Ven. Ghesce Tenzin Tenphel: Gli otto Dharma mondani

Ven. Ghesce Tenzin Tenphel: “Se partiamo con questo atteggiamento tranquillo, sereno, è sicuro che un po’ alla volta arriveremo ad un punto in cui tutte le 24 ore saranno pratica.”

Ven. Ghesce Tenzin Tenphel: Gli otto Dharma mondani: sconfiggere le preoccupazioni

La cosa importante da fare, all’inizio, è sempre quella di generare una motivazione positiva, e questo vale in particolare, e soprattutto, quando insegniamo il Dharma oppure ascoltiamo il Dharma. Insomma, quando compiamo questo tipo di attività è fondamentale la motivazione. E, in realtà, sarebbe importante sviluppare sempre un’abitudine a coltivare una motivazione positiva.

Quindi, è importante abituarsi a questa cosa. Per lo meno nelle attività di ascolto del Dharma, nelle attività di meditazione, nelle attività in cui facciamo dei canti, delle recitazioni. In particolare, in questo tipo di pratiche, se noi le facciamo dopo aver generato una motivazione positiva, allora queste pratiche riescono in modo perfetto, quindi è molto importante. Che tipo di motivazione?

Se riusciamo, una motivazione altruistica e, diciamo, come minimo, la motivazione di non danneggiare, di non fare del male agli altri.

Quindi, per questo discorso che stiamo facendo, diciamo almeno che nelle attività di ascolto e di pratica del Dharma è importante avere una motivazione positiva. Perché diciamo “almeno” in queste pratiche? Perché è difficile avere una motivazione positiva sempre, durante la maggior parte del nostro tempo.

Durante la maggior parte del nostro tempo quello che succede è che non abbiamo una motivazione positiva e quindi le nostre azioni finiscono col diventare delle azioni non virtuose.

E le azioni non virtuose che cosa sono? Sono causa di sofferenza, ma noi in realtà non vogliamo soffrire, vogliamo stare bene. Però, appunto, le azioni che compiamo la maggior parte del tempo sono causa di sofferenza e, se noi vogliamo stare bene, vogliamo la felicità, purtroppo non basta questo desiderio, non basta desiderare la felicità per ottenerla, bisogna porre le cause della felicità.

Quali sono le cause della felicità?

Sono le azioni virtuose. Come si fanno le azioni virtuose? Quando si ha una motivazione positiva. Quindi è importante, dal momento che noi, se non riusciamo neppure quando pratichiamo il Dharma, o ascoltiamo il Dharma ad avere alla base di queste attività una motivazione virtuosa, una motivazione positiva, è quasi impossibile che durante il resto del tempo, durante le 24 ore, riusciamo ad avere una motivazione positiva.

Pertanto, almeno proviamo a concentrarci su questi momenti. È importante fare attenzione a questa differenza tra, diciamo, una motivazione positiva e una motivazione negativa.

Quindi una cosa che magari non è facile capire per tutti è la relazione che c’è tra una mente positiva, una mente virtuosa e la felicità, e una mente – diciamo così – non virtuosa, non positiva, non buona e la sofferenza; cioè il fatto che nel momento in cui noi coltiviamo delle menti virtuose, degli atteggiamenti positivi, questo produce felicità e quando invece abbiamo atteggiamenti negativi, non virtuosi, non positivi, abbiamo sofferenza. Questo è molto importante da capire.

Quindi, qual è la cosa fondamentale per capire se stiamo praticando effettivamente il Dharma o non stiamo praticando il Dharma?

La cosa fondamentale è che noi pratichiamo il Dharma nel momento in cui, analizzando la nostra mente, osservando la nostra mente, riusciamo a trasformarla in positivo, riusciamo a migliorarla. In quel caso, possiamo dire di essere praticanti di Dharma, di stare praticando il Dharma.

Se noi non riusciamo a cambiare, a trasformare la nostra mente – perché non riusciamo a osservarla, ad analizzarla – allora quello che facciamo non è Dharma. Succede che uno fa tante pratiche che esteriormente sembrano pratiche di Dharma – per esempio recitare dei mantra e così via – ma che interiormente non c’è una motivazione positiva, non c’è un lavoro sulla mente, non c’è un’osservazione, un’analisi della mente. Allora quell’attività non è un’attività di Dharma e non diventa neanche un’attività virtuosa. Per esempio: se noi mentre recitiamo dei mantra continuiamo a pensare, a formulare dei pensieri negativi, quella recitazione dei mantra è un’attività virtuosa o non virtuosa?

