7 Patrul Rinpoche: Le Istruzioni del Mio Perfetto Maestro.

Patrul Rinpoche: Distruggere una vita è un atto particolarmente crudele.

Patrul Rinpoche: Distruggere una vita è un atto particolarmente crudele.

7 Patrul Rinpoche: Le Istruzioni Orali del Mio Perfetto Maestro.

Una guida ai preliminari del Longchen Nyingthig dello Dzogchen.

Titolo originale: Kun bzang lama’i zhal lung (Dzog pa chenpo longchen nyingthig gi nongdro’i khird yig kun bzang lama’i zhal lung); Insegnamenti orali del maestro Samantabhadra sulle pratiche preliminari Dzogchen della serie “Essenza del cuore della vasta estensione”.

CAPITOLO QUARTO. Karma: il principio di causa ed effetto

Hai rinunciato al male per seguire il bene,

come insegna la dottrina su causa ed effetto.

Le tue azioni si confanno alle diverse parti del Veicolo.

La tua visione è libera dagli attaccamenti.

Maestro impareggiabile, ai tuoi piedi mi prostro.

Questo capitolo merita di essere esposto e studiato con la stessa attitudine degli altri. L’argomento è stato suddiviso in tre paragrafi: sulle azioni negative da abbandonare, le azioni positive da adottare e le qualità universalmente determinanti delle azioni.

  1. AZIONI NEGATIVE DA ABBANDONARE

La rinascita nei reami superiori o inferiori del samsara è determinata dalle azioni positive o negative accumulate. Il samsara stesso è un prodotto di tali azioni e consiste interamente degli effetti di queste ultime. Il nostro destino pertanto non è affidato al caso, ma sono le azioni e niente altro che queste a condizionarlo facendoci pervenire alle dimensioni più elevate o a quelle più infime dell’esistenza. In ogni momento perciò è bene esaminare gli effetti delle azioni negative e positive, cercando di evitare le prime e di perseguire le seconde.

  1. Le dieci azioni negative da evitare

Delle dieci azioni negative da evitare, tre vengono commesse col corpo, ossia uccidere, rubare e avere una condotta sessuale scorretta. Quattro vengono commesse con la parola, ossia mentire, seminare discordia, parlare in modo offensivo e abbandonarsi a chiacchiere inutili. Tre infine vengono commesse con la mente, ossia provare cupidigia, desiderare il male altrui e avere opinioni errate.

UCCIDERE

Uccidere è agire intenzionalmente in modo da togliere la vita ad un altro essere, non solo del regno umano, ma anche di quello animale o di altri stati dell’esistenza.

Un tipo di uccisione causata dall’odio è abbattere un nemico in battaglia. Un tipo di uccisione causata dal desiderio è cacciare un animale per cibarsi delle sue carni o indossarne la pelle. Un tipo di uccisione causata dall’ignoranza è togliere la vita senza avere la cognizione né delle conseguenze, né della natura malvagia dell’atto compiuto. Alcuni tirtika, ad esempio, sacrificano delle vite credendo di realizzare un’opera virtuosa.

Le uccisioni chiamate “atti dalla retribuzione immediata” causano un’immediata rinascita nei regni infernali senza passare per lo stato intermedio. Tre esempi di queste sono: uccidere il padre, uccidere la madre e uccidere un Arhat. (Altri due atti dalla immediata retribuzione sono: causare uno scisma nel Sangha e spargere il sangue di un Buddha.)

L’atto di uccidere non consiste soltanto nel togliere la vita con le proprie mani in modo intenzionale, ma anche, ad esempio, lo schiacciare innumerevoli insetti quando si cammina. In questo senso, nessuno di noi, che sia saggio o ignorante, fragile o potente, è immune da tale fatalità.

Vi sono altri casi di responsabilità indiretta sulle uccisioni di esseri viventi. I lama ed i monaci in visita ai loro benefattori vengono spesso ristorati con carni e sangue di animali appositamente macellati e cucinati. Tale è la predilezione da parte dei religiosi per quelle pietanze, che essi le divorano con gusto senza il minimo rimorso. In simili casi, le conseguenze karmiche della macellazione ricade senza distinzione sia sui benefattori che sui loro ospiti.

