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Consigli per reclusi da virus. Meditiamo
Marzo 15th, 2020 by admin

Il Dalai Lama propone da tempo di introdurre nelle scuole del mondo non già la religione, ma un insegnamento su come gestire le proprie emozioni fin dall’infanzia.

Consigli per reclusi da virus. Meditiamo

di Raimondo Bultrini

Chi riesce a risiedere il più a lungo possibile in quello spazio vuoto tra un pensiero e l’altro non è più in meditazione ma in contemplazione, non fissa più un oggetto o un pensiero separato da sé stesso, ma percepisce la perfetta unità dell’uno e del tutto, oltre lo spazio e il tempo.
LA MEDITAZIONE AI TEMPI DEL CORONAVIRUS
MANUALE NON BREVE DI CONSULTAZIONE
Leggo i preziosi consigli dei miei colleghi di Repubblica per aiutare i lettori con le loro conoscenze ed esperienza in campo culturale e artistico ad affrontare e passare con svago e meno angoscia questo periodo di forzata clausura. Tra le offerte di letture, musica e intrattenimento manca pero’ un elemento secondo me importante, la chance di imparare come convivere con possibili altri periodi di maggiore reclusione come questo, o – se vogliamo – in maggiore forzata intimità con noi stessi.
Questo elemento mancante – che definirei di “svago evolutivo” per grandi e bambini che non si sono mai posti il quesito del “chi siamo” nel nostro essere integrale – puo’ essere compensato con la meditazione. La parola è molto in voga, ma se si vuole conoscere la sua natura al di là di nomi e definizioni, va premesso che ogni metodo usato dipende dal livello di concentrazione e capacità (soprattutto di rilassamento) del singolo “meditante”. Prima di entrare nel vivo della pratica, occorre anche liberarsi dal concetto che occorra meditare “su qualcosa” o su qualcuno. In realtà non c’è nulla da fare con il corpo e con la mente che abbia minimamente a che vedere con le nostre precedenti esperienze. Si tratta di nuove acquisizioni e conoscenze delle capacità di cura attraverso il non agire che si evidenziano con la pratica di svuotare ogni cosa e vedere il fondo. Nessun medico lo puo’ fare meglio di noi.
Per questo mi permetto di proporre qui alcune diverse tecniche e riflessioni dopo oltre tre decenni dedicati a diverse forme di tradizioni meditative e contemplative, a cominciare dagli insegnamenti tibetani del mio principale e compianto maestro Chogyal Namkhai Norbu e quelle di maestri buddhisti zen, taoisti e sädhu induisti. Sono certo che tra le righe dell’esperienza vissuta qualcuno potrà trovare un aspetto interessante dello “stare con sé stessi” e contemporaneamente sentirsi parte di un’entità collettiva in comunicazione reciproca sotto varie forme. Chi proverà noia avrà molte alternative tra le offerte di intrattenimento per tutta la famiglia presentate da Repubblica e altri media. Ma abbiamo già vissuto abbastanza nella distrazione del rumore di sottofondo per tentare di ascoltare – anzi sentire – qualcosa di diverso che abbiamo dentro.
ESERCIZIO SOLITARIO E IN FAMIGLIA
Non c’è nessun motivo perché genitori, figli, e perfino nonni non possano tentare di sedersi insieme semplicemente cercando di avvertire senza vergogne o imbarazzi l’energia che si sprigiona da ciascuno nello stare insieme, senza fare nessuna delle attività ordinarie e senza dare a queste sedute il nome di meditazione o terapia familiare. Si puo’ parlare o stare zitti, ma si resta in osservazione dei cinque sensi percepiti insieme e della propria energia che scorre dal dito alluce alla punta del capo. Ognuno puo’ farlo anche per conto proprio e vedere alla fine che sensazione ha generato nei diversi livelli di percezione del mondo e dei suoi fardelli. Molti possono provare dolore intenso anche fisico dal concentrarsi troppo. Ma a loro volta possono respirare e abbandonare l’esercizio. Da qui – dalle diverse attitudini e capacità – nasce la natura non omogenea e precisa di qualunque “manuale” che vi viene proposto, tranne quelli nati dall’esperienza personale e dalla comprensione dei principi spesso impossibili da descrivere con le parole.Per questo qui troverete solo spunti e non certo un compendio per tutti.
