Lama Denys Rinpoche, Centro Namdeling, Napoli 17-19.11.17
Insegnamenti di Mindfulness sulla base del testo di Chogyam Namkhai Norbu “Lo Specchio. Un consiglio sulla piena presenza e consapevolezza”.
Sono impressionato dal fatto che i napoletani si sono dimostrati molto più puntuali degli svizzeri. Siamo qui per celebrare il 10° anniversario del Namdeling, la Comunità Dzogchen di Napoli, e vorrei definire quest’incontro come inter Sangha, tra la comunità Dzochen e Rimè. Ci sono praticanti, ed è molto bello, da diverse origini che si trovano insieme per fare questo tipo di pratica.
Abbiamo un legame di cuore che è questa pratica comune. Questo è l’oggetto dell’incontro di stasera e di questi tre giorni.
Qual’è questa pratica comune? È la pratica della presenza. Mi ripropongo di farvi sentire cos’è questa pratica della presenza. Salendo questo viale ho notato che siamo in un centro di yoga e di meditazione.
Qual’è la pratica essenziale dello yoga e della meditazione? È la presenza, è la pratica spirituale della presenza. Vorrei parlarvi della spiritualità della presenza. La spiritualità della presenza è una spiritualità naturale, non religiosa. Non è associata a delle credenze od a dei dogmi.
Cos’ è la spiritualità della presenza o la via della presenza? È una via atemporale e naturale ed universale, perché è naturale, e ciò che è naturale è universale.
Noi abbiamo l’opportunità di ragionare insieme su quest’argomento. La via della presenta si fonda sulla pratica dello stato di presenza, che ha molti nomi, tanti come le tradizioni, è lo dzochen, quel che ha di più fondamentale ed essenziale si chiama Mahamudra, è lo stato di presenza d’istantaneità, immediato, aconcettuale, che trascende ogni forma di concezione: lo spazio ed il tempo. Non c’è alcuna autentica spiritualità, piena ed autentica, che non proponga lo stato di presenza. È lo stato su cui converge ogni forma di spiritualità naturale, che si distingue dalla spirito artificiale. È un punto delicato che merita d’essere preso in considerazione. È la pratica dell’effetto della presenza che consiste nello scoprire lo stato di attenzione, apertura e benevolenza. Per chi è filosofo e metafisico è il presente eterno, senza tempo. Ci sono emozioni che non entrano nella nostra sfera mentale. Ed è meglio così. L’esperienza dello stato presente non è un’esperienza mentale, ma piuttosto potremmo definirla sensoriale, è l’esperienza di tutti i sensi, ma priva di rappresentazioni mentali abituali.
La menzione naturale dello stato di presenza.
La nostra comunità si chiama Rimè, che significa: unità della comune esperienza dello stato autentico di presenza, che riconosce la diversità dei metodi che l’esprimono. Si tratta di riconoscere il fondo comune dell’unita al di la della diversità dei nomi e delle espressioni per esprimerlo e realizzarlo.
Lo stato di presenza è il cuore dell’esperienza spirituale autentica, il che è comune ad ogni forma di spiritualità naturale. Tutti gli illuminati hanno insegnato delle pratiche che hanno centrale la pratica della presenza. Oggigiorno v’è nel mondo un movimento importante che è la mindfulmess, o piena presenza. Quindi, ciò che si fa chiamare minfulness è una pratica di piena presenza, che conduce a questo stato. Talvolta ci sono difficoltà da parte di qualche vecchio buddista ed è perché si attaccano al Buddha.
Il cuore dell’insegnamento del Buddha è la piena presenza, il che non è affatto buddista, cristiano, mussulmano, ma è lo stato primordiale e fondamentale dell’essere umano, che fa parte di tutti noi, perfino prima di quando pensiamo si costruisca la nostra individualità.
La mindfulness ha portato molti risultati positivi nella cultura occidentale. La piena presenza ha trovato qualcuno che proficuamente l’ha proposta negli ambienti ospedalieri. La piena presenza s’è sviluppata in Gran Bretagna. La meditazione che s’è diffusa a partire dal particolare intergruppo di parlamentari britannici s’è poi diffusa negli ospedali, carceri e scuole. È una pratica che beneficia chiunque la eserciti e qualsiasi cosa si faccia. È sempre benefica, anche nella vita famigliare, in coppia, nell’amore, tutto ciò che si fa in piena presenza lo si fa meglio. Si tratta d’avere la motivazione ed il coraggio di vivere nella piena presenza, che è vivere da bodisattva, o da Dzochempa per la comunità rime.
Piena presenza. Di cosa si tratta? Ci sono molti livelli sulla piena presenza, almeno 33. Sono differenti livelli in cui si entra nella piena presenza.
Ci sono modi graduali e più immediati per entrare nella piena presenza.
Vi offrirò situazioni semplici di piena presenza, si tratta di qualità d’attenzione consistenti nella qualità di essere lì, attenti nell’istante presente.
L’attenzione. È estremamente efficace ed importante qualsiasi cosa si faccia. Quest’attenzione viene da una qualità di lucidità e chiarezza. È l’attenzione stabile ad un qualcosa. Qualsiasi cosa facciate, se lo fate con attenzione, lo farete al meglio delle vostre risorse. Quest’attenzione stabile la si apprende.
La seconda dimensione della presenza è la presenza aperta, il che è molto importante. L’apertura è ciò che ci consente di incontrarci nell’umanità, ci consente d’incontrare l’altro, l’alto in sé, gli altri e l’altro che è l’ambiente. Ci sono qualità che ci permettono di sviluppare l’apertura, con particolare enfasi nello Dzogchen, l’apertura estesa. La testa dell’emozione nasce dall’incontro della presenza attenta ed aperta, da qui nasce la presenza benevolente. È importante capire la qualità d’amore e compassione insita nella piena presenza. Se siamo davvero attenti ed aperti si sviluppa naturalmente la tendenza alla apertura e ricettività, quindi è una presenza naturale di empatia, comunione. In questa comunione con l’altro v’è un attitudine di benevolenza verso gli altri, come se loro fossero noi stessi.
Riuscite a capire come l’empatia ci porti a considerare gli altri come noi stessi?
La piena presenza è uno strumento molto potente che può essere impiegato in molti modi possibili. Se avete una particolare attenzione stabile potreste essere un ottimo cecchino. Potreste riuscire ottimamente in qualsiasi disciplina. Ma la dimensione profonda della piena presenza ha quest’aspetto empatico. Come nelle arti marziali, il cui principio base è essere nella piena presenza, ma completamente empatica. Nel senso che c’è un qualcuno che è uno con la situazione presente, c’è una incorporazione ed identificazione col momento presente e con l’istante presente. L’obiettivo delle arti marziali non è di distruggere l’alto, ma di trovare un’armonia con l’altro. La piena presenza è fondamentalmente non violenta. È uno stato di non violenza, libero dalla violenta che deriva dalle concezioni estremiste e, più in generale, da ogni forma di concezione. Se il samurai è in piena presenza, riesce ad avere una reazione fulminea prima ancora di una forma di concettualizzazione. La non violenza, se autentica, richiama altra non violenza. È una qualità di apertura e consapevolezza. Se vogliamo veramente scoprirla, dobbiamo praticarla. La piena presenza consiste in un lungo apprendimento. È l’addestramento di tutta la nostra vita. Attualmente la mindfulness è proposta in tanti contesti. La pratica della piena presenza consiste in un addestramento che dura tutta la vita, in cui la coscienza “che io sono” si trasforma. La coscienza abituale dell’ego, dualistica, concettuale, si trasforma nello stato di presenza, libero da concezioni, dualismi e dall’ego. Può essere difficile intraprenderlo d’acchito, ma, pian piano, con la pratica è un qualcosa che si scopre, si comprende e lo si realizza. È l’obiettivo di questi incontri.