I viaggi di ufficiali governativi e di altre personalità di rango sono anch’essi causa indiretta di macellazione di animali, che vengono serviti ai banchetti e ai ricevimenti in loro onore. Le persone agiate di solito uccidono una quantità di bestie, non solo animali selvaggi, ma anche i componenti del loro bestiame, che non muoiono mai di morte naturale, ma vengono macellati uno dopo l’altro secondo l’età. In più, queste stesse bestie uccidono durante il pascolo innumerevoli insetti, mosche, piccoli pesci e rane, inghiottiti con l’erba, schiacciati sotto gli zoccoli o soffocati dai loro escrementi. Le pecore in particolare, si trovano a determinare molteplici cause karmiche negative sia per esse che per i loro proprietari. Esse infatti inghiottono indistintamente qualunque cosa, fra cui anche piccoli animali come rane, serpenti e uccelli appena nati. D’estate, durante la tosatura, gli innumerevoli insetti nascosti nel loro vello periscono in molti modi. Le pecore femmine vengono utilizzate per partorire agnelli e per produrre latte fino a che in vecchiaia vengono macellate per la carne e la pelle. D’inverno, alla nascita degli agnelli, metà di questi vengono immediatamente uccisi. I montoni invece, castrati o meno, vengono macellati appena raggiunta la maturità. Ogni animale ucciso ospita poi innumerevoli pidocchi che periscono assieme a lui. Da tutti questi esempi, si comprende che chiunque possieda un gregge di cento o più animali è certamente destinato ad almeno una rinascita nei regni infernali.

Ad ogni matrimonio, la partenza della sposa e della sua dote dalla casa di origine, così come la loro accoglienza nella famiglia dello sposo, vengono accompagnate da molteplici macellazioni di pecore. Allo stesso modo, ogni volta che la sposa renderà visita ai suoi genitori, altri animali verranno uccisi. Per giunta, quando verrà invitata da amici e parenti a dei pasti in cui la carne non viene servita, lei disdegnerà quelle pietanze, consumandole a fatica come se non sapesse più masticare. Se invece, dopo aver uccisa una grassa pecora, le verrà presentato un grosso mucchio di costole e trippa, quel mostro dalle gote arrossate coscienziosamente siederà dinanzi ad esse e, brandendo il suo piccolo pugnale, le trangugerà facendo schioccare le labbra. Il giorno dopo, come un cacciatore di ritorno dalle sue fatiche, lei si metterà in viaggio trascinandosi il resto della carcassa sanguinolenta: ogni volta infatti che la sposa esce di casa, si fa in modo che essa non resti mai a mani vuote.

I bambini sono a loro volta causa di morte per numerosi animali. Durante i loro giochi infatti, essi li uccidono intenzionalmente o meno. Si pensi solo a quanti insetti soccombono quando d’estate essi vagano per i campi battendo il suolo con una frusta di cuoio o un bastone di salice.

Tutti gli esseri umani, dunque, come degli orchi, trascorrono la vita uccidendo altre creature. Al solo scopo di gustarne le carni, togliamo la vita ad animali che come madri ci hanno servito in tutti i modi nutrendoci col loro latte. Siamo dunque peggio di orchi.

L’atto di togliere la vita ad un altro essere può dirsi completo se sono presenti i quattro elementi che costituiscono un’azione negativa. A titolo di esempio, consideriamo un cacciatore che uccide un animale selvatico. Anzitutto, avvistando un daino, un cervo muschiato o qualunque altra preda e identificando l’animale senza ombra di dubbio, egli ricade nell’elemento base di quell’atto. In seguito, determinandosi ad uccidere un essere vivente, egli ricade nell’intenzione che precede e mette in opera l’atto. Dopo di ciò, egli, colpendo l’animale in un punto vitale, effettua la vera e propria esecuzione dell’atto. Infine, quando le funzioni vitali dell’animale cessano e la congiunzione tra il corpo e la mente della bestia viene troncata, ha luogo il compimento dell’atto di uccidere.