Facciamo un altro esempio: se mentre recitiamo i mantra uccidiamo un insetto, quella cos’è un’attività virtuosa o non virtuosa?

Diciamo che l’azione di parola che abbiamo compiuto è virtuosa, ma l’azione di corpo che abbiamo compiuto è un’azione non virtuosa, quindi, alla fine, non abbiamo accumulato tutti questi meriti.

E, allo stesso modo, la stessa cosa vale per il pensiero. Se mentre recitiamo pensiamo negativamente, è un po’ lo stesso discorso. Quindi, per capire qual è la cosa fondamentale che rende Dharma una certa pratica, una certa attività, è questa capacità di lavorare sulla mente, lavorare sulla mente trasformandola.

Ma come si fa a trasformare la mente?

Analizzandola, osservandola, perché se noi non osserviamo la mente, non possiamo poi riconoscere ciò che non va e cambiare. E se noi non cambiamo il modo in cui funziona la nostra mente, non otterremo stati di maggiore benessere, di maggiore felicità. Perché? Perché la nostra mente… come funziona?

Funziona formulando continuamente una serie di pensieri di ogni tipo che, se li lasciamo a sé stessi, spesso vanno in una direzione negativa, una direzione che fa aumentare la nostra infelicità. Abbiamo spesso contenuti mentali come dubbi, rimuginazioni e concettualizzazioni erronee negative.

Quindi, abbiamo tutta questa serie di stati mentali negativi che, se noi non osserviamo, non riconosciamo in noi, non riusciamo neanche a cambiare e, quindi, non riusciamo a stare meglio. Per questa ragione l’analisi, l’osservazione è la cosa fondamentale per poter lavorare su noi stessi. Sennò, appunto, possiamo anche stare in ritiro mesi – o c’è chi fa anche il ritiro di tre anni – ma se in quella pratica non ha compiuto questa operazione di osservazione, e quindi di trasformazione di sé, quella non è pratica del Dharma.

Facciamo un esempio, riprendiamo l’esempio di prima: se noi stiamo recitando il mantra Om Mani Padme Hūm e in quel momento con un piede o con la mano uccidiamo una zanzara, quello non è Dharma, quella non è pratica del Dharma.

Perché, che cos’è il mantra di Cenresig?

Cenresig è la divinità della compassione, il Buddha della compassione, e il mantra è il nome, sostanzialmente esprime il nome di Cenresig, del Buddha della compassione e quello che abbiamo fatto con le nostre mani è in contraddizione con la compassione, quindi è in contraddizione con il Dharma e quindi non è Dharma.

Perché, che cos’è il Dharma? Il Dharma, nella sua massima espressione, è aiutare gli altri e, nella sua minima espressione, è abbandonare il danno inferto agli altri. Quindi, se noi non facciamo neanche questo, non riusciamo a eliminare il danno che facciamo agli altri, quello non è Dharma. Noi sappiamo che, per quanto riguarda il Dharma, abbiamo una condotta che caratterizza il Dharma ed è una condotta, diciamo, di non danno, di non violenza e che questa poi può essere ulteriormente sviluppata al massimo con il fatto di essere di beneficio agli altri e, al minimo, con il fatto di non essere di danno agli altri.

Quindi, il Dharma, per quanto riguarda la condotta, è come minimo non danneggiare gli altri. Questo viene compiuto su quale base? Sulla base della visione del Dharma, che è la visione del sorgere dipendente. Quindi, il Dharma è basato sulla visione del sorgere dipendente, che porta ad applicare una condotta che consiste, come minimo, nell’abbandonare il danno inferto agli altri. Questo è ciò che caratterizza il Dharma. Se noi non abbiamo questo tipo di condotta, non stiamo praticando il Dharma.

Perciò, quello che abbiamo detto poco fa, cioè che il Dharma consiste nell’applicare una condotta di non violenza, di non danno sulla base di una visione, della visione del sorgere dipendente, questo è poi, come dire… questo può essere ampliato e sviluppato in modo estremamente vasto perché questo duplice elemento, la condotta di non violenza, di non danno e la visione del sorgere dipendente, questi due punti condensano, sintetizzano tutto il Dharma, che è vastissimo.

