Il Capitolo Nove, L’Adozione Corretta di Bodhicitta, spiega che la bodhicitta è la porta al Mahayana: il nostro ingresso nel Mahayana dipende dall’aver generato o meno bodhicitta, il che è indispensabile. La bodiccitta dell’aspirazione è indistruttibile, pura consapevolezza, la via all’illuminazione, un’intenzione straordinaria, il sentiero agli stadi del bodisattva.

Fin dall’inizio, dobbiamo averla generata e con la bodiccitta si può fare tutto. Dobbiamo sviluppare la piena certezza, una fede incrollabile, il che è vero studiando le Scritture, impegnandosi nella logica, e pensando alle analogie.

Ricordiamoci le Scritture, ad esempio, vediamo il significato sintetico di due importanti sutra. Nel Sutra della Purezza di Maitreya, si dice che la bodhicitta assomiglia ad un diamante: non cambia e, anche se si fosse spezzato in frammenti, sarebbero più brillante d’altri gioielli. Il sutra afferma inoltre che quando la bodhicitta è sorta all’interno di noi, pur senza fare altre pratiche, può diventare un motivo di completo risveglio. Nel Gandavyùha Sutra, si dice che la bodhicitta è il seme di tutte le qualità del Buddha.

Per quanto riguarda i trattati, nel famoso testo di Maitreya “L’Ornamento delle Chiare Realizzazioni”, il capitolo sulla bodhicitta è il primo di tutti i settanta che compongono il testo. Chandragomin, nella Lettera ai Discepoli, parla della bodhicitta come il percorso verso la felicità e la base del Mahayana. I grandi maestri tibetani del passato hanno insegnato nelle loro istruzioni chiave che, se siamo mossi dal desiderio d’emancipazione dal samsara e dalla bodhicitta e sono stabili ed in noi sviluppati, tutte le nostre azioni virtuose diventeranno motivo di onniscienza. Alcuni maestri aggiungono che la bodhicitta non è solo la porta di accesso al Mahayana, ma anche l’ingresso al tantra Mahayana. Riflettendo su queste citazioni dai sutra del Buddha, dai trattati dei maestri indiani, e dagli scritti dei lama tibetani realizzati, possiamo essere certi che non possiamo fare a meno della bodhicitta.

La logica ci dimostra che la bodhicitta è la porta del Mahayana e ne abbiamo parecchi motivi. In primo luogo, dal momento in cui generiamo bodhicitta, non importa quale altra qualità potremmo avere, siamo considerati un praticante Mahayana, e siamo annoverati tra le fila dei bodhisattva, anche se non ci impegniamo nella condotta di un bodhisattva. In secondo luogo, se perdiamo la nostro bodhicitta, non importa quale altra qualità potremmo avere, come ad esempio la comprensione della vacuità, si scende al livello del veicolo fondamentale, poiché, dal momento in cui siamo separati dalla bodhicitta, abbiamo perso il sentiero Mahayana.

Quello che questi ragionamenti ci mostrano è che non è sufficiente che il Dharma sia il Dharma mahayana. È importante che gli individui entrino nel Mahayana. Con una semplice comprensione della bodhicitta rimarremo in una semplice comprensione del Mahayana. Con l’autentica bodhicitta, la nostra pratica sarà l’autentica pratica Mahayana. La vera bodhicitta è la pietra di paragone che determina se siamo o no reali praticanti Mahayana.

I principali testi filosofici offrono lunghe spiegazioni della bodhicitta e non c’è molto da capire da loro, ma, per il bene di pratica, è probabilmente più utile una definizione abbreviata. La Bodhicitta riguarda la nostra capacità individuale, la nostra forza mentale o la volontà, di assumerci la responsabilità per il bene degli altri. Possiamo dire che siamo praticanti Mahayana, ma, in realtà non lo siamo. Il che significa essere mossi dal nostro entusiasmo e dalla capacità di assumerci la responsabilità di aiutare gli altri. Dovremmo verificare se l’abbiamo o no. Se lo facciamo, solo allora apparterremo al Mahayana.

Il prefisso “maha” di Mahayana significa “grande” o “grosso”, ma di solito la nostra bodhicitta è troppo piccola. Lavorare per tutti gli esseri viventi non è facile perché è difficile aiutare un essere, per non parlare di tutti gli esseri. Tutti gli esseri viventi: può sembrare impressionante quando lo diciamo ma la nostra mente non può comprenderne l’idea. Potremmo pensare che noi stessi ci stiamo comportando abbastanza bene, ma in realtà, ha osservato, non siamo grandi come pensiamo. Dimenticatevi di offrire il beneficio ultimo, è difficile persino aiutare a livello relativo.

Quel che possiamo fare è addestrare la nostra mente a diventare forte, in modo che ci possiamo assumere sempre maggiori responsabilità. Questo è lo scopo delle pratiche note come formazione della mente (Lojong) e del percorso graduale. Possiamo paragonare questa formazione a quella di sviluppare la forza fisica. Iniziamo col sollevare tre, quattro o cinque chili, quindi diciotto e così via, costruendo a poco a poco la nostra forza in modo da poter finalmente farcela con cento chili. Allo stesso modo, ci sono delle tappe mentali di pratica quotidiana che sviluppano la nostra bodhicitta ed aumentano la nostra capacità di aiutare gli altri.

È bene che conosciate la storia di un tibetano che aveva un dubbio circa la pratica di Sarvavid Vairochana (Kunrik in tibetano). Nel vecchio Tibet questo era un testo popolare per purificare i reami inferiori, cosicché, quando veniva richiesto un rituale per i defunti, si trattava di solito del Sarvavid, così quasi tutti avevano il testo. L’interrogante chiese al lama se questa pratica appartenesse al veicolo fondamentale (Hinayana) od al grande veicolo (Mahayana).

Il lama rispose: “In generale il testo, ovviamente, appartiene al Mahayana in quanto si tratta di una pratica del Mantrayana segreto.” Tuttavia, il lama era intelligente e guardando attentamente il suo interlocutore, disse: “Ma per due di noi la pratica non appartiene né al grande veicolo e nemmeno a quello fondamentale”. Se il Dharma che stiamo praticando è il Dharma Mahayana o meno, dipende dal fatto che l’individuo sta davvero praticando il Mahayana. Quindi, non è solo una questione di Dharma in sé, ma dipende dal singolo individuo praticarla.

Se dovessimo chiedere a quel che Lama, quale Dharma abbiamo praticato fino ad oggi, cosa direbbe? Se il lama dovesse rispondere: “Non è né il grande Dharma né quello fondamentale”, non sarebbe troppo male, ma, se dicesse “Non è affatto Dharma”, sarebbe problematico.

Quindi dobbiamo chiederci: “E’ il Dharma che ho praticato fino ad oggi, l’effettivo, vero Dharma? Il Dharma è diventato il Dharma?” Non è facile rispondere a questa domanda. Non dobbiamo essere soddisfatti della semplice apparenza del Dharma, con una pratica che riflette le abitudini locali, o peggio, un comportamento falso ed ipocrita. Dobbiamo guardare a noi stessi e vedere se siamo in grado di impegnarci nella effettiva pratica, in cose reali, in ciò che è autentico. Con questa richiesta di verifica concludo l’insegnamento di questa prima giornata.