Un altro esempio è la macellazione di una pecora provocata dal suo proprietario per cibarsi della sua carne. Per prima cosa, il padrone di casa si rivolge ad un suo servitore o a un macellaio per eseguire l’atto. La base in tal caso consiste nel fatto che il proprietario è a conoscenza che il suo atto sarà rivolto contro una creatura senziente, ossia, la pecora. L’intenzione, l’idea stessa di uccidere, si manifesta nel momento in cui egli decide che una data pecora piuttosto che un’altra seguirà la sorte da lui stabilita. L’esecuzione concreta dell’atto ha luogo invece quando il macellaio afferra il cappio per catturare la pecora che dovrà essere uccisa e lo lancia sul dorso dell’animale legando le sue zampe con corregge di cuoio. Dopodiché, dopo averla immobilizzata, egli soffoca la pecora con una corda attorno al muso. Nella violenta agonia della morte, l’animale cessa di respirare mentre i suoi occhi sbarrati, versando delle lacrime, si offuscano tingendosi di una sfumatura bluastra. Il suo corpo viene poi trascinato fuori per essere portato a casa del proprietario, dove avvengono le fasi terminali della sua uccisione, ossia, il compimento di essa. Immediatamente la bestia viene scorticata con un coltello mentre le sue carni ancora hanno dei sussulti per la presenza dell’energia che non ha ancora abbandonato il corpo. È come se l’animale fosse ancora vivo. Nonostante ciò, esso viene arrostito sul fuoco o cotto in una pentola per essere divorato. Se si riflettere sul fatto che la pecora viene in pratica mangiata viva, si comprenderà che noi umani non siamo altro che animali predatori.

Supponiamo di avere l’intenzione di uccidere un animale, oppure di affermare di avere in animo di farlo, senza che però in conseguenza di ciò abbia luogo una uccisione effettiva. In tal caso, la base, cioè la conoscenza che il nostro atto è rivolto contro un essere senziente, e l’intenzione, l’idea di uccidere quell’essere vivente, sono entrambi presenti. Perciò, anche se le condizioni successive che determinano l’uccisione concreta non avranno luogo, la messa in atto delle prime due provocherà anch’essa delle conseguenze, seppur meno gravi; mentre l’impronta di tale azione negativa, come un riflesso che appare in uno specchio, certamente rimarrà nel destino della persona che l’ha commessa.

Se invece l’uccisione viene effettivamente portata a termine, si tenga presente che le conseguenze karmiche relative a chi si è solo fatto carico di ordinare quell’atto non saranno meno rilevanti di quelle che toccheranno al suo esecutore materiale. Tutti coloro che a vario titolo ne sono coinvolti, persino chi si è limitato a provare piacere alla vista di ciò che accadeva, ne subiranno le inevitabili conseguenze. Tali effetti karmici, infine, non saranno distribuiti secondo le diverse responsabilità di ciascuno, bensì ogni individuo subirà la pena derivante dall’intero processo dell’uccidere.

RUBARE

Impossessarsi di ciò che non ci appartiene può essere un’azione compiuta secondo tre modalità: impossessarsi con la forza, furtivamente o con l’inganno.

Impossessarsi con la forza. La sopraffazione è l’atto, da parte di persone potenti come re o governanti, di annettersi proprietà o possedimenti senza averne il diritto legale. Ciò può avvenire anche con l’aiuto di numerose persone, come nei bottini di guerra.

Impossessarsi furtivamente. Indica il prendere possesso in segreto, come un ladro, senza essere visti da altri.

Impossessarsi con l’inganno. Implica l’uso di bugie e sotterfugi, come ad esempio l’uso di pesi e misure contraffatti durante un affare commerciale.

Al giorno d’oggi l’inganno o la truffa nel commercio e nelle transazioni finanziarie sono comunemente tollerati finché non ci toccano personalmente o non assumono una evidenza eccessiva. In realtà il profitto ottenuto con la frode è un furto vero e proprio. Allo stesso modo, i lama e i monaci che oggi si dedicano senza alcun ritegno ad attività commerciali, fieri della loro abilità, trascorrono l’intera vita in queste cose debilitando gravemente la loro mente. L’assorbimento in tali occupazioni indebolisce la loro inclinazione allo studio e alla purificazione degli ostacoli alla liberazione, lasciando sempre meno tempo disponibile per queste cose. Durante le ore del giorno fino a notte fonda essi esaminano i loro conti, mentre ogni idea di devozione, rinuncia o compassione si sradica dalle loro menti sopraffatte da costanti pensieri illusori.