Infatti, questi due punti possono essere articolati in modo molto, molto, molto diversificato, vario, vasto e quindi è importante approfondire queste diverse spiegazioni per avere tanti, tanti diversi punti di vista che arricchiscono la comprensione di questo punto.

Ma, nel momento in cui noi sintetizziamo tutto il Dharma, abbiamo questi due punti. Quindi, per quanto riguarda la condotta, stiamo dicendo che la cosa migliore che possiamo fare è essere di beneficio agli altri e, il minimo che possiamo fare, è evitare di esser loro di danno. E qual è la ragione per questo?

La ragione è che quando noi danneggiamo gli altri, in realtà quello che stiamo facendo è danneggiare noi stessi. In che modo?

Ci sono vari aspetti di questo, varie spiegazioni che possiamo dare di questo. La prima è che noi, facendo del male agli altri, accumuliamo karma negativo e questo karma poi maturerà nelle successive esistenze in esperienze di sofferenza.
Ma se noi vogliamo invece limitarci a questa esistenza senza pensare a quelle successive, anche in questo caso possiamo vedere questo risultato negativo per noi. Perché? Semplicemente perché, quando noi facciamo del male agli altri, noi risultiamo sgraditi a questi altri, non piaceremo di certo a queste persone che abbiamo danneggiato; ma non solo, non piaceremo più neanche ai loro amici, ai loro conoscenti, alla loro famiglia e così via.

Quindi, ci saranno sempre più persone… più noi danneggiamo gli altri, più saranno coloro ai quali noi non piacciamo, non andiamo a genio. E dalle persone a cui non andiamo a genio non possiamo aspettarci niente di buono, non possiamo aspettarci che ci venga del beneficio, possiamo aspettarci solo che ci venga del danno.

Può essere che noi, in queste azioni, riusciamo a trarre dei guadagni momentanei, contingenti. Se noi inganniamo qualcuno, truffiamo qualcuno, magari abbiamo dei guadagni materiali, ma se osserviamo bene questi guadagni, non sono, come dire, autentici.

Alla fine, avremo problemi, ci deriveranno problemi da queste azioni, non veri guadagni. E quindi se uno non vuole problemi, anche evitando di andare a vedere in profondità gli aspetti difficili del perché quando noi facciamo del danno riceviamo della sofferenza, ma limitandoci a questo, è così o non è così? Se ci domandiamo se è vero o non è vero che facendo del male agli altri ne ricaviamo sofferenza, ci accorgiamo che anche, diciamo, a questo livello superficiale, è così.

Quindi, un altro pensiero che possiamo fare a riguardo è che se noi consideriamo questo mondo, o la società, o anche solo qui, il luogo in cui ci troviamo, possiamo vedere che ci sono tante persone, ciascuno ha problemi, difficoltà, sofferenze. Alcuni riescono nei loro obiettivi, altri non riescono, e i diversi problemi che si incontrano nella vita sono diversi per ciascuno, non sono tutti uguali, non abbiamo tutti gli stessi problemi, le stesse sofferenze, ognuno ha i propri e sono molto molto diversi. E qual è la causa di questo?

La causa di questo è che le azioni compiute in passato, quindi il karma accumulato da queste diverse persone è diverso e quindi diverse sono le conseguenze e i risultati di questo karma. È per questo che non viviamo tutti gli stessi problemi, le stesse situazioni.

Se ci riflettiamo a lungo, cioè attentamente, le cose stanno in questo modo, e capire a fondo questo fatto è molto importante.

Una volta compreso questo, è importante comprendere l’importanza di fermare, di porre un freno alle nostre azioni negative e questo lo si può fare soltanto nel momento in cui noi riusciamo a domare la nostra mente, ad avere un controllo sulla nostra mente, perché, nel momento in cui noi riusciamo a controllare la nostra mente e a condurla verso una direzione positiva, una direzione virtuosa, il corpo e la parola seguiranno spontaneamente la mente. Viceversa, se la nostra mente va in una direzione negativa, non virtuosa, corpo e parola la seguiranno, Quindi, se noi vogliamo cambiare in positivo il nostro modo di essere, dal punto di vista di corpo parola e mente, la cosa fondamentale su cui concentrarsi è la mente.

