Insegnamenti del Ven. Ghesce Tenzin Tenphel il 4-5/08/2018 al Centro “Tara Bianca” di Genova sul tema: La Pazienza dal sesto capitolo del Bodhisattvachariavatara di Shantideva. Appunti non revisionati del Dr. Luciano Villa nell’ambito del Progetto “Free Dharma Teachings” per il beneficio di tutti gli esseri senzienti.
Ven. Ghesce Tenzin Tenphel
Generiamo la corretta motivazione di bodhicitta per beneficiare indistintamente tutti gli esseri senzienti, e, se non ne siamo capaci, cerchiamo almeno, col nostro comportamento, di non nuocere loro.
Cosa intendiamo per pratica? Cosa intendiamo per meditazione?
È migliorare la nostra mente, facendo sì che diventi sempre più propositiva, positiva.
Altrimenti non è una vera pratica, non è una vera meditazione. Pratichiamo e meditiamo e dobbiamo sincerarci che, così facendo, la nostra mente migliori, diventi più positiva, altrimenti, se non ci facciamo caso, è veramente facile cadere nelle attitudini mentali negative, perché non è facile migliorare la nostra mente, perché da tempo senz’inizio abbiamo coltivato abitudini mentali negative il che ha lasciato profonde impronte nel nostro continuum mentale. E quest’impronta ha la tendenza a riprodurre continuamente il medesimo comportamento mentale. Il che non ci lascia liberi. Èd è quindi un’abitudine che dobbiamo dismettere.
Perché ho detto di stare attenti? Perché, anche se le persone manifestano positività e buon cuore, se non fanno attenzione, possono ricadere in attitudini negative. E, se non ci cascano subito, se mancano d’attenzione, vi cadranno dopo uno, due, cinque, dieci, vent’anni.
Perché non c’è bisogno di insegnare a pensar male? Perché da tempo senz’inizio abbiamo fatto nostra quest’abitudine malsana. Il che ugualmente ha creato impronte negative mentali che tendono a riprodursi. Mentre non è la stessa cosa l’opposto. Bisogna impegnarsi a pensare positivamente. Abbiamo conosciuto delle persone positive che dopo 10 o 20 anni non lo sono più, anzi sono diventate negative. Come mai? Perché non hanno fatto attenzione, perché non hanno mantenuto sotto stretta sorveglianza la propria mente.
Perché arrabbiarsi? A cosa serve? Forse a star meglio?
Per renderci conto che non abbiamo bisogno d’arrabbiarci dobbiamo entrare in meditazione analitica, analizzando le cause della rabbia e come rimuoverla e come evitarla. Se poi possiamo intervenire sulla rabbia, allora facciamo tutto il possibile per reciderne le cause, ma, se non possiamo porvi rimedio: a che ci serve arrabbiarci? Quindi, qualsiasi cosa dovessimo fare, facciamolo con attenzione! Allora posso migliorare nel tempo. Ci vorranno giorni, settimane, mesi ed anni finché avremo assunto nel nostro comportamento l’attitudine dell’attenzione. In quel caso saremo giunti al punto d’essere totalmente e continuamente assenti.
Siamo al sesto capitolo sulla pazienza, esattamente alla strofa 21, del Bodhisattvachariavatara https://www.sangye.it/altro/?p=2405 di Shantideva.
21 Pure la sofferenza ha la sua utilità: a causa del dolore vengono eliminati orgoglio e arroganza, si prova compassione per coloro chi si aggirano nel ciclo delle rinascite, si evita di fare del male e si ha gioia nel praticare le virtù.
La sofferenza ha alcuni vantaggi, la sofferenza, di per sé, è un qualcosa che va abbandonato. La sofferenza ci diminuisce l’orgoglio: ecco un vantaggio. Alcuni, molto orgogliosi, se malati, pian piano diventano sempre più umili. Buddha Sakyamuni nell’insegnare le Quattro Nobili Verità sottolineò che la sofferenza va compresa. Altrimenti non è possibile praticare nel modo appropriato, perciò è possibile eliminare la sofferenza.