In omaggio a Chogyam Namkhay Norbu Rinpoche utilizzeremo un testo che compose nel 1976, la trascrizione in italiano del titolo originale tibetano è: “Lo specchio, un consiglio sulla piena presenza e consapevolezza” ed è, come definito da Chogyam Namkhay Norbu Rinpoche, il cuore della pratica dello Dzogchen, questo duplice aspetto di presenza e consapevolezza, mindfulness e awareness in inglese, consapevolezza è l’equivalente di mente.
In tibetano è dempa o presenza, mentre è smirti in sanscrito. E, sciscin letteralmente è essere in conoscenza, consapevolezza o jamyang. La pratica consiste nel trovare lo stato di presenza, riconoscerlo, generalmente attraverso una presenza attenta ad un esperienza sensoriale, la sensazione del respiro, la sensazione visuale, uditiva, gustativa, tattile.
Molto spesso si predilige il respiro perché ha molte qualità positive.
Nella piena presenza ci sono varie qualità: attenta, empatica, aperta.
Ma, all’inizio, si tratta di essere attenti a quelli che sono i supporti di shinè e shamata, perché la nostra attenzione è instabile. Immediatamente, a partire dal mentale, dal passato e futuro.
La seconda qualità è essere coscienti, consapevoli della propria qualità di presenza.
Ed ogni volta che la si perde, ci si distare, semplicemente ci si ritorna. La pratica della presenza può essere espressa provando di essere in questo stato e quando ci si distrae, si fa emergere la capacità di ritornarvi. Questo è l’allenamento, ma che richiede di addestravici completamente. Potremmo farlo per 5 minuti al giorno. I benefici della pratica sono proporzionali al tempo della pratica. Ma la pratica della piena presenza è una pratica continua 24 h su 24, è una pratica difficile che richiede un grande impegno per tutta la vita e sarebbe la cosa più benefica di tutta la nostra esistenza.
Le pause sono estremamente importanti nel cammino della piena presenza, pause istantanee, pause di meditazione stando seduti o in movimento come la danza. L’apprendimento inizia con certe pratiche quotidiane, fatto anche da tante piccole pause, finche non c’è un integrazione nella nostra vita.
Avreste delle domande o considerazioni?
Domanda. Umberto. Definendo la piena presenza come una spiritualità naturale, cos’è la spiritualità?
Rinpoche. La mente è la coscienza è ciò che sono, la mente che sono. Il termine spiritualità ha molte qualità. Qui si tratta di comprendere ciò che sono e la cognizione che sono. La spiritualità è scienza cognitiva, la cognizione che sono e vivo, a conoscere te stesso come l’invito di Socrate e proposto dal Buddha, ma tutte le parole sono ingannevoli.
Domanda. Namkhai Norbu fa un esempio con la tazza di veleno, si può essere consapevoli e non presenti e viceversa.
Rinpoche. Nel libro c’è un esempio tra la differenza di essere presenti e consapevoli, consapevolezza è l’aver presente che davanti ho una tazza di veleno, e puoi dirlo, affermarlo e mettere altri in guardia, ma, se quella stessa persona se ne scordasse, potrebbe berlo e morire.
Negli ultimi giorni sono stato in ritiro nell’eremo di Camaldoli ed ho avuto la possibilità di rileggere il testo in modo approfondito, ma in tibetano. Il che è stato molto importante perché il tibetano ha questa intelligenza di rendere le emozioni. Norbu Rinpoche ha trasmesso insegnamenti che rappresentano un lignaggio di trasmissione, ed è importante, perché è un’insegnamento che risale al Buddha stesso. Sono insegnamenti venuti da generazioni e generazioni di grandi realizzati, di Buddha di kalpa precedenti, questa tradizione viene da una saggezza primordiale che va oltre la individualità delle persone. E praticheremo il guru yoga, al fine di entrare in connessione con tutti i maestri che ci hanno preceduto, i maestri del lignaggio, in particolare il maestro fonte.
Domanda. come possiamo rapportarci col mondo tramite la piena presenza?
Rinpoche. Non è semplice, è una forma d’allenamento che richiede coraggio, ma porta al benessere ed alla felicità. La benevolenza per gli altri e per se stessi è la fonte della felicita. Shantideva https://www.sangye.it/altro/?cat=15, diceva che tutto il malessere del mondo viene da una concezione egoista mentre ogni forma di felicità deriva da un desiderio altruista. È lì è tutto il coraggio e l’ardore a provarci. E ci sono degli esercizi per questo.
Domanda. Lo stato di piena presenza viene da uno stato naturale, ma è vero anche l’opposto?
Rinpoche. Dipende, perché ci sono molti stati naturali e c’è una natura superficiale, quella della nostra coscienza abituale, è una natura egoistica. E tutti l’abbiamo. Al fondo abbiamo una natura sana, buona, che non non è quella egoistica superficiale. L’egoismo è una malattia, mentre la piena presenza è la nostra natura, ma quella profonda. Si tratta di scoprirla e di integrare passo per passo.
Domanda. Come possiamo accorgerci d’essere distratti?
Rinpoche. Se resti attento al tuo respiro, lo senti espirare ed inspirare. Se perdi la continuità della sensazione del soffio del respiro, cadi nella distrazione. E sei distratto dalla presenza del soffio. Se sei consapevole della qualità dell’esperienza, del respiro, allora non cadrai nella distrazione e maturerai l’intelligenza allo stato presente. Il punto è che il movimento del pensiero non è di per sé una distrazione, finche soggiace questa qualità di osservazione, di riconoscere, non cadrai nella distrazione.
Domanda. Quindi piena presenza è solo la piena presenza consapevole.
Rinpoche. Vi propongo invece di fare un esercizio.
Facciamo l’esperienza della presenza attenta, semplicemente col respiro, con attenzione e continuità. Se si perde la continuità della sensazione del respiro, semplicemente ci si ritorna, è ciò che abbiamo chiamato il richiamo. È una pratica molto semplice, consistente nel sentire il respiro nella sua naturalezza e continuità. Provate a sentire com’è la situazione. Restando semplicemente in questa sensazione continua del respiro. Il secondo esercizio è lo stesso del precedente, ma dovrete aprire gli occhi. Prima, infatti, tenevate gli occhi chiusi, ma la pratica della piena presenza non va fatta ad occhi chiusi, perché noi viviamo con gli occhi aperti. Perciò fate lo stesso esercizio ma ad occhi aperti e, sopratutto, senza fissarvi su un qualcosa di particolare, ma realizzando una visione panoramica, potete a tal fine mettere le due mani ai lati degli occhi e verificare se le vedete, allora avete la visione panoramica. Possiamo sollevare un poco lo sguardo per avere lo spazio a disposizione, sviluppando una visione globale: nulla in particolare, ma tutto nella sua globalità. Si resta distesi in questa dimensione d’apertura, ed è bene essere consapevoli di come è quest’esperienza. E rimanete in quest’apertura, in questo sguardo disteso. Possiamo rimanere nella sensazione continua del respiro.
Osservate come questa esperienza, com’è questo stato? Come vi sentite?
Domanda. È come la presenza nello spazio.
Rinpoche. È importante osservare com’è la pratica, perché così può essere sviluppata ed approfondita.
Domanda. È ampio, ho avuto la percezione di ampiezza, ma anche di tutto ciò che c’era nel mio campo visivo.
Rinpoche. La sensazione d’ampiezza è un aspetto della presenza aperta. La presenza attenta, aperta, attenta ed aperta allo stesso tempo. la pratica profonda è sia attenta che aperta. Nella vita è importante essere al tempo stesso attenti ed aperti. È un modo di dire: una presenza attenta è mindfulness ed awareness è la presenza aperta panoramica o concomitanza di attenzione ed apertura.
