9 Patrul Rinpoche: Le Istruzioni Orali del Mio Perfetto Maestro.
Una guida ai preliminari del Longchen Nyingthig dello Dzogchen.
Titolo originale: Kun bzang lama’i zhal lung (Dzog pa chenpo longchen nyingthig gi nongdro’i khird yig kun bzang lama’i zhal lung); Insegnamenti orali del maestro Samantabhadra sulle pratiche preliminari Dzogchen della serie “Essenza del cuore della vasta estensione”.
Il Karma: Gli effetti delle dieci azioni negative.
In Kashmir viveva un monaco di nome Ravati, attorno al quale si erano radunati molti discepoli. Egli, dotato di poteri miracolosi e munito del dono della chiaroveggenza, un giorno, in un fitto bosco, tingeva con lo zafferano gli abiti dei suoi monaci. In quello stesso momento, un laico dei dintorni, cercando un vitello smarrito e scorgendo del fumo levarsi dal fitto della foresta, si avvicinò per curiosare.
Avendo visto il monaco che attizzava il fuoco, gli chiese cosa stesse facendo.
“Sto tingendo gli abiti”, rispose il monaco.
L’uomo, sollevato il coperchio del calderone della tintura, vi guardò dentro esclamando: “Questa è carne!”.
Anche il monaco, a sua volta sportosi ai bordi della pentola, vide che il suo contenuto era carne.
L’uomo allora trascinò il monaco dinanzi al re dicendo: “Sire, costui ha rubato il mio vitello. Vi prego di punirlo;” al che il re fece gettare Ravati in una fossa.
Alcuni giorni dopo, la mucca che apparteneva a quell’uomo ritrovò da sola il suo vitello. Il suo padrone si recò nuovamente dal re pregandolo di rilasciare il monaco, ma il re, dimenticandosi dell’accaduto, lasciò Ravati per altri sei mesi nella fossa.
Un giorno, un folto gruppo di discepoli anch’essi dotati di poteri miracolosi si librarono nell’aria planando proprio dinanzi al re.
“Ravati è un monaco puro e innocente,” disse. “Vi preghiamo di liberarlo.”
Il re, rilasciando finalmente il monaco e constatando il suo stato di forte prostrazione, fu assalito dai rimorsi: “Avrei voluto accorrere subito da te, e invece ti ho abbandonato per tutto questo tempo. Ho commesso un peccato orrendo!”
“Non è stato commesso alcun peccato,” rispose il monaco. “È tutto frutto delle mie azioni.”
“Di quali azioni parli?” chiese il re.
“In una vita anteriore ero un ladro e rubai un vitello. Quando il proprietario venne presso di me, fuggii lasciando l’animale nei pressi di un pratyekabuddha che meditava in un boschetto. L’uomo che mi inseguiva acciuffò il pratyekabuddha e lo gettò in una fossa per sei giorni. Come esito totalmente maturo di questa azione, ho già trascorso molte vite fra le sofferenze dei reami inferiori, mentre la parte finale di tali sofferenze è stata la disavventura appena trascorsa.”
Se persino individui eccezionali quali Nagarjuna hanno sperimentato gli effetti delle loro azioni passate, come potremmo noi, vagando da un tempo senza inizio nei regni samsarici e avendo perciò accumulato innumerevoli azioni negative, anche solo sperare di liberarci dal samsara? Scampare ad una rinascita nei regni inferiori è già per noi un’impresa ardua; perciò evitiamo a tutti i costi anche il minimo misfatto dedicandoci ad ogni sorta di buona azione, per quanto insignificante possa apparire. Finché non ci applicheremo in tale sforzo, le azioni negative ad ogni istante ci sospingeranno verso molti kalpa di vita da trascorrere nei regni inferiori. È un grave errore credere che gli effetti di una azione negativa, piccola quanto si vuole, non arrechino un danno molto profondo alla nostra vita. Il Bodhisattva Santideva ad esempio ha detto:
Se un solo istante di malvagità
Implica un intero kalpa vissuto nel più profondo inferno,
I peccati commessi da un tempo senza inizio,
Mi terranno, inutile dirlo, ben lontano dai reami superiori!