Jetsun Milarepa giunse di notte presso un monastero, addormentandosi di fronte alla porta di una cella. Il monaco che viveva all’interno giaceva a letto pensando al modo in cui avrebbe venduto la carcassa di una vacca che avrebbe macellato l’indomani: “La testa mi renderà tanto…la scapola costerà tanto…la spalla tanto…i garretti e gli stinchi tanto…”pensava calcolando il valore delle singole parti esterne e interne dell’animale. All’alba, dopo una notte insonne, egli calcolato che ebbe il prezzo di tutto eccetto la coda, si alzò eseguendo le sue devozioni e le offerte dei torma.

Quando il monaco uscì dalla cella si imbatté in Jetsun che ancora dormiva; sicché, rimproverandolo con disprezzo, disse: “Pretendi di essere un praticante del Dharma e ancora dormi? Non hai recitato o praticato nulla finora?”

Di solito non mi capita di dormire così” rispose Jetsun Mila, “ma il fatto è che ho trascorso l’intera notte pensando a come avrei venduto una vacca che oggi avrei macellato. Mi sono addormentato appena pochi minuti fa.” Così, rivelando la segreta insensatezza del monaco, egli abbandonò il monastero.

I monaci di oggi, simili al personaggio di questo racconto, trascorro la notte e il giorno nei loro interminabili calcoli finché la morte non li sorprende con la mente totalmente immersa nell’illusione. Il commercio inoltre implica una serie di azioni negative correlate. Chi ha da vendere merce scadente, ad esempio, tenta in tutti i modi di mascherare la cattiva qualità dei suoi articoli. A tale scopo, egli è costretto a mentire sostenendo, ad esempio, che un precedente compratore aveva già offerto una data somma, da lui rifiutata, oppure di aver a sua volta acquistato quei beni ad un prezzo esagerato. Tentando poi di accaparrarsi un articolo già conteso fra due acquirenti, egli ricorre alla calunnia per seminare discordia fra le parti. Oppure parla in modo offensivo per screditare la merce altrui o per estorcere un debito. Con le sue chiacchiere insulse egli tenta di ottenere beni a prezzi ridicoli o mercanteggia il prezzo di cose che poi non ha nessuna intenzione di acquistare. Egli invidia e brama le cose altrui tentando di procurarsele ad ogni costo. Si augura la sfortuna dei suoi concorrenti mancando sempre di ottenere il meglio da essi. Se infine commercia in bestiame, egli è anche coinvolto nelle conseguenze relative all’uccisione di animali. Il commercio dunque presuppone il coinvolgimento in tutte le dieci azioni negative, anche se non implica necessariamente quelle relative alle idee distorte e alla condotta sessuale disordinata. Sicché, quando gli affari vanno male, dopo aver perso tutte le loro risorse, i commercianti terminano i loro giorni nella miseria dopo aver causato danni a sé e agli altri. Se invece hanno qualche successo, essi, pur accumulando ricchezze come Vaisravana, non si accontentano mai dei loro guadagni e continuano a provare piacere nei loro nefasti affari. Alla fine, aprendosi dinanzi a loro le porte della morte, essi si battono il petto in preda all’angoscia comprendendo che la loro vita, interamente spesa in simili ossessioni, è come un peso che li trascinerà nei reami inferiori dell’esistenza.

Niente è più efficace del commercio e gli affari nell’accumulare nella nostra vita azioni eternamente dannose e contaminanti. Tali occupazioni riempiono la nostra mente di incessanti riflessioni su come imbrogliare il prossimo. È come esaminare una collezione di pugnali, asce e lance in cerca dell’arma più tagliente. Rimuginando di continuo pensieri negativi, ci distogliamo dall’ideale del bodhicitta e della compassione per moltiplicare all’infinito i nostri atti perniciosi.