MEDITAZIONE IN PRINCIPIO
Di certo sappiamo che nella meditazione– anche se collettiva – ogni individuo si trova di fronte non solo ai suoi pensieri inevitabilmente riflessi in un vuoto riempito di immagini, ma anche a una tabula rasa dove solo lui o lei puo’ scrivere il proprio destino, che prenderà – a seguito di ogni sua azione – il nome di karma. Individuali sono le responsabilità se si intende o si deve cambiare davvero radicalmente – e non per paura o moda – abitudini radicate come l’appoggiarsi pesantemente ad altri per trovare un sostegno, o scaricare su altri le responsabilità di ogni cosa storta.
Per poter utilizzare con efficacia qualcuno dei seguenti metodi molto dipende dalla volontà di apprendere anche i principi che sono alla loro base. Per cominciare, certe tecniche, dalle più semplici a quelle complesse, permetteranno di fare distinzione tra miti, superstizioni, mode ed esperienze concrete con una certa inedita chiarezza. Chi ne fa esperienza applicandosi con costanza e convinzione otterrà gli stessi benefici dei maestri che li hanno praticati per millenni.
LE EMOZIONI E LE TRE PORTE DELLA SAGGEZZA
Il Dalai Lama propone da tempo di introdurre nelle scuole del mondo non già la religione, ma un insegnamento su come gestire le proprie emozioni fin dall’infanzia. A Nuova Delhi, capitale dell’India, uno dei cavalli di battaglia vincenti del partito di governo locale è stato il curriculum ribattezzato “Lezioni di felicità”, ovvero “Apprendimento sociale ed emotivo” applicato fin dalle elementari nelle scuole pubbliche. Parte delle lezioni è la meditazione sull’osservare mentre sorgono le emozioni e l’attimo dell’ingresso nell’azione.
La religione non ha nulla a che vedere con questa forma di Yoga del benessere psicofisico che si può applicare contemporaneamente a tutte e tre le nostre dimensioni di esistenza, il corpo, la voce (energia) e la mente, attraverso il semplice controllo del respiro. In Tibet sono considerate queste le tre porte d’accesso alla conoscenza della propria natura che possiede una saggezza primordiale. Non deve preoccuparsi chi teme di dover applicare qualche strano rituale mistico, niente di tutto questo. Tutti respiriamo per vivere e l’unico “rituale” consigliato è il cercare di tenere inalando ed esalando la schiena dritta e non ingobbita, spingendo l’aria a una profondità maggiore del solito e gettarla fuori a un ritmo più regolare di quando sul lavoro affanniamo i polmoni con lo stress dei respiri corti poco sotto al collo, o acceleriamo i battiti ad ogni emozione della vita quotidiana, come orologi che ticchettano cadenzando apprensioni e impegni.
Mentre la paura domina il mondo attorno e il proprio mondo interiore è in cerca di una tregua di pace, la meditazione ha l’effetto pratico di ridare all’intero corpo biologico e psichico un ritmo più naturale che rafforzerà la propria energia interna, mettendoci in grado di difenderci dalle numerose forme di psicosi e paranoie create dall’indebolimento delle nostre difese mentali rispetto all’aggressione di tensioni reali e immaginarie, come quando a crearle è quel trasmettirore sempre più follemente veloce del Web.
LA MEDITAZIONE SUL RESPIRO
Il più celebre dei meditatori – divenuto poi fondatore di una religione dove da 2500 anni si applicano centinaia di metodi diversi anche se spesso sconosciuti – fu di certo il Buddha, che era un principe e si separo’ perfino dalla famiglia compreso un figlio per trovare la medicina contro la sofferenza del nascere, invecchiare, ammalarsi e morire. Dopo aver sperimentato le pratiche spirituali proposte dai sadhu induisti che credevano in un Dio e una trinità creatrici ed eterne, si sedette sotto un albero praticando la più semplice tra le tecniche di meditazione, il respiro.
Si dice che ottenne il “risveglio” dopo aver liberato la mente dai limiti di legame col corpo semplicemente osservando l’aria che entra e che esce. Concepì una filosofia che influenzerà per millenni i pensatori e gli yogi neutralizzando il quesito sull’eventuale Creatore unico con un osservazione sola: il mondo e il suo eventuale originatore sono ineluttabilmente soggetti entrambi al principio della perenne trasformazione. Se con le sue azioni l'”osservato”, il “creato” cambia, come puo’ restare identico “l’osservatore”-“creatore”. Ottimo aneddoto esplicativo è quello del saggio taoista che sogno’ di essere una farfalla e non capiva se era invece una farfalla che sognava di essere un uomo.
