La quintessenza dell’Hevajratantra

Così sapendo, lo yogî perfettamente assorbito nell’esercizio consegue senza dubbio la realizzazione, pur essendo una persona con pochi meriti.

La quintessenza dell’Hevajratantra

La gente si inganna,
non conosce la vera realtà;
priva della vera realtà,
non conseguirà la realizzazione.

Certamente la purezza di tutte le cose
è detta essere la realtà così com’è.

Le sei facoltà sensoriali,[1]
i cinque aggregati,[2]
le sei basi [esterne][3]
e i cinque elementi[4]
sono per natura puri,
ma oscurati dalle afflizioni
[causate] dall’ignoranza.

Gli esseri sono proprio buddha,
ma oscurati dall’impurità accidentale. Rimuovendo tale [impurità],
senza dubbio gli esseri sono proprio buddha.

Gli oggetti, come la forma, eccetera,
e qualsiasi altra cosa appaia agli yogī,
hanno tutti la natura della purezza,
giacché l’universo è fatto di buddha.

La purezza consiste nella consapevolezza di sé. Non si consegue la liberazione tramite un’altra purezza. La consapevolezza di sé è la suprema beatitudine per via della pura natura degli oggetti.

La conoscenza sorge dalla consapevolezza di sé ed è priva della percezione di sé e altro;
è come lo spazio, immacolata, vuota ed eccelsa, consiste nell’esistenza e nella non esistenza,
ed è compenetrazione di saggezza e metodo, fusione di passione e assenza di passione.

Proprio quella è la vitalità degli esseri viventi. Proprio quella è il sommo imperituro.
Proprio quella è onnipervasiva.
Proprio quella è presente in tutti i corpi. Proprio quella è la grande vitalità.
Proprio quella consiste nell’universo.
Da quella scaturiscono l’esistenza e la non esistenza, e ogni altra [cosa], qualunque sia. [L’affermazione che] tutto ha la natura della coscienza, [le denominazioni di] purusha primordiale, îshvara, âtman, jîva, sattva, kâla e pudgala,
[si riferiscono] proprio [a quella conoscenza]. Essa ha la natura di tutta l’esistenza
e assume forme illusorie.
Proprio questa è la grande conoscenza
che dimora in tutti i corpi.
Non duale, ha forma duale,
il Signore che consiste nell’esistenza
e nella non esistenza.

La grande conoscenza è presente nel corpo
ed è completamente priva di tutte le nozioni.

Il buddha non può essere trovato altrove,
da nessuna parte nei mondi.
Infatti, la coscienza stessa è il buddha perfetto. Nessun buddha viene indicato altrove.

Perciò, buddha non è l’esistenza
e non ha neppure la caratteristica della non esistenza. Ha forma consistente di braccia, faccia e figura,
e riguardo alla suprema beatitudine è senza forma.

Nella somma gioia non c’è meditazione
e neppure chi medita;
non c’è percezione, oggetto percepito e soggetto percettore; non c’è carne, sangue, escrementi e neppure urina; non c’è vomito, ignoranza, pulizia e purezza.
Non c’è passione, ira, ignoranza e invidia;
non c’è malignità, orgoglio e cosa visibile;
non c’è meditazione e non c’è chi medita;
non c’è amico e non c’è nemico.
Questa variegata [realtà]
è lo stato naturale privo di movimento.

Viene chiamato stato naturale
ciò che scaturisce naturalmente.
La natura intrinseca è detta stato naturale.
Essa è l’essenza di tutti gli aspetti [della realtà].

Pertanto, tutto l’universo è lo stato naturale.
La condizione intrinseca viene chiamata stato naturale. Esattamente la condizione intrinseca è il nirvâna,
a causa della coscienza che ha l’aspetto della purezza.

Non c’è recita di mantra,
pratica ascetica
e oblazione col fuoco;
non ci sono le divinità del mandala
e non c’è neppure il mandala.
Quello è la recita di mantra,
quello è la pratica ascetica,
quello è l’oblazione col fuoco,
quello è le divinità del mandala
quello è il mandala.
In breve, la coscienza è la totalità
[dei vari aspetti della realtà].

[Lo stato naturale]
è conosciuto come “coscienza illuminata”,
la quale non è separata da vacuità e compassione.

[Esso] viene chiamato Vairocana,

Akshobhya, Amoghasiddhi, Ratnasambhava, Ârolika e Sâttvika;
Brahmā, Vishnu, Shiva,
Sarva, Vibuddha e Tattva.
Viene chiamato Brahmâ [essendo] buddha a causa della liberazione; Vishnu perché è pervasivo;
Shiva, in quanto sempre benefico; Sarva, giacché esiste in ogni essere; Tattva, essendo reale beatitudine; Vibuddha, perché conosce la gioia.