Come nel caso delle altre azioni negative, l’atto di impossessarci di ciò che non ci appartiene può essere rafforzato o meno dalla presenza variabile dei quattro elementi che lo costituiscono. In ogni caso, qualsiasi tipo di partecipazione ad esso, persino una semplice offerta di provviste a ladri o razziatori, è sufficiente a condividere gli effetti delle azioni da questi commesse.

CONDOTTA SESSUALE SCORRETTA

Le regole che seguono sono a beneficio dei soli laici. In Tibet, durante il regno del Re del Dharma Songtsen Gampo, fu promulgata la legge ispirata alla dottrina delle dieci azioni positive. Essa comprendeva sia regolamenti destinati ai laici, sia norme dedicate alle comunità religiose. In questo paragrafo segnaliamo solo le restrizioni destinate ai laici che, come padroni di casa, dovrebbero seguire un’etica appropriata al loro ruolo. D’altra parte, monaci e monache sono del tutto interdetti da ogni atto sessuale.

L’azione più grave in questo ambito è lo spingere qualcuno a rompere i voti. Vengono poi incluse altre azioni associate a determinate persone, luoghi o circostanze: la masturbazione, le relazioni con persone sposate o già legate a qualcuno, l’atto sessuale in pubblico, durante un voto temporaneo, durante una malattia, un pericolo, una gravidanza, una convalescenza dopo un parto, un lutto, un periodo mestruale. Sono inoltre vietati gli atti sessuali in presenza di una immagine dei Tre Gioielli, le unioni coi parenti, coi bambini in età pre-puberale, l’uso della bocca e dell’ano e così via.

MENTIRE

Vi sono tre tipi di menzogne: ordinarie, gravi e quelle proferite da falsi lama. Menzogne ordinarie. Includono tutte le affermazioni non vere pronunciate con l’intenzione di ingannare il prossimo.

Menzogne gravi. Sono affermazioni quali l’inesistenza dei benefici legati alle azioni positive e dei danni in conseguenza di quelle negative, oppure la negazione dei Campi di Buddha, delle sofferenze dei reami inferiori o delle qualità dei Buddha. Queste menzogne sono ritenute più gravi in quanto il loro potere corrompente è più devastante.

Menzogne proferite da falsi lama. Includono tutte le pretese di possedere doti o abilità quali l’aver raggiunto il livello dei Bodhisattva o il possedere la chiaroveggenza. Dal momento che ai nostri giorni gli impostori hanno maggiore influenza sui pensieri e le azioni umane conseguendo un successo maggiore dei veri lama, è sempre più diffusa l’abitudine a dichiararsi maestri o siddha nel tentativo di ingannare il prossimo. I racconti che riguardano fenomeni quali la visione di spiriti o divinità ai quali sarebbero state elargiti, rispettivamente, castighi e offerte, sono per la maggior parte bugie di falsi lama. Si faccia dunque attenzione a non cadere nella trappola di queste chiacchiere di vani ciarlatani. Per evitare conseguenze in questa ed altre vite, è importante riporre la nostra fiducia in maestri ben conosciuti il cui comportamento umile e compassionevole è coerente con la loro intima natura.

In generale, è possibile che persone ordinarie possano avere doti di chiaroveggenza di origine non spirituale che si manifestano in modo intermittente e senza alcuna continuità. La pura chiaroveggenza, propria a coloro che hanno raggiunto livelli sublimi di realizzazione, è al contrario molto difficile da ottenere.

SEMINARE DISCORDIA

È possibile seminare discordia apertamente o in segreto.

Apertamente. Si tratta di una strategia spesso usata da coloro che detengono una qualche autorità. Consiste nell’incrinare i rapporti fra due persone parlando in loro presenza e riferendo ad una delle due ciò che l’altra ha detto alle sue spalle. Il passo successivo è rivelare le azioni o le parole che uno dei due ha compiuto o detto ai danni dell’altro, magari chiedendo il motivo per cui, nonostante ciò, le due persone continuino a comportarsi amichevolmente.

In segreto. Vuol dire provocare la separazione fra due persone amiche riferendo ad una delle due, di nascosto all’altra, ciò che l’altra persona avrebbe detto su di lei in barba alla stima che quest’ultima nutriva nei suoi confronti.

