6 La vita di Millarepa: Iniziazione
Marpa si destò dalla sua meditazione con animo pacificato, e chiese ai monaci di andare subito a chiamare la moglie.
Quando la Madre fu presso di lui, le chiese notizie di lama Gnogpa e degli altri monaci. La Madre gli raccontò di come il lama fosse andato a prendere le reliquie di Naropa, fosse poi ritornato, e avesse incontrato il Grande Mago in lacrime e cercato di confortarlo.
“Sono ancora lì, o lama” disse dolcemente la Madre con gli occhi umidi.
“Così devono essere dei buoni discepoli! Che vengano subito da me, presto!” rispose Marpa, con gli occhi trasognati.
Un monaco andò a chiamare lama Gnogpa e Milarepa, portando la buona novella che la mente del maestro si era pacificata.
Lama Gnogpa era preoccupato per lo stato del Grande Mago, temeva che potesse compiere qualche sciocchezza, perciò disse al monaco: “Non posso lasciarlo solo in queste condizioni, vedi bene come sta. Informa Marpa di questa delicata situazione e pregalo di venire qui.”
Marpa venne informato così nei minimi particolari di come stavano le cose, ed egli, guardando la Madre con volto trasformato, le disse: “Il passato è passato. Ora non c’è più bisogno di agire in questo modo, il Grande Mago è divenuto il primo degli ospiti, perciò ti prego di andarlo a chiamare”.
La Madre quasi non credeva ai suoi occhi e alle sue orecchie. In punta di piedi, umilmente, si avvicinò al suo figlio spirituale e, con il sorriso sulle labbra, gli disse:“Figlio, sembra che le tue sofferenze siano giunte alla fine. Marpa ti prenderà come discepolo. Non credevo ai miei occhi quando ho visto la dolcezza nel suo volto, e ho udito la sua voce colma di compassione mentre parlava di te! Vieni, dunque, andiamo insieme da lui!”
Milarepa non era del tutto convinto. Ancora in preda ad una forte commozione, si chiedeva se tutto ciò fosse vero. Pieno di paura e di incertezza, prese posto insieme agli altri nella fila.
Seduto sul suo seggio, la veste drappeggiata attorno al corpo, il volto luminoso, con voce ferma e serena Marpa parlò: “Cari discepoli, la vicenda del fratello Grande Mago qui presente mi ha fatto riflettere a lungo, ma per quanto abbia considerato le cose sotto tutti i punti di vista, non ho trovato nel comportamento di ognuno di noi alcunché di riprovevole. Per quanto mi riguarda, tutto quello che ho fatto, le prove che gli ho inflitto e la crudeltà con cui l’ho trattato non avevano altro scopo che quello di fargli scontare il suo karma negativo. A questo serviva il lavoro della torre; se si fosse trattato di un vero lavoro, fatto per i miei fini personali, l’avrei trattato con maggiore dolcezza, ma ciò non sarebbe stato di alcuna utilità per lui. Quindi ho agito in maniera giusta, anche se all’esterno il mio comportamento è apparso a qualcuno, non dotato di vista spirituale, crudele. La Madre si è comportata secondo la sua natura femminile, con compassione e bontà d’animo, anche se lo stratagemma della lettera con il mio sigillo e il furto dei gioielli e della reliquia di Naropa siano invece da biasimare. Il lama Gnogpa è stato ingannato, perciò il suo comportamento si può definire corretto sotto tutti i punti di vista. Egli non poteva sapere che la lettera con il sigillo era falsa, e che io ero all’oscuro di tutto. Perciò ha agito correttamente impartendo al Grande Mago l’iniziazione, convinto di fare la cosa giusta. Naturalmente dovrà riportare indietro i gioielli, perché non è ancora giunto il momento per lui di riceverli. Infatti quando sarà il momento è proprio lui che ho designato per averli. Anche il Grande Mago ha agito per il meglio; spinto dal suo intenso desiderio di ottenere il dharma ha cercato con ogni mezzo di ottenere il suo scopo. La rabbia e la violenza del mio comportamento erano solo apparenti ed erano fermamente fondate sul dharma e spero che voi, miei discepoli, lo abbiate compreso. Il mio intento, ispirato dal sogno del grande Naropa, era quello di infliggere al Grande Mago le nove prove, affinché egli potesse ottenere la natura di Buddha in questa vita, senza alcun residuo karmico e senza dover più rinascere in un corpo fisico. Purtroppo, a causa del comportamento debole e del cuore troppo sensibile della Madre, è rimasta ancora una piccola parte di negatività, anche se nel complesso posso affermare che il suo karma, dovuto alle azioni commesse nel campo della magia nera, è stato completamente purificato, grazie ai tormenti maggiori e minori che gli ho inflitto. Perciò, continuò rivolgendosi a Milarepa, oggi per te, Grande Mago, è un giorno felice, perché tutti i tuoi desideri saranno coronati dal successo. Ti accolgo come mio discepolo, e questo è sempre stato il mio desiderio nascosto, da quando tu venisti presso di me, annunciato dal sogno del grande Naropa. Ti impartirò l’iniziazione e provvederò anche al tuo sostentamento, e veglierò su di te durante la pratica. Rallegrati dunque!”