Troviamo in molti testi come nel Lamrim https://www.sangye.it/altro/?cat=38, https://www.sangye.it/altro/?cat=110, il sentiero graduale per l’illuminazione, moltissime spiegazioni sulla sofferenza. Pensiamo a quante tipologie di sofferenza esistono, non solo per gli umani, ma per tutte le sei classi di esseri migratori. Esistono moltissimi casi di sofferenze diverse, che colpiscono tutte le sei classi di esseri migratori anche se non li vediamo né li possiamo vedere. Né possiamo dire quali cause di sofferenza matureranno in noi. Quindi, dobbiamo conoscere la sofferenza e le sue cause, così possiamo adoperarci per evitare effetti negativi dati da azioni negative commesse nelle vite precedenti, che non possiamo sapere. Perciò, fin d’ora dovremmo fare attenzione a capire quali cause di sofferenza stiamo accumulando. Cerchiamo di riflettere approfonditamente sulla sofferenza, e non solo sulla sofferenza della sofferenza, ma anche quella del cambiamento e quella onnipervasiva. Quali benefici derivano dalla comprensione della sofferenza? Da essa nasce innanzitutto una mente che desidera liberarsi dalla sofferenza. Ci rendiamo conto dell’importanza di non accumulare azioni negative, abbandonando quelle che stiamo già accumulando, generando compassione per gli esseri immersi nella sofferenza. Quindi accumuliamo positività.
Cosa desideriamo? La felicità!
La sofferenza ha cause? Sì, sono le azioni negative, non virtuose. La felicità deriva dalle azioni virtuose. Se effettivamente non vogliamo la sofferenza, dobbiamo fare il possibile per non compierle, confessando quelle compiute in passato ed impegnandoci a porre le cause della felicità, altrimenti questa non la potremo raggiungere. Così, se non facevamo attenzione prima, ora facciamo attenzione a questo. Perciò, chiediamoci: nel mio continuum mentale ho una mente che desidera liberarsi dalla sofferenza? E se sì, è debole o forte? Se sto bene, mi godo il mio benessere ed il desiderio di liberarmi dalla sofferenza non è forte. Vivere la sofferenza, percepire la sofferenza ci porta ad un ardente desiderio di liberarcene. Allora analizziamo la nostra mente e cerchiamo di capire se nel nostro continuum tendiamo maggiormente alle azioni virtuose o non virtuose. Una volta che comprendo le tre sofferenze mi chiederò: ho una mente in grado di vincere la sofferenza? Perché non basta pregare o chiedere benedizioni per eliminare la sofferenza. Dobbiamo essere noi a porre le cause verificando il nostro comportamento. Altrimenti giungeremo al momento della morte senza esserci incamminati effettivamente sul cammino per eliminare la sofferenza.
La sofferenza della sofferenza, quella del dolore fisico ad esempio, non ha bisogno di ulteriori spiegazioni, mentre la sofferenza del cambiamento sopraggiunge per tutti, perché se anche abbiamo provato una sensazione piacevole, non c’è stabilità. Così, se oggi abbiamo mangiato bene, poi la sensazione è instabile perché svanisce, scompare e cambia in fame, quindi tutte le sensazioni di piacere di felicità momentanea sono sofferenza del cambiamento. Mentre la terza sofferenza od onnipervasiva di composizione è tutto ciò che è sotto l’influenza delle afflizioni mentali. E, se non ce ne liberiamo, non avremo mai la vera e propria felicita. Liberarsi dalla prima sofferenza non significa necessariamente che vogliamo liberarci dalla seconda e dalla terza sofferenza. Se desideriamo liberarci dalla prima e dalla seconda sofferenza non significa che necessariamente desideriamo liberarci dalla terza. Se comprendiamo le tre tipologie della sofferenza allora comprendiamo come conseguire una stabile felicità. La sofferenza che vogliamo abbandonare e la felicita che vogliamo ottenere: siamo noi che le dobbiamo conseguire e non ha senso chiedere agli altri che eliminino le nostre sofferenze.