La variante peggiore di questo tipo di azione è seminare discordia fra membri del Sangha, in particolare, fra un maestro del Mantrayana Segreto e i suoi discepoli o fra la cerchia di fratelli e sorelle spirituali.

PARLARE IN MODO OFFENSIVO

Consiste ad esempio nel rimarcare apertamente i difetti fisici di qualcuno, chiamandolo monocolo, sordo, cieco e così via, oppure citare i lati negativi di una persona. Simili azioni, così come tante altre che in genere mettono gli altri a disagio o ne provocano l’infelicità, possono anche venire eseguite con dolcezza anziché con parole aspre.

Comportarsi in tal modo nei confronti di un maestro, un amico spirituale o un essere realizzato è un errore particolarmente grave.

ABBANDONARSI A CHIACCHIERE INUTILI

Si intende con ciò parlare molto senza alcuno scopo. Parlare vanamente di cose che suscitano desiderio o inimicizia, quali i racconti di prostitute, le canzoni libidinose, racconti di rapine o guerre, sono una variante di tali comportamenti. In particolare, se ciò avviene durante la recita di preghiere o mantra causando la distrazione di coloro che vi sono impegnati, il danno è più grave in quanto impedisce loro l’accumulo dei meriti.

I pettegolezzi che sembrano prodursi con tanta naturalezza fra le persone sono, a ben guardare, motivati da rabbia o desiderio. La gravità di tale comportamento è perciò commisurata alla proporzione di tali sentimenti presenti nella mente.

Mescolare vane chiacchiere alla recita di mantra o preghiere impedisce a questi ultimi, per quanto prolungati essi siano, di produrre alcun effetto positivo. Ciò è vero soprattutto per le maldicenze che tipicamente circolano nelle riunioni del Sangha. Un solo fomentatore di pettegolezzi può causare la distruzione dei meriti di una intera congregazione, vanificando gli atti meritori dei loro benefattori e patroni.

Nella nobile terra d’India solo coloro che avevano raggiunto le realizzazioni più complete ed erano perciò liberi da dannose imperfezioni avevano il diritto di utilizzare i fondi donati al Sangha. Il Buddha non permetteva a nessun altro di occuparsene. Oggi chi ha appreso due o tre rituali tantrici e inizia a diffonderli si sente in diritto di fare un uso improprio di qualsiasi offerta sia in grado di reperire. Ricevere offerte per eseguire in modo meccanico i rituali tantrici alla stregua di uno stregone bönpo, senza aver ottenuto alcun potenziamento spirituale, né aver soddisfatto tutti i samaya, né aver padroneggiato le fasi di creazione e compimento della via tantrica o aver completato la recita di tutti i mantra richiesti, è una trasgressione grave. L’uso di queste donazioni improprie è paragonabile all’ingestione di una pillola infuocata. Le persone ordinarie che avranno preso parte a tale trasgressione senza la protezione fornita dall’aver completato le fasi di creazione e compimento della via tantrica, saranno anch’esse bruciate e distrutte. È stato detto infatti:

Le offerte improprie sono letali come rasoi affilati:

Esse dapprima consumano e poi recidono l’arteria vitale della auto-liberazione.

Privi della minima dimestichezza con le due fasi della meditazione, queste persone conoscono appena le parole dei rituali e non si preoccupano di recitarle nel modo opportuno. Peggio ancora, quando viene il momento di pronunciare il mantra, ossia al culmine del rituale, si abbandonano alle chiacchiere dando inizio ad un flusso ininterrotto di maldicenze piene di rabbia e attaccamento che dura fino al termine del rito. Ciò è disastroso per se stessi e gli altri. I lama e i monaci dovrebbero dunque abbandonare questo genere di conversazioni concentrandosi sul rituale.

PROVARE CUPIDIGIA

Si intende per cupidigia ogni genere di pensiero, per quanto moderato, che implichi desiderio e possessività nei confronti di beni altrui. Immaginando quanto sarebbe piacevole che tali proprietà fossero nostre, ci figuriamo continuamente di possederle, inventando piani per appropriarcene e così via.