Milarepa non credeva alle sue orecchie. Non riusciva a credere che in fondo al tunnel della propria disperazione la luce intesa e brillante che scorgeva fosse del tutto vera, e temeva di destarsi da un sogno meraviglioso, pieno di promesse. Si prosternò ai piedi del lama, il cuore scosso da un’emozione di felicità, versando lacrime di gioia.
La Madre e tutti i discepoli presenti erano pieni di ammirazione e di devozione per Marpa, il quale aveva dimostrato delle qualità rare di abilità e compassione verso il suo discepolo, degne di un vero illuminato. In questo clima di gioia e di condivisione profonda tutti celebrarono il ganapuja.
La mente e il cuore di ognuno dei presenti erano piene di luce ed amore, ogni contrasto se pur apparente era stato appianato; giunse il tramonto e i vasti cieli si tinsero di rosa, poi di rosso, di indaco, di violetto. I monaci raggianti dalla felicità formarono un grande cerchio, intorno al luogo del sacrificio. Le offerte furono deposte sull’altare, poi Marpa si apprestò ad impartire l’iniziazione a Milarepa.
Con voce solenne gli disse: “Ti do il voto ordinario di liberazione” e gli fece la tonsura, come atto di trasformazione simbolica del corpo.
Poi gli impartì il nome religioso, rivelato anch’esso dal sogno di Naropa, Mila Stendardo di Vajra, conferendogli i voti di novizio laico e i precetti dei bodhisattva.
Marpa consacrò le offerte rituali, poi benedisse attraverso dei particolari mantra il kapala per le offerte interne, dal quale si sprigionò una luce dai cinque colori. Marpa fece l’offerta rituale agli Ydam, poi bevve dalla coppa, quindi la passò a Milarepa, il quale la vuotò fino all’ultima goccia.
Il lama si rivolse al suo discepolo, con il quale sentiva una connessione spirituale sempre più profonda, dicendo: “Un presagio molto favorevole si è manifestato attraverso le offerte interne, il cui nettare purissimo è superiore a quello di tutti gli altri lignaggi tantrici. A partire da domani ti conferirò l’iniziazione al Guhyamantra, che dona il potere di far maturare le verità nascoste”.
La cerimonia riprese all’alba del mattino seguente. La sala comune era ancora avvolta nell’oscurità quando Marpa e alcuni dei discepoli più avanzati iniziarono a lavorare, raccolti intorno a una grande tavola di legno a forma circolare posta di fronte all’altare principale. Utilizzando polveri colorate i monaci si accingevano a disegnare il mandala di Chakrasamvara, in cui dovevano essere raffigurate sessantadue divinità. Alla luce incerta delle candele tracciarono un gesso diviso al suo interno in differenti settori, che nelle ore successive si andarono riempiendo di simboli, allegorie, figure umane e divine. Il lavoro ferveva ormai da alcune ore e la stanza era inondata di luce, i monaci continuavano a disegnare in silenzio e l’unico rumore era quello prodotto dai piccoli imbuti di metallo, vuoti all’interno e seghettati all’esterno, che sfregati l’uno contro l’altro facevano cadere il sottile filo di polvere che lentamente componeva figure e linee. La sala si era andata via via riempiendo nel corso della mattinata e tutti osservavano assorti il paziente lavoro dei monaci.
Milarepa e Dakmema erano seduti nella prima fila, gli sguardi fissi sulle forme che come per magia prendevano vita sotto i loro occhi, ed ecco apparire una divinità, una ruota colorata, un piccolo stupa, la maschera di una divinità irata, il volto ieratico di un Buddha. Come d’incanto tutte le sessantadue divinità emergevano per comunicare con il loro inconscio, risvegliando archetipi profondi.
Indicando il mandala Marpa disse: “Questo mandala che tracciamo con le polveri per poi distruggerlo subito dopo è solo simbolico, il vero mandala non si trova su questa terra, ma lassù”.
I suoi occhi ruotarono verso l’alto, come ad indicare una dimensione trascendente, oltre la visuale ordinaria.
Era pomeriggio inoltrato e il sole filtrava obliquo all’interno della sala comune, creando coni di di luce dorata e porpora.
Il mandala era ormai quasi completato, un enorme cerchio pieno di colori, meraviglioso a vedersi, le fini polveri colorate disegnavano con estrema raffinatezza ogni particolare. Aiutandosi con i testi canonici i monaci stavano dando gli ultimi ritocchi alla loro opera. Limarono qua e là qualche figura, qualche particolare. Dopo un ultimo accurato esame compiuto da Marpa, il mandala era ormai pronto per la cerimonia. Esso sprigionava un altissimo potere spirituale: Marpa era in profonda connessione con le divinità evocate quando conferì al suo discepolo il nome iniziatico di Glorioso Vajra che Ride.
Egli iniziò a leggere il tantra delle istruzioni orali e gli impartì gli insegnamenti di tutte le tradizioni rituali. Poi lo benedisse con l’imposizione delle mani sul capo, dicendogli: “Sapevo sin dal tuo arrivo, caro figlio, che tu eri un discepolo qualificato, degno di ricevere l’istruzione e di realizzarla al livello più alto.