LA TECNICA –
Qualcuno dei discepoli raccolse i suoi primi consigli in un sutra chiamato Anapanasati https://www.sangye.it/altro/?p=2949 (dal Majjhima Nikaya,118). Il Buddha suggeriva di recarsi in una foresta se si voleva osservare – come fece lui – il proprio respiro, notarne l’entrata e l’uscita, eventualmente contarne un certo numero e ricominciare il calcolo se nel frattempo ci si lascia distrarre dai pensieri. Lo sviluppo della capacità di concentrazione su un solo punto anche se in movimento è il primo obiettivo del meditatore che apprende come stabilizzare la mente per darle accesso a esperienze superiori. Solo da qui potrà addentrarsi nello spazio della “natura” della mente, crogiolo dove l’intera realtà si forma come riflesso illusorio che solo pochi sono in grado di riconoscere in quanto propria creazione, avendo raggiunto il distacco della vera compassione universale.
LA MEDITAZIONE SHINE’ O DEL LAGO CALMO
Questa pratica venne elaborata successivamente in Tibet con tecniche diverse leggermente più complesse. Ci si reca – mentalmente se impossibile nella realtà – sulle rive di un lago o di uno stagno placido e si osserva intensamente la superficie. Quando sorgerà il pensiero, più avvertibile perché rallentato dalla concentrazione, sarà come un pesce che salta fuori dall’acqua. Ci si allena fermandosi quando lo sforzo è eccessivo e segnala un eccesso di tensione nella pratica.
IL MONDO IN UNA STANZA –
Al tempo del Buddha era relativamente semplice trovare stagni, foreste e grotte, e la gente aveva eventualmente anche più occasioni di isolarsi nella natura per gli esercizi di meditazione consigliati. Ma non credo – viste le circostanze – che ci sia alcuna controindicazione a praticare lo stesso esercizio tra le mura domestiche, se non una peggiore qualità dell’aria, destinata comunque a migliorare con la riduzione del traffico e delle attività produttive che sono stati alla base della nostra agiata e inquinata vita fino a oggi.
Affinché certi esercizi abbiano effetto occorrerà ripulire la mente da altri elementi non tanto secondari quanto dannosi a lungo andare per la propria intera persona fatta di spirito oltreché materia. Intendiamo le paure di qualunque natura, incluso il piccolo e potente virus C, i pentimenti per le azioni del passato e l’ansia per cio’ che porterà il futuro.
LA MEDITAZIONE DELLO SPECCHIO –
Se cerchiamo di osservare noi stessi come riflessi in uno specchio, i pensieri sembreranno anch’essi appartenere a quell’immagine esterna, quasi che si trattasse di un “alter”, il vero – a noi somigliante – responsabile delle azioni delle quali si sta facendo un’analisi tanto dettagliata.
Può accadere durante questo esercizio che – intimamente – nulla sembri più appartenere al corpo riflesso e dunque al lato soggettivo della mente che vede l’immagine.
Un effetto collaterale della pratica puo’ essere la revisione dei giudizi, specialmente se negativi, su qualche altra persona. In teoria non servirebbe affatto avere di fronte lo specchio fisico per esercitarsi. Si puo’ avere l’idea di una superficie che rifletta noi stessi nell’immaginazione, per domandare alla proiezione dei nostri pensieri se sinceramente nel nostro passato ci siamo per caso comportati in modo simile all’altro che stiamo giudicando. Se l’alter ci risponderà pur sinceramente di “no”, proviamo a cercare di non fermarci e ritentiamo. Andiamo a scovare nella memoria le altre volte che avremmo dovuto evitare certi comportamenti sbagliati verso il prossimo. Non è un esercizio di disciplina moralistica ma di identificazione e riconoscimento dei propri momenti di debolezza per rafforzare in futuro le difese e impedirci di ricadere nella celebre “coazione a ripetere” di cui parla la psicologia.
LO SPECCHIO COME SIMBOLO
Osservare sé stessi è un esercizio che raramente facciamo con o senza specchio, se non siamo già praticanti dell’introspezione e dell’analisi. Solitamente guardiamo al di fuori, con gli occhi, le orecchie e il resto attratti da un mondo che sembra e risulta ai nostri sensi come qualcosa di esterno, altro da noi. Così accade precisamente con gli oggetti tecnologici resi essenziali da un bisogno collettivo di “identificazione” e comunicazione, affidando sempre più ai mezzi virtuali della Rete la nostra percezione della realtà. Di fatto non tutti sono “costretti” a usarli come accade a chi ci lavora, ma quell’apparato esterno di comunicazione è diventato parte della vita di ciascuno, un “fuori” interiorizzato, un nuovo senso.