DESIDERARE IL MALE ALTRUI

Ciò include ogni pensiero malevolo nei riguardi del prossimo. Ad esempio, il rimuginare con rabbia o odio sul modo migliore per danneggiare qualcuno, provando disappunto per la sua prosperità o successo, desiderando che il suo benessere si riduca, che sia meno felice o meno dotato di talento, oppure provando piacere quando gli accade qualcosa di spiacevole.

AVERE OPINIONI ERRATE

Per “opinioni errate” si intendono sia l’idea che le azioni non producono effetti karmici, sia le teorie eternaliste e nichiliste.

(Tradizionalmente, il Buddismo tibetano raggruppa le idee non Buddiste in tali categorie. L’eternalismo prevede l’esistenza di una realtà eterna e immutabile (considerata, a seconda dei casi, il sé eterno, l’essere supremo o la natura immutabile). Tale punto di vista è considerato errato, perché ripone la causa dei fenomeni in un ente esterno alla mente e all’esperienza. Il nichilismo (simile ad alcune concezioni estreme della scienza moderna) considera reale solo il mondo materiale che cade sotto i nostri sensi. Dal momento che esso è considerato frutto del caso, non avendo una causa, né un fine, tutti i fenomeni che lo compongono, compresa la vita umana, si dissolvono senza lasciare traccia. Cfr. C.N.Norbu, Il vaso prezioso, Shang Shung edizioni, 1999, pagg. 29-32.)

Secondo la prima di queste visioni fallaci, le azioni positive non arrecano alcun beneficio, mentre quelle negative non danneggiano nessuno. Le seconde includono invece tutti i trecentosessanta ingannevoli punti di vista e le sessantadue visioni errate sostenuti dai tirtika, che possono essere sintetizzate nelle due categorie dell’eternalismo e del nichilismo.

L’eternalismo crede in un sé permanente e in un creatore dell’universo eternamente esistente, come Isvara o Visnu. Il nichilismo ritiene al contrario che tutte le cose sorgono da se stesse e perciò non esistono né vite passate e future, né karma, né liberazione dal samsara, né libertà dalle oscurità della mente. Come recita la dottrina dell’Isvara Nero:

Il sorgere del sole, il flusso discendente delle acque,

La rotondità del pisello, il bordo ruvido di una spina tagliente,

La bellezza dell’occhio iridescente della coda del pavone:

Nessuna di queste cose è stata creata, bensì è sorta per natura.

I sostenitori del nichilismo ritengono che il sorgere del sole, così come la pendenza del corso di un fiume non sono causati dalla volontà di qualcuno. Allo stesso modo, nessuno ha appallottolato il pisello per arrotondarlo, né ha mai affilato le lunghe e taglienti spine dei rovi. L’occhio multicolore della coda del pavone non è opera di un pittore. Tutte le cose piacevoli o spiacevoli, buone o cattive di questo mondo sono perciò determinate dalla loro stessa natura. I fenomeni sorgono dunque in modo del tutto spontaneo. Il karma, le vite passate e quelle future non esistono.