Domanda. Vedo a 180°, ma, se vedo la bottiglia, è perché vedo solo la bottiglia o vedo in modo aperto?
Rinpoche. Non è necessario polarizzarsi sulla bottiglia, questo è il punto, il percepire la bottiglia non significa focalizzarci necessariamente su di essa. Quando siamo veramente nella presenza aperta ci può essere un’attenzione senza presa, tensione.
Domanda. Nella visione aperta ci può essere l’occhio rilassato che perde dettagli e colori, va bene ugualmente?
Rinpoche. È una delle esperienze che accadono.
Domanda. Per me i colori diventano vividi e vividi, ma senza profondità.
Rinpoche. Tutto è possibile.
Domani parleremo dell’esperienza della piena presenza in modo più dettagliato, della comprensione dell’esperienza, l’attività, comprendendo ciò che così è, come coltivare l’esperienza, mentre per l’azione è come integrare l’esperienza nel quotidiano.
Sabato 18/11/17 mattino
In occasione del 10° anniversario del Namdeling faremo questa pratica “Lo specchio” in onore di Norbu che ha insegnato all’Università di Napoli, egli è uno dei più grandi maestri Dzogchen contemporanei e mi è sembrato opportuno utilizzare questi insegnamenti come base per il nostro ritiro. Essi sono il cuore dello Dzogchen, della Mahamudra. Sono detentore anch’io del lignaggio e condivido con Norbu questo tipo di pratica, della piena presenza, dal significato universale e naturale. Oggi potremmo chiamarla pure scienza cognitiva e contemplativa. Il titolo è “Lo specchio, istruzioni sulla presenza e consapevolezza”. In francese presence e diligence, in inglese midnfulness ed awareness. Il termine presenza è uguale in francese ed italiano. Mindfulness è intuitivamente tradotto come presenza e consapevolezza. È la stessa cosa parlare di mindfulness ed awareness come consapevolezza e piena presenza. In una via yogica sappiamo bene che le parole sono riduttive ed ingannatrici, quindi si tratta di trovare la comprensione della presenza al di là delle parole.
“Omaggio al maestro” È sempre così che inizia un trattato di trasmissione. Chi trasmette questi insegnamenti, a sua volta rende omaggio ai maestri che li hanno trasmessi. Se l’insegnamento si riduce all’esperienza diretta della persona è efficace, ma si riduce a quell’esperienza di quella persona. Ogni volta che c’è questa trasmissione, c’è un passaggio d’un eredità intergenerazionale, e, da parte mia, sono detentore d’un lignaggio Shangpa che ha radici multimillenarie. Perciò s’inizia la trasmissione col Guru Yoga o dei maestri, in modo da connettersi a loro, alla trasmissione del lignaggio, alla sua influenza spirituale in ciò che può regolare e tramandare. Il Guru Yoga esprime la connessione con Guru Rinpoche che è l’archetipo del maestro risvegliato, è il Prezioso Maestro, così significa il suo nome. Guru Rinpoche l’archetipo che nella sua persona include tutti i maestri da cui abbiamo avuto trasmissioni. Guru Rinpoche è una figura storica che non è in contrasto col la sua figura d’essenza. Il senso è di rendere omaggio alla trasmissione dal maestro radice e di venire ad ispirarmi, questo è il senso. Quindi praticheremo lo yoga della HA bianca, in modo molto semplice, semplicemente facendo risuonare le tre HA. La HA è il simbolo dell’espressione dell’energia del risveglio della natura della mente e dei maestri del lignaggio. La HA ha un’aurea dai 5 colori, che rappresentano i differenti stadi per conseguire l’integrazione con questo stato fondamentale. La prima HA, a livello del cuore s’emette da qui una radiosità che va ovunque, con la seconda HA si riassorbe nel risveglio e con la terza rimaniamo nel riposo equanime. È un modo per richiamare a noi la presenza del maestro radice e richiamare a noi l’insegnamento.
Vi saranno tre parti: la visione, la meditazione e l’azione. In ciascuna di queste tre sessioni ci saranno due momenti: un primo momento di presentazione ed un secondo o dun o momento d’esperienza. To è ascoltare, percepire, sang è considerare, riflettere e dong realizzare. È importante porsi delle domande. Ricevere la trasmissione non è accettarla in modo cieco, ma in modo critico, raffrontandola con la nostra esperienza e vedendo se vi corrisponde. E potete seguirmi col libro “Lo specchio”.
Il primo verso è la visione, che significa come comprendere questa pratica della presenza. Nella sua presentazione Norbu inizia dicendo che la mente è la creatrice di tutto, conosci questo creatore universale.
“Re” è principale. La mente è la creatrice di tutto. Cosa significa?
La mente cos’è? È un problema! Il termine francese esprit è tradotto come mente in italiano, ma si potrebbe rendere come spirito. Lo Spirito Santo? In francese spirito santo è anche “spirito sano”. Così potrebbe esserlo pure in italiano.
Che differenza c’è tra mente e coscienza? La coscienza è la creatrice di tutto. È uguale a dire che è la mente creatrice di tutto? La mente può essere pura od impura. Quella pura è la natura della mente e l’impura è la natura della mente velata. La coscienza è la creatrice di tutto. Tutto ciò che sono e vivo lo vivo nella coscienza. Nulla v’è che si può vivere e sperimentare che sia fuori dalla nostra coscienza. La coscienza e cognizione sono uguali o different? La cognizione è la facoltà cognitiva, la più ampia possibile, di conoscere e sperimentare qualsiasi aspetto della realtà. Da un primo approccio vi propongo di considerare sinonimi la mente, la cognizione e la coscienza. Tutto ciò che sono e sperimento è un processo cognitivo e della coscienza. La nostra discussione è basata su una conoscenza cognitiva. Abbiamo bisogno d’una facoltà d’osservazione, è una comprensione che va al di là delle parole, che va oltre: la mente primordialmente pura libera dal samsara.
La mente ci fa errare nelle apparenze impure del samsara, ma è la stessa che ci fa scoprire lo stato di purezza primordiale. La nostra capacità cognitiva abituale in preda alle illusioni ci fa vivere gli stati abituali che chiamiamo il samsara, il ciclo degli stadi della coscienza che sperimentiamo ed in cui ci muoviamo. C’è una prima distinzione tra la mente impura e quella primordialmente pura o stato del Buddha, lo stato libero dalle illusioni che normalmente la perturbano, lo stato di risveglio.
La mente è la base, la radice di tutto.