Ma gli altri non possono per nulla aiutarci ad eliminare la nostra sofferenza? Non proprio. Se ci affidiamo soltanto agli altri: non otterremo alcun miglioramento per eliminare la nostra condizione dalla sofferenza. Ma comunque gli altri ci potranno essere d’aiuto. Ci potranno sostenere, incitare, ma starà sempre a noi cambiare il nostro comportamento mentale in azioni virtuose. Se siamo sofferenti perché siamo affamati non avrà senso pregare, né chiedere agli altri di mangiare al nostro posto, ma dovremo mangiare.
Tra le Quattro Nobili Verità, la prima o la sofferenza è da comprendere, la seconda o l’origine è da abbandonare.
Se desideriamo liberarci dalla sofferenza, non basta desiderarlo, ma dobbiamo conoscerne le cause per quindi veramente abbandonarle. La verità dell’origine dipende dal karma e dalle afflizioni mentali, come le 6 afflizioni mentali radice che posso approfondire nel Lamrim e nell’Abisamayalamkara. Nel Lamrim comprendiamo il karma e come le afflizioni mentali producono karma, da cui sopraggiungono le sofferenze. È molto importante comprendere il processo karmico di causa effetto, quindi devo capire le afflizioni mentali, per quindi liberarmene e capire il modo in cui accumuliamo il karma. Questi sono due punti molto importanti da comprendere. Se facciamo attenzione quando esaminiamo i testi, ci renderemo conto che le nostre afflizioni mentali sono descritte nei testi dove troviamo anche il modo per eliminarle.
Qual’è l’origine delle afflizioni mentali? È l’ignoranza della confusione sulla essenza o talità dei fenomeni. Esiste la possibilità di liberarci dalla ignoranza ed in questo modo, quindi, di eliminare la sofferenza. Quindi la nobile verità della sofferenza e la nobile verità dell’origine riguardano il modo di essere nel samsara mentre la nobile verità della cessazione e del sentiero riguardano il modo di uscire dal samsara. Le afflizioni mentali sono presenti nel mio continuum e come giungo ad accumulare il karma? Se non verifichiamo bene non capiremo quanto non siano corretti dei nostri modi di pensare e, forti di questa nostra convinzione, andremo avanti a pensare in questo modo. Perché abbiamo molti modi di pensare che non riusciamo a riconoscere come errati. Allora come fare? Dobbiamo verificare! Così, sulla base della nostra consapevolezza, potremo eliminare molti nostri modi scorretti di pensare.
Domanda. Come posso capire che sto sbagliando?
Ven. Ghesce Tenzin Tenphel. Conoscere porta a rendersi conto, il che porta al cambiamento. Senza aspettarsi cambiamenti repentini. Occorre iniziare a lavorare per il cambiamento. Pensare positivamente non è difficile, ma può mancare l’attenzione in questo senso.
Domanda. Ci potrebbe fare degli esempi di afflizioni mentali?
Ven. Ghesce Tenzin Tenphel. Occorre partire dalle sei afflizioni mentali radice: attaccamento, rabbia, dubbio, ignoranza, invidia, arroganza. Poi ci possono essere varie suddivisioni delle afflizioni mentali. Oppure in relazione ai 6 reami: Inferni (caldi e freddi), Preta, Animali, Umani, Asura, Deva. Reami del desiderio, forma e non forma. Dobbiamo eliminare solo le afflizioni mentali del nostro reame o del desiderio? Non esattamente, perché nel nostro continuum, per le infinite rinascite precedenti, abbiamo le impronte dei reami dove siamo stati in precedenti: della forma e non forma.
Domanda. La meditazione può essere causa di felicità?
Ven. Ghesce Tenzin Tenphel. Sì, in generale. Ma va verificato se la meditazione è corretta. Quindi è importante comprendere la qualità e modalità della meditazione corretta, per applicarci. Non ha senso impegnarci in disparate attività di meditazione, perciò dobbiamo abbandonare le afflizioni mentali, da qui dobbiamo riconosce ed abbandonare certi nostri comportamenti, così dobbiamo abbandonare i modi errati di pensare, così potremo abbandonare le afflizioni mentali, in tal modo abbandonerò le afflizioni mentali, più avremo efficacia e potenza più riusciremo a migliorare il nostro modo di pensare, così riusciremo a fare passi ulteriori.