La notte prima del tuo arrivo, infatti, il mio amato maestro, il venerabile Naropa, venne a me in sogno, rivelandomi che tu avresti raggiunto vette eccelse e illuminato con la tua luce il sentiero dei Buddha e dei Bodhisattva, portando grandi benefici a tutti gli esseri. Quella stessa notte la Madre ebbe un sogno simile al mio, ma ancora più simbolico e rivelatore. Ella vide delle fanciulle a custodia del tempio, come segno premonitore che saranno le Dakini le protettrici del tuo lignaggio spirituale. Per questo motivo ti venni incontro, con la scusa di arare il campo. Ti porsi l’orcio pieno di birra, e tu lo
bevesti tutto; poi ti dissi di arare il campo, e tu lo arasti completamente. Questo simboleggiava che la tua comprensione e realizzazione delle istruzioni orali sarebbe stata completa. Inoltre il recipiente di rame che mi donasti era munito di quattro manici, presagio dei quattro discepoli di grande realizzazione spirituale che sarebbero venuti a me. Esso non aveva nessuna imperfezione, segno che il tuo corpo avrebbe assaporato la beatitudine del calore del tumo; il fatto che fosse vuoto indicava che il tuo nutrimento durante la pratica sarebbe stato molto scarso. Lo riempii con il burro delle offerte sacrificali, affinché tu avessi grande prosperità nell’ultima parte della tua vita, e i tuoi discepoli potessero essere saziati con il prezioso nutrimento delle istruzioni orali. Poi lo feci risuonare, affinché l’eco della tua fama si propagasse lontano. Nonostante il mio comportamento verso di te fosse crudele ed il lavoro delle torri improbo, neppure una volta tu generasti pensieri contrari al dharma; allo stesso modo i tuoi figli spirituali possiederanno le virtù di fede, saggezza, perseveranza e compassione, attraverso le quali raggiungeranno la completa realizzazione.
Inoltre essi gradualmente si purificheranno da ogni attaccamento per i piaceri della vita e mediteranno sulle montagne, nella più completa ascesi.
In virtù delle eccelse qualità di saggezza e compassione saranno dei lama perfetti, che renderanno glorioso il lignaggio della nostra scuola. Perciò,figlio mio, gioisci e sii per sempre felice!”
Milarepa, nell’udire questo discorso, le parole di lode e i felici presagi del suo maestro, aveva le lacrime agli occhi per la felicità ed era pervaso da un’estasi indicibile.
Anche la Madre piangeva di gioia, vedendo il suo diletto finalmente appagato nel suo desiderio più profondo.
L’atmosfera era carica di una fortissima energia di pace e contentezza, tutti sorridevano e si complimentavano con Milarepa. La cerimonia volgeva al termine, e tutti gli astanti si raccolsero intorno al mandala, per contemplarlo per l’ultima volta prima che venisse distrutto e dissolto nelle acque del fiume.
Il mattino seguente Marpa condusse il suo discepolo ad una grotta, affinché si dedicasse in modo intensivo alla meditazione. Nella grotta furono sistemate delle provviste, un giaciglio e un seggio per meditare. Poi il foro d’apertura venne sigillato con delle pietre, e riaperto solo per far passare del cibo e dell’acqua. Milarepa vi rimase undici mesi, durante i quali meditò ininterrottamente secondo le istruzioni orali ricevute. Egli poneva sul capo una lampada piena di burro fuso e rimaneva assorto finché la luce non si spegneva.
La sua mente conobbe l’estasi del samadhi, una condizione di profonda beatitudine durante la quale non sentiva né fame, né sete, né sonno.
Un giorno, al termine di questo lungo periodo, Marpa e la moglie vennero a chiamarlo per celebrare insieme a loro la cerimonia del ganachakra. Il lama in persona lo invitò ad uscire dal suo ritiro per trascorrere un po’ di tempo insieme a loro e riprendersi dalla lunga ascesi.
Milarepa iniziò a togliere le pietre, ma all’improvviso si fermò, colto da un senso di smarrimento. La Madre venne a chiamarlo di nuovo, sollecitandolo a raggiungerli, ma Milarepa non riusciva a demolire il foro di apertura, era come paralizzato. La Madre allora lo rassicurò dicendo: “Non preoccuparti, figlio, tutto ciò è normale, è segno che sei in una connessione molto profonda con il Tantra Segreto che ti è stato impartito. Questo dimostra che non ci sono stati errori nella trasmissione e il lama ne sarà di certo assai felice. Ma ora su, figlio, fidati di tua Madre ed esci”.
Milarepa tolse le pietre ed uscì alla luce del sole, alla quale non era più abituato e che lo accecò. Egli si fece schermo con il braccio e, a poco a poco, i suoi occhi ripresero contatto con i colori e le forme del mondo esterno. Il suo sguardo scivolò all’orizzonte, accarezzò i fianchi delle montagne, le ampie vallate, le rocce, i torrenti per posarsi infine sul volto della sua amata Madre, la quale gli stava sorridendo. Presolo per mano lo condusse dal lama, il quale stava preparando tutto l’occorrente per compiere il sacrificio.