Quando il suo stato naturale è il risveglio, il Buddha, altrimenti, se non viene riconosciuto, è il samsara. Nella raccolta di pratiche ci sono gli auspici di Samantabadra. In questi auspici di Samantabadra, il Buddha primordiale, tutte le apparenze vengono da un solo fondo, che è la mente, se riconosciuto nella purezza è il risveglio, altrimenti è il samsara. Il percorso al risveglio è la liberazione della mente dalle illusioni. La natura della mente è primordialmente originariamente pura, sana. Ma non è un giudizio concettuale, è riconoscere che la mente è caratterizzata dalla base sana o immensa ma non non vasta, ma onnipresente purezza. La natura della nostra mente è pura in quanto onnipresente, ma è velata dalle illusioni avventizie o contingenti, perché vengono a sovrapporsi concezioni che velano mascherano questo fondo. La mente che è velata nelle sue illusioni fa emergere gli stati di coscienza che conosciamo. Qui parliamo dell’origine dei 12 fattori interdipendenti o Pratittzapramuppada https://www.sangye.it/altro/?p=577, https://www.sangye.it/altro/?p=6603. La prima casella rappresenta un cieco che avanza senza vedere: è l’ignoranza, l’impossibilità della mente a riconoscere la sua natura, nella seconda raffigurazione troviamo un vasaio che col tornio dà forma alla terra è espressione delle informazioni che danno forma alla materia primaria, l’argilla, sono le informazioni che danno forma alla materia grezza che è la mente, e mettono in forma gli stati della coscienza. Le informazioni sono impregnazioni che danno forma agli stadi della coscienza abituali. Il terzo è la coscienza, non a caso. Attraverso queste impregnazioni ha luogo il processo di formazione degli stadi abituali della coscienza. L’assurto delirante del samsara è la mente in sé che non conosce la purezza della sua natura, erra sotto la presa delle sue illusioni, da cui sorge l’ignoranza samsarica e la mancanza di libertà. È importante comprendere questo modello, l’idea di fondo che la mente è primordialmente pura ed è in seguito che nascono le illusioni avventizie. Il cuore della via è praticare costantemente la presenza che porta a purificarci dalle illusioni, dalle impurità, rendendo presente, emergente, evidente il fondo originale della purezza originaria. Cosa significa?
C’è un fondo primordialmente puro e dei veli che lo oscurano. La presenza è lo stato in cui si liberano queste impurità. Le impurità della mente si dissipano nello stato di presenza, il che implica una attenta considerazione. Le illusioni della mente sono la modalità di sperimentare nel modo dualista: un soggetto che sperimenta degli oggetti. La coscienza è sempre di una qualcosa, ed ha sempre, ha sempre la tendenza di vivere la separazione, la dicotomia, a vivere un oggetto che ha un qua ed un là, che si struttura attraverso la presa fissazione cognitiva, che è il processo in cui la proiezione si differenzia attraverso proiezioni che la rendono differente da sé stessa.
L’esempio o metafora è il sogno. Tutto ciò che sogniamo è nella mente del sognatore. Nel sogno c’è un polarizzarsi, per cui la chiarezza cognitiva è sperimentare oggetti onirici, è una chiarezza da un lato del soggetto e dall’altro nel sperimentare oggetti onirici. Nel sogno sperimentiamo una manifestazione delle nostre informazioni latenti che inducono, mettono in forma l’esperienza, queste informazioni inducono la polarizzazione che porta alla presa fissazione, che esprime che qui c’è una proiezione di un mondo che un soggetto percepisce come altro da sé. L’influenza di queste informazioni latenti induce il processo rappresentativo in cui il soggetto si pone come diverso dagli oggetti che percepisce. Tutto deriva dalle rappresentazioni della mente illusionata. Malgrado che una conchiglia sia bianca, a volte può essere percepita gialla, in caso d’ittero. La conchiglia è bianca ma l’itterico la percepisce erroneamente come gialla. Questo processo proiettivo è la realtà in cui viviamo abitualmente. Come non siamo in grado di vedere il bianco della conchiglia, se itterici, così non siamo in grado di vedere l’effettiva realtà perché ci proiettiamo sopra le nostre tendenze, che la deformano. Comprendere che la mente vive questo stato proiettivo è comprendere che la sua liberazione pone delle solide basi alla pratica. Alla radice del samsara e nirvana c’è la mente stessa, perciò dobbiamo fare la pratica della presenza, in cui la fissazione della mente si sospende. La pratica dello stato della presenza, in cui si sospende la fissazione della mente. Perciò, avendolo compreso, coltiviamo senza distrazione lo stato di presenza, senza lasciarlo, vivendolo continuamente. Lo stato di presenza va coltivato come il cuore d’ogni pratica. È proprio la coltivazione con continuità della presenza che dissolve le illusioni alla radice. Tagliare le radici dell’illusione è sospendere la fissazione cognitiva, è andare alla radice del processo. Se si blocca alla fonte il corso del fiume lo si interrompe, altrimenti non sarà risolutivo. Risolvere il samsara alla radice, si tratta d’andare alla radice del problema: alla fissazione cognitiva, altrimenti non ci si libera dal samsara. Anche praticando cose positive faremo del bene ma non ci libereremo dalle illusioni del samsara. Mentre la pratica della piena presenza va alla fonte, mentre le pratiche esteriori vanno come a sfoltire le fronde d’un albero che comunque continuerà a crescere. Il solo modo è andare alla radice. La radice del problema è la sospensione della fissazione cognitiva attraverso lo stato di presenza, che è naturale, in cui non si produce né si fabbrica nulla, in quando non si è più lì e quindi non si fa nulla. Il miglior modo di far nulla è di non essere lì, è ciò che si coltiva col non sacrificio e la non coltivazione. È lo yoga, l’unione con lo stato naturale. Tutta questa prospettiva è coltivare la presenza senza distrazione, è il cuore di tutti gli insegnamenti del dharma. Tutta la via si riassume qui, nel coltivare senza distrazione lo stato di presenza. La pratica continua in quanto fonte, punto essenziale della pratica, è la conclusione della visione.
Domanda. Cos’è la presenza? È quella dei 5 aggregati? Forma, sensazione, percezione, formazioni mentali e coscienza? Quelle indicate da Buddha nei suoi sutra?
Rinpoche. Ci sono vari tipi di presenza, ed alcuni possono essere agli antipodi. 1 La prima è la presenza a qualcosa o di qualcosa, è utile ma dualista, è la presenza attenta ad un qualcosa, è presenza nei confronti di un qualcosa. Ad esempio, quella che è chiamata concentrazione su un oggetto, figura o funzione corporea, denominata in sanscrito shamata, è utile per stabilizzare la mente, calmare, è univoca unidirezionale su un oggetto o su un processo fisiologico come per la respirazione. 2 Nella seconda c’è una presenza semplice globale, presenza all’istante presente. 3 È una presenza d’assenza, in cui non è più lì l’osservatore, ma questo fa corpo con l’osservato, è la presenza non duale, è la presenza a sé. Non sempre la presenza di sé è d’aiuto: si prenda ad esempio un martello ed un chiodo. Ed essendo pienamente coscienti si pianti con un colpo secco il chiodo col martello. La presenza a sé può rivelarsi una pratica in cui siamo molto maldestri, può rivelarsi una pratica controproducente, perché, se questa fosse carente, potrei farmi del male col martello. Sono i cinque aggregati della presa fissazione che costituiscono ciò che sono e ciò che vivo, aggregati che costituiscono la nostra esperienza. Forma, sensazione fino alla coscienza, dal soggetto all’oggetto: è una messa in forma della coscienza. Questi aggregati, costituenti della nostra coscienza sono il soggetto della nostra coscienza e sono pure la forma percepita. La coscienza di sé può perfino far rafforzare la coscienza cognitiva dualista, mentre la piena presenza è la sospensione della presa fissazione cognitiva. Gli aggregati della presa fissazione, sono il 9° fattore del mandala dell’esistenza, l’attaccamento: una scimmia che afferra un frutto. La nona casa del mandala è la possibilità di tagliare questo ciclo sospendendo la presa fissazione. Così, sospendendo la presa cognizione, è come tagliare la presa cognitiva/la cognizione, è come tagliare l’albero alle radici.
Domanda. Come realizzare la piena presenza senza, ad esempio, dimenticarsi di prendere la medicina a questo tal orario?
Rinpoche. La piena presenza è la perfezione dell’azione, dove risiede la perfezione dell’atto. Se si è completamente presenti alla realtà ci si ricorda in modo diretto e spontaneo delle cose e la memoria si manifesterà spontaneamente.
Domanda. Il termine esprit francese in italiano è mente, ma in italiano è lo spirito.