Prendere in considerazione e aderire ai testi che professano tali dottrine oppure semplicemente credere che le parole del Buddha, le istruzioni dei maestri e i commenti alla dottrina siano errati e pertanto metterli in dubbio e criticarli, sono tutte azioni che rientrano nel contesto delle visioni errate. (L’impermanenza, la vacuità, il rig-pa e tutti gli altri elementi che compongono la visione buddista non sono solo concetti, ma anche realtà. È dunque possibile conoscerli in due modi: attraverso la ragione logico-discorsiva oppure per esperienza diretta. Il primo modo è proprio della mente ordinaria, che, incapace a coglierle nell’esperienza, intende tali realtà in modo indiretto sotto forma di idee e concetti. Il secondo è una prerogativa della mente illuminata, abile ad esperire le realtà non accessibili alla mente ordinaria. Il testo di Patrul Rinpoche si riferisce proprio alla condizione della mente illuminata, la quale accetta senza ombra di dubbio gli elementi del Buddismo, non perché se ne sia persuasa tramite un ragionamento che elimini le idee errate, ma perché li ha sperimentati direttamente. “Come colori e forme possono essere direttamente conosciuti per mezzo della vista, così la mente può conoscere direttamente e precisamente la vacuità [e le altre realtà professate dal Buddismo]” (Kensur Lekden, si veda oltre). Il punto dunque non è accreditare le verità buddiste eliminando con dei ragionamenti ogni possibile dubbio o idea contraria. Nemmeno si tratta di abolire le necessità della ragione con un atto di fede. Si tratta invece di trasformare la mente in modo da esperire la verità dapprima in modo imperfetto e incerto con la ragione, poi in modo diretto e incontrovertibile con l’esperienza. Tale processo tuttavia, nei suoi stadi intermedi, non può fare a meno della ragione (e del dubbio, da cui essa è ineliminabile). Per una limpida e dettagliata disamina di questo processo, si veda la trascrizione di un insegnamento orale di Kensur Lekden (1900 -1971, abate del Collegio Tantrico di Lhasa inferiore) tradotto in italiano in: Tantra in Tibet (La grande esposizione del Mantra Segreto di Tsong-ka-pa), Ubaldini, 1980, pagg. 153 -156. )

Fra le dieci azioni negative, l’uccidere e l’avere opinioni errate sono ritenute le peggiori. Si dice infatti:

Non vi è azione peggiore del togliere la vita;

Dei dieci atti non virtuosi, il più nefasto è l’avere opinioni errate.

Non vi è nessun essere, eccettuato che nei reami inferiori, che non indietreggi di fronte alla morte o non tenga conto della propria vita come della cosa più preziosa di tutte. Distruggere una vita è dunque un atto particolarmente crudele. Nel Sutra del Sublime Dharma del Limpido Raccoglimento, si afferma che una vita da noi sottratta all’esistenza verrà ripagata con cinquecento delle nostre vite. Inoltre, l’uccisione di un singolo essere porterà come conseguenza il dover trascorrere un intero kalpa intermedio nei regni infernali.

Ancora peggio è giustificare un atto efferato qual’è l’uccidere con il pretesto di compiere un’opera meritoria come il comporre una rappresentazione dei Tre Gioielli. Padampa Sangye ha affermato:

Innalzare un supporto per i Tre Gioielli mentre si causano mali e sofferenze

È come gettare al vento la nostra prossima vita.

Ugualmente sbagliato è tenere per buona l’azione di togliere la vita ad animali offrendo la loro carne e il loro sangue ai lama ospitati presso di noi o ad una assemblea di monaci. In tal caso, gli effetti negativi dell’uccidere ricadrà su coloro che offrono e su quelli che accettano un simile dono. Non si tratta infatti di dispensare un nutrimento, ma di compiere un’offerta impura; così come chi riceve tale offerta ne otterrà un ingiusto ristoro. Se vi è un effetto positivo in tale azione, esso verrà surclassato dalle sue conseguenze negative. A meno di non avere il potere di resuscitare all’istante le nostre vittime, non vi è dunque alcuna circostanza in cui l’atto di uccidere non sia per noi fonte di contaminazione. Se siamo legati a un maestro, tale gesto sarebbe certamente un forte ostacolo alla vita e alla attività di quest’ultimo. Chi non ha ancora sviluppato la capacità di trasferire la coscienza degli esseri nello stato della grande beatitudine dovrebbe perciò fare ogni sforzo per evitare di porre fine alle vite degli stessi.

L’avere opinioni errate anche per un solo istante, è come rompere tutti i voti esiliandoci dalla comunità buddista. Ciò implica la negazione delle libertà proprie allo stato umano nei confronti della pratica del Dharma. Quando la mente è contaminata da false idee, nessuna buona azione è più capace di condurci alla liberazione e i torti commessi non potranno più essere purificati con la pratica della confessione.

Prima edizione tibetana: Gangtok 1974. Prima edizione occidentale: The Words of My Perfect Teacher, San Francisco 1996. Traduzione di Cristoforo Andreoli, © 2006. Fonte che si ringrazia per la sua gentilezza www.realizzazione.it, http://www.realizzazione.it/perfettomaestro/IstruzioniOrali.pdf