Durante la cerimonia Marpa interrogò il suo discepolo, chiedendogli di raccontargli le sue esperienze meditative e di esporgli la comprensione teorica della dottrina che aveva sviluppato durante l’isolamento.
Milarepa era commosso, durante il lungo periodo di ritiro la sua fede e la sua devozione nel lama erano cresciute immensamente, nel suo cuore provava una profonda gratitudine verso di lui per il dono incommensurabile del dharma e per aver aperto il suo occhio spirituale.
Sentiva il desiderio di esprimergli questa emozione intensa del suo cuore, di entrare in comunione profonda con lui.
Iniziò a parlargli di quanto aveva realizzato nella grotta, con queste parole: “Innanzitutto mi inchino al mio guru, al suo sublime insegnamento, alla sua mente di Buddha infinitamente pura; grazie all’azione illuminata del Padre e della Madre, uniti al loro figlio spirituale, e grazie alla loro benedizione colma di compassione e di amore, con umiltà vi offro quel poco di comprensione che è sorta in me in questi mesi. Questo corpo fatto di carne e sangue e percezione della propria coscienza è il risultato della legge dei dodici nessi causali, che hanno come prima origine l’ignoranza, unitamente alla sete dell’esistenza. Per coloro che sanno e che aspirano al nirvana esso è sacro, perché contiene potenzialmente la condizione di Buddha, e dà la possibilità di realizzarla in questa vita. Per gli ignoranti che accumulano atti negativi esso invece porta a rinascere nelle condizioni inferiori dell’esistenza. Il corpo umano in se stesso infatti può essere una straordinaria occasione di guadagno oppure di perdita, può essere rivolto al bene come al male, essendo situato su di una sottile linea di confine tra ciò che è elevato ed infinitamente puro e ciò che è perverso e fonte di dolore e miseria. Sapendo che la liberazione dal samsara, l’oceano di sofferenza fatto di nascita e morte, è di difficoltà estrema, ma confidando nel potere spirituale di voi, mio guru, nella vostra capacità di guidare tutti gli esseri dal buio dell’ignoranza alla luce della consapevolezza, spero di ottenere la liberazione in questa vita. Infatti ho compreso pienamente l’importanza di avere un maestro illuminato, ho preso rifugio nel Lama e nei Tre gioielli e desidero seguire fedelmente gli insegnamenti che il mio maestro mi ha dato e mantenere anche a costo della vita i voti sacri che mi legano a lui.
Soltanto se si medita ininterrottamente sulla fortuna di avere un corpo umano, difficile da ottenere, sull’impermanenza di ogni cosa creata , sulla legge di causa ed effetto e sul samsara si può sperare di domare la propria mente, e per far ciò bisogna seguire senza distrazione il proprio cammino di liberazione. I propri voti sono sacri e vanno custoditi ad ogni costo, se per qualche ragione venissero infranti bisogna rimediare attraverso le pratiche appropriate. Seguendo il sentiero del Grande Veicolo che conduce alla liberazione di tutti gli esseri si genera la mente dell’illuminazione, fatta di amore e compassione.
Quando la visione pura è divenuta stabile, si entra nel sentiero del Veicolo Adamantino. Per ottenere questa visione perfettamente pura è indispensabile un lama qualificato, che conosca le quattro iniziazioni e le trasmetta attraverso le virtù di Saggezza e Compassione. Praticando questi insegnamenti in modo graduale alla fine si raggiunge la meta, e si inizia a meditare sul non-sé. Lo si cerca attraverso il ragionamento, lo studio dei testi, le varie analogie, e alla fine, non trovandolo, si realizza la sua natura vuota.
In conseguenza di ciò la mente diventa tranquilla ed equanime ed entra nello stato del “calmo dimorare”. Permanendo in questo stato per lungo tempo, si sviluppa la forza della consapevolezza. Nell’ esperienza del “calmo dimorare” la mente si manifesta nella sua natura propria, e cioè luminosa, pura, cristallina, vuota di ogni pensiero concettuale. Inoltre possono manifestarsi visioni o apparizioni di divinità o di altre forme, che sono solo il prodotto della pratica meditativa. Tutte le pratiche di meditazione si fondano, sopra ogni altra cosa, sull’amore e sulla compassione per tutti gli esseri. Dalla visione perfettamente pura si accede allo stato non concettuale, nel quale si offrono le proprie preghiere a beneficio di tutti gli esseri. Per realizzare la vacuità bisogna praticare, la teoria è di poco aiuto, come ad un uomo affamato serve il cibo, non la nozione di esso. La pratica condotta senza distrazioni, per lungo tempo, l’accumulo di azioni positive e continue pratiche di purificazione tra una meditazione e l’altra conducono infine alla “visione profonda.”
Ho compreso che queste quattro realizzazioni, e cioè la vacuità, l’equanimità, l’indicibilità e la non concettualità corrispondono alle quattro iniziazioni del sentiero del Mantra Segreto del Veicolo Adamantino.
Tutto ciò che ho esposto è frutto della mia pratica e l’ho sperimentato sul mio corpo, arrivando anche a ridurre drasticamente il cibo, al fine di aver ragione della mente. Questo percorso mi ha condotto in uno stato mentale nel quale tutti i fenomeni avevano per me lo stesso sapore. Amati lama Padre e Madre, vi prego di accettare in dono il frutto della mia realizzazione presente e futura, ed anche la liberazione finale quando avverrà”.