E quindi… vabbè, mi ero dimenticato un pezzettino prima, che è quindi fondamentale lavorare sulla mente per migliorarla e fare perciò tanta attenzione a come è la nostra mente perché, nel momento in cui noi, appunto, riusciamo a lavorare sulla mente in positivo, quindi riusciamo a praticare effettivamente il Dharma, noi riusciamo a ottenere uno stato di maggiore felicità e ad eliminare effettivamente la sofferenza. Quindi, è importante analizzare, come dicevamo prima, la nostra condizione e il fatto che ciascuno di noi ha diversi problemi, diverse sofferenze. Ora, questi problemi, queste sofferenze che ciascuno di noi ha, nessuno le vuole, nessuno li vuole questi problemi, queste sofferenze. Ma se noi non vogliamo queste cose, non dobbiamo accumulare le cause che producono tali effetti. E come facciamo a interrompere queste cause?

Lo possiamo fare solo nel momento in cui riusciamo ad avere controllo, a diventare padroni della nostra mente. Cosa vuol dire questo? Vuol dire riuscire a lavorare sul nostro modo di pensare per eliminare sempre di più le forme negative di pensiero e avere un modo di pensare sempre più positivo.

Altrimenti, quello che succede è che noi da una parte non vogliamo soffrire, non vogliamo i problemi, però dall’altra parte non cambiamo il nostro modo di pensare, lo lasciamo a sé stesso così com’è. In questo modo non riusciamo a risolvere i problemi, anzi peggiorano, perché più continuiamo a pensare, ad avere delle forme negative di pensiero, più compiremo, anche su questa scorta, azioni negative con il corpo e con la parola.

Quindi, accumuleremo altro karma negativo, avremo altri risultati di sofferenza e continueremo a pensare negativamente e, di fatto, saremo portati ancora ad agire negativamente, accumulando altro karma e così via senza fine.

Fintanto che noi non interrompiamo queste cause, a partire dal livello fondamentale della mente, del pensiero – che è la causa fondamentale di tutto il resto – i risultati di questo meccanismo continueranno a venire. Perciò, la cosa fondamentale è portare la mente da una direzione non virtuosa a una direzione sempre più virtuosa.

Quindi, stiamo dicendo che noi, fondamentalmente, a causa della nostra mente, di come funziona la nostra mente, incontriamo una serie di problemi e sofferenze che non desideriamo, ma, benché non li desideriamo, comunque li incontriamo. Quindi, dobbiamo lavorare sulla nostra mente per cambiare… diciamo, per porre delle cause diverse.

Ma, se uno non pensa in modo sufficientemente ampio e approfondito su questo punto potrebbe non essere d’accordo con il fatto che la nostra sofferenza e i nostri problemi derivano dalla mente, perché uno potrebbe pensare: “No, io ho questo o quel problema, soffro per questa o quella cosa perché c’è una condizione esterna che io ho incontrato e che mi sta causando questo problema o questa sofferenza, non è la mia mente la causa di questa sofferenza, è questa condizione esterna che mi causa la sofferenza”.

Ecco: è proprio lì che dobbiamo pensare a fondo, e se pensiamo a fondo ci renderemo conto che da quella condizione, che è di per sé solo una condizione, noi, nel momento in cui non siamo in grado di essere padroni della nostra mente, di esercitare controllo sulla nostra mente, quella sofferenza la espandiamo tantissimo, la facciamo proliferare sempre di più pensando: “Ma perché a me? Ma che cosa ho fatto?”.

E quindi cominciamo a produrre una serie di pensieri incontrollati che amplificano questa sofferenza. Quindi, se noi osserviamo attentamente questo tipo di situazione e ci domandiamo veramente: “È la condizione esterna che mi sta facendo soffrire o è tutto quello che la mia mente fa, a partire da quella condizione, che mi fa soffrire?”.

La risposta che ci daremo è che fa molto di più la mente!

Quindi, in un certo senso, possiamo dire che quella sofferenza, quell’infelicità l’ha creata soprattutto la nostra mente. E se noi siamo infelici, e sulla base di questa infelicità recitiamo dei mantra, meditiamo, possono venire bene queste pratiche? Possono riuscire bene? No, perché, appunto, la nostra mente sarà in questo stato di confusione, di negatività. Quindi, fondamentalmente è importante capire questo: non è tanto… non sono tanto le condizioni esterne che incontriamo a renderci infelici, ma è quello che la mente fa, quando incontriamo queste condizioni.