Questa mente collettiva artificiale, sempre più presente man mano che la tecnologia avanza, valica come il virus ogni frontiera e difesa immunitaria. Ma allo stesso tempo chi vuole ha tutti gli elementi per ritrovare nella pausa meditativa la potenzialità di riflettere sul tipo di evoluzione necessaria a non restare intrappolati in una gabbia.
La sorgente di questa evoluzione è la nostra chiarezza originaria, per raggiungere la quale non occorre fare molta strada essendo già presente nella nostra mente di saggezza, parte della dimensione assoluta dell’esistenza di tutti gli esseri viventi. Occorre pero’ saper liberare il cervello dall’assillo delle preoccupazioni e dei desideri di “possesso” delle persone e degli oggetti, essendo ogni passione il principale ostacolo a una visione chiara del mondo, ma anche la caratteristica che rende gli esseri umani attivi cercatori di benessere e verità.
MEDITAZIONE SULL’IMPERMANENZA –
Il problema è che non abbiamo fatto altro che accumulare, o tentare di accumulare, possedere, il maggior numero di sensazioni e oggetti desiderabili, mentre contemporaneamente rifiutavamo ogni cosa che non ci piaceva. Tra ambire e rifiutare abbiamo perso energie e tempo preziosi senza poter meditare sulla natura impermanente di ogni fenomeno e sulla necessità di integrare l’esperienza senza fuggirne o viverla con intensità cieca. Solo così la mente come uno specchio si separa dal riflesso immediato, che sia bello, brutto o terrificante, poiché è parte di un processo a più stadi che per quanto ne sappiamo puo’ non concludersi con la morte fisica, e va affrontato senza permettere alle tensioni di sorgere sotto forma di attaccamento e condizionare le azioni in cicli incessanti di inizio, fine e re-inizio.
Dicono gli yogi delle vie più esoteriche che la natura della mente primordiale, non discorsiva né creativa o intellettuale, è esattamente come la natura dello specchio nel quale ci osserviamo, equanime, chiunque o qualunque oggetto gli si ponga di fronte. Il presupposto è che esistano due verità, una Assoluta inalienable insita nella natura cangiante delle cose – è questa l’essenza dello stesso concetto di Tao – l’altra relativa, di natura temporanea e illusoria che appare come in un teatro magico.
Natura della mente e natura dello specchio sono entrambe potenzialità di un Nulla apparente dove il riflesso creato (i fenomeni, le emozioni, e tutto cio’ che esiste) sorge per le attitudini della nostra mente ordinaria a cercarsi appigli di riferimento attraverso i cinque sensi, aggrappandoci al mondo illusorio delle forme e dei contenuti per non perderci nell’assenza di una dimensione fisica di riferimento. Questo accade – secondo il celebre Libro tibetano dei Morti o Bardo thodol – al momento in cui gli elementI fisici si dissolvono e la parte connessa coi sensi della mente ordinaria si trova senza piu’ punti di riferimento fisici. E’ in questo estremo momento – ma come tutto transitorio – che puo’ essere utile un allenamento mentale del tipo proposto qui.
MEDITARE SULLA PROPRIA NATURA
E’ importante essere stati in vita il più vicino connessi alla propria vera natura, la sorgente dell’esistenza temporanea di cui stiamo facendo esperienza, e allo spazio vuoto e luminoso della nostra mente priva di appartenenze e preconcetti. Ancora una volta, come su una tabella luminosa, è facile scrivere e – soprattutto – riscrivere la propria evoluzione una volta osservate sullo sfondo svuotato della memoria ordinaria le proprie limitazioni e potenzialità. La capacità di ciascuno di trovarsi in questa condizione corrisponde quasi esattamente al punto raggiunto nella traiettoria del proprio karma. Per questo si medita sulla potenzialità dello specchio di riflettere ogni oggetto che gli viene messo di fronte senza entrare nel giudizio. Nessuna delle figure spaventevoli che si presenteranno nel bard-do tra la morte e la rinascita potranno costringere una mente allenata all’attenzione dello specchio a cadere nella loro trappola. Fuggirne in preda alla paura significa non poter sopravvivere in una condizione di pura libertà e si cercherà rifugio nel primo angolo oscuro. Non entro in altri dettagli che ciascuno puo’ leggere da solo nella numerose traduzioni del testo originale attribuito al maestro Padmasambhava, che diffuse la forma di buddhismo Vajrayana praticata ancora in Tibet.