Il lama fu felicissimo di udire queste parole, che confermavano quanto egli stesso aveva intuito sul suo discepolo. Egli era altamente qualificato a realizzare la verità ultima, ne era certo, e stava onorando al massimo gli insegnamenti ricevuti. Anche la Madre era felice di constatare la forza mentale del suo amato figlio, che aveva sofferto così tanto ma stava ora compiendo un cammino esemplare.
Trascorsero la giornata a parlare del dharma, poi il lama e la moglie tornarono alla loro casa e Milarepa si rinchiuse di nuovo nella sua cella.
Qualche tempo dopo Marpa si mise in viaggio per andare a trovare uno dei suoi discepoli principali, di nome Marpa Golegs, nel settentrione della regione centrale.
Una sera, mentre stavano praticando il sacrificio delle offerte rituali, Marpa ebbe una visione. Una dakini splendente si manifestò dinanzi a lui, e gli dette istruzioni circa un insegnamento del suo maestro Naropa, che egli non aveva compreso appieno.
Il lama allora pensò che sarebbe stato bello andare a trovare il suo antico maestro, per discutere con lui della dottrina.
Meditando ancora sul significato della visione, dopo alcuni giorni fece ritorno alla Valle delle Betulle.
Milarepa era sempre in ritiro nella sua grotta, quando una notte ebbe anch’egli un sogno. Una dakini azzurra, splendente, dalle vesti di seta, adorna dei gioielli di osso nei sei punti del corpo, emanava una intensa luce dorata dalle ciglia e dalle sopracciglia. Il suo splendore e la sua bellezza erano tale da condurre all’estasi.
Ella si rivolse all’asceta con queste parole: “Caro figlio, tu sei in possesso delle istruzioni orali e dei Sei Yoga di Naropa, ma c’è una parte dell’insegnamento che ignori, quella riguardante l’eiezione e il trasferimento del principio cosciente, la quale dona la liberazione con un solo istante di pratica. Perciò vai a chiederla al tuo maestro”. Detto questo scomparve.
Milarepa si svegliò in uno stato particolarmente intenso di beatitudine, poi si ricordò del sogno ed ebbe un attimo di esitazione. Non sapeva con certezza se fosse stato visitato dalla splendente divinità femminile, oppure se il sogno fosse un ostacolo sorto sul suo cammino di meditazione.
“Se il sogno è una rivelazione della dakini, devo correre subito dal mio maestro per richiedere queste istruzioni!” pensò il monaco.
Si preparò e tolse le pietre del foro d’entrata per andare a casa del lama.
Marpa fu assai sorpreso di vederlo e gli disse: “Cosa ti ha fatto uscire dal santo ritiro della grotta, figlio? Non sai che potrebbero sorgere potenti ostacoli alla pratica?
“Maestro” rispose Milarepa “ho fatto un sogno, ma non so se è un ostacolo o una importante rivelazione”. E gli espose il contenuto del sogno e le parole della dakini.
Dopo alcuni istanti di riflessione il lama disse: “Il tuo sogno è un messaggio spirituale. In effetti il maestro Naropa stava per trasmettere questo insegnamento quando io dovetti partire dall’India. Lo cercheremo insieme leggendo tutti i testi”.
Maestro e allievo trascorsero alcuni giorni studiando i testi, trovarono qualcosa sulla deiezione del principio cosciente ma nulla sul suo trasferimento.
Allora Marpa si ricordò del sogno avuto mentre era ospite del suo discepolo, e decise che era giunto il momento di fare visita al suo amato maestro.
Il viaggio per l’India era lungo e il lama stava invecchiando, ma si sentiva ancora forte per affrontare i disagi e la fatica pur di rivedere il suo maestro e farsi dare gli insegnamenti.
Così dopo alcuni giorni partì.
Naropa in quel tempo era entrato in uno stadio molto avanzato della pratica, per cui non riceveva nessuno. Lungo il cammino però Marpa ebbe dei segni premonitori del loro incontro, e quindi accelerò il passo.
Lo trovò in ritiro in una fitta foresta, e lo invitò a trascorrere alcuni giorni con lui in un monastero lì vicino, nella località di Phullahari.
Durante quei pochi giorni maestro e discepolo entrarono in uno stato di profonda connessione spirituale. In questo clima di pace gioiosa e beatitudine Marpa pose le sue domande. Naropa lo interrogò: “Ci hai pensato da solo, oppure hai avuto una visione?”
“Maestro, uno dei miei discepoli di nome Milarepa ha ricevuto in sogno la visita di una dakini, la quale gli ha parlato di questo insegnamento”, rispose il lama.
Il volto di Naropa si illuminò: “E’ un vero prodigio! Questo essere è simile al sole che sorge sulle nevi nell’oscura terra del Tibet!” esclamò con voce colma di meraviglia.
In uno stato di estasi chiuse gli occhi e chinò tre volte il capo in direzione del Tibet. Nel medesimo istante tutte le montagne e gli alberi si inchinarono in quella direzione, e rimasero in quell’atteggiamento di venerazione nei tempi a venire.