Tuttavia, noi abbiamo una forte sensazione che la nostra sofferenza indesiderata derivi dalle condizioni esterne che incontriamo, cioè noi abbiamo… partiamo da questa sensazione, da questa impressione che la sofferenza ci arrivi dall’esterno, da queste condizioni esterne che incontriamo. Però, se ci pensiamo, se analizziamo, siamo in grado di capire che, in realtà, queste condizioni esterne ci sono, ma il fatto che da queste derivi sofferenza o meno, e quanta sofferenza, non dipende da quella condizione, ma dipende da quello che facciamo noi con la nostra mente.

Quindi, se ci riflettiamo bene, come facciamo a capire questo? Partiamo da un momento di sofferenza e, se ci mettiamo a osservare cosa succede in quel caso, possiamo domandarci: questa sofferenza dipende solo da questa condizione esterna?

Ci renderemo conto di no, ci renderemo conto che molto lo fa la nostra mente, ci renderemo conto che la nostra mente è, diciamo, sempre sul punto di entrare in uno stato di sofferenza perché basta una piccola condizione per entrare in questo stato di sofferenza. E a volte accade anche che entriamo in questi stati di sofferenza, di infelicità in assenza di condizioni esterne, magari solamente a causa di una preoccupazione, di un nostro rimuginare interiore.

Ci mettiamo lì e pensiamo: “Che cosa può succedermi di male? Potrebbe succedermi questo o quello” e, sulla base di questo nostro mero pensiero, noi entriamo in uno stato di infelicità. Questo ci fa capire che siamo sempre sul punto, siamo sempre, come dire… pronti a entrare in questi stati anche se non c’è una condizione esterna. Quindi, come possiamo… fintantoché la nostra mente funziona in questo modo, come possiamo sperare di essere felici?

Ecco, quindi, la cosa fondamentale: se noi ci pensiamo bene, ciò che determina se stiamo bene, se siamo felici o se soffriamo è la mente, ovvero dipende tantissimo dalla mente la nostra felicità e infelicità. Quindi, per questa ragione, è tanto importante avere un interesse nei confronti della mente, avere una sorta di curiosità, di osservazione di quello che succede nella mente. Poi, esercitare anche un controllo e quindi lavorare per trasformare la mente. Quindi, questa è una cosa fondamentale e capire questo non è una cosa, diciamo così… sottile, non so… come comprendere la vacuità, è qualcosa che riusciamo effettivamente… di cui riusciamo a renderci conto.

Un’altra cosa: ci sono delle situazioni in cui noi, se osserviamo quello che succede dentro di noi quando stiamo male, quando stiamo soffrendo a causa di una condizione esterna e ci mettiamo, appunto, a riflettere bene, cos’è che capiamo? Capiamo che forse non c’è veramente ragione, per via di quella condizione lì, di soffrire così tanto, di allarmarsi così tanto; però ci dobbiamo pensare bene a questo.

Ci sono tanti casi in cui è così: casi in cui noi, incontrando una piccola condizione avversa, immediatamente reagiamo arrabbiandoci o lamentandoci e lasciamo che questa infelicità, questa sofferenza, si amplifichi dentro di noi.

Ma se noi ci fermiamo un attimo e pensiamo: ma vale la pena davvero, ha davvero senso stare così male per questa cosa?

La risposta tante volte è no, se ci pensiamo. Quindi, è fondamentale capire questo perché se noi riusciamo a renderci conto di questo meccanismo, se lo osserviamo e lo capiamo, quanta infelicità riusciamo a risparmiarci in questo modo, quanta infelicità spontaneamente verrebbe eliminata se solo ci rendessimo conto che, certe volte, per quella situazione esterna che stiamo incontrando, non vale la pena, non c’è ragione di soffrire così tanto.

Per esempio: a volte noi vediamo una persona che cammina in un modo che non ci piace e questo ci irrita, questo ci fa ci fa stare male, ok? Quindi, se noi capiamo che non ha nessun senso, non c’è nessuna ragione per soffrire, per affliggerci per uno che cammina in un modo che non ci va a genio, se noi capiamo questo ci siamo risparmiati della sofferenza inutile. Quindi, c’è tanta sofferenza inutile, non necessaria in cui noi continuiamo a entrare.