Inoltre, il Sutra del saggio e del folle afferma:
Non trascurate i piccoli misfatti,
Pensando che siano innocui:
Una sola scintilla di fuoco
Brucia una montagna di fieno.
Allo stesso modo, dal momento che la minima condotta positiva causa enormi benefici, non si deve sottovalutare alcuna buona azione ritenendola inutile.
Il re Mandhatri fu, in una vita precedente, un uomo che viveva nell’indigenza. Recandosi un giorno a un matrimonio con un pugno di fagioli in mano, egli incontrò il Buddha Ksantisarana che attraversava il villaggio. Mosso da intensa devozione, il pezzente gettò su di lui i suoi fagioli, quattro dei quali caddero nella ciotola delle offerte del Buddha e due colpirono la sua testa. L’effetto di ciò fu la rinascita di quell’accattone come imperatore universale del continente Jambu. Per i quattro fagioli caduti nella ciotola, il suo regno sui quattro continenti durò ottomila anni. Inoltre, uno dei due fagioli che colpirono la santa testa causò per altri ottomila anni la sua rinascita come sovrano sui regni dei Quattro Grandi Re; mentre il secondo fagiolo fece sì che egli condividesse con trentasei reincarnazioni di Indra la loro supremazia sul Cielo dei Trentatré.
Si dice pure che chi solo si limita a visualizzare il Buddha gettando fiori nel cielo condividerà un regno di Indra per una durata di tempo difficile da immaginare. Per questo motivo, il Sutra del saggio e del folle afferma:
Non tenete in poco conto le piccole buone azioni,
Pensando che difficilmente esse saranno di aiuto:
Le gocce d’acqua, una dopo l’altra,
Col tempo colmano un vaso gigantesco.
Il Tesoro delle preziose qualità a sua volta dice:
Da semi non più grandi di un chicco di mostarda
Il vasto albero ashota in un singolo anno
Cresce tendendo i suoi rami per una lega.
Più grande ancora è la crescita delle buone e cattive azioni.
Il seme dell’albero ashota non è più grande di un chicco di mostarda. L’albero invece si sviluppa così velocemente che in un solo anno i suoi rami raggiungono la lunghezza di una lega. Questo esempio tuttavia non è sufficiente per esprimere la crescita copiosa dei frutti di buone e cattive azioni.
La minima trasgressione ai precetti dà luogo a danni incalcolabili. Un giorno, ad esempio, Elapatra, re dei naga, sotto forma di un Imperatore universale fece visita al Buddha, che lo rimproverò dicendo: “Non ti basta il danno che hai arrecato agli insegnamenti del Buddha Kasyapa? Ora vorresti corrompere i miei? Ascolta il Dharma mostrando il tuo vero aspetto!”
“Se mi mostrassi come sono davvero, troppi esseri mi farebbero del male,” replicò il naga. Il Buddha allora lo mise sotto la protezione di Vajrapani, così il naga si mostrò nel suo aspetto di orribile serpente esteso per diverse leghe sulla cui testa crebbe un grande albero elapatra che lo schiacciò sotto il suo peso e le cui radici brulicanti di insetti gli causarono terribili sofferenze.
Al Buddha fu chiesto il motivo della forma attuale toccata al naga e delle sofferenze che ne derivavano; ed egli così rispose: “Molto tempo fa, nell’era del Buddha Kasyapa, costui era un monaco. Un giorno il suo abito, impigliandosi su un grande albero elapatra che cresceva oltre il sentiero, si sfilò dal corpo del monaco, causando in quest’ultimo una grande irritazione al punto che, violando i suoi precetti, egli tagliò l’albero. Oggi assistite all’effetto di quell’atto.”
Riguardo alle azioni, l’intenzione è di gran lunga il fattore determinante per giudicare se esse possano ritenersi positive o negative, lievi o fatali. Come nell’albero, la radice curativa o tossica conferisce all’intera pianta le stesse caratteristiche, così le intenzioni non completamente pure ispirate da rabbia o attaccamento, daranno luogo ad azioni che, per quanto positive potranno apparire, saranno necessariamente destinate ad un esito negativo. D’altra parte, l’atto a prima vista negativo ispirato da una intenzione pura mostrerà di certo i suoi effetti positivi.
Il Tesoro delle preziose qualità afferma:
Se la radice cura, lo stesso fa l’intera pianta.
Se è velenosa, certo anche la pianta lo sarà.
Non è l’apparenza, né l’entità
Che rende un’azione positiva o negativa,
Ma l’intenzione buona o cattiva.
Per questo motivo, talvolta ai Bodhisattva, Eredi dei Conquistatori, è permesso commettere le sette azioni nocive del corpo e della parola finché la loro mente resta pura e libera da ogni desiderio egoistico. Ciò è illustrato dalle storie dell’uccisione del Lanciere Nero da parte del Capitano dal Cuore Compassionevole e del giovane bramino Amante delle Stelle che ruppe il voto di castità con una bramina sua coetanea.
Il Buddha fu in una vita precedente un capitano detto Cuore Compassionevole. Egli, navigando sull’oceano accompagnato da cinquecento mercanti, si imbatté nel pirata malvagio chiamato Lanciere Nero, il quale minacciò di uccidere tutti i presenti. Il capitano, guardando le vite passate dei suoi accompagnatori, comprese che, essendo stati i mercanti dei Bodhisattva, chiunque li avesse uccisi avrebbe sofferto agli inferi per un incalcolabile numero di kalpa. Mosso da intensa compassione, egli dunque pensò: “Se uccido il pirata, impedirò che egli finisca agli inferi. Non ho altra scelta: dovrò farlo anche se ciò comporterà che io stesso diventi un essere infernale.” Armato del suo grande coraggio, egli uccise il Lanciere Nero, guadagnandosi un numero di meriti per accumulare i quali sarebbero necessari settantamila kalpa. Il Bodhisattva, commettendo senza la minima intenzione egoistica l’atto di uccidere, che è un’azione nociva del corpo, produsse come effetto immediato la salvezza dei cinquecento mercanti dalla morte, mentre in futuro risparmiò al Lanciere Nero le sofferenze degli stati infernali. Ciò dimostra che la sua condotta in realtà conteneva un potenziale altamente positivo.
La storia successiva tratta invece di un bramino, chiamato Amante delle Stelle, che viveva da molti anni in una foresta perseverando nel suo voto di castità. Un giorno, mentre egli raccoglieva le elemosine in un villaggio, una ragazza bramina si innamorò così perdutamente di lui da decidere di uccidersi sapendo che non avrebbe mai potuto sposarlo. Mosso a compassione, il bramino la ebbe in moglie, guadagnandosi in tal modo quarantamila kalpa di meriti.
Anche se per tali esseri può essere lecito uccidere o rompere i voti, le azioni commesse con intenzioni egoistiche e sulla spinta del desiderio, dell’odio o dell’ignoranza, non sono permesse a nessuno.
Un Bodhisattva dalla mente aperta e priva di desideri egoistici può commettere dei furti nei confronti di persone ricche e avare in modo che, per il loro beneficio, i beni sottratti vengano offerti ai Tre Gioielli o siano distribuiti ai poveri.
È ammissibile la menzogna commessa per proteggere qualcuno che rischia di venire ucciso o per custodire beni che appartengono ai Tre Gioielli, ma in nessun caso è permesso ingannare gli altri a proprio vantaggio.
Far nascere inimicizia tra due fratelli per impedire che uno di essi, di buon carattere, venga corrotto dalla malvagità dell’altro, può essere lodevole, ma non è permesso provocare la separazione tra due persone amiche.
Le parole offensive possono in alcuni casi essere efficaci per guadagnare al Dharma coloro che un approccio più gentile non persuaderebbe. Esse possono anche predisporre un discepolo a guardare ai propri errori nascosti. Atisa infatti ha detto:
Il maestro migliore fa guerra ai tuoi errori nascosti;
L’istruzione migliore affronta questi ultimi a viso aperto.
Tuttavia, le parole usate solo per insultare il prossimo non possono essere giustificate.
Un approccio faceto e alla mano può diventare un abile mezzo per introdurre il Dharma in chi ama la conversazione mondana e non è in grado di recepirlo altrimenti. Non è al contrario mai permesso creare distrazioni per se stessi e gli altri.
Quanto alle tre azioni negative commesse con la mente, esse non sono permesse in nessun caso, poiché l’ intenzione che le ispira possiede sempre una certa dose di negatività. Una volta che un pensiero negativo è sorto, esso infatti reca sempre conseguenze nocive.
La mente è l’unica fonte del bene e del male. In molte occasioni, pensieri che si limitano a sorgere senza tradursi in parole o azioni possono determinare conseguenze positive o negative molto profonde. Si esamini dunque la propria mente: se vi si trovano pensieri buoni, si gioisca di ciò e ci si proponga di fare ancora meglio. Se vi si scoprono pensieri negativi, li si confessi immediatamente, provando pena e vergogna per aver permesso loro di manifestarsi nonostante gli insegnamenti ricevuti. Si dica a se stessi che in futuro si farà di tutto per evitare che ciò si ripeta.
Prima di commettere un’azione positiva, si giudichi con cura l’intenzione che la ispira. Se questa è buona, la si porti a compimento. Se invece siamo attirati dalla fama, dalla competizione o dalla necessità di ottenere un guadagno, si faccia in modo da modificare il nostro atteggiamento infondendovi la compassione del bodhicitta. Se non riusciamo a trasformare la nostra motivazione, sarà meglio rimandare l’azione meritoria ad un momento migliore.
Un giorno, Geshe Ben, attendendo la visita di un gran numero di benefattori, dispose le offerte sull’altare di fronte alle immagini dei Tre Gioielli perfettamente pulite per l’occasione. Esaminando la sua intenzione, egli capì che stava solo cercando di impressionare i suoi ospiti; al che, preso un pugno di polvere, lo sparse sulle offerte dicendo: “Monaco, resta ciò che sei e non darti delle arie!”.
Padampa Sangye, ascoltata questa storia, esclamò: “Quel pugno di polvere sparso da Ben Kungyal fu la migliore offerta in tutto il Tibet!”
Si esamini dunque attentamente la propria mente. Nella nostra condizione di esseri ordinari è impossibile evitare pensieri e azioni ispirati da intenzioni malvagie. Se tuttavia siamo capaci di riconoscerli immediatamente, confessandoli e facendo voto di non ripeterli più, riusciremo a prendere le distanze da essi.
Un’altra volta, Geshe Ben, facendo visita ai suoi benefattori, fu lasciato per un momento solo in una stanza. In quella occasione, ricordandosi di aver terminato il tè, pensò: “Ne prenderò un po’ per portarlo nel mio romitaggio.”
Quando tuttavia pose la mano nella sacca del tè, egli comprese all’istante ciò che stava facendo e, chiamati i suoi benefattori, disse: “Venite a vedere cosa combino! Dovete tagliarmi la mano!”
Atisa ha detto: “Da quando ho preso i voti della pratimoksa non ho commesso la minima mancanza. Praticando i precetti del Bodhicitta, ho commesso uno o due errori. Infine, da quando ho intrapreso il Vajrayana del Mantra Segreto, sebbene abbia fatto ancora dei passi falsi, non ho mai permesso che un peccato o una colpa restassero con me per più di un giorno.”
Quando Atisa viaggiava, non appena un pensiero negativo sorgeva in lui egli, prendendo la base in legno del mandala (Si tratta della base circolare su cui si esegue l’offerta al mandala. La pratica è spiegata in dettaglio al Capitolo Quarto della Parte Seconda.) che portava sempre con lui, confessava tutto esprimendo il voto di non lasciare che ciò potesse accadere in futuro.
Una volta, Geshe Ben si recò ad un affollato convegno tenutosi a Penyulgyal. Dopo un certo tempo, ai convenuti venne offerta della cagliata, ma Geshe Ben, seduto in una delle file centrali, notò che i monaci situati ai primi posti ricevevano porzioni più abbondanti.
“Questa cagliata sembra deliziosa…” pensò, “ma non riuscirò ad averne la parte che mi spetta.”
All’improvviso, tornò in sé rimproverandosi: “Drogato di yogurt!”. Dopodiché rovesciò la sua ciotola sul tavolo come se avesse già mangiato. Quando l’uomo che serviva la cagliata volle offrirgliela, egli rifiutò dicendo: “Questa mente maligna ha già avuto la sua parte.”
Per quanto non costituisse in sé un errore pretendere di condividere equamente il cibo con gli altri monaci, l’atteggiamento egocentrico sotteso al suo desiderio della deliziosa cagliata costrinse il geshe a mettere in secondo piano il proprio diritto di avere la sua parte.
Se si esamina la propria coscienza in questo modo, accettando ciò che può essere di beneficio e rifiutando ciò che è dannoso, la consapevolezza sulla nostra mente si rafforzerà e tutti i pensieri finiranno per avere una origine positiva.
Tempo fa, un bramino di nome Ravi usava continuamente esaminare la propria mente. Quando un pensiero negativo sorgeva in lui, egli metteva da parte un sasso di colore nero, mentre di fronte ai pensieri positivi, faceva lo stesso con dei sassi bianchi. All’inizio, la maggior parte dei sassi accumulati furono neri. Tuttavia, perseverando nell’opporre antidoti ai suoi pensieri, nell’accumulo di buone azioni e nel rifiuto di quelle malvagie, venne il momento in cui le pietre nere e quelle bianche si eguagliarono. Alla fine, restarono solo quelle bianche.
Questo esempio mostra l’importanza di combinare la vigilanza e l’attenzione verso se stessi con l’antidoto costituito dall’incremento di azioni positive e la rinuncia a commettere la minima azione negativa.
Anche se non avessimo accumulato azioni negative in questa vita, non conosciamo il vasto numero di errori accumulati nel samsara senza inizio, né siamo in grado di riconoscerne gli effetti che si rendono evidenti anche nel tempo presente. Per questo motivo, chi si dedica interamente alla virtù e alla pratica della vacuità può essere inspiegabilmente oberato di sofferenze. In questo caso, tuttavia, ciò è una fortuna, perché gli effetti fino ad allora silenti delle azioni passate avrebbero causato delle rinascite nei reami inferiori. A causa invece degli antidoti applicati nella vita presente, tali effetti maturano e si esauriscono in questa vita senza danneggiare irreparabilmente le vite future. Il Sutra a taglio di diamante afferma:
I Bodhisattva che praticano la saggezza trascendente saranno tormentati – a dire il vero, essi saranno tormentati fino allo stremo – dalle azioni passate che avrebbero causato loro sofferenze nelle vite future. È un vantaggio infatti che esse maturino nella vita presente.
Alcuni al contrario, pur trascorrendo l’intera esistenza danneggiando gli altri, sperimentano i frutti immediati di qualche azione positiva che avrebbe potuto maturare molto più tardi. Ciò è accaduto nel paese chiamato Aparantaka, dove per sette giorni vi fu una pioggia di pietre preziose, seguita da una di tessuti durata sei giorni e una di granaglie di altri sette giorni. Alla fine, una pioggia di terra schiacciò tutti gli abitanti, la cui rinascita ebbe luogo agli inferi.
Tali evenienze in cui chi fa il bene soffre e chi si dedica al male prospera, hanno luogo spesso come risultato di azioni passate. Le azioni da noi commesse ora potranno mostrare i loro effetti nella nostra prossima vita o in quelle successive. È vitale perciò sviluppare la ferma convinzione dell’inevitabilità degli effetti delle nostre azioni, comportandoci sempre di conseguenza.
Non si dovrebbe poi usare il linguaggio dei punti di vista più elevati del Dharma per screditare il principio di causa ed effetto. (Ossia usare il concetto di verità assoluta come pretesto per agire liberamente pretendendo che non vi sia differenza tra bene e male, samsara e nirvana, Buddha e gli esseri ordinari e così via.) Il Grande Maestro di Oddyana Padmasambhava ha affermato:
Grande Re, in questo mio Mantrayana Segreto, la visione è la cosa più importante. Tuttavia, è bene non agire in conseguenza di tale visione per non cadere nei punti di vista errati dei demoni, che ciarlano predicando la vacuità del bene e del male. D’altro canto, è giusto non contaminare la visione con le nostre azioni, per non cadere nel materialismo e nell’attaccamento alle nostre opinioni, smarrendo ogni possibilità di liberarci…
Ecco perché, anche se la mia visione oltrepassa i regni celesti, la mia cura per le azioni e i loro effetti è più fine della farina.
Per quanto profondamente si realizzi la visione della natura delle cose, l’attenzione rigorosa e costante verso le azioni e i loro effetti non va mai abbandonata.
Fu chiesto a Padampa Sangye se, una volta realizzata la vacuità, si resti ancora soggetti alle avversità provenienti dalle azioni negative.
“Una volta realizzata la vacuità,” rispose Padampa Sangye, “sarebbe assurdo perseverare nelle azioni negative, dal momento che la compassione sorge assieme ad essa.”
Se ci si propone di seguire l’autentico Dharma, è bene dare priorità alla scelta delle azioni migliori in accordo col principio di causa ed effetto. Le azioni e la visione devono perciò essere coltivate nei loro rispettivi ambiti.
Il segno che si è appreso il senso di queste istruzioni su causa ed effetto è avere una condotta simile a quella di Jetsun Milarepa.
I suoi discepoli gli dissero un giorno: “Jetsun, la tua condotta è al di là della comprensione degli esseri ordinari. O prezioso Jetsun, eri forse fin dall’inizio un Buddha, un Bodhisattva o una incarnazione di Vajradhara ?”
Jetsun replicò: “Il fatto che mi prendiate per un Buddha, un Bodhisattva o una incarnazione di Vajradhara, dimostra la vostra fede in me. Tuttavia, non può esservi visone più errata del Dharma! Ho iniziato la mia vita accumulando azioni estremamente negative per mezzo della magia. Dopodiché ho compreso che la mia rinascita negli stati infernali sarebbe stata inevitabile; e per tale motivo ho iniziato a praticare il Dharma senza un momento di riposo. Grazie ai profondi metodi del Mantrayana Segreto, ho sviluppato le mie eccezionali qualità.
Il motivo per cui non riuscite a sviluppate una ferma determinazione a praticare il Dharma, è la vostra scarsa fiducia nella legge di causa ed effetto. Chiunque sia dotato di una minima determinazione può sviluppare un coraggio pari al mio, purché abbia la mia stessa fede incondizionata negli effetti delle proprie azioni. Se è così, è possibile ottenere le mie medesime realizzazioni; finché anche voi sarete presi per Buddha, Bodhisattva o incarnazioni di Vajradhara.”
La fede di Jetsun Mila nella legge di causa ed effetto lo aveva fermamente persuaso del fatto che le azioni negative commesse in gioventù avrebbero causato la sua rinascita negli stati infernali. A seguito di tale convinzione, egli praticò con tale determinazione che il racconto delle sue prove e dei suoi sforzi non è stato mai più eguagliato in India o in Tibet.
Si generi perciò dal profondo del cuore la fiducia in questo aspetto cruciale dell’insegnamento, ossia, sulla legge di causa ed effetto. Ci si dedichi il più possibile alle azioni positive, anche di poco conto, applicando i tre metodi supremi dell’inizio, della parte centrale e del termine di ogni pratica. Infine, si mantenga il proposito di non compiere neanche la minima azione negativa anche a costo della vita.
Quando ci si sveglia al mattino, non si salti fuori dal letto come una mucca o una pecora dal suo recinto. Restando sdraiati, si rilassi dapprima la mente e ci si esamini attentamente. Se nei sogni abbiamo commesso qualcosa di negativo, ci si rammarichi e si confessi. Se invece abbiamo compiuto azioni positive, ci si rallegri e si dedichino i meriti di tali azioni a beneficio di tutti gli esseri. Si generi il bodhicitta pensando: “Oggi mi sforzerò di comportarmi bene perseguendo le buone azioni ed evitando quelle malvagie, affinché tutti gli esseri raggiungano la Buddhità.”
Di notte, quando si va a dormire, non si cada di colpo nell’incoscienza del sonno. A letto ci si rilassi e si esamini ciò che è stato fatto durante il giorno pensando: “Come ho utilizzato questa giornata? Cosa ho fatto di positivo?” Se qualcosa di buono è stato fatto, ci si rallegri e si dedichino i meriti affinché tutti gli esseri ottengano la Buddhità. Se qualcosa di male è stato compiuto, si pensi in questo modo: “Sono stato malvagio! Ho contribuito a distruggere me stesso!” Si confessi perciò il proprio errore e si faccia voto di non ripeterlo in futuro.
In ogni momento della giornata, si vigili in modo da non attaccarsi troppo alle proprie percezioni del mondo e degli esseri che ci circondano come se fossero realtà solide e indistruttibili. Ci si eserciti a guardare tutto come una apparizione irreale e a mantenere la mente flessibile generando un comportamento retto e misurato.
Tale è lo scopo essenziale, nonché il frutto principale di ciò che stiamo trattando in queste pagine, ossia, la pratica dei quattro pensieri che distolgono la mente dal samsara. In questo modo, tutte le azioni positive si connetteranno spontaneamente ai tre metodi supremi. È stato detto infatti:
Chi fa il bene è come una pianta medicinale:
Tutti coloro che vi si affidano ne traggono beneficio.
Chi fa il male è come una pianta velenosa:
Tutti coloro che vi si affidano sono distrutti.
Quando possederete in voi stessi una mente pacificata, volgerete al Dharma ogni altra mente con cui verrete a contatto. In un accrescimento senza fine, immensi meriti ne deriveranno per voi e gli altri esseri. Non rinascerete più nei regni inferiori, dove si può solo peggiorare. Vostra costante prospettiva sarà la rinascita in forma umana o in quella divina. Persino le regioni in cui il possessore di tale conoscenza nasce o abita condividerà i suoi meriti assieme alla costante protezione degli dèi.
Conosco tutti dettagli del karma, ma non credo fermamente in esso.
Ho imparato molto sul Dharma, ma non ho messo in pratica nulla.
Benedici i malfattori come me
Affinché le loro menti e la mia si uniscano al Dharma
Prima edizione tibetana: Gangtok 1974. Prima edizione occidentale: The Words of My Perfect Teacher, San Francisco 1996. Traduzione di Cristoforo Andreoli, © 2006. Fonte che si ringrazia per la sua gentilezza www.realizzazione.it, http://www.realizzazione.it/perfettomaestro/IstruzioniOrali.pdf