Ma da quell’antro si esce in una nuova vita dopo varie esperienze simili a quelle del sogno. Nei rituali del Tibet un maestro ripete alla mente vagante del defunto che ad ogni istante può liberarsi dagli attaccamenti alle visione meravigliose o terribili della precedente esistenza e lasciarsi andare nel proprio stato naturale privo di nascita e forma.
Per descrivere le potenzialità del vuoto, in Tibet si aggiunge anche l’esempio del fulmine (il Vajra) che squarcia il cielo – lo spazio senza forma – secondo cause e circostanze legate alle energie atmosferiche per poi svanire nello stesso apparente nulla dal quale si è formato. Se ne deduce che la celebre Illuminazione proviene dal riconoscere il vuoto come la natura di tutte le cose, il luogo dove risiede la natura stessa della nostra mente non contaminata dal pensiero discorsivo.
COME SI MEDITA
IL PRINCIPIO DELL’ENERGIA
In genere ci si siede a gambe incrociate, ma per chi non è allenato o ha problemi di articolazioni e circolazione non è consigliabile. Molto meglio stare su un cuscino alto o su una sedia, sul letto, ovunque il corpo possa essere rilassato con la schiena dritta, o il più dritta possibile ma morbida e non tesa. Il motivo degli accorgimenti fisici è semplice da capire visto che il tipo di meditazione proposta dal Buddha e riproposto in questo manualetto ha a che fare con qualcosa che noi non vediamo, il flusso dell’energia attraverso il corpo. E’ un movimento dall’alto in basso o viceversa attraverso il respiro ma ha bisogno di fluire senza ostacoli e offuscamenti mentali per scorrere libero nel suo asse centrale, un alveo “diritto come un bambù”, verticale dai genitali alla punta della testa, da cui partono diramazioni interne ed esterne.
L’energia – invisibile – si puo’ irradiare in tutto il corpo attraverso i cosiddetti “chakra”, centri o snodi dove il präna interno si distribuisce nel respiro vitale corporeo ed entra a contatto col prana esterno. Purtroppo possiamo “vedere” con gli occhi solo il nostro corpo, quello degli altri e gli oggetti, oppure il riflesso dello specchio, ma non è facile osservare mentalmente e a occhio nudo l’energia che passa attraverso di noi e quella che circola nella nostra dimensione terrena. Ma prima di preoccuparsi dei diversi tipi di energia servono alcuni punti fermi per capire l’importanza di scoprire il più possibile della nostra vera dimensione di esistenza.
MEDITARE SUL NASCERE –
Se qualcuno dovesse avere ancora dubbi sul compito o karma preciso che ognuno di noi ha su questo pianeta, uno dei possibili oggetti di meditazione potrebbe essere la necessità di comprendere i fondamenti della propria natura di essere umano e la necessità di ottenere un’evoluzione spirituale se vogliamo scrollarci i limiti che ci impediscono – in quanto razza – di vivere in pace, armonia e sicurezza. O se vogliamo, per liberarci da molte delle catene che ci stressano e appesantiscono a livello mentale e conseguentemente fisico ed energetico.
Una buona notizia è che per comprendere l’importanza di aver ottenuto una rara nascita umana basta andare in un parco o nei boschi dove vive un infinito numero di insetti e altri animali. Nascere un essere umano tra milioni di miliardi di piccoli esseri, è un evento fortunato e raro. Come non sfruttare dunque ogni barlume di intelligenza per comprendere le potenzialità della nostra natura, che si distingue da quella degli animali perché è in grado di evolvere mentalmente ma anche spiritualmente?.
Lo stato di equanimità che genera la compassione è il contrario del distacco, perché nasce dall’esperienza della transitorietà dei fenomeni, e dalla necessità di considerare felicità ed infelicità rovesci della stessa medaglia, perché la massima felicità puo’ portare all’estremo dolore in mancanza della persona all’origine della beatitudine. Al contrario una prolungata sofferenza puo’ creare gli anticorpi per vivere uno stadio di esistenza serena anche nella disgrazia.