È fondamentale renderci conto di questo, e se noi riusciamo a vedere questo e a capirlo allora ci risparmiamo tanti stati di sofferenza che non sono necessari.
Quindi, non è che ci sia una speciale tecnica di meditazione che ci permette di eliminare la sofferenza, ma si tratta di capire che nel momento in cui noi lasciamo a sé stessa la mente, non cambieremo, non smetteremo di soffrire. Nel momento in cui noi riusciamo invece a osservare queste cose, a diventare un po’ più padroni della nostra mente, allora possiamo risparmiarci tantissima sofferenza inutile. Quindi, in particolare, vi invito a stare proprio attenti a questo tipo di situazioni, cioè le situazioni per cui noi soffriamo in modo non necessario, cioè una sofferenza inutile per qualcosa per cui non vale la pena. Poi succede che, appunto, uno lascia la mente a sé stessa, non lavora su di sé e poi va dal Lama e chiede la benedizione, il Lama gli dà la benedizione e lui per un po’ sta meglio: 
“Adesso mi sento meglio, ho ricevuto la benedizione”. Ma poi, dopo un po’, è uguale, non è cambiato niente.

Finché uno non lavora su sé stesso, non si risolvono i problemi.

Poi, un’altra situazione… noi viviamo spesso in contatto con amici, con il nostro partner, la nostra partner, con marito, moglie o con i nostri parenti, fratelli e così via, e spesso in queste situazioni di convivenza noi litighiamo. Però, se noi osserviamo queste situazioni, spesso non c’è una vera ragione per litigare. Cioè si potrebbe stare senza litigare continuamente.

Ma, allora, se noi non desideriamo stare male, non desideriamo litigare, e se effettivamente è possibile stare senza litigare, perché non riusciamo, perché non lo facciamo? Ecco quindi questa è una domanda che dobbiamo porci, cioè: è possibile che io riesca a stare in questa relazione senza litigare? Se è possibile, perché non lo faccio? Perché se lo posso fare cambio tutto, cambia un sacco.

Non stiamo parlando di una felicità, diciamo, definitiva, ma di una felicità contingente. Molta felicità temporanea, contingente, è in realtà alla nostra portata, è nelle nostre mani, possiamo ottenerla. Quindi, è importante rendersi conto di questo.

E quindi un altro punto: allora, per esempio, a Pomaia tantissime persone che vengono a parlare con me, la maggior parte delle persone che vengono a parlare con me, mi dicono: “Ah qui sto benissimo, da quando sono arrivato a Pomaia sto benissimo!”.

E per forza! Perché a Pomaia non devono prepararsi da mangiare, non devono lavare il bucato, non devono pulire la casa, non hanno figli, responsabilità, persone di cui occuparsi e quindi è chiaro che stanno bene, non hanno niente di cui preoccuparsi, non hanno responsabilità.

E poi, cosa succede? Tornano a casa e, tornati a casa, di nuovo hanno tutte queste responsabilità, questi impegni e non fanno attenzione a come funziona la loro mente, a quello che succede nella loro mente e quindi, nuovamente, soffrono e stanno male. Però, se ci pensiamo, qual è il motivo per cui poi uno entra nuovamente in questo stato di sofferenza quando si trova a che fare con queste occupazioni, con queste responsabilità?

Per esempio, uno pensa: “Ecco anche oggi devo preparare da mangiare” e comincia a affliggersi per questa cosa che ogni giorno deve preparare da mangiare. Allora uno dovrebbe pensare: va bene, ma l’alternativa qual è? Non mangio, oppure vado al ristorante. Però, se vado al ristorante tutti i giorni non fa bene alla salute, oppure non fa bene alla salute del portafoglio. Quindi? Quindi non ho scelta, mi preparo da mangiare. Questo per dire che, non facendo attenzione a quello che facciamo dentro di noi con la nostra mente, ci creiamo degli stati di afflizione, degli stati di sofferenza che non sarebbero necessari.

Per questo è veramente tanto importante fare attenzione a quello che succede nella nostra mente.

Quello che dobbiamo fare è cercare di abituarci un po’ alla volta praticando in questo modo, cioè, come abbiamo detto, cercando di migliorare grado per grado la nostra mente, il nostro modo di essere interiormente; è una cosa progressiva.

Se noi non facciamo questo lavoro un po’ alla volta, progressivo, scusate… se noi lo facciamo, allora anche il nostro benessere, la nostra felicità si accrescerà.

Se noi non lo facciamo e lasciamo le cose come sono, lasciamo andare la nostra mente come va e poi pensiamo, magari, di fare delle pratiche meditative – in particolare ci impegniamo anche molto in una pratica meditativa – questo non cambia niente. Perché cos’è uno che medita tantissimo e poi a casa in famiglia litiga continuamente per cose tipo il mangiare che non è pronto o cose del genere? Quello è un praticante di Dharma? No! Quindi, non è che c’è qualcosa che è il Dharma che è separato e speciale rispetto al vivere. Il Dharma è questo: lavorare sulla propria mente un po’ alla volta, progressivamente.