Rinpoche. È un problema della lingua italiana, il che evidenzia il limite d’un approccio concettuale perfino tra due lingue molto vicine come l’italiano ed il francese. Perciò tradizionalmente si danno definizioni che instradano sulla comprensione dei diversi aspetti.
Domanda. La mia presenza verso le emozioni è molto confusa, cosa mi dice?
Rinpoche. La presenza alle emozioni è come la presenza al pensiero, è una presenza d’assenza, di fronte all’emozione forte a volte desideriamo non esserne contaminati e che l’emozione svanisca. Il segreto alla presenza delle emozioni è fare esattamente il contrario. Lasciamo l’emozione così com’è, l’emozione resta ma noi ci assentiamo.
Sentiamo il flusso inspirando, espirazione dal naso e dalle narici, in modo continui, in una visione ad occhi aperti con lo sguardo disteso, ampio, con una visione panoramica che abbraccia tutto l’ambiente, con uno sguardo leggermente più in alto per avere una visione più ampia per una visione più panoramica a 180° in un insieme d’un panorama sensoriale, in quest’apertura sensoriale e panoramica sentiamo il respiro che va e viene, abbandonandoci in quest’attenzione panoramica d’insieme nell’attenzione panoramica al respiro, silenziosamente. È sentire, osservare tranquillamente il nostro stato, la nostra esperienza in questa presenza attenta ed aperta.
Domanda. Mi sento più rilassata, ma un pensiero mi ha attraversato molto, osservando la mente che osserva se stessa.
Rinpoche. La risposta è sì e no: è dualista il soggetto che osserva sé stesso che osserva gli oggetti, ma c’è una forma di auto osservazione che non è dualista, c’è una forma di autoconoscenza che si comprende in sé, qui si tratta di percepire come ci si sente.
Domanda. Capita che in me c’è come una scimmia che salta dal un ramo ad un altro e mi ruba questa presenza.
Rinpoche. La mente è una razza di scimmia particolarmente agitata e nei pittogrammi tibetani la presenza è simbolizzata da una scimmia, nella pratica di piena presenza la scimmia si posa su un ramo, senza schizzare da uno all’altro. Man mano che la scimmia apprende a rimanere tranquilla, inizia a perdere peso fino a rimanere trasparente, nell’apertura la scimmia tende a sublimare.
Rinpoche. La piena presenza è la pratica dalle illusioni e passioni, illusioni dalla coscienza abituale ed emozioni da orgoglio, invidia, avidità, opacità mentale, gelosia, desiderio frivolo, è la liberazione dalle illusioni e passioni che ci libera dall’assoggettamento doloroso da loro esercitato e ci dona felicita e libertà.
Domanda. La mente ha generato il samsara ed il nirvana, ma questo non significa attaccarsi ad una presa fissazione della mente, ad una mente intrinseca?
Rinpoche. L’osservazione è giusta, il rischio c’è , ma dipende da un errore: utilizzare un approccio concettuale, che ci porta ad una visione eternaliista e nichilista, perciò il Buddha ci ha insegnato la via di mezzo che li rifiuta, è la via di mezzo che non appoggiandosi sugli estremi oltrepassa le concezioni abituali, che libera da forme di categorizzazione di categorie concettuali dualistiche. Ci sono 2 mezzi di conoscenza validi 1 la logica 2 l’esperienza immediata yogica non concettuale. L’illusione è nella ideologizzazione di formulazioni relative.
Domanda. ?
Rinpoche. È il Buddha che realizza. Ma chi è il Buddha?
Domanda. Il continuo mentale è la manifestazione di che cosa?
Rinpoche. La continuità del mentale illusorio. L’esperienza primordiale non è quello della coscienza, la coscienza di qualche cosa, l’intelligenza auto conoscente è una gnosi che in sanscrito corrisponde a jnana, è l’esperienza primordiale diretta immediata non concettuale che comprende sé stessa. In sanscrito si fa distinzione tra jnana o gnosi, esperienza diretta, immediata e visjnana o coscienza abituale dualista.
Concludiamo con un auspicio positivo per tutti, una dedica positiva per tutti gli esseri.
Pomeriggio.
Facciamo una piccola pausa di piena presenza aperta.
Stamani abbiamo discusso la mente come base e fondamento di tutto e la pratica della presenza come base per la liberazione della mente.
Ora parliamo della base, strofa 16. Tutti i Buddha del passato hanno raggiunto il risveglio attraverso la pratica della piena presenza. Così come tutti i sugata ed i Buddha del futuro raggiungono l’illuminazione grazie a questa pratica. Così come tutti i Buddha del passato, presente e futuro si risvegliano grazie a questa pratica e nessuno s’è risvegliato senza seguire questa pratica, è la pratica di mayen o continuità e drempa o presenza in tibetano. Ma particella di valore negativo yen significa distrazione, quindi è senza distrazione e denpa è la presenza, quindi significa: rimanere presenti senza distrarsi. Coltivare questa presenza è il cuore di tutte le meditazioni. Coltivare in tibetano è kyionma o coltivare, mantenere, sviluppare. Coltivare la presenza senza distrazione è il cuore di tutte le meditazioni, è il cuore di tutte le vie, delle pratiche, l’essenza di tutte le upadesha, il punto essenziale segreto di ogni senso profondo. Occorre coltivare questa presenza senza distrarsi, è un punto molto importante per tutti i diligenti che hanno appunto tutta l’energia, ardore, determinazione, motivazione.
E tutto dipende dalla propria motivazione.
Sangyo è la 4° paramita o virtù o sforzo entusiastico o virya energia in sanscrito o qualità maschile o ardore, è la diligenza virile senza distrazione.
Come fare? Non ruminare il passato né anticipare il futuro, non partire con concezioni del presente, è la strofa 18, il che merita un esame.