Naropa impartì a Marpa tutti gli insegnamenti richiesti, poi i due lama si misero ad esaminare tutti i segni premonitori ricevuti. Da essi presagirono che la discendenza filiale di Marpa si sarebbe interrotta presto, ma sarebbe stato proprio Milarepa ad assicurare al maestro una discendenza spirituale più lunga del corso di un fiume.
Poi Marpa iniziò il lungo viaggio di ritorno.
Dopo qualche tempo il figlio di Marpa morì, secondo la profezia.
Passato un anno, i monaci, i discepoli e i figli spirituali, tutti riuniti nella Valle delle Betulle, si preparavano a celebrare una grande cerimonia di commemorazione.
Cantarono mantra e offrirono sacrifici, trascorrendo la giornata in preghiera. Poi i discepoli e i figli spirituali chiesero al lama: “Maestro, vostro figlio era pari ad un Buddha, e noi neanche lontanamente possiamo eguagliare le sue qualità. Dal momento che state invecchiando, vi preghiamo di indicarci come possiamo noi discepoli contribuire alla diffusione della dottrina e in quale modo particolare ciascuno di noi dovrà farlo”.
Marpa rispose: “Nella nostra tradizione spirituale è particolarmente forte il potere dello yoga del sogno. Faremo un rituale adatto a questo scopo, e stanotte ognuno di voi sognerà. Domani mattina dalla loro interpretazione avremo i presagi”.
Così fu. Il rituale fu celebrato, e i discepoli più avanzati praticarono lo yoga del sogno. Tutti sognarono, ma dai loro sogni non emersero segni premonitori. Solo Milarepa fece un sogno asssai simbolico, ed egli con grande devozione lo offrì al lama: “Maestro” disse “ ho sognato che nel nord del paese si innalzava una maestosa montagna innevata, imponente nella sua grandezza e circondata dal sole e dalla luna. Da essa quattro fiumi scendevano nelle quattro direzioni, fluivano verso l’oceano e la loro acqua dissetava tutti gli esseri. Intorno alla montagna sorgevano quattro pilastri, rivolti alle quattro direzioni dello spazio. Il pilastro rivolto ad est era sormontato da un grande leone, dalla criniera turchese, lo sguardo rivolto verso l’alto, che spiccava grandi balzi sulle cime innevate. Sul pilastro rivolto a sud ruggiva una tigre dal bel manto lucente, anch’essa con lo sguardo rivolto al cielo, che spiccava un grande balzo in una fitta foresta di cedri. In cima al pilastro rivolto ad ovest si librava una grande aquila dalle ali spiegate, lo sguardo rivolto verso l’alto, essa prendeva il volo e volteggiava maestosa nell’immenso cielo. Sul pilastro rivolto a nord si librava un avvoltoio, dalle ali aperte, lo sguardo rivolto al cielo, che aveva nidificato su una rupe, nel nido era nato un piccolo, il cielo poi si riempiva di uccellini. Poi l’avvoltoio si librava nell’ immenso spazio del cielo. Maestro, i presagi mi sembrano favorevoli, ti prego ora di rivelarci il loro simbolismo”.
Marpa era felicissimo del sogno di Milarepa, ritenendolo di buon auspicio. Tutti i discepoli principali chiedevano che spiegasse il sogno, così il lama chiese alla moglie di preparare tutto il necessario per celebrare il sacrificio delle offerte rituali, per consacrare quel momento. Poi parlò: “Il simbolismo del sogno è chiaro: il paese al nord è il Tibet, dove si diffonderà la dottrina del Buddha. La montagna innevata è il vostro maestro Marpa, ed anche il sacro lignaggio della nostra scuola. La cima è la dottrina impareggiabile, circondata dal sole e dalla luna che rappresentano la chiara visione, nata dall’incontro della carità e della luce della meditazione. I fiumi sono il simbolo della chiara luce, le cui acque disseteranno tutti gli esseri senzienti. I quattro pilastri sono i miei quattro grandi discepoli, che possiedono rispettivamente la natura del leone, della tigre, dell’aquila e dell’avvoltoio. Il loro sguardo rivolto al cielo significa che la loro visione sarà pura e priva di errori. Essi diranno addio al samsara, attraverso la conoscenza degli insegnamenti orali e la pratica della meditazione. In particolare essi sono: il pilastro rivolto ad est è Tsur-thon di Dol, che ha la natura di un leone; il pilastro rivolto a sud è Gnog-ton di Jung, che ha la natura di una tigre; Il pilastro rivolto ad ovest è Me ton della Tsang Rong; infine il pilastro rivolto verso il nord è Milarepa, la cui natura è simile all’avvoltoio. Per quanto riguarda quest’ultimo possiamo avvalerci anche della profezia di Naropa. Egli insegnerà la dottrina sulle alte montagne del nord, il nido sul dirupo ci dice che la sua vita sarà più dura della roccia, il piccolo nel nido indica che egli sarà senza rivali. Inoltre gli uccellini che volano nello spazio simboleggiano la diffusione della dottrina Kadjupa. Questo sogno è veramente ricco di buoni auspici! Tutti voi, miei amati discepoli, contribuirete a diffondere la perfetta dottrina nei tempi a venire, questa è la mia parola di vecchio”.