Chi è triste, con un modo di pensare scorretto, non gli sarà di beneficio meditare sul mandala della divinità.
Il punto più importante è meditare sui difetti della nostra mente, altrimenti: come potremo meditare sulla divinità se non abbiamo prima fatto piazza pulita nella nostra mente? Altrimenti sarà solo una meditazione sull’immagine della divinità.
Domenica 05/08/18
Prima d’iniziare, impegniamoci a migliorare la nostra mente, con la motivazione di bodhicitta, altrimenti se non ci fosse possibile, generiamo una motivazione di buon cuore, altrimenti ancora che sia almeno una motivazione di eliminare la malevolenza. Correggere la motivazione non è a parole, ma sulla base della mia esperienza di generare sempre più una motivazione migliore, anche a voi porgo l’invito e v’esorto a farlo.
Manteniamo, e prima ancora generiamo l’attenzione, perché la radice delle nostre sofferenze dipende dalla nostra mente che segue le afflizioni mentali. Il che non è facile. Ma, se facciamo caso ai nostri pensieri, riusciremo sempre più a migliorarli ed avremo enormi conseguenze positive. La causa della sofferenza non è la mente stessa, ma le sue afflizioni mentali. Se non abbiamo una mente positiva, la nostra mente tenderà alle afflizioni mentali. Viceversa, la mente positiva è la salvaguardia affinché la mente non cada in preda alle afflizioni mentali.
Se facciamo attenzione al nostro modo di pensare, la nostra mente seguirà sempre meno le afflizioni mentali, e riusciamo a meditare la vacuità, a raggiungere il Samadhi, la mente univocamente concentrata. Esercitandoci in un modo attento di pensare, ci porterà al miglioramento dell’efficacia della nostra mente, realizzando la vacuità. Ma non riusciremo ad essere padroni della nostra mente se non vi faremo costantemente attenzione, solo allora potremo conseguire la vacuità ed il Samadhi, la concentrazione univoca. Facciamo attenzione alla direzione dei nostri pensieri, altrimenti ci causerà molti dispiaceri. Se ci riflettiamo, è molto difficile che abbiamo pensieri positivi, piuttosto pensiamo che ciò non va, che costui o costei non ci va bene.
Ma, quali sono i miei pensieri?
Attaccamento, rabbia, invidia, tendenza egocentrica: se continuo a pensare così starò bene?
Così comprendiamo che, se non trasformiamo il nostro modo di pensare, saremo e rimarremo infelici, quindi osserviamoci dentro e chiediamoci: ma io cosa penso, quali sono i miei pensieri? Se il nostro modo di pensare è in preda alle emozioni affliggenti, riuscirò ad eliminare la sofferenza? Sarà difficile anche da soli, e non solo in famiglia? È come ho appena descritto il nostro modo di pensare? Allora capisco che così non posso essere felice, così la nostra infelicità migliorerà solo praticando la pazienza e riuscendo nella pratica. L’importanza di meditare ha come obiettivo principale chiederci: com’è il nostro modo di pensare? La nostra vita quotidiana, allora riuscirò a trasformare la mia mente, a renderla paziente, cambiando il nostro modo di pensare, raggiungendo la concentrazione univoca, il Samadhi e la vacuità. Altrimenti, non solo non riusciremo ad eliminare la nostra infelicità, ma non faremo nemmeno passi in avanti verso la nostra comprensione della vacuità e della pace interiore.
Insisto sempre su ciò perché, così facendo, spero di renderlo presente alla vostra mente. Tutti i testi e gli insegnamenti sono finalizzati a domare la nostra mente. Se non ci riusciremo, non avremo la possibilità d’essere felici. Il che è molto importante.