Non rimuginare il passato. Né anticipare l’avvenire, il futuro. E nel presente non partire da concettualizzazioni, anche se riguardano il presente stesso. Ma rimanere nella presenza d’istantaneità o nell’istante presente, che non è il momento presente, ma è l’esperienza in cui il momento diventa al di là del tempo, è l’esperienza prima che subentri la concezione, prima che subentri la concezione. Colui che concepisce ed il concepito nascono nella concezione. L’istantaneità è il presente prima della concezione, non è un qualcosa che devo concepire. La presenza istantanea è la presenza d’immediatezza, che ha 2 sensi: 1 istantaneo, come l’immediatezza del mercato della borsa dove operano milioni di transazioni al secondo, come non mediazione, che sta nel mezzo, il secondo è la presenza non duale, non ci sono osservatori né osservati perché l’uno si pone in relazione dell’altro. Occorre che la mente si rivolga verso sé stessa per conoscersi, per rimanere in sé stessa. Che in occidente è la riflessività, l’intelligenza autocomprensiva, la mente è libera da ogni forma di concettualizzazione dei 3 tempi. La percezione abituale dei 3 tempi è frutto del concepire le cose. Sia nel Mahamdudra che nello Dzochen si dice che l’istantaneità è un 4 tempo libera dai 3 tempi, al di la dei 3 tempi abituali. La presenza d’istantaneità è senza tempo, quando esso si sospende in volo, è come una souspence, rimanere sospesi. Si tratta di non entrare in una sorta d’elucubrazione se lo stato in cui sono è giusto o sbagliato, ma di rimanere nello stato di sospensione del così com’è. È difficile da riconoscere e realizzare per i principianti. Se ci si prova e ci si riesce bene altrimenti ci sono dei modi, iniziando a coltivare la non distrazione, rimanendo attenti ad una sola cosa per volta, la sensazione del respiro. Utilizzando qualsiasi supporto dei sensi come la A bianca, così la mente si stabilizza e pian piano addestriamo al mente in modo univoco, shinè o senghin. La mente, strofa 20, apprende a rimanere al suo posto ed in uno stato di benessere. Un proverbio tibetano recita: “L’acqua cheta è limpida così come la mente non agitata è felice”. Così la mente in quiete, oltre ad essere chiara e limpida, è anche felice. Attenzione univoca senza tensione, senza concentrazione. Se si è tesi la tensione diventa una fonte d’agitazione. Rimanere stabilmente concentrati, ma in modo rilassato, attenzione senza tensione. È l’attenzione stabile che ci permette di dimorare in questo stato di vigilanza chiarezza e quiete. È cosi possibile coltivare questo stato senza distrarsi in questa presenza chiara ed aperta. Quando siamo in questo stato di presenza aperta è un modo di scoprirà quest’esperienza e si estendono gli occhi in uno sguardo panoramico, così come quando si apre la mente si rimane in uno stato d’abbandono e di riposo ed è molto importante nel mahamudra e dzochen. È restare aperti nello stato naturale, in cui non c’è nulla di particolare da fare, è essere così com’è, senza artifici o voler fabbricare uno stato particolare, senza meditazione o senza voler meditare su qualsiasi cosa, ma senza artifici ma restare in questo stato naturale senza fabbricazioni ma libero. Se appaiono pensieri negativo o positivi, che la mente sia in riposo o in movimento, resta semplicemente in questo stato di non distrazione rispetto alla natura della mente, non artificiale e non fabbricata. In questo stato di presenza o non distrazione è riconosciuto ogni pensiero, che così emerge la loro essenza, si sciolgono, si autoliberano. Ci sono tre grandi tipi di auto liberazione dei pensieri e dalla distrazione, è un insegnamento di Vajrochana il 1° modo di autoliberazione è simile a quando si riconosce un familiare. Perché quando lo ritrovi non devi riconoscerlo ma è un qualcosa di spontaneo e naturale. Se riconoscerli è un modo spontaneo di ritrovarli come l’impatto d’un fioco di neve su una pietra calda e si scioglie. Il 2° modo di autoliberazione è come si scioglie un serpente. Immaginiamo di prenderlo e fargli un nodo, ma non troppo stretto ed il nodo si scioglierà da solo senza intervento esterno. Così il semplice restare nella presenza sospesa, i pensieri si liberano da sé, senza bisogno d’un intervento. Il 3° modo di liberazione è come il ladro in una casa vuota, che è come noi stessi, ed il ladro sono i pensieri. Qualsiasi ladro che entra in una casa vuota non trova nulla da rubare. La casa vuota è la presenza d’assenza. Quale che sia la situazione, mente in riposo od in movimento, si tratta di restare nella presenza. Nello stato di presenza sia che la mente è in riposo od in movimento, è nel semplice stato naturale di presenza in cui si opera l’autoliberazione. Si tratta di coltivare lo stato di presenza in sé senza abbandonarlo ma restando nel così com’è. In questo stato di riposo non si tratta di indagare, né ci sono colori, ma di rimanere nella dimensione aperta. Per un principiante è difficile rimanervi per più di qualche istante. È un artificio volervi restare a lungo. Si tratta di ritornarvi nello stato naturale, è il richiamo. La pratica è il riprendere frequentemente e costantemente il richiamo ogniqualvolta si perde lo stato di presenza naturale. I richiami che possono essere istantanei, di piccole pause, più lunghi attraverso varie sessioni di pratiche.
I richiami istantanei sono come dei flash e con l’abitudine si fanno sempre più spontanei. Più è frequente, più favorisce lo stabilirsi d’una continuità. I richiami con piccole pause sono per mollare la presa, sganciare. E ci sono 2 modi per essere con la testa tra le nuvole: il 1° è la distrazione che ci fa partire con le nostre fantasie ed il 2° è lo stato di sospensione. C’è chi ha una dipendenza dalle sigarette che hanno l’abitudine di fare anche 20 pause per fumarsi la sigaretta, ma così facendo s’avvelenano i polmoni e l’organismo, noi invece possiamo farlo in modo molto più sano. E possiamo fare innumerevoli pause di piena presenza seduti, camminando, danzando. Perciò si pratica la danza vajra, entrando nella presenza della sintonia del corpo voce e mente. Lo si fa anche in una semplice sessione assisa con la presenza del corpo della mente e del respiro. Un punto importante è che il movimento ed i pensieri sono la radiosità stessa della natura della mente come la luce sono l’emanazione della natura del sole e le onde sono l’espressione della natura dell’oceano, perciò, strofa 26, quali siano i movimento della mente riconoscili per quello che sono. Non significa volerli afferrare, ma rimanere nello stato di presenza senza distrazione. Si tratta di coltivare la continuità qualsiasi siano le manifestazioni della mente, coltivare il corso della presenza come lo sviluppo del corso d’un fiume. È lo yoga della continuità della presenza così come score un fiume.
Strofa 30, quale che sia lo stato della mente, lascia la mente così com’è nel suo stato naturale, questa è la meditazione.
Domanda. Abituarsi alla presenza rispondendo al richiamo, ci pone nel dualismo?
Rinpoche. Con la pratica c’è sempre meno sforzo, all’inizio necessita un certo sforzo. Ma ciò vale per qualsiasi apprendimento, così come quando si impara a guidare l’auto: man mano che vi facciamo l’abitudine diventa sempre più naturale. Il problema è che abbiamo così tante abitudini che c’inducono a fissarci, ci condizionano. Nella pratica della piena presenza si smette di fissare le cose e ci si abitua a mollare la presa, è l’antidoto alle nostre abitudini. Il che richiede sforzo.
Il tipo di pratica dipende dalla persona, dal suo modo di praticare, in funzione delle circostanze.
Si può iniziare con una presenza dapprima aperta e quindi attenta, poi stabile, che continua fino alla presenza attenta ed aperta, quindi si sfocia nella presenza naturale.
Intervallo.
Ora qualche piccolo yantra, stiramenti, respiri. Se non conoscete la pratica della purificazione col respiro potete limitarvi a fare tre respirazioni lente e profonde.
HAAAaaa, per tre volte.
Teniamo gli occhi aperti in uno sguardo rilassato, ampio ed i sensi aperti, la vista, l’udito, alla totalità del paesaggio sensoriale, e ci si abbandona completamente rilasciandosi abbandonandoci al così com’è, restando in questo stato completamente aperto, così com’è, nell’abbandono, naturalmente e completamente.
Restiamo completamente rilassati in questo stato naturale d’apertura qualsiasi cosa possa accadere o non accadere. Rimaniamo semplicemente in questo stato naturale di chiarezza aperta.
Possiamo, rimanendo in questo stato, volgerci a destra ed a sinistra, pure parlare.
Domanda. A volte è un’esperienza forte, dove emergono fantasmi.
Rinpoche. Distendendoci all’aperto è facile che ci siano delle cose che iniziano ad emergere, ci sono delle cose che abbiamo represso rimosso, nascosto sotto il tappeto, allora stando all’aperto hanno la tendenza ad emergere. Ma è bello, perché ci permette di liberare ciò che è stato represso, ma è importante di lasciar andare, si tratta di riconoscere, ma di non attaccarsi, né di staccare, il lasciar andare permette alle nostre tensioni, samskara, di purificarsi, liberarsi. Nello stato di presenza, qualsiasi cosa emerga la si lascia andare e porta ad una forma di liberazione.
Domanda. È una sorta sensazione d’assestamento come se le cose trovassero la loro giusta sistemazione.
Rinpoche. Se non si perturbano, le cose sono naturalmente perfette, in uno stato d’armonia.
Domanda. È come se l’esterno mi diventi interno e viceversa, entrando ancora più in profondità, è come se le percezioni esteriori mi si rivolgessero internamente.