Quindi, che cos’è la pratica?

La pratica del Dharma consiste nell’aggiustare la nostra mente, ossia trasformare la nostra mente in positivo, diventare persone più buone, diventare persone migliori, questo è il senso del Dharma. E cosa vuol dire essere una persona migliore? È avere delle belle relazioni con gli altri, avere un modo positivo di parlare con gli altri, avere un modo positivo di pensare a noi stessi e di pensare agli altri. Questa è una persona buona, una persona positiva. Quindi, se riusciamo a fare questo allora possiamo dire che pratichiamo il Dharma, se non riusciamo a fare questo non si può parlare di Dharma.

Ciò di cui stiamo parlando, questo esercizio, questo modo per addestrarci, lo possiamo fare ovunque, sempre. Lo possiamo fare mentre prepariamo da mangiare, lo possiamo fare mentre andiamo al lavoro, lo possiamo fare mentre puliamo la casa.

Perché? Perché la mente è sempre con noi in tutti questi momenti. E, quindi, se per esempio mentre prepariamo da mangiare lo facciamo con piacere, prepariamo da mangiare con gioia, noi abbiamo il risultato che stiamo preparando da mangiare, prepariamo bene da mangiare e stiamo bene nel momento in cui stiamo preparando da mangiare. Se lavoriamo in questo modo quando siamo al lavoro, abbiamo il duplice risultato di lavorare bene e di avere coltivato uno stato mentale positivo, di gioia, di benessere e così via.

Allo stesso modo, quando puliamo la casa, lo facciamo volentieri. Stando attenti alla nostra mente, coltivando una mente positiva e così via, avremo pulito la casa e saremo anche stati bene durante quel tempo.

Ma se noi, invece, facciamo il contrario nel preparare da mangiare e così via, che senso ha? Tutte queste cose, preparare da mangiare, pulire la casa, andare al lavoro, sono cose che dobbiamo fare, quindi, nel momento in cui dobbiamo farle, tanto vale farle bene, cioè farle con un atteggiamento positivo, perché allora staremo bene mentre le facciamo. Se noi, invece, nel momento in cui facciamo da mangiare, facciamo da mangiare malvolentieri, lamentandoci, eccetera eccetera, che cos’è, a cos’è che serve?

Quindi, vedete che il fatto di stare bene, cioè coltivare uno stato di felicità, di benessere o di infelicità, è qualcosa che dipende da noi, cioè siamo noi che possiamo fare questo, possiamo renderci la nostra vita più felice o meno, a seconda di quanta attenzione ci mettiamo in questo. E, quindi, per questa ragione la pratica non è qualche cosa che dobbiamo fare per forza in una specifica posizione seduta, con la schiena dritta e così via; c’è anche quella pratica, ma non è la pratica fondamentale del Dharma.

La pratica fondamentale del Dharma è avere dominio di sé, della propria mente, fare attenzione sempre, in ogni momento, a quello che succede nella nostra mente, quando siamo da soli, quando siamo con gli altri, quando parliamo, quando lavoriamo e così via.

È in questo modo, quando lavoriamo su di noi, che allora si può dire che siamo… che pratichiamo il Dharma, altrimenti no.

C’è questa storia che racconta di questi due allievi, di un famoso maestro che, appunto, aveva due allievi, due allievi entrambi molto bravi. Questi due, dopo aver compiuto gli studi, essere diventati ghesce, hanno intrapreso due strade differenti. Uno è andato in ritiro nelle montagne, è stato diversi anni in ritiro, l’altro invece è rimasto con il maestro a servirlo. Gli preparava da mangiare, lavava i vestiti, ascoltava i suoi insegnamenti e così si prendeva cura del maestro. Dopo alcuni anni questi due allievi sono tornati – cioè quello in ritiro è tornato – e, diciamo, il maestro ha confrontato le loro realizzazioni. E si dice che, appunto, avessero raggiunto un pari livello di realizzazioni. Perché? Perché non è che la pratica sia per forza quella, diciamo, formale, di stare a meditare in ritiro.