22 Non posso arrabbiarmi con la bile e con gli altri umori del corpo, i quali sono causa di tanta sofferenza; perché dunque adirarmi verso gli esseri viventi, visto che anche loro sono vittime delle stesse condizioni?
23 Nonostante nessuno desideri essere ammalato le malattie si manifestano. Quindi allo stesso modo, anche se non desiderati, i difetti mentali si creano con assiduità dentro di noi.
Vediamo la rabbia che monta quando subiamo un’offesa. Quando cadiamo ammalati, la malattia ci arreca un gran danno. Ma ci arrabbiamo forse con la malattia? No. Perché non desideriamo affatto le malattie, ma comunque sorgono: così, pur non desiderando le afflizioni mentali, queste sorgono.
Perché allora ci arrabbiamo con chi ci vuol colpire, arrecare il danno? Perché quest’ultimo ha la motivazione di danneggiarci mentre non è così con le malattie.
24 Spontaneamente le persone vanno in collera, senza programmare: “adesso io mi arrabbio”, allo stesso modo pure l’irritazione si crea in maniera spontanea senza essere premeditata.
25 Ogni male che viene sperimentato, e tutti i tipi di azioni negative si manifestano a causa dell’influenza delle circostanze e delle condizioni, e nessuno di questi nasce da solo in modo indipendente e autonomo.
Se volessimo arrabbiarci non lo dovremmo fare verso la persona, verso cui dovremmo invece nutrire compassione, ma verso la effrazioni mentali che strumentalizzano la persona stessa.
Le persone cadono in collera automaticamente perché spontaneamente si arrabbiano appena trovano una situazione disagevole. Ad esempio, non è che dico “domani alle ore x mi arrabbierò”, ma se mi trovo in una situazione di disagio, spontaneamente mi arrabbio. Il che dipende dal fatto di non farci attenzione. Da ciò si genera rabbia.
Tutti gli errori sorgono per la forza delle condizioni, non nascono in modo autonomo. Le azioni negative che commettiamo sono spinte da afflizioni mentali e sorgono da cause e condizioni, è come l’acqua che scorre verso il basso perché non ha autonomia di scorrere altrove.
La completezza delle condizione fa sì che le afflizioni mentali sorgano. Così la sofferenza sorge, non sulla base delle intenzioni da parte delle afflizioni mentali, ma per mancanza di libertà, perché le afflizioni mentali portano sofferenza.
Entriamo nel contesto dei Samkya gli enumeratori, ma forse non è molto utile nel nostro contesto.
Quando si completano le condizioni per far nascere la afflizioni mentale, questa sorge. Il che accade perché non facciamo attenzione al nostro modo di pensare. Il v pensiero segue le afflizioni mentali.
Necessità di neutralizzare la collera.
32 Se io mi domandassi :”In questo caso, poiché ogni cosa è simile ad un miraggio, chi è colui che combatte tale rabbia? La rabbia non esiste e chi la combatte non esiste, quindi inutile combatterla”: ma in realtà è utile, infatti applicando il suo antidoto, la pazienza, usciremo dal ciclo delle sofferenze.
33 Perciò quando vedo un amico o un nemico compiere un azione negativa, devo riflettere che le azioni commesse sono prodotte dalle condizioni, e devo rimanere in uno stato di calma.
34 Infatti se le situazioni si verificassero secondo le volontà o le intenzioni degli esseri senzienti, in che modo potrebbe manifestarsi la sofferenza, dato che nessuno desidera soffrire?
35 A causa della inconsapevolezza però le persone riescono a farsi male anche con rami, spine ed altri oggetti. E allo scopo di ottenere donne e altri beni alcuni diventano furiosi e si privano anche del cibo.
36 Altri poi si danneggiano da soli con azioni negative, fino ad uccidersi impiccandosi, o gettandosi nei precipizi o avvelenandosi.
37 Se dominati dal potere dei difetti mentali alcuni arrivano perfino a uccidere il proprio Io, che essi considerano così prezioso, come possiamo aspettarci che non danneggino gli altri?