Tutti furono felici udendo questi ottimi presagi. Marpa continuò ad istruire i suoi grandi discepoli durante il giorno, e la notte essi si ritiravano a meditare.
Il lama rifletteva sul senso profondo del sogno; una sera dopo che ebbe conferito una iniziazione molto profonda alla moglie Damema, pensò che avrebbe dovuto assegnare a ciascuno dei quattro discepoli un compito specifico da compiere, e per far ciò avrebbe consultato il presagio dell’aurora.
L’indomani mattina, appena il cielo e la corona innevata dei monti iniziarono a tingersi di rosa, andò a visitare i suoi discepoli. Li trovò intenti ognuno in un particolare aspetto della dottrina. Allora in lui sorse la comprensione di quale fosse il compito di ciascuno di loro. Egli riunì i suoi quattro figli spirituali e divise tra loro le sacre reliquie di Naropa e gli insegnamenti: al lama Gnog-pa di Jung dette le istruzioni orali relative alla meditazione estatica, i gioielli e la corona di rubini di Naropa, spronandolo ad insegnare per il bene di tutti gli esseri. A Tshur ston di Dol dette l’insegnamento dell’eiezione del principio cosciente, alcune reliquie del santo Naropa, delle pillole di nettare e i diademi fatti di cinque materiali diversi, ordinandogli di praticare. A Me-ton dello Tsang rong dette l’insegnamento della chiara luce, alcuni oggetti simbolici di Naropa, dicendogli di recidere i legami dell’esistenza condizionata.
Infine a Milarepa dette gli insegnamenti del calore interiore, il copricapo e le vesti di Naropa, dicendogli di andare a vagare tra i ghiacci e la neve delle montagne, e di immergersi nella meditazione. Infine celebrarono tutti insieme il ganachakra, durante il quale il maestro disse ai suoi discepoli: “Ora che mio figlio non c’è più, ho affidato completamente a voi come eredità paterna gli insegnamenti della dottrina Kadjupa, e vi ho trasmesso la mia benedizione. Come io ho insegnato a voi, così voi insegnerete ai vostri discepoli, al fine di diffondere sempre di più il messaggio del Buddha. Voi siete i miei figli spirituali, ai quali ho affidato tutta la mia conoscenza ed anche i vostri compiti specifici. Praticate ed insegnate pieni di zelo per il benessere di tutte le creature”.
Dopo la cerimonia tutti i grandi discepoli partirono, ognuno diretto verso il proprio paese. Rivolgendosi a Milarepa il maestro disse: “Tu rimani ancora un po’ di tempo con me. Ti darò altri insegnamenti e potrai meditare su di essi in completo ritiro”.
Così Milarepa si richiuse di nuovo nella sua cella, e il maestro e la Madre andavano a trovarlo di tanto in tanto portandogli qualche piatto prelibato delle offerte. Tra loro fluiva una corrente di puro amore.
Milarepa rimase presso il lama alcuni anni; egli meditava nella sua grotta senza interruzione, quando una mattina, prima ancora dell’alba, si assopì e fece un sogno.
Sognò di recarsi al suo paese e di trovare la sua antica casa in rovina; al suo interno tutto era distrutto ed alcuni testi sacri erano inzuppati dalla pioggia. I suoi parenti e la sua vecchia madre erano morti, e la sorella Peta vagava qui e là chiedendo l’elemosina. Il campo che la madre aveva avuto indietro dallo zio, dopo la grandine, era incolto, pieno di erbacce.
Milarepa si svegliò di colpo pieno di dolore, di ricordi, di rimpianti.
Che ne era stato di sua madre, di sua sorella, egli le aveva abbandonate senza più preoccuparsi di loro! Sorse in lui il fortissimo desiderio di rivedere sua madre, e proruppe in un pianto dirotto, i singhiozzi scuotevano il suo corpo e le lacrime scendevano copiose sul suo volto, sugli abiti, sul cuscino della meditazione.
La consapevolezza che forse non avrebbe più rivisto la madre, dal momento che doveva già essere molto anziana, il desiderio di riabbracciarla almeno una volta lo indussero ad interrompere il ritiro, a demolire l’ingresso della cella e a dirigersi il più velocemente possibile a casa del lama.
Lo trovò ancora immerso nel sonno. In quell’istante, il grosso disco color arancio fece capolino tra le montagne, e un raggio di luce colpì il viso del lama. La Madre entrò, portando le offerte rituali. Marpa aprì gli occhi e vide il suo discepolo ai piedi del letto, intento a scrutarlo.
“Cosa fai qui?” gli disse, “ perché hai interrotto il ritiro? Ritorna subito alla tua cella!”
Milarepa gli raccontò il sogno e lo pregò di lasciarlo andare per un’ultima volta al suo paese, per riabbracciare sua madre e sua sorella, per rivedere i parenti e per controllare lo stato della casa e del campo. Poi, egli sarebbe ritornato.
