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Nel 2010 è peggiorata la repressione in Tibet
Gennaio 15th, 2011 by admin

Polizia cinese chepresidia militarmente Lhasa
Polizia cinese che presidia militarmente Lhasa

Il rapporto del Tibetan Centre for Human Rights and Democracy (TCHRD) sottolinea: colpiti intellettuali, monaci e studenti. Pechino vuole chiudere la partita tibetana con violenza e leggi repressive, e nello scorso anno ha stretto ancora di più il pugno repressivo.

Arresti arbitrari e tortura

Nel 2010 non si sono registrati segnali di apertura da parte del governo cinese. “Al 30 dicembre 2010 si ha notizia della detenzione, in Tibet, di 831 prigionieri politici di cui 360 processati dai tribunali”, riferisce il rapporto. I condannati all’ergastolo sono stati 12. Nel corso degli ultimi 12 mesi sono stati effettuati 188 arresti: di questi, 71 sono stati condannati da un giudice, gli altri sono ancora in attesa di giudizio. Si legge inoltre che lo scorso anno sono stati condannati a morte, con sospensione della pena per due anni, Sonam Tsering, Pema Yeshi, Lama Lhaga e Sonam Dorjee. Il Venerabile Jampel Wangchuk, del monastero di Drepung, Dorjee Tashi, proprietario della “Yak Guest House”, Sonam Gompo e Tsewang Rinchen sono stati condannati all’ergastolo. Tsewang Gyatso, Tashi Rabten e l’ambientalista e uomo d’affari Karma Sandup dovranno scontare 15 anni di prigione. Continua anche la repressione contro intellettuali e personalità della cultura. Il rapporto denuncia inoltre l’arresto, a partire dal 2008, di almeno sessanta tra intellettuali, scrittori e blogger tibetani. Tre di questi – Sonam Tsering e i lama Lhaka e Sodor del monastero di Koli – sono stati condannati a morte. Tuttavia, tutte queste condanne cozzano contro la nuova legge – approvata da Pechino a maggio – che vieta di ottenere confessioni tramite tortura. In Tibet la tortura è una pratica conosciuta e praticata in tutti i centri di detenzione.

Diritto all’educazione

Circa la contestata decisione di Pechino di impartire l’insegnamento nelle scuole attraverso l’uso della lingua mandarina anziché di quella tibetana, il documento del TCHRD definisce questo cambiamento totalmente contrario alle norme della costituzione della Repubblica Popolare in base alla quale la Cina ha il dovere di proteggere e preservare la lingua tibetana quale strumento di identità culturale, etnico e religioso. Nel corso dell’anno si sono svolte diverse manifestazioni studentesche. A marzo e aprile 2010 sono state registrate tantissime espulsioni di studenti e diversi arresti nella parte orientale del Tibet. Il 19 ottobre, migliaia di ragazzi di 6 diverse scuole dei distretti di Rebkong e Malho sono scesi in piazza contro la proposta di legge che impone l’uso del mandarino nelle istituzioni scolastiche al posto del tibetano.

Le proteste sono arrivate fino a Pechino, dove 600 studenti dell’Università delle nazionalità hanno dimostrato a protezione della lingua tibetana. Secondo il governo, la nuova legge aiuterà i giovani tibetani a mettersi in pari con gli altri giovani della nazione pareggiando il livello culturale. I tibetani ribattono che il loro linguaggio fa parte della loro identità, etnica e culturale. Le autorità considerano questi argomenti come “secessione”, e le perseguono con ferocia: le manifestazioni si sono concluse tutte con degli scontri violenti.

Libertà religiosa

Nel corso dell’anno, la pratica del buddismo tradizionale è finita di nuovo nel mirino delle autorità. A settembre 2010 l’Ufficio Affari religiosi ha emanato un’ordinanza dal titolo “Misure di gestione per i templi e i monasteri buddisti”. I 44 articoli, entrati in vigore il primo novembre, colpiscono ferocemente la pratica religiosa; restringono la possibilità di interagire fra studenti e insegnanti e forniscono alle autorità uno strumento di controllo estremamente invasivo.

Lo scopo principale di questa legge è quella di intralciare ancora di più l’influenza del Dalai Lama – leader tibetano e Premio Nobel per la pace, in esilio in India sin dall’invasione del Tibet del 1959 – sulla popolazione e sulle autorità religiose. Per sottolineare il proprio potere, il Dipartimento del Fronte Unito ha convocato tutti i vertici dei monasteri il 14 e 15 agosto. Qui ha ricordato che la pratica religiosa è sottoposta al controllo del governo e ha minacciato ripercussioni in caso di violazioni, vere o presunte.

Il rapporto critica, inoltre, le politiche di sviluppo attuate dalla Cina in Tibet affermando che le fasce più povere della popolazione non hanno tratto da esse alcun beneficio e che le riforme sono state attuate senza tener conto dei diritti e delle reali necessità dei tibetani, in particolare dei nomadi e dei pastori costretti a vivere in condizioni di estrema difficoltà. Il Centro Tibetano per i Diritti Umani e la Democrazia fa proprio l’appello rivolto al governo cinese dall’Incaricato Speciale delle Nazioni Unite per il Diritto al Cibo, Olivier De Schutter, e chiede a Pechino di non obbligare i nomadi alla vendita del loro bestiame e al trasferimento forzato in centri abitativi.

Fonte: TibetNet – AsiaNews.


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