38 E quando essi , vittime dei propri difetti mentali, commettono suicidio, pure se non riuscissi a provare pena per loro, riuscirò certamente a non adirarmi con essi .
39 Pure se per la loro natura le persone infantili sono pronte a fare del male agli altri, quale scopo avrei ad adirarmi con loro? Sarebbe come prendersela con il fuoco perché esso brucia!
40 Allo stesso modo apparirebbe scorretto prendersela con coloro che commettendo uno sbaglio sono per natura invece affidabili: sarebbe come prendersela con lo spazio perché è transitabile dalle nubi e ne permette la presenza.
41 Io mi arrabbio con chi mi colpisce con il bastone, ma non con il bastone che è l’oggetto che mi colpisce. In questo modo allora devo agire, colui che mi colpisce è spinto dall’odio, ed io contro l’odio devo adirarmi.
42 Nelle vite passate io ho procurato simili danni alle altre creature, perciò è giusto che ora lo stesso danno ricada su di me quando gli altri mi danneggiano.
43 Sia le armi che feriscono, sia il corpo che riceve le ferite sono cause di dolore. Se alcuni hanno levato le armi su di me mentre sono in un corpo fisico, con chi o cosa dovrei in realtà adirarmi?
44 Questa forma umana è così simile ad una ferita aperta, la quale appena sia sfiorata non riesce a sopportare il dolore. Io stesso mi attacco a questa ferita, il corpo, accecato dalla bramosia, e quindi con chi debbo adirarmi quando provo sofferenza?
45 Siamo proprio come bimbi senza accortezza, perché pure non desiderando la sofferenza rimaniamo ugualmente attaccati alle sue cause e così ci danneggiamo: da soli ci infliggiamo dolore. Perché dunque adirarsi con gli altri?
46 Allo stesso modo che i guardiani degli inferi e le foreste di foglie di lame come rasoi sono il frutto delle mie azioni, la sofferenza che io ora sperimento da solo mi sono prodotto. Con chi debbo prendermela?
47 Quelli che mi fanno danno sono sospinti a farlo dal mio stesso karma negativo. Ma loro cadranno negli inferi per questo, e sarò solo io la causa della loro rovina.
48 Io grazie a loro invece potrò purificarmi dalle negatività sopportando tramite la pazienza i danni da loro inflitti. E invece loro a causa mia cadranno nei reami inferiori, negli inferi.
49 Quindi io sto causando loro danno, non essi. Essi invece cono i miei benefattori. Quindi come può la mia mente malvagia adirarsi contro costoro che le fanno aumentare meriti?
50 Se la mia mente potrà praticare la perfezione della pazienza io potrò evitare di cadere nelle pene infernali. Ma mentre io mi salverò, quale sorte toccherà invece ai miei avversari?
51 Pure ricambiandogli il danno inflittomi è sicuro che non potrei salvarli. E inoltre in questo caso degenererei l’ottima condotta e distruggerei la mia pratica della pazienza.
52 Visto che la mente è immateriale non esiste modo di distruggerla. Ma allo stesso tempo a causa del suo tenace attaccarsi al corpo essa diviene preda delle sofferenze fisiche.
53 Dato che ne offese, ne derisioni, ne critiche o parole ostili, e neppure il disprezzo causano danni al mio corpo, perché la mia mente diviene cosi piena di rabbia e rancore ?
54 Visto che il disprezzo mostratomi dalle altre persone, sia ora che nelle rinascite future, mai potràdistruggermi, perché debbo esserne così infastidito?
55 Potrebbe essere perché i miei frutti materiali ne risentiranno. Ma tanto poi non dovrò abbandonare ogni bene materiale per portare con me, sicuramente, solo le azioni positive compiute?
56 Meglio sarebbe allora abbandonare il corpo oggi stesso, piuttosto che vivere a lungo ma in maniera malvagia. Pure vivendo per lunghi anni vi sarà sempre il dolore della morte.
57 Alcuni potrebbero destarsi da un sogno in cui per un secolo hanno vissuto nella gioia assoluta. Altri potrebbero destarsi da un sogno in cui hanno vissuto un breve istante di felicità.