Rinpoche. Nella piena presenza c’è uno stato come di fusione tra la sfera esterna con quella interna.
Domanda. È una fusione del tutto esterno interna che mi viene meglio ad occhi chiusi che aperti.
Rinpoche. È soggettivo, per qualcuno è meglio ad occhi chiusi e per altri aperti, ma sarebbe meglio ad occhi aperti, perché nella vita si vive ad occhi aperti e sarebbe difficile vivere ad occhi chiusi.
Domanda. Solitamente medito ad occhi chiusi, ma qui lo faccio ad occhi aperti ed ho ho avuto di apertura tanto grande da respirare a bocca aperta, che non avevo parole e nel Rinpoche. Molto bene.
Domanda. L’esperienza di piena presenza si fa col corpo e la mente. se un esperienza è reale e vera, ti porta ad una verità ed è il silenzio.
Rinpoche. Il silenzio non è una verità ma è una realtà, il silenzio del pensiero discorsivo di cui parliamo ora, è la modalità d’espressione del pensiero in cui ci sono domande e risposte. La mente sana e santa è silenziosa.
Solitudine e beatitudine. Ma non significa chiudersi in una cella o grotta. È la solitudine in senso profondo di non essere due, ma uno nell’esperienza che si vive in sé stessi. È la parola del silenzio. La parola del silenzio è la madre di tutti i Buddha, è di un intelligenza non discorsiva, che ha fatto emergere i Buddha d’ogni epoca, è un’intelligenza priva di presa fissazione dualista, è una concezione non macchiata da presa fissazione, è l’immacolata concezione, perciò è la madre di tutti i Buddha.
Domanda. Nel torpore, avevo come l’idea di parlare ma inconsistenti, parole senza logica ordinaria, ora percepisco di fondo parole senza senso.
Rinpoche. Il pensiero è naturalmente insostanziale, per fortuna, altrimenti lo spazio sarebbe insufficiente a contenere tutti i penieri ma per riconoscerli come insostanziali evita d’afferrarti loro.
Domenica.
Ieri abbiamo visto la visione e la meditazione, oggi l’azione e l’integrazione. È una trasmissione peculiare dello Dzogchen Mahamudra ma anche del triplo apprendimento, riferito a shila o disciplina samadhi esperienza prejina perfezione. L’azione corrisponde alla disciplina l’esperienza è sempre la stessa mente la visione, che è la base di tutto corrisponde a prajna. La mente presenta dei veli, la base è la natura della mente velata. Il cammino è il processo di svelamento, da cui emergono le qualità risvegliate della natura della mente, svelamento e sviluppo, in tibetano suza jigjon. Il che permea tutto il cammino. Il frutto è quando la natura della mente è svelata e si manifestano le sue qualità, il frutto è la base svelata. Ciò è molto importante per comprendere la via. L’elemento fondamentale è lo stato di presenza, la presenza senza distrazioni.
Oggi vediamo l’azione nella vita quotidiana, strofa 37 dello Specchio.
I 4 tipi d’attività sia per il giorno che di notte, guidare l’auto, stare in metro, fare l’amore. Tutto è compreso nei 4 tipi di attività. Qualsiasi cosa facciamo, se lo facciamo in piena presenza, lo faremo meglio in piena presenza aperta e sensibile. L’attenzione, l’apertura e la ricettività, disponibilità, apertura di cuore.
Se non siamo capaci di coltivare la presenza in ogni attività, non potremo realizzare la presenza stabile, non ci sarà la fusion tra le attività comuni e quelle a riposo. L’addestramento, apprendimento ha situazioni privilegiate, ad esempio, una sessioni da seduti, 5 – 10 minuti per iniziare di semplice presenza del respiro, battiti cardiaci, ambiente, relazionale. Un altro momento privilegiato è la camminata meditativa, camminare in piena presenza, tranquillamente, sincronizzando il respiro al passo, inoltre la danza vajra, che è sincronismo tra corpo, mente e voce. È importante che vi siano periodi d’apprendimento e di pratica, ed i benefici sono proporzionali all’intensità dell’apprendimento. Va bene fare 5 minuti di pratica seduti, un’ora di danza vajra al giorno. L’ideale è fare una pratica regolare. È molto importante nell’integrazione il richiamo, che ci fa tornare allo stato di presenza. Si possono distinguere quattro tipi di richiamo: il Primo richiamo è quello istantaneo, “touch and go” espressione aeronavale sinonimo di toccare la presenza continuando nell’attività che si sta facendo. È questo il richiamo alla piena presenza. 2 Il richiamo qui consta nelle piccole pause. Sostituendo la pausa sigaretta con piccole pause. Lo stato di piena presenza è molto utile per liberarsi dalle intossicazioni, dall’abuso.
Tre richiami particolari come lo squillo del telefono, che diventa un richiamo alla piena presenza, od il semaforo rosso diventa un richiamo alla piena presenza. La quarta forma di richiamo sono le sessioni meditando, camminando, danzando. È il modo più semplice privilegiato per scoprire la piena presenza, e pian piano diventerà più facile scoprirlo nella vita ordinaria. È un apprendimento. La stabilita è proporzionale alla diligenza, alla applicazione. Citazione del Sutra Prajinaparamita: l’attenzione di un praticante è la consapevolezza in qualsiasi cosa, lucidi consapevoli in quella situazione, come ad esempio: evitando di muoversi in modo brusco, disordinato e disattento, ma facendolo in modo attento, consapevole, alzandosi attentamente, conservando in ogni passo la consapevolezza. Il che si applica a qualsiasi azione, pur leggera, mantenendo con continuità la presenza, è molto difficile mantenere la presenza continua perché siamo attratti dipendiamo dalle distrazioni, siamo intossicati dalle distrazione e la pratica diventa un processo di di disintossicazione, praticando se n’avverte il sollievo, ma all’inizio ci pesa come una noia, se iniziate a stare tranquilli all’inizio emerge una certa noia, non succede nulla. Ma la noia è un ottimo segno. È il segno d’astinenza dall’agitazione distrazione, come quando ci manca la sigaretta ed il fumatore scalpita in crisi d’astinenza. È molto difficile integrare per i principianti la presenza in ogni attività, perciò ci si addestra col richiamo. Qualsiasi cosa s’apprende all’inizio è difficile, e ci rende impacciati e ci rende più fluida e naturale. È attraverso l’addestramento graduale e continuo che ci porta a questo stato e se lo percorriamo ci porta all’autoliberazione alla presenza tramite l’intelligenza, la consapevolezza di cogliere lo stato e tornarci quando siamo distratti, accorgendo
la azione di auto liberazione non si può sviluppare senza presenza ed autoconsapevolezza, altrimenti non si può sviluppare la pratica con la vita ordinaria, Norbu Rinpoche diede quest’insegnamento nel 1977, quando insegnamenti che s’ispirano allo dzochen ci sono molti giovani che ne gioiscono, l’attività liberata è libera.
Cosa significa attività spontanea autoliberata?
Facilmente può essere malcompreso. L’attività spontanea autoliberata è libera dalla presa fissazione, dalle passioni. Samantabadra lo spiega molto bene nei suoi auspici. La trasmutazione delle 5 emozioni fondamentali, ad esempio l’autoliberazione dalla collera con una forma di chiarezza simile allo specchio.