Non è per forza quello… cioè, non è che il fatto che l’altro sia stato a servire il maestro, che abbia passato il tempo a lavare, pulire, fare da mangiare, non è che queste attività implichino che non stava praticando, poiché la pratica è qualcosa che uno fa sulla base della sua mente, all’interno della sua mente, non importa che cosa stia facendo esteriormente.

Ci sono persone che dicono: “Io non ho tempo per praticare perché ho il lavoro” e così via. Non c’è ragione di pensare in questo modo, perché noi possiamo praticare ovunque, in ogni momento, perché la pratica, appunto, è soprattutto qualcosa che facciamo con la nostra mente.

Quando noi facciamo questo, non riusciremo bene subito nella pratica, ci vuole del tempo, è una cosa progressiva, passo passo. Però, se lo facciamo, un po’ alla volta riusciremo ad avere ottimi risultati e potremo sempre di più essere in grado di praticare in ogni momento e ovunque ci troviamo. Quindi, non serve per forza stare in una specie posizione di meditazione.

Se avete tempo, fatelo sicuramente, ma se non avete tempo questa non è una ragione per pensare di non poter praticare. Perciò, per favore, non pensate tipo: “Non riesco a praticare, non ho tempo per praticare” perché non c’è ragione di pensare in questo modo dato che si può praticare ovunque, in ogni circostanza; la cosa fondamentale è sviluppare questa abitudine positiva, un po’ alla volta, nella nostra mente. 

E poi anche uno dice: “Ma, però non ho tempo per studiare” o “Non ho tempo – per esempio – per recitare, fare delle pratiche di recitazione”.

Effettivamente, per queste pratiche serve del tempo, non è che uno si può mettere a studiare mentre lavora, questo non è possibile farlo. Però io non ci credo quando uno dice che non ha tempo per queste cose. Perché? Perché di tempo, per esempio, per parlare, stare a chiacchierare, quello si trova sempre, anche fino a tarda notte.

Si sta a chiacchierare e quindi non è tanto credibile perché, magari, per fare delle recitazioni bastano 15-20 minuti, mezz’ora al massimo: difficile che non si riesca a trovare quel tempo.

Quindi, se noi ci pensiamo, anche studiare non è che richieda il fatto di mettersi lì per forza almeno un’ora immersi nello studio. Basta mezz’ora, se è fatta bene, e si può dire lo stesso per fare altri tipi di pratiche; quindi, è sufficiente avere mezz’ora bene bene concentrata e, se ci pensiamo, noi ce l’abbiamo questa mezz’ora perché quanto tempo passiamo a chiacchierare? A parlare?


In una giornata di 24 ore possiamo pensare, appunto, che 8 ore sono dedicate al lavoro, possiamo pensare che 8 ore sono dedicate al sonno, ma ne rimangono sempre altre 8. In quelle 8 ore non riusciamo a ricavare una mezz’ora per la pratica? Per lo studio, per quello che è? Se uno le spende bene, quelle ore lì, sicuramente può trovare il tempo per chiacchierare e tempo anche per studiare o praticare. Quindi, se noi vediamo, ci sono persone che riescono a gestire il proprio tempo in maniera tale da fare tutto e persone che non riescono a combinare niente. Questo vuol dire che dipende tanto da noi, da come riusciamo a organizzare il nostro tempo.
E anche un’altra cosa importante è, nella pratica, non avere una mente… com’è che si può dire? Troppo tesa? Chiusa? Ma cercare invece di avere un atteggiamento, una mente aperta, serena.

Quindi, per esempio, se non riusciamo molto nella pratica in un certo momento, non affliggiamoci: “Oddio non sto riuscendo, non va bene, così non va” e così via, ma pensiamo: “Ok, se non riesce bene oggi riuscirà meglio domani, se non riuscirà domani, riuscirà meglio dopodomani” e così via, in un atteggiamento disteso, aperto.
E se noi partiamo con questo atteggiamento tranquillo, sereno, è sicuro che un po’ alla volta arriveremo ad un punto in cui tutte le 24 ore saranno pratica. 

E quindi ci fermiamo qui, perché sono passate le otto.

Buona notte a tutti.

Questo insegnamento è stato dato da Ghesce Tenzin Tenphel l’8 marzo 2018 presso il Centro Tara Cittamani di Padova. https://nalandaedizioni.it/2020/12/18/gli-otto-dharma-mondani-sconfiggere-le-preoccupazioni%E2%80%8B/?mc_cid=d60996bc86&mc_eid=13bdd293c8