58 Quando entrambi si svegliano, la felicità dei sogni è terminata, e non si ripresenterà più. alla stessa maniera quando la morte verrà a coglierci, le nostre vite, o brevi, o lunghe, avranno termine.
59 Pur potendo possedere enormi ricchezze e vivendo una vita felice, come se fossimo derubati dai predoni a mani vuote e nudi ce ne andremo da questa esistenza.
60 Potrei forse pensare che la ricchezza mi permetterà di vivere agiatamente, per cosi purificare le negatività e accumulare meriti. Ma se a causa di essa io andassi in collera e agissi senza scrupoli, i miei meriti si estingueranno ed accumulerò solo il male.
61 Quale scopo può avere la vota di colui che si comporta in modo efferato, se tale esistenza avrà come frutto solo il male?
62 Se mi infurio con coloro che mi diffamano, per allontanarli da me, perché non lo faccio anche con coloro che calunniano gli altri?
63 Se provo pazienza verso tale comportamento rivolto agli altri, perché non lo sono anche quando è rivolto verso di me, pesando che le parole ostili sono frutto solo di difetti mentali?
64 Perfino coloro che compiano insulti contro il Dharma, o gli stupa, o le immagini sacre arrivando fino a distruggerle, non potranno mai essere oggetto della mia collera, perché i Buddha di fatto sono indistruttibili.
65 Devo inoltre combattere e prevenire l’ira che mi sorge nei confronti di chi danneggia i miei parenti, i miei maestri spirituali e gli amici, considerando, come fatto prima, che questi danni derivano nient’altro che dalle condizioni.
66 Visto che gli esseri subiscono ferite e da oggetti privi di vita e da esseri viventi, dove è il motivo di provare ira solamente per questi ultimi? Perciò ne consegue che dobbiamo accettare con pazienza qualunque male.
67 C’è chi guidato dall’ignoranza agisce in modo negativo, altri che sempre sotto la stessa influenza rispondono con l’ira. Chi fra questi agisce in modo corretto? Chi si comporta in modo sbagliato?
68 Perché nel passato ho commesso azioni per cui adesso vengo danneggiato dagli altri? Tutto ciò è solo il frutto del karma accumulato, perciò, perché devo arrabbiarmi?
69 Avendo compreso tutto ciò io devo sforzarmi di mettere in atto le azioni positive, in maniera tale da far nascere negli altri una spinta di amore reciproco.
70 Per esempio quando una abitazione va a fuoco è saggio gettare lontano da essa paglia ed altri oggetti infiammabili per evitare che le fiamme si allarghino alle abitazioni vicine.
71 Quando la mente, allo stesso modo, brucia dal desiderio dell’odio, generato dall’attaccamento, immediatamente dovrei estinguerlo nel timore che i miei meriti vengano cancellati.
Se non esiste nemmeno un atomo particella intrinsecamente esistente, allora quale antidoto potrà neutralizzare l’oggetto da abbandonare? Ma l’assenza di esistenza intrinseca non implica la totale non esistenza. L’antidoto funziona contro l’oggetto da abbandonare.
I Samkya attaccano i Madiamika Prasangika dicendo che, se i fenomeni sono vuoti di esistenza intrinseca allora viene meno la differenza tra esistente ed azione, ma dai Madiamika Prasangika si ribatte da che se i fenomeni sono vuoti di esistenza indipendente allora sono sorgere dipendente. Quindi l’assenza di esistenza intrinseca ed il sorgere dipendente sono molto forti. L’uno chiarisce l’altro. Questo è il significato del pensiero di Nagarjuna https://www.sangye.it/altro/?cat=9. Se i fenomeni fossero intrinsecamente stabiliti od esistenti questi non potrebbero essere sorgere dipendente, quindi sono incompatibili.
Quando vediamo un nemico od una nostro caro compie un’azione inappropriata, ci arrabbiamo. Ma se comprendiamo che agisce sotto il potere delle afflizioni mentali, senza libertà, senza autonomia, allora non solo non dovremmo arrabbiarci ma dovremmo comprendere la sua situazione.
Con chi litighiamo? Con chi ci è più vicino. Con parenti, genitori, coniugi, amici. Perché dobbiamo arrabbiarci? Non è necessario arrabbiarci! E, lo comprendiamo, se ci facciamo attenzione. Quindi ci arrabbiamo per mancanza d’attenzione.
Tutti desiderano la felicità! Perché si cade nella sofferenza e nell’infelicità? Siamo noi che la creiamo, perché basta una piccola situazione avversa per scatenare la rabbia, e, se non cambieremo, continueremo sempre così fino alla morte.
L’unico modo è parlare in modo appropriato, il che non reca offesa a nessuno, familiarizzandoci in un qualcosa di positivo, creando serenità in famiglia, evitando liti e tensioni.
Siamo noi gli artefici dell’armonia in famiglia.
Se ci mettiamo d’impegno possiamo realizzare questa condizione favorevole. Effettivamente litighiamo con le persone più vicine e siamo consapevoli di ciò! Perché allora non lo trasformiamo? Perché?
Se non lo faccio, allora: per cosa medito?
La meditazione consiste nel realizzare il proprio cambiamento, trasformando le proprie attitudini negative. Altrimenti la nostra meditazione è scorretta.
Se la felicità che desideriamo non giungesse per cause e condizioni ma solo per il nostro desiderio od auspicio, allora saremmo tutti felici, ma non è così. Tutti quanti, proprio perché la felicità dipende da cause e condizioni, dobbiamo guadagnarci il nostro benessere, l’armonia interiore. Non possiamo essere felici od eliminare la sofferenza solo perché lo desideriamo, ma dobbiamo agire, e creare le azioni virtuose, eliminando quelle non virtuose. Altrimenti, se non domiamo la nostra mente, per le afflizioni mentali che accumuliamo saremo sempre più immersi nella sofferenza. Dovremo far così estrema attenzione al nostro modo di pensare.
Se troviamo una persona positiva, solare, che ha rispetto per gli altri, effettivamente ha meditato bene. Viceversa, chi si rivolge con astio verso gli altri non gli è stato proficuo il ritiro, perché non è stato realizzato correttamente.
Domanda. Come comportarsi se, pur facendo sforzi e meditazioni, quando in famiglia, anziché diminuire, aumenta un comportamento negativo, a meno che gli altri non vengano incontro al cambiamento positivo? È effettivamente possibile realizzare quest’armonia personale da soli?
Ven. Ghesce Tenzin Tenphel. Se per migliorare noi stessi, aspettiamo che qualcuno ci aiuti, è difficile che accada. Innanzitutto, siamo noi a dover fare attenzione. Con la nostra esperienza possiamo di volta in volta migliorare ed accumulando le nostre esperienze, sappiamo bene come fare. È difficile che qualcuno sia d’aiuto a qualcun altro. Siamo noi a dover migliorare il nostro modo di pensare, non dobbiamo pretendere che sia comunque di beneficio per gli altri. È difficile che possiamo migliorare solo grazie all’aiuto altrui se non c’è il nostro impegno. Gli insegnamenti di Dharma sono per portarci ad essere altruistici, anche se gli altri sono infiniti.
L’inizio potrebbe essere già qui, rispondendo bene agli altri, ponendoci di beneficio, altrimenti almeno cerchiamo di non danneggiare gli altri. È un gran terreno di lavoro! Siamo qui ad ascoltare insegna di Dharma ma se non riusciamo a stare in armonia: dove stiamo andando? Impegniamoci da subito in questo senso! Facciamo quindi attenzione! Questo è pratica! È migliorare noi stessi! Se non facciamo attenzione il tempo scorre e si esaurisce, ascoltiamo gli insegnamenti ma saranno inefficaci a produrre dei veri cambiamenti nei ns comportamenti, non saranno utili nel produrre armonia interiore.
Se trovate utile ciò che vi ho detto mettetelo in pratica altrimenti lasciatelo pure da parte.