Marpa guardò con amore il suo discepolo e gli rispose: “Caro figlio, vedo che molti attaccamenti sono sorti dentro di te. Hai trascorso molti anni nella regione centrale per apprendere la magia, ed anche qui sei stato molti anni. Non t’impedirò di partire, ma devi sapere che difficilmente rivedrai tua madre, e per quanto riguarda gli altri tuoi parenti, dubito che si trovino ancora lì. Il fatto che tu mi abbia trovato addormentato presagisce che noi due non ci rivedremo più in questa vita. Il raggio di sole sul mio capo indica che per mezzo tuo la dottrina del Buddha risplenderà come il sole. L’entrata di Damema con le offerte vuol dire che tu ti nutrirai con il cibo del samadhi. Nei prossimi giorni faremo delle offerte e prepareremo la tua partenza”.
Durante la cerimonia Marpa impartì al suo discepolo diverse iniziazioni ed istruzioni, affinché fosse pronto a compiere la sua missione.
Poi gli impose le mani sul capo in segno di benedizione, dicendo: “Figlio, mi si spezza il cuore al pensiero della tua partenza. Resta ancora qualche giorno con noi, per meditare sugli insegnamenti che ti ho dato”.
Così Milarepa restò ancora qualche giorno presso il suo maestro e la sua amata Madre.
La sera prima della partenza, Dakmema preparò le offerte per celebrare il ganachakra. Era l’ultima sera che trascorrevano insieme, ed erano tutti commossi. Il lama e la Madre erano tristi nel veder partire il loro figlio spirituale, che amavano dal profondo del cuore e che tanti anni aveva trascorso insieme a loro.
Dal canto suo Milarepa non pensava ad una separazione definitiva. Egli voleva solo rivedere la madre e la sorella, poi sarebbe senz’altro ritornato.
Amava il lama e la moglie sopra ogni altra cosa, ma il desiderio che era sorto nel suo cuore sembrava sovrastare tutto.
Quella sera, durante la cerimonia, Marpa fece uso dei suoi poteri di magia bianca per allietare i suoi ospiti ed accrescere la loro fede.
Fece apparire le divinità personali in tutto il loro splendore, poi materializzò alcuni oggetti rituali, le sacre sillabe Om, Ah, Hum, piccole sfere di luce e una serie di altre forme.
Milarepa era affascinato e felice di avere la prova che Marpa era veramente illuminato, anche lui desiderava poter compiere simili prodigi. Al termine della cerimonia, Marpa dette al suo discepolo le ultime istruzioni per la sua pratica. Gli disse di andare a meditare sulle cime innevate, in alcuni luoghi particolarmente sacri. Se avesse praticato con perseveranza, di certo avrebbe ottenuto l’illuminazione per il bene di tutti gli esseri. Essi non si sarebbero più incontrati in questa vita, ma di sicuro si sarebbero riuniti nelle Terre Pure del Buddha.
Poi disse alla Madre di preparare tutto il necessario per la partenza. Quella notte l’avrebbero trascorsa tutti insieme.
Il maestro e Milarepa si coricarono, poi giunse la Madre, in lacrime. Ella era oltremodo addolorata per la partenza del suo amato figlio, l’idea stessa della separazione la faceva impazzire. Marpa la consolò: “Perché piangi, moglie mia? Il nostro amato figlio se ne va a meditare nella solitudine delle montagne innevate. Dovresti piangere per quegli esseri che, pur possedendo la natura di Buddha, muoiono nell’ignoranza. E questo purtroppo accade continuamente”.
“Hai ragione” rispose la Madre “ tu parli con saggezza, ma il cuore sanguina; il nostro figlio maggiore, che aveva realizzato lo scopo più alto, ce lo ha tolto la morte. Mila è il nostro figlio spirituale, obbediente in tutto e senza alcuna imperfezione, ed è la vita che ce lo toglie! “.
La Madre riprese a piangere e a singhiozzare, Milarepa quasi soffocava dal pianto, ed anche Marpa piangeva. Nessuno di loro voleva separarsi dall’altro.
Il mattino seguente, all’alba, Milarepa partì. Il maestro lo accompagnò insieme alla Madre e ad un folto gruppo di discepoli per mezza giornata di cammino. Quando arrivò il momento di separarsi, la Madre gli dette una grande quantità di provviste, abiti e stivali nuovi. Poi lo salutò con queste parole: “Figlio, noi non ci vedremo più in questa vita. Ma voglio che non ti rattristi di ciò, perché pregherò affinché possiamo essere nuovamente insieme nelle terre Pure del Buddha. Ricorda le mie parole, e sappi che ti amo con l’amore di una Madre”. Poi lo abbracciò, in lacrime.
Tutti piangevano. Milarepa non riusciva a frenare le lacrime e si chiese come avrebbe fatto a separarsi da coloro che amava. Si prostrò ai piedi di Marpa e di Damema pregandolo di dargli la loro benedizione, ringraziandoli per tutto ciò che avevano fatto per lui. Come dono verso di loro egli offriva quanto aveva di più prezioso, cioè la propria pratica e la futura illuminazione. Il maestro gli impose le mani per un lungo istante.
Poi, dopo averlo abbracciato a lungo e dopo avergli fatto le dovute raccomandazioni, si rimise in viaggio per la Valle delle Betulle.
Fonte che si ringrazia devotamente per la sua grande gentilezzahttp://www.gianfrancobertagni.it/materiali/buddhismo/magrini.pdf