Io sono l’insegnante.
Io sono il dharma.
Io sono chi ascolta
insieme alle buone assemblee.
Io sono chi occorre realizzare.
Io sono il maestro dell’universo.
Io sono il mondo
e son anche ciò che appartiene al mondo. *
Io sono l’esistenza,
eppure non sono l’esistenza.
Io sono buddha,
perché comprendo la realtà.
Gli ignoranti
e coloro che sono afflitti dall’indolenza me non conoscono.

Tutto l’esistente,
ciò che si muove e non si muove, l’erba, gli arbusti,
le piante rampicanti eccetera, andrebbe meditato
come la suprema vera realtà,
la cui condizione intrinseca
è lo stato del sé.
Non c’è una di quelle cose
che sia suprema.
La consapevolezza di sé
è la grande beatitudine.

La realizzazione
è la consapevolezza di sé.
Invero, la meditazione
è la consapevolezza di sé.

Non c’è colui che medita
e neppure la meditazione.
Non c’è il mantra
e neppure la divinità.
Mantra e divinità sono presenti
in una condizione priva di differenziazioni. *
Perciò non c’è odore, non c’è suono, non c’è forma, non c’è sapore,
non c’è purificazione della coscienza, non c’è tatto, non c’è oggetto mentale. Essendo tutto [l’esistente] puro,
io conosco l’universo
come un universo la cui natura è pura.

Libero da insegnamenti e iniziazioni, nonché da atti vergognosi,
lo yogî dalla grande compassione
può andarsene in giro
avendo la stessa natura di tutta l’esistenza. *
Egli non dovrebbe venerare
queste divinità fatte di legno, pietra e fango, perché lo yogî dovrebbe rimanere sempre come l’immagine della divinità.

“Come in me stesso
così in un [altro] essere
e [come in un altro essere]
nel medesimo modo in me stesso
l’io supremo [è presente]”. Pensando così,
chi è nello stato dello yoga dovrebbe accostarsi al cibo,
alla bevanda e alle altre cose.

“Qualsiasi cosa,
ciò che non si muove
e ciò che si muove,
tutto ciò son io”.

“Da me, invero,
scaturisce tutto l’universo.
Da me sorgono i tre mondi.
Io pervado tutto questo.
In nient’altro consiste l’universo percepito”.

Così sapendo,
lo yogî perfettamente assorbito nell’esercizio consegue senza dubbio la realizzazione, pur essendo una persona con pochi meriti. Dovrebbe pensare così
mentre mangia, beve e si lava,
quando veglia e quando dorme;
allora, chi aspira al Grande Sigillo, raggiunge l’eterno.

[Lo yogî] dovrebbe rimanere sempre, giorno e notte,
nello yoga della vera realtà,
il quale fluisce come la corrente di un fiume, come la continuità della luce di una lampada.
Lì non c’è inizio, non fine, non punto intermedio. Non c’è divenire e neppure nirvāṇa. Questa è la suprema, grande beatitudine. Non c’è l’altro e non c’è l’io.[5]

L’Hevajratantra è una fonte sanscrita del buddhismo vajrayâna. Composto verso la fine del IX secolo o all’inizio del X, questo tantra è stato tradotto in tibetano nell’XI secolo. La parte più importante della sua dottrina riguarda la conoscenza non duale della vera natura della coscienza, ciò che viene chiamato “Grande Sigillo” (mahâmudrâ). Il testo è la traduzione dal sanscrito di alcuni passi scelti che ne sintetizzano l’insegnamento dal punto di vista del “Grande Sigillo”.

Traduzione dal sanscrito di Giteshwar Raj, a cura di Giuseppe Baroetto.

1. Le facoltà della vista, dell’udito, dell’odorato, del gusto, del tatto e della mente.

2. Gli aggregati della forma, delle sensazioni, dei concetti, degli impulsi e della coscienza.
3. Le sei basi esterne sono gli oggetti dei rispettivi organi sensoriali.
4. Terra, acqua, fuoco, aria, spazio.
5. Questa strofa in dialetto apabhramsha deriva dal Dohâkosha di Saraha. Vd. Roger R. Jackson, Tantric Treasures, New York, Oxford University Press, 2004, p. 67 (v. 27).

(Tratto dal sito https://yogaemeditazione.myblog.it/wp-content/uploads/sites/294491/2018/12/Hevajra-Tantra-estratto.pdf che devotamente ringraziamo per la sua compassionevole gentilezza verso tutti gli esseri che soffrono in questa dolorosa esistenza samsarica.)