MEDITARE SUL RESPIRO –
Seduti comodamente – ma sempre con la schiena il più diritta possibile – si inala dalle due narici per alcune volte fino a rendere il respiro regolare e abbastanza profondo, senza forzature. Respirare con la bocca impedirebbe l’utilizzo dell’efficace filtro purificatore del setto nasale e delle narici. La schiena sostenuta dall’aria inalata si estenderà in larghezza e – quando si espira – l’aria dovrebbe uscire, sempre attraverso il naso, spinta dal plesso solare verso l’alto, come un tubetto di creme schiacciato dal fondo. Si tratta di un perfetto circolo di aria che entra e che esce dai polmoni. Non c’è bisogno di molta immaginazione per ritrovarsi, se eseguito correttamente, al centro di una dimensione che non sembra percepire più separazione tra l’interno del corpo e l’esterno. E’ un altro modo di entrare a contatto con l’invisibile mondo dell’energia.
MEDITARE SUL PENSIERO DISCORSIVO –
Sia che si applichi la meditazione del Buddha sul respiro, sia le tecniche del tantrismo come la fissazione su un oggetto, sul lago o sul vuoto, si sarà sempre alle prese fin dalle prime esperienze con il pensiero discorsivo. Il meccanismo è inverso a quello normalmente adottato nella quotidianità, quando siamo spinti a seguire il pensiero per vedere dove arriva o cambiarlo se non ci aggrada. In questa forma di meditazione si comincia col tentare di osservare da quale direzione o dimensione esso proviene. Una volta stabilito che non viene da nessun luogo e non va in nessun luogo preciso, si puo’ iniziare a dare ai pensieri il valore di un’esperienza, senza caricare la mente razionale col fardello del giudizio, deprimente o esaltante a seconda delle circostanze, capace – senza un controllo – di trasformare i pensieri in emozioni ed azioni illogiche, per non parlare della loro influenza sulle malattie fisiche.
Questo tipo di meditazione è leggermente più difficile. Ma dopo una veloce alternanza di pensieri buoni o cattivi lasciati scorrere come in un film creato altrove e non reale, si possono cominciare ad individuare alcuni spazi sempre più precisi tra l’uno e l’altro. Chi riesce a risiedere il più a lungo possibile in quello spazio vuoto tra un pensiero e l’altro non è più in meditazione ma in contemplazione, non fissa più un oggetto o un pensiero separato da sé stesso, ma percepisce la perfetta unità dell’uno e del tutto, oltre lo spazio e il tempo.
In questa condizione vigile la mente razionale, che pensa riflette e analizza, non perde le sue funzioni, ma resta assorbita nella condizione priva di tensione della mente naturale.
Va da sé che nell’esercizio del controllo sul pensiero discorsivo la mente razionale cadrà mille volte in distrazione per le emozioni o i successivi pensieri che sorgono. Ma quando si placano le acque più agitate e si entra lentamente nello stato più rilassato, si vedono sul fondo molti aspetti dell’esistenza ai quali non si era prestata mai troppa attenzione. Come una soffitta che cela segreti di famiglia, intuizioni sorgono improvvisamente e sembrano risolvere antichi enigmi, ma portano anche nuove speranze o nuove paure.
CONCLUSIONI
Certamente puo’ essere utile portare alla luce vecchi depositi di emozioni non elaborate o risolte. Ma chi intende l’approccio alla meditazione come una ginnastica mentale solo per rilassarsi e tirare avanti alla meglio, dovrebbe comprendere che la mente fa presto a cullarci con le nostre attitudini, desideri, o – come dicono buddhisti e induisti – in accordo con le proprie tendenze karmiche.
Quale migliore occasione si presenterà per questo viaggio all’interno di noi stessi approfittando del coronavirus ?
Non serve né essere buddhista né di una specifica religione, ma un uomo o una donna con del tempo da “perdere” per cause di forza maggiore, disposti a ritagliare del tempo tra uno zapping in tv, un libro e un’occhiata allo smartphone per affrontare un’esperienza di viaggio remotissimo e senza rischi di contagi che coinvolge tutti e cinque i sensi. Compreso quello che tutti li supervisiona, il sesto senso della mente. https://bultrini.blogautore.repubblica.it/2020/03/13/consigli-per-reclusi-da-virus-meditiamo/?ref=RHPF-WB&fbclid=IwAR19ykleV0EYaISUUNEhMwyhemMrR4IdznZvbn3WMVpz6w4hQLov6Y4InRw


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