Nel ’77 Norbu Rinpoche insegnò l’autoliberazione, non la comprensione intellettuale, che comprendiamo poco se non lo mettiamo in pratica. Se il malato, pur essendo in grado
la malattia nel nostro caso consiste nel nostro assoggettarsi alla nostra fissazione dualista, il rimedio fondamentale per la liberazione è l’autoliberazione quindi di coltivazione la presenza e consapevolezza. La morale culturale che dipende dal contesto, dalle leggi, dalla matrice sociolinguistica da cui emerge, ma l’etica naturale non dipende dalla morale naturale ma dipende dallo stato di piena presenza. Ma esiste un etica nella piena presenza? Non si tratta d’un etica basata sul ragionamento discorsivo ma su una forma d’etica che viene da un empatia da uno stato di presenza aperto ed attento in comunione con ciò che è altro, non è concettuale, la non dualità è uno stato completo di non empatia, dove non c’è il qui e l’altro, ma c’è la percezione della regola d’oro che si tratta di non fare agli altri ciò di cui non si vorrebbe essere vittima. Questa regola la si potrebbe spiegare con tanti ragionamenti, ma, in un empatia sincera, l’altro tende ad essere rispettato come sé stesso.
È importante il punto successivo: l’unione di vacuità e compassione.
Quando c’è la comprensione concettuale del sé, ciò non serve a molto, perché
se si è in un vero stato di presenza, si scopre l’unita della vacuità e compassione, la percezione di vacuità è che nella piena presenza c’è un vuoto d’illusione ed è qui che si trova la forma più profonda d’amore e compassione. Se considerate l’altro come se fosse voi stessi lo potremmo rispettare proprio come se fossi io stesso. È amore, è compassione spontanea. È amore, compassione naturale. Perciò, prendiamo la radiosità del sole, così come il sole irradia luce e calore e fà crescere i frutti senza intenzione così c’è la forma di compassione più profonda che è quella spontanea di compassione spontanea e naturale autoliberata che si manifesta nella piena presenza.
La comprensione dell’importanza di praticare la consapevolezza che porta alla piena presenza è fondamentale nello dzochen.
Domanda. Mi dispiace, quando sento di non essere stato attenta, mi sembra che dipenda dalla mia mente egoistica.
Rinpoche. Non si tratta di dispiacersi per aver perso la piena presenza, altrimenti se s’insiste può diventare deprimente, ma si tratta di rendersi conto di aver abbandonato la piena presenza e di volervi tornare, più ci si rende conto di distrarsi più facilmente ci si può tornare, più ci si rende conto di distrarsi, più siamo vigili ed è bene, perché ci permette di tornare nella piena presenza. Il che funziona se ci torniamo.
Ma evitiamo l’illusione autoflagellante, che si duole di distrarsi. Al contrario, lo dobbiamo considerare come un fatto positivo, che ci stimola a tornare ad essa.
Domanda. La piena presenza è velata da molti veli, quali?
Rinpoche. Ci sono i veli della dualità e delle passioni, che provengono dalla dualità. Come per un malato è utile comprendere la natura della malattia e gli è utile per guarire, ma occorre prendere il rimedio per guarire.
Domanda. ?
Rinpoche. Qualsiasi pratica, se fatta male, può farci cadere in deviazioni. È molto importante la diligenza nella pratica ed una persona che ci possa accompagnare, ci accompagna e ci fa recuperare.
Se ci si fissa sulla non fissazione è un problema, perché il problema è la presa fissazione, negli insegnamenti tradizionali si parla del desiderio di essere e di non essere tra eternalismo ed estremismo, essere o non essere. Si tratta di coltivare questo stato con intelligenza che richiama e discrimina e se lo si fa non è un problema.
Domanda. Diversa qualità del sentire.
Rinpoche. La presenza è uno stato di sensibilità, uno stato d’acume sensoriale, le proiezioni abituali tendono a velare la sensibilità, in uno stato di piena presenza in cui tendono a svanire le proiezioni, c’è uno stato incomparabile di ricettività. Abbiamo una rappresentazione di quest’esperienza sensoriale.
Domanda. Quando dobbiamo decidere di cambiar casa, lavoro, come mantenere la piena presenza nelle decisioni?
Rinpoche. Lo stato di piena presenza è quello in cui per eccellenza si possono prendere le decisioni. Non implica non avere decisione e la capacita di proiezione delle cose ma si ha la massima espressione di creatività, ed è quando le proprie risorse profonde si manifestano più esplicitamente, ad esempio, è in armonia con la situazione presente. Essere in armonia con la situazione significa danzarvi spontaneamente e prendere perciò decisioni. Ma non si tratta di decidere, immaginare come sarà il futuro, perché il futuro non va come vorremmo, ma nella piena presenza c’è un intelligenza che ben si adatta alla situazione, e ci porta naturalmente ad un comportamento etico empatico e benevolente, apertura alla creatività del presente. Quando siamo nel mentale siamo nelle proiezione del futuro, mancando la chiarezza dell’istante presente in cui possiamo agire al meglio.
Domanda. Più si coltiva la coscienza aperta, meno si conosce il mondo ma lo si vive, cosa ne pensa?
Rinpoche. In effetti si tende a vivere il mondo senza avere la sensazione di essere in relazione ad altro, è incorporazione, che si fa corpo con l’esperienza, è al 100% presente facendo corpo con l’esperienza, tutta la pratica è di incorporazione, non di spiritualizzazione, le 3 dimensioni del risveglio non a caso sono i 3 corpi del risveglio.
Domanda. Quali sono i 3 corpi?
Rinpoche. C’è 1° la comprensione del risveglio 1° non 2° e trino: 1° assoluto, 2° non duale, 3° ternario. 1° assoluto è ciò che senza altro, realizzato dalla non dualità è esperienza dell’assoluto, onnipresente, perciò non ci può essere qualcuno che sia altro, la natura è onnipresente, la natura è assoluta. Il dialogo interreligioso equivale a considerare dio come l’assoluto. Non per un monoteista, perché se fosse assoluto sarebbe onnipresente. Il che equivarrebbe alla natura come diceva Spinoza, quindi la natura nel darma prende supporto dalla divinità samantabadra gr ma la loro natura è assoluta onnipresente = corpo di natura assoluta darmakaya, apertura illimitata, l’esperienza, emerge la qualità di luminosità = corpo esperienza perfetta. Tutte le manifestazione di chiara luce intelligenza discriminante = nirmanakaya corpo emanazione. Risveglio attraverso 3 dimensioni o kaya o corpi. Lo stato di presenza è perciò 1, non 2 e trino. Coltivando lo stato di presenza è coltivare i 3 corpi. Nel Mahamudra e Dzochen coltivare i 3 corpi è una pratica centrale.
Concentrazione
v’invito a coltivare lo studio e la pratica di questo libro “Lo specchio” che ci consente di vederci fuori e dentro non vediamo l’altro ma sé stessi nello specchio, è una metafora per dire come vediamo il ns viso negli altri, metafora proiezione, simbolo esperienza non duale. È una superficie riflettente e l’immagine sono un’unica cosa. Lo stato di piena presenza è l’unita di esperienza ed intelligenza proprio come in un libro le immagino e la superficie non sono distinguibili.
Sedetevi comodamente, scioglietevi, fate almeno 3 respirazioni profonde, ossigenandovi, posizionatevi bene ad occhi aperti con lo sguardo disteso panoramico ampio, rilassatevi in una visione globale, lasciandovi andare in un apertura totale illimitata, cosicché è la chiarezza che emerge. Al tempo stesso siamo nella sensazione del corpo e del respiro che sono presenti, lasciamo che ci abbandoniamo per un po in questa spontaneità, apprendiamo gradualmente a tornare in questo stato di presenza attenta, aperta ogni volta che ci distraiamo.
Dedica come auspicio che tutto ciò che abbiamo praticato sia di beneficio per noi stessi altri e prosperità per il Namden Ling e possa irradiare nelle cose positive.
Facciamo insieme un cerchio d’interdipendenza. Rifugio significa stato di piena presenza che ha